Mi accingo a raccontarvi a parole mie Gianmarco Pozzecco, a.k.a. la Mosca Atomica.

Cercherò di farlo in un modo un po’ meno convenzionale rispetto al solito. Mi spiego meglio: data la notorietà del personaggio, determinate storie ed aneddoti che lo riguardano sono state già scritte centinaia di volte (ed in innumerevoli ‘luoghi’… Sì, probabilmente anche sul muro di qualche bagno di autogrill). Queste ultime verranno appositamente lasciate fuori e non incluse. Mi aiuterò con delle foto (le istantanee che mi sono rimaste più impresse) usandole come spunto per analizzare alcuni aspetti e, se proprio si finirà a toccare i ‘soliti’ temi, tenterò di farlo sorvolando sugli aspetti arci-noti ed aggiungendo invece qualcosa che non abbia visto menzionato altrove.


Si diceva, la Mosca Atomica: “Io sono legato a questo soprannome, anche se fa schifo… Voglio dire, la mosca non é che sia granché… Già é un insetto, e notoriamente gli insetti non sono bellissimi… Anche se ci sono delle persone che amano i ragni, nell’immaginario comune la mosca… Poi sostanzialmente la mosca dove va a finire? Sulla merda.

La prima volta che ho parlato con lui, non dico fossi vestito come il posto in cui va a finire la mosca, ma poco ci mancava: pantalone verde felpato, felpa grigia e verde con un enorme logo sopra ed un berretto che vi lascio immaginare (e definire). No, non ero una Tartaruga Ninja, ma un “Gatorade-boy”: uno dei cosiddetti ‘mop-boy’ o, per dirla all’italiana, ragazzini ‘asciuga-parquet’ i quali, armati di asciugamanetto, hanno il compito di assicurarsi che i giocatori in campo non scivolino sul proprio sudore (cercando anche di non farsi travolgere in caso di repentini cambi di fronte). Dinanzi a me c’erano i giocatori di Varese, alle mie spalle invece (dietro il canestro a bordo-campo, avendo accuratamente evitato il parterre ed essendosi posizionata su di una sediolina defilata) c’era una ospite d’eccezione: Samanthona De Grenet. Più alta del Poz (col quale ai tempi conduceva in tv, per chi di voi se lo ricorda, il programma ‘Candid Camera Show’ nella fascia pomeridiana delle reti Mediaset) ed all’epoca anche di me, indossava un cappellino con visiera anche lei: colore nero, con una scritta dorata ricamatavi sopra in bella vista (“FRANCAMENTE ME NE INFISCHIO”).

Samantha-De-Grenet

Testa bassa, sguardo coperto dalla visiera e, sebbene fosse piuttosto difficile, tentativo di passare inosservata per lei. Noi a bordocampo ovviamente l’avevamo riconosciuta, ma già a livello di parterre vero e proprio e di pubblico più in generale la cosa aveva funzionato. A fine partita, prima di rientrare negli spogliatoi, il Poz le si fa incontro per una battuta delle sue e, nel raggiungerla mi passa accanto. Io, ragazzino all’epoca di 13 anni o giù di lì, approfitto della cosa e lo avvicino intercettandolo sulla traiettoria che lo avrebbe portato dalla sua interlocutrice. Dopo avermi visto, mentra cammina, il nostro mi si rivolge senza proferire parola: solo occhiolini e cenni del capo ad indicare la conduttrice. Come a dire: “Sì, sì, quella”, occhiolino. Occhiolino, cenno del capo, occhiolino. Al che non quasi senza pensarci mi ritrovo a dirgli: “Ah ma quindi… Allora é vero…Tu e lei…” e lui, che non probabilmente non aspettava altro, mi fa: “Una gran professionista”, occhiolino, e sfodera un sorriso sardonico dei suoi, proseguendo oltre e finalmente raggiungendo la ‘collega’ in questione.

Rimasto lì pensai tra me e me: “Signori e signore: il Poz”. Questo é stato per me un primo assaggio, di persona, di Gianmarco, che avrei poi ovviamente seguito in veste di spettatore esterno nelle sue gesta future, sentendo di aver avuto la possibilità di cogliere l’essenza del suo atteggiamento e spirito da quella, seppur brevissima, interazione.

Interazione che poi non fu né l’unica né l’ultima: di lì a poco, infatti, mi sarei ritrovato a giocarci a calcetto in squadra insieme, affrontando una compagine rivale che, tra le proprie fila, annoverava un certo Scottie Pippen… Ma questa storia l’ho raccontata già altrove (nel libro che ho scritto, n.d.a.).

Come accennato, l’intenzione é quella di aiutarsi con delle foto ed istantanee a mio modo di vedere particolarmente emblematiche della carriera del Poz, che verranno usate come spunto per trattare alcuni macro-argomenti.

La notazione che verrà usata in tal senso é la seguente: “Istantanea” – Tema.

Sotto con le immagini quindi:

 

“McDonald’s Open” – L’NBA
MCDONALD'S CHAMPIONSHIP
La foto che vedete rappresentata é datata 16 Ottobre 1999. Per tre quarti dell’incontro, la banda di matti Varese spaventò gli Speroni texani, reduci dal primo anello della loro storia (che come sapete non sarebbe affatto stato l’ultimo…).

Quella edizione del McDonald’s Open, passata alla storia come la sera in cui Zanus Fortes stoppò l’Ammiraglio David Robinson, Daniel Santiago schiacciò in faccia a un certo Tim Duncan ma soprattutto l’astio di una buona fetta di appassionati cestistici italiani nei confronti di Guido Bagatta crebbe in maniera smisurata (o almeno fu così per me, nel vederlo calcare il parquet di un simile evento e nel figurarmelo che racconta ai nipotini di aver giocato contro The Big Fundamental…), fu la prima volta in cui nella mente di Gianmarco balenò concretamente l’idea di poter reggere botta con i campioni a stelle e strisce.

D’altronde, non capita tutti i giorni che uno come Timoteo Duncan dica: “Quel piccoletto con i capelli rossi mi ha impressionato…”.

Per questo motivo l’istantanea in questione é stata scelta per affrontare un altro tema riguardante il Poz: l’America e l’NBA.

Nell’estate del 2001, precisamente a Giugno, prima di imbarcarsi per la traversata oceanica e l’avventura americana, Poz si concesse su Telebasket.com (lo so, preistoria… Ma a me piaceva tanto come sito, ed era inoltre solito organizzare chat per i tifosi con i giocatori) per un botta e risposta con i propri supporter.
Ricordo come fosse ieri la sua risposta ad un tifoso che gli chiedeva se avrebbe preferito giocare per NY oppure LA e, qualora ci fosse riuscito, se gli avrebbe regalato una sua canotta:

Darei via una palla per giocare con Lakers o New York, e se questo dovesse succedere te la regalerò” (conoscendo il Poz: la palla incartata nella canotta?).

Le storie che si sentono a proposito del suo mancato approdo nella lega a stelle e strisce ed inerenti la Summer League che disputò sono sempre le solite: la “rubata” a Jordan, la tripla che ha messo a tacere gli avversari e fomentato gli spalti (“Vale 3 punti anche qui, giusto?”), etc. etc.

Come accennato, cercherò sì di trattare questo capitolo importante della sua storia, ma di farlo dicendovi qualcosa di più:

  • la Summer League disputata dal nostro é stata una delle svariate che vennero organizzate a Luglio in quel di Las Vegas: la Rocky Mountain Revue;
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  • sul sito (ormai non più on-line da anni ovviamente) veniva presentato così:
    player
  • tra le squadre presenti, quelle contro le quali Gianmarco si misurò furono nell’ordine: Memphis, Utah, Chicago, Phoenix, Portland, San Antonio;
  • il bilancio dei suoi Raptors fu di 2 vittorie e 4 sconfitte, e nelle fila dei dinosauri insieme al nostro c’era una vecchia conoscenza del basket italiano: Corey Brewer;
  • il Poz giocava con la canotta (una double-face bianco-viola apposita) con il #1, lasciato da poco vacante tra le fila dei dinosauri da un certo signor Tracy McGrady;
  • la Mosca Atomica giocò in quintetto in 2 occasioni delle 6 (precisamente seconda e quarta partita);
  • Poz annoverò le seguenti medie: 17 minuti, 8.3 punti (per 3 volte 7, solo una volta in doppia cifra), 4.5 assists e 4 palle perse ad allacciata di scarpe;
  • l’MVP del torneo fu un all’epoca sconosciuto Zach Randolph;
  • nell’ultima partita Poz affrontò niente popo’ di meno che Tony Parker, mettendo su un duello davvero degno di nota (nonostante la sonora sconfitta per i canadesi): 21 punti per lui, 18 per TP9        stats                                                                          [tabellino ormai non più reperibile]

Alla fine, come sapete, il contratto non arrivò: a tradirlo qualche dubbio di troppo sul fisico ed un alto numero di TO durante le esibizioni.

Anche se il salto non avvenne, pero’, di occasioni per incrociarsi con gli americani il Poz ne avrebbe avute altre…

 

“L’inchino” – Il rapporto con la Nazionale 

inchino
Il rapporto con la Nazionale é stato travagliato e ha avuto alti e bassi. Tutto considerato, direi decisamente più alti che bassi. L’immagine che a mio parere sintetizza meglio l’argomento ‘il Poz e l’azzurro’ é, nonostante sia un fotogramma relativo ad un incontro amichevole (e di gare dove in ballo ci fosse qualcosa Gianmarco ne ha giocate non poche…), quello che vedete qui sopra: l’inchino a Colonia nell’amichevole di preparazione ad Atene 2004.
Lo so, lo so: avrei potuto scegliere la sua difesa (della quale va fierissimo) nella semifinale del torneo olimpico che si sarebbe disputato di lì a poco contro la Lituania… Ma alla fine ho optato per questa, a mio parere piuttosto simbolica.
Nell’occasione il Poz nazionale, acclamato dal pubblico teutonico, si toglieva dalla scarpa un discreto sassolino legato all’indifferenza totale riservata agli azzurri dalla compagine USA (che annoverava tra le varie file i vari LeBron, Melo, Duncan, Iverson…), che solo qualche anno prima invece (Olimpiadi di Sidney) aveva un atteggiamento alquanto diverso nei confronti dei nostri, allora neo-campioni d’Europa e squadra che volevano battere a tutti i costi.
Eh già, i novelli campioni del vecchio continente: lo storico oro di Parigi-Bercy ‘99, che Gianmarco aveva dovuto guardare solo in televisione.
Tagliato dal gruppo per mano di coach Boscia Tanjevic prima della manifestazione continentale, pur essendo stato a lunghi tratti parte integrante del roster, non aveva potuto prendere parte ad una storica soddisfazione per l’intero movimento: sensazione che non deve essere delle più piacevoli.
Nonostante la caduta però, la Mosca Atomica negli anni successivi si riprese il suo posto in Nazionale, mettendo al servizio della truppa la sua sregolatezza ed il suo estro che in più di una occasione ci han fatto molto comodo.
L’inchino in questione sintetizza un po’ la rivincita: nei confronti di quegli USA che lo avevano abbandonato dopo averlo sedotto (ed ai quali aveva dimostrato di poter competere a quei livelli) ed anche in patria verso tutti coloro i quali sostenevano e sbandieravano ai quattro venti come l’oro europeo fosse arrivato proprio grazie all’assenza di Gianmarco, che invece si sarebbe di lì a poco dimostrato pedina fondamentale per la vittoria di un argento epico ad Atene.
Certo poi sono convinto che se glielo chiediate ancora oggi, pur volendo a lui ed a sua moglie Giovanna un bene sincero e profondo, alla domanda: “Ma perché Charlie in finale poi non ti ha più rimesso?” risponderebbe: “Ma che cazzo ne so! Non me lo spiego!”.

 

“Il saluto commosso” – Il Giocatore

Air Avellino - Capo D'Orlando Play Off Basket Serie A TIM 2007 2008

 

A Udine come a Livorno, a Varese come a Bologna, all’estero (Saragozza e Mosca) ed infine anche a Capo d’Orlando il Poz é sempre stato coerente: un personaggio potenzialmente sopra le righe, che ha contribuito a far innamorare in tanti della pallacanestro.
Una carriera che gli ha portato delle soddisfazioni (avrebbero potuto essere di più, ma anche di meno), rapporti con gli allenatori non sempre idilliaci (per usare un eufemismo) ma tanto tanto seguito dagli appassionati, che hanno visto in lui la versione nostrana della favola di Iverson: il piccoletto che ce l’ha fatta, e che l’ha fatta in barba ai giganti. Non mi dilungherò molto sulla sezione relativa al giocatore (molto più semplice cercare un mix-tape su Youtube ed investire due minuti -ben spesi- nel riguardare le sue gesta), anche perché il punto non é quello di fare una cronaca wikipedistica della sua carriera, ma l’inserimento di uno spazio dedicato era d’obbligo, e forniva anche l’occasione per includere questa foto piuttosto emblematica: “Grazie per avermi sopportato. Grazie a tutti.” recita il suo smanicato. Sotto sotto sia lui che noi pero’ sapevamo come lontano dai parquet non avremmo potuto vederlo a lungo…

 

“I comandamenti” – L’ Allenatore

comandamenti
Nell’ormai lontano 2004, il nostro si esprimeva così riguardo la possibilità, un giorno, di sedersi su una panchina in maniche di camicia e giacca di rappresentanza:

«[…] Dopo vorrei allenare. Questo basket appiattito sul gruppo non mi piace» «Mi piacerebbe ma ho dei seri dubbi sulla possibilità di riuscirci. Per essere un buon tecnico, occorre essere anche un po’ figli di mignotta. Bisogna prendere scelte immorali come tenere in panchina un giocatore simpatico e far giocare uno buono che ti sta sulle scatole. L’ideale sarebbe allenare la squadra di quelli messi fuori rosa».

Alla domanda su quale pallacanestro avrebbe giocato una sua ipotetica squadra, ecco la risposta: «Quella di oggi non mi piace. Mi sembra vada verso il comunismo: c’è solo un modo di giocare, una sola idea e tutti si sono appiattiti. Comandano i tecnici dicendo che vince lo spirito di squadra, l’applicazione delle regole, i singoli non possono dire niente. E non puoi non vincere.» […]

twit

Ora, ci sarebbe da chiedergli cosa ne pensi a distanza di 10 anni, fatto sta che il salto il Poz l’ha fatto eccome: proprio in quella Capo d’Orlando, in cui aveva concluso la sua carriera da cestista e che lo aveva adottato come un vero figlio, si era seduto per la prima volta sulla panchina in una veste differente, potendo apprezzare in prima persona cosa volesse dire trovarsi dall’altra parte della barricata. Tante cose devono essergli passate per la testa, e probabile (come ha anche accennato un paio di volte) che abbia visto sotto un’altra luce anche i propri di allenatori, quelli con cui avesse avuto a che fare nel corso della sua carriera da giocatore.
La foto che apre la sezione, divenuta di dominio pubblico sia in Sicilia che poi quest’anno in quel di Varese, raffigura i ‘comandamenti’ che Gianmarco ha scelto per i suoi ragazzi e relativi spogliatoi.

Se avete letto l’articolo fin qui, nulla da meravigliarsi direi. Incluso il fatto che, anche nel caso in cui non aveste seguito da vicino le recenti vicissitudini del nostro da head coach (difficile comunque visto il risalto mediatico riservatogli dal season opener a questa parte), potreste comunque immaginare come le partite le senta davvero tantissimo e quale possa essere il suo modo di affrontarle ed il relativo trasporto emotivo.

Come conseguenza di quest’ultimo, abbiamo visto comportamenti sopra le righe: alcuni accettabili (l’esultanza all’esordio con Cantù), altri invece decisamente esagerati (la Hulk rage nel derby con Milano)…

Sottolineando come le ‘fazioni a prescindere’ siano a mio modo di vedere quanto di più sterile vi possa essere, l’esortazione é quella di prendere il Poz per quello che é: l’unica ed inimitabile Mosca Atomica.

Se ancora non vi é chiaro cosa ciò voglia dire, vi lascio per concludere con un’altra chicca dei tempi che furono (sempre risalente all’estate 2001):

 

“Hey Poz, meglio una notte da NBA o una vita da Enzo Paolo Turchi (marito di Carmen Russo, n.d.r.)”?
“E’ dura! Carmen Russo numero 1, NBA numero 2, Turchi numero 3”.

 

Proprio come mi sono ritrovato a pensare ed a dirmi tra me e me la prima volta che ci abbia interagito (quella che vi ho raccontato all’inizio):

“Signori e signore, il Poz”.

P.S.: Poz, se mi leggi, mi devi una sopramaglia (posso fornire le prove)

pozzecco

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Valerio D'Angelo

Ingegnere romano malato di palla a spicchi. Lavoro a WhatsApp (ex-Google, ex-Snap, ex-Facebook) e vivo a Dublino, in una nazione senza basket, dal 2011. Per rimediare ho scritto il libro "Basket: I Feel This Game", prefazione del Baso. Ho giocato a calcetto con Pippen e Poz, ho segnato su assist di Manu Ginobili, ho parlato in italiano con Kobe in diretta in una radio americana e mi e' stato chiesto un autografo a Madrid pensando fossi Sergio Rodriguez.

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