DENVER NUGGETS

di Davide Romeo

Lo scorso campionato ha avuto un finale amarissimo per tutti i fans della franchigia del Colorado. In una corsa ai playoff estremamente serrata, si sono ritrovati a giocarsi l’ultimo posto in griglia con i Timberwolves all’ultima partita della regular season. Il più classico dei “losers go home”, che ha visto purtroppo sconfitti proprio i Nuggets. Ma la crescita della squadra nelle ultime stagioni è stata evidente, e trattandosi del gruppo più giovane della lega è legittimo nutrire un certo hype per la prossima stagione.
I grandi punti di forza di Denver, oltre all’upside di molti elementi a roster, sono la capacità offensiva e la profondità della second unit. Per coach Mike Malone, già fautore di un ottimo lavoro nello sviluppo dei propri giocatori, l’obiettivo è rendere la squadra più solida in difesa e più concreta in termini di rendimento.

Nikola Jokic ha guidato la squadra per punti realizzati e rimbalzi, e si è confermato il centro più versatile della lega. Deve ancora migliorare le sue abilità difensive, ma questo potrebbe essere senza problemi il suo primo anno da All Star. A fargli da riserva Mason Plumlee, che può fornire fisicità e si qualifica come uno dei migliori rollanti della lega. Thomas Welsh potrebbe ricevere qualche call-up dalla G-League in caso di infortuni, è un ottimo rimbalzista.

Jamal Murray ha avuto un progresso incredibile nella sua prima stagione giocata interamente da titolare, dimostrando di saper orchestrare al meglio la squadra e di essere affidabile quando i palloni iniziano ad essere pesanti. Isaiah Thomas si è aggregato al gruppo in estate e ha ritrovato il suo vecchio coach, ma rimane un’incognita se riuscirà anche a ritrovare la forma di un tempo: gli infortuni all’anca non gli danno tregua.

Monte Morris è riuscito a strappare un contratto dopo una buona Summer League e se la giocherà con Donald Sloan per riempire il quindicesimo slot del roster.

Gary Harris ha disputato una stagione di livello altissimo, ritagliandosi a pieno titolo uno spot tra le migliori 10-15 guardie della lega: col suo tiro da tre, i suoi movimenti off-ball e la sua intensità in difesa, è un elemento fondamentale per le sorti dei Nuggets. Malik Beasley era dato in uscita poco tempo fa, ma ha lavorato molto bene in estate e potrebbe finalmente iniziare a vedere il campo un po’ di più.

Il versatile Will Barton ha confermato di non essere una One-Year-Wonder e si è guadagnato rinnovo e posto in quintetto. Will the Thrill, così chiamato per la sua freddezza nei finali di gara,  può ricoprire tre ruoli e rendersi utile sia con lo scoring che con il playmaking. Il 27enne Torrey Craig è stato uno delle rivelazioni della scorsa stagione, riuscendo a conquistarsi un posto in rotazione partendo come un semplice elemento del roster della Summer League: si è rivelato un 3&D di tutto rispetto. Junacho Hernangomez e Micheal Porter Jr. sono due giovani di grande potenziale che potrebbero rivelarsi dei crack. Ma se lo spagnolo probabilmente vedrà il campo in questa stagione, altrettanto non si può ancora dire per il rookie, che sta cercando di recuperare al 100% da un infortunio alla schiena.

Paul Millsap, dopo più di 40 gare di assenza per un infortunio al polso, è ansioso di iniziare la stagione e avere l’impatto che ci si aspetta da un giocatore del suo calibro: dovrà essere l’ancora della difesa dei Nuggets. Trey Lyles partirà dalla panca ma è un eccellente attaccante, e se continua sulla strada imboccata nello scorso campionato potrebbe giocarsela come Sesto Uomo dell’Anno. Completano il roster Tyler Lydon e Jared Vanderbilt, due prospetti interessanti che stanno recuperando da infortuni e che vedranno tanta G-League prima di essere pronti ad avere un impatto sul main roster.

I Nuggets sono una chiara contender per i playoffs, e sulla carta hanno tutti i mezzi per accedervi. Dovranno preservare la salute dei giocatori più importanti – in questo sarà d’aiuto il loro roster profondissimo – e fare grandi passi avanti in difesa, ma in postseason potrebbero dire la loro.

 

 

 

MINNESOTA TIMBERWOLVES

di Andrea Cassini

Jimmy Butler, Taj Gibson, Derrick Rose, Luol Deng. Forti questi Chicago Bulls edizione 2011, peccato che manchi Joakim Noah – l’ultima volta l’abbiamo lasciato in viaggio per la foresta pluviale con la barba ossigenata. Coach Tom Thibodeau, si sa, è un nostalgico e da quando ha preso in mano i Minnesota Timberwolves ha fatto carte false per mettere sotto contratto i propri pupilli.

Il problema è che questo ritorno al passato stride con la necessità di far crescere coi giusti spazi il talento cristallino di Karl-Anthony Towns e quello un po’ più controverso di Andrew Wiggins. I successi sono arrivati, perché si può star certi che una squadra allenata da Thibodeau sfoggerà un gioco ragionato, seppur soporifero, e orientato al risultato, ma non si può proclamare missione compiuta dopo un ottavo posto a ovest strappato ai Nuggets con le unghie e con i denti. Nonostante due giovani stelle i T’Wolves non corrono (ventiquattresimi per pace e ultimi per tiri da tre tentati, in netta controtendenza col resto della lega). Basti un dato per comprendere le proporzioni del problema: Towns viaggia su percentuali vicine al club 55-40-90, ma è appena il quinto giocatore della propria squadra per usage.

A quanto pare Jimmy Butler si è accorto del puzzo di bruciato prima del suo stesso coach, se non vogliamo prestare fede alle voci che lo vogliono in rotta proprio con Towns per faccende di donne, e ha chiesto la trade. Il giudizio sulla nuova stagione di Minnesota resta in sospeso, per ovvi motivi, finché non sapremo come si risolverà lo stallo. Passare dei mesi da separati in casa sarebbe sconveniente per entrambe le parti in causa, ma non sembra che la dirigenza delle Twin Cities sia disposta a cedere Butler a prezzi da discount. Tra i corteggiatori più insistenti c’è Miami, che sarebbe destinazione gradita al giocatore, con New York che aspetta alla finestra e il tentacolare Daryl Morey di Houston che cerca di piazzare il colpo.

Al di là di questa nota amara, che non sorprende se consideriamo i malumori già esplicitati nel corso della scorsa stagione, si segnala un certo immobilismo nell’estate dei Wolves, che certo ha contribuito a consolidare i sospetti di Butler. Dietro un Jeff Teague senza infamia e senza lode scalpita Tyus Jones, point guard cresciuta a Duke che ha conquistato tifosi e analisti per le capacità di lettura mostrate sul parquet, ma che deve ancora vincere la diffidenza del tradizionalista Thibs. La prossima annata sarà quella del make or break per Andrew Wiggins, le cui statistiche hanno risentito in maniera negativa della gravità di Butler – un cattivo segnale, ma anche un indizio su quanto i due si pestassero i piedi con un ruolo simile sul parquet. Il prodotto di Kansas è chiamato a migliorare le percentuali al tiro e maturare nelle scelte offensive. Su Towns invece il dato è già stato tratto, senza lasciarsi spaventare dalle critiche piovute sul dominicano dopo la serie playoff coi Rockets che lo colse impreparato, poco incisivo sotto canestro. Poche ore dopo l’annuncio della rottura con Jimmy Butler, mette la firma su un’estensione contrattuale da 190 milioni per cinque anni: se tra i due c’erano attriti, adesso dev’essersi aperta una vera spaccatura. I Timberwolves hanno deciso da che parte stare; è ancora oscuro se e per quanto tempo Tom Thibodeau continuerà a chiamare casa il Minnesota.

 

 

 

OKLAHOMA CITY THUNDER

di Marco Munno

Addition by subtraction. Questo sembra essere stato il mantra estivo nella costruzione della squadra per quanto riguarda i Thunder, dopo la grandeur agognata successivamente alla massiccia campagna di rafforzamento della scorsa stagione ma i risultati non all’altezza delle aspettative. Dopo la conferma, non scontata e quindi ancor più di valore, di Paul George, l’archetipo più simile a Kevin Durant passato di fianco a Westbrook dalla dipartita del 35, il nodo principale della offseason di OKC è stato rappresentato da Carmelo Anthony.
Nello specifico, però, il bisogno del gm Presti era quello di liberarsene, visto il peso sul monte salari e la constatazione, maturata durante i playoff, di come il miglior quartetto visto in campo risultasse quello composto da Westbrook, George, Adams e Grant (+34.9 di differenziale di punti, rispetto a quello di -15.1 registrato con Melo di fianco ai primi tre).

Photo by David Sherman/NBAE via Getty Images

Nel quintetto, il ruolo di guardia titolare (una volta risolti i problemi fisici) sarà appannaggio di Andre Roberson: fra i migliori difensori dell’intera lega fra gli esterni, con il suo infortunio i Thunder la scorsa stagione hanno vissuto un tracollo nella loro metà campo (106.5 di defensive rating prima, 110.1 dopo), mentre il suo contributo offensivo resta comunque molto limitato viste le difficoltà al tiro.

Un apporto nella metà campo d’attacco si attende invece dal tedesco Dennis Schröder, il migliore fra i nuovi arrivati in estate: potrebbe anche ritrovarsi in campo nei finali di partita sebbene, viste le caratteristiche tecniche simili a quelle di Westbrook, pare un ottimo profilo per guidare la second unit, nello stesso ruolo in cui si impose ad Atlanta.

Avrà quindi un ruolo più limitato Raymond Felton, playmaker dall’esperienza proporzionale al tonnellaggio; insieme a lui fra gli esterni percorrerà più spesso il tragitto da panchina al campo Alex Abrines, tiratore dal 38% da 3 punti nella scorsa stagione, con il nuovo arrivo Timothe Luwawu-Cabarrot a contendere spazio al sophomore Terrance Ferguson.

Ballottaggio aperto nella posizione di ala forte fra il perimetrale Patrick Patterson e Jerami Grant, reduce da un buon playoff disputato grazie ad atletismo e lunghe leve; mentre a cambiare l’intoccabile Steven Adams, eccentrico neozelandese protettore d’impatto del canestro e bloccante granitico nell’ormai consolidato pick’n’roll con Westbrook, ci sarà il verticale Nerlens Noel, ex sesta scelta assoluta di soli cinque anni fa in cerca di rilancio, arrivato con un contratto biennale al minimo salariale dal rischio minimo e possibile grande rendita.

Da Paul George ci si attende la versione vista nella regular season, quella in cui ha registrato ad esempio il miglior offensive rating della carriera e non quella sfoggiata nei playoffs (chiusi simbolicamente con 5 punti e 2/16 al tiro nell’ultima giocata), per fare la differenza in una franchigia che arriverà comunque dove la porterà il suo leader Russell Westbrook, strabordante in tanti aspetti che lo contraddistinguono: i mezzi fisici, le cifre messe a segno (le due stagioni di fila in tripla doppia di media restano un primato difficilmente avvicinabile), l’intensità, la personalità e anche le scelte nell’abbigliamento.

Nuova stagione, stesso gusto stilistico

I Thunder si presentano quindi ai nastri di partenza con un roster dalle molte alternative; in una Western Conference ricca di talento, che alle squadre di livello dello scorso anno ha aggiunto la presenza di LeBron James, starà a coach Billy Donovan trovare una quadra per capitalizzarne al massimo le potenzialità.


 

 

 

 

PORTLAND TRAIL BLAZERS

di Davide Romeo

Al termine della scorsa regular season i Blazers erano sulla carta la terza miglior squadra ad Ovest, dietro agli inarrivabili Warriors e Rockets. Forse anche il ruolo di favoriti del pronostico, inusuale per una squadra storicamente underdog come Portland, ha avuto un ruolo nell’approccio alla serie di primo turno contro New Orleans, terminata con uno sweep senza mezzi termini per la squadra dell’Oregon. Un’occasione persa, sicuramente, ma anche uno stimolo: ci sarà sicuramente la voglia di recuperare quell’occasione perduta, e arrivare più in fondo possibile in postseason.

Damian Lillard, fresco di nomina nel primo quintetto All-NBA, è il franchise player e la prima opzione offensiva della squadra. Non potrebbe essere altrimenti, essendo uno dei migliori playmaker della lega e avendo compiuto notevoli progressi anche sull’aspetto difensivo del suo gioco.

Assieme al collega di reparto CJ McCollum, straordinario tiratore e finalizzatore a tutto tondo, forma un backcourt dallo straordinario potenziale realizzativo. Seth Curry e Nik Stauskas, arrivati durante l’ultima sessione di mercato, avranno il compito di sopperire alla necessità di bocche di fuoco dall’arco quando uno dei due titolari non sarà in campo.

I rookie Gary Trent Jr. e Afernee Simons hanno ben figurato negli incontri prestagionali e potrebbero salire nelle rotazioni in caso di infortuni o prestazioni non soddisfacenti degli altri comprimari. Moe Harkless non è riuscito a confermare quanto di buono aveva fatto due stagioni fa, registrando qualche passo indietro a livello di qualità e costanza di rendimento, e potrebbe perdere il posto in quintetto a favore del veterano Evan Turner. Entrambi però sono al momento infortunati, lasciando spazio per Jake Layman per le prime partite della stagione.

Al-Farouq Aminu è pronto all’ennesima stagione di prestazioni solide in entrambi i lati del campo, e attenzione ai suoi picchi realizzativi durante i playoff. A fargli da riserva come power forward sarà il giovane Caleb Swanigan, che ha fatto bene in Summer League: per lui ci sarà poca concorrenza e tante occasioni per farsi notare.

Jusuf Nurkic è riuscito nella missione di restare sano per quasi tutte le gare della scorsa stagione e si è confermato come un buon rim protector e un efficiente finalizzatore- seppur povero tecnicamente – sotto le plance avversarie. Difficile aspettarsi di più da lui, che è comunque esattamente ciò di cui Portland ha bisogno in quella posizione. Il sophomore Collins sarà la sua prima riserva e può già fornire un affidabile contributo difensivo, ma desta qualche dubbio la sua efficacia in attacco e il suo effettivo upside. Completa il reparto il veterano Meyers Leonard, in grado di aprire il campo col suo tiro da lontano.

 

 

UTAH JAZZ

di Matteo Soragna

La squadra più internazionale della NBA, nella scorsa stagione ha mostrato una bella pallacanestro e un gruppo di giocatori che stanno bene insieme. Quin Snyder è stato in grado di ridare fiducia a giocatori che sembravano averne persa, alzare il livello di altri e far esplodere un rookie rendendolo dopo un solo anno un riferimento.

Partiamo proprio da Mitchell che è riuscito da subito a prendersi il ruolo di primo terminale offensivo. Ha dimostrato di non avere paura di nulla, i suoi mezzi atletici sono fenomenali, e ha portato alla causa dei Jazz 20.5 pts. L’aspetto su cui dovrà lavorare è la selezione dei tiri, perché avere carta bianca può portare ad andare fuori giri da quel punto di vista, cosa che effettivamente è successa. Per la mole di palloni che tratta dovrà fare un passo in avanti quando le difese aiuteranno su di lui, e aumentare il numero di assist che ad oggi è leggermente basso. Ma è giovane e capibile.

Di fianco a lui Rubio e Ingles hanno giocato a un livello alto per buona parte della stagione. Il primo ha ritrovato in attacco quella fiducia che sembrava essersene andata soprattutto contro le difese schierate. Snyder ha giocato un ruolo fondamentale perché gli ha tolto un po’ la responsabilità di creare il vantaggio per gli altri e gli ha concesso di essere spesso quello che lo usa. Il risultato sono i 13.1 pts (massimo in carriera), il 35% da tre con 3.5 tiri a partita (entrambi massimo in carriera) e 5.3 assist (minimo in carriera) scollinando qualche volta i 30 pts.

Ingles è un giocatore chiave nel sistema di Snyder perché gioca una marea di PnR e la sua abilità di passatore, unita ad una grande conoscenza della pallacanestro, gli consentono (pur con doti atletiche sotto la media) di creare vantaggi e tiri per i compagni.

Ogni anno il coach sottolinea come Gobert sia al centro (letterale e figurato) del progetto difensivo di Utah e i numeri lo sostengono. La speranza di Utah è che stia bene fisicamente perché ogni volta che ha saltato lunghi periodi, la squadra ne ha subito sensibilmente le conseguenze.

Da dietro Favors porterà come al solito punti in doppia cifra e rimbalzi anche se il suo impatto difensivo marca ancora di più la differenza.

Da Duke è arrivato Grayson Allen che potrebbe portare da subito qualcosa alla squadra perchè ha tecnica e carattere per non subire troppo il cambio di livello. Il carattere però potrebbe anche portarlo ad avere problemi con almeno tre quarti degli avversari, cosa che ha già fatto vedere alla summer league.

Jae Crowder dopo essersi tolto di dosso la ruggine per il periodo veramente poco felice ai Cavs, è ritornato ad essere il giocatore solido degli anni di Boston anche se le percentuali dal campo non lo hanno aiutato molto.

I Jazz hanno avuto il secondo miglior defensive rating alle spalle dei Celtics (un decimo di punto) in regular season, ma dal ritorno di Gobert sono stati largamente i migliori (terzi durante i playoff). Sono stati gli unici a tenere gli avversari sotto i 100 punti di media, dato viziato dal ritmo tenuto in attacco ma che come percezione ha un suo valore; sono organizzati sia in attacco che in difesa con un gruppo che sembra comunicare sulle stesse frequenze.

Offensivamente non sono dello stesso livello e il rischio di dipendere troppo da Mitchell, pur avendo un sistema che coinvolge tutti, è comunque alto visto che a giochi rotti il talento in 1vs1 non è diffusissimo.

Quest’anno li aspetteranno tutti.

 

 

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