Volo Orio al Serio-Norimberga mercoledì mattina alle 10.40, ritorno due giorni dopo alle 12.20 sulla tratta inversa. Nelle 48 ore in mezzo parecchia birra, moltissimo gluhwein ma soprattutto una full immersion nel meglio del basket tedesco, una delle frontiere più frizzanti del panorama europeo. Siamo andati prima a Monaco di Baviera per Bayern-Malaga di Eurocup e poi a Bamberg per Brose-Cska. Marco Pagliariccio, Mario Castelli e Ivan Belletti vi raccontano cos’hanno visto/sentito/percepito/imparato/bevuto in questa due giorni teutonica. Enjoy!

 

LE PARTITE: BAYERN-MALAGA E BAMBERG-CSKA

Di Marco Pagliariccio

Atterrati a Norimberga all’ora di pranzo, ci spostiamo subito in treno verso Monaco (un’oretta e mezza di regionale e passa la paura). Abbandoniamo le valigie, girettino in centro e poi via verso l’Audi Dome, dove in serata va in scena una partita tra due delle più ambiziose formazioni dell’Eurocup 2016/2017: Bayern-Unicaja Malaga. In realtà, però, la partita in sé non conta granché per le due squadre, dato che, complice la formula di quest’anno (passano 16 squadre su 20), sono entrambe già qualificate per le Top 16 con tre turni di anticipo. In ogni caso, piazzarsi il più in alto possibile nel girone dovrebbe (teoricamente) dare migliori accoppiamenti nella seconda fase e allora Bayern e Malaga se la giocano senza esclusioni di colpi. La partita, in verità, non è delle più divertenti in avvio, dopo un pomeriggio con molto gluhwein per le vie del centro ci tiene svegli soltanto l’incessante ritmo dei cartoncini fatti martellare dai 6000 abbondanti del palas bavarese.

La scossa la danno gli ingressi di Nick Johnson da una parte e Jamar Smith dall’altra. Se però il secondo lo conosciamo abbastanza bene, avendo girato un bel po’ dalle nostre parti, il primo è sbarcato in Europa un mesetto fa dopo un paio d’anni tra Rockets e D-League, ma ha fatto subito vedere di non aver tanto bisogno di ambientamento. Magari è più guardia che play e con Alex Renfroe volato proprio pochi giorni fa a Barcellona gli toccherà spesso portare palla, ma di certo è un giocatore “elettrico”, che si integra alla perfezione con il più compassato Anton Gavel. E alla faccia che nel fine settimana l’avevano spedito in ospedale per un bruttissimo attacco influenzale: la tripla in step-back che riporta sotto il Bayern a un paio di minuti dalla sirena e il canestro nel traffico per il sorpasso con 28” da giocare sono roba da giocatore di primissimo livello da questa parte dell’Atlantico. Ah, la carta d’identità dice anni 24.

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Robert Lewandowski e Javi Martinez approvano

Quel che la partita mi lascia, però, è un pensiero più generale, ovvero: quanto incide lo stare dentro o fuori l’Eurolega nel processo di crescita di una società/squadra. Bayern ed Unicaja sono state tra le squadre “retrocesse” in Eurocup a causa del restringimento al piano superiore e, soprattutto per i bavaresi, è uno stop nel processo impetuoso che li ha visti risalire dalle minors nel giro degli ultimi 6-7 anni. E’ vero che Sale Djordjevic è garanzia di bel basket e che il roster di quest’anno è competitivo per contendere la Bundesliga al Brose, ma manca ancora un passo per avere una squadra che possa davvero ambire a diventare quello che il Bayern rappresenta anche nel calcio.

Per Bamberg il discorso è leggermente diverso. Il Brose è ormai da un decennio stabilmente la forza di riferimento del basket tedesco (negli ultimi 12 anni, 8 Meisterschale, 4 Coppe di Germania e 5 Champions Cup) ma cerca ogni anno di fare mezzo passo in avanti anche a livello tecnico nella scalata ai vertici europei.

Tutt’ora, però, le differenze con i campioni d’Europa del Cska sono abissali, a partire dal budget e scorrendo prima la classifica (Cska primo con una sola sconfitta, Bamberg ultimo con due sole vittorie) e poi il roster dei moscoviti, che pure alla Brose Arena arrivano senza De Colo e Freeland. E infatti tutto sembra andare come da previsione nella prima metà abbondante di gara: il Cska parte piano, lasciando che un Melli meraviglioso metta in ritmo un Bamberg che però ha zero da Darius Miller, ma pian piano si distende con una progressione della quale neanche ti accorgi. Senza strafare, senza strappi, i russi sono a +19 a metà terzo quarto.

“Ivan, andiamo a farci una birra, vah”.

Ma di tempo per la birra non ne abbiamo mica tanto, perché il Cska la dà per vinta un po’ troppo presto e il Brose torna sotto e se la gioca alla pari fino alla fine. L’assenza di De Colo la si vede in quanto il gioco di Itoudis vada tutto verso Teodosic, che nelle ultime tre partite di Eurolega (quelle in cui è mancato il francese) non è mai sceso sotto i 16 tiri tentati (prima mai sopra i 15) e i 25 punti realizzati (prima mai sopra i 20). È come se Milos avesse giocato con la terza fino ad ora e, ora che c’è necessità, abbiamo messo la quarta. Dando l’impressione di averne ancora un paio da usare di marce… Negli ultimi due minuti del match, il Cska ha sempre e solo usato questa situazione di gioco: pick’n’roll centrale Higgins-Augustine, il pivot rolla dentro e blocca verticale per Teodosic, che sale in punta ed attacca il cambio difensivo che porta il lungo del Brose su di lui. Un mismatch potenzialmente devastante, che Trinchieri prova ad arginare chiedendo al piccolo di turno (Miller, Causeur o Zisis) di inseguire sul blocco per il serbo. Con alterne fortune:

[L’urlaccio finale di Itoudis era per la difesa di cui parliamo qui sotto]

Dall’altra parte, però, il Cska non è sempre reattivo in difesa sui blocchi sulla palla e apre voragini nelle quale Melli e Thies banchettano. E così si arriva in parità fino all’ultima azione, che gestiscono i moscoviti con 1,7” da giocare. La nostra visuale (prima fila della curva opposta a quella del tifo locale), seppur lontana dall’azione, è perfetta per notare i movimenti della difesa bavarese, non proprio impeccabile sulla rimessa sotto canestro dell’Armata Rossa dopo la stoppatona di Theis sulla penetrazione di Milos dell’azione precedente.

[Se mi schianto contro un blocco di Hines mi raccolgono col cucchiaino]

Itoudis non ha timeout per disegnare l’ultima rimessa e con 1,7” si può solo creare una soluzione di catch and shoot. Il maestro della situazione è Vitaly Fridzon, tra i più letali in Europa nell’uscire dai blocchi e rilasciare con velocità, pulizia e mira impeccabili. E allora Teodosic si occupa della rimessa per avere il miglior passatore della squadra (D’Europa? Del mondo? Dell’universo?) a mettere la miglior palla possibile in campo. Higgins si apre sul lato forte per allargare il campo e lasciare lo spazio alla prima soluzione, il blocco diagonale di Fridzon per Vorontsevich sul quale Causeur e Melli cambiano. L’azzurro, poco dopo, commette però probabilmente l’unico errore della sua partita: perde di vista per una frazione di secondo il cecchino russo, che ha così lo spazio per girare intorno il blocco sulle tacche del lato debole di Hines mentre Nicolò finisce proprio per schiantarsi sulla muraglia rossoblu. Lo stesso errore, però, lo fa anche Theis, che dà le spalle al lungo americano e quando si rende conto del blocco cieco che sta arrivano è ormai irrimediabilmente fuori tempo. Manca evidentemente una comunicazione tra i due lunghi del Brose e quando si rendono conto del patatrac Fridzon ha già ricevuto in angolo dai 5-6 metri con il difensore più vicino lontano due. A quel punto è solo questione di freddezza, che al buon Vitaly non manca di certo.

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È l’ennesima beffa europea sulla sirena per il Brose (sei delle otto sconfitte totali sono arrivate con meno di 4 punti di margine), ma il pubblico saluta con applausi scroscianti l’ennesima buona prestazione della propria squadra. Ci spostiamo nell’area hospitality, dove tra un piatto di spezzatino ed una birrettina sul maxischermo vengono proiettate le conferenze stampa post partita di Itoudis e Trinchieri, che il centinaio di presenti (menzione “d’onore” per Jakub Kudlacek: l’ex Reggio Emilia, ritiratosi dopo tre operazioni all’anca, ci ha raccontato che ora è scout dei Clippers e lavora con la Federazione della Repubblica Ceca) segue con attenzione. Domande dei giornalisti: 0 per il coach dei russi, una (sugli arbitri) per il “nostro”. Avranno avuto paura che spazzolassimo tutto il buffet.

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UN’ORA DI VOLO, UNA GALASSIA DI DISTANZA

Di Mario Castelli

La distanza di volo che separa l’Italia dalla Germania (nella fattispecie del nostro viaggio, Bergamo da Norimberga) è di un’oretta scarsa, forse anche qualche minuto in meno. Ma la distanza che separa ciò che abbiamo trovato nelle arene di Monaco e Bamberg da ciò a cui siamo abituati nei palazzetti italiani è decisamente più vasta e pare anche piuttosto difficile da essere colmata nel breve periodo.

La Rudy Sedlmayer Halle di Monaco, ribattezzata per ragioni di sponsorizzazione col più moderno nome di Audi Dome, non è particolarmente innovativa come ti aspetteresti da una squadra che arriva da un decennio di grande ascesa ed è ormai di fatto la seconda potenza di uno dei campionati che più si stanno evolvendo in Europa per quanto riguarda l’offerta off the court al proprio tifoso-spettatore-cliente. Infatti la struttura risale al 1972, quando Monaco di Baviera ospitò le Olimpiadi estive: qui si giocò una delle partite più famose nella storia del Gioco, la finale tra Unione Sovietica e USA che segnò la prima sconfitta Olimpica di sempre degli americani, con l’ultima azione che venne fatta rigiocare tre volte ai sovietici e al terzo tentativo consegnò l’oro all’URSS grazie al canestro sulla sirena di Belov per il definitivo 51-50, in mezzo a furenti polemiche.

pala

Ovviamente da allora ha subito un marcato restyling, più precisamente nel 2011 quando il Bayern per l’appunto si è spostato a giocare in questo palazzetto che per forma e capienza ricorda vagamente il PalaDesio, casa di Cantù in questa stagione. Del 1972, soprattutto all’interno, è rimasto poco: ogni pochi metri, nel corridoio circolare che gira attorno agli accessi dei vari settori dell’arena, c’è o un punto dove acquistare merchandising della squadra, tra materiale di quest’anno o altro in sconto delle passate stagioni (Paglia non ha saputo resistere davanti alla canotta di John Bryant…), oppure diversi stand gastronomici in cui soddisfare le proprie voglie, tra hamburger, hot dog, patatine fritte, birre di vario genere e tante altre cose. Le cose che colpiscono in particolare sono due: la quantità di stand presenti, che permettono quindi di soddisfare tutti i tifosi senza la necessità di fare code infinite come avviene magari in alcuni palazzetti alle nostre latitudini, e il fatto che non vengano accettati contanti. Infatti per pagare bisogna utilizzare una sorta di tessera ricaricabile del Bayern Monaco, acquistabile al momento per 10 euro nel caso una persona non la possieda, che può essere ricaricata ad una delle numerose macchinette simil-bancomat presenti.

Nonostante Bayern-Malaga, la partita cui assistiamo, non abbia grandi motivazioni agonistiche, l’Audi Dome è praticamente tutto pieno a dimostrazione del fatto che i tifosi sono comunque invogliati ad andare a palazzo, e godersi un’esperienza, anche non nelle grandi occasioni. Il tifo è molto civile, senza le scene di isteria collettive verso arbitri o avversari che spesso avvelenano i nostri palazzetti. Tutti i tifosi danno un apporto all’atmosfera principalmente usando il battito ritmato delle mani o una sorta di cartoncino ripiegato che fa un discreto rumore, mentre rispetto alle nostre latitudini è molto meno “incisivo” il supporto vocale. Attorno alla partita, come è giusto che sia, viene affiancato un intrattenimento costante, dalle cheerleaders agli stacchettini musicali durante le pause o le palle morte, come in NBA. Il palazzo non è ultra-moderno e la cifra agonistica della partita non è delle più alte, ma l’impressione è che al tifoso tedesco faccia comunque piacere venire a palazzo, in una struttura resa il più confortevole possibile, a vedere la propria squadra del cuore, farsi un hamburger e due birre con gli amici e godersi tre ore di relax ed intrattenimento, in un’atmosfera molto rilassata e familiare, senza inutili tensioni e nervosismi, piena di bambini, famiglie o gruppi di ragazzine.

L’esperienza alla Brose Arena di Bamberg la sera successiva è ancora più istruttiva da questo punto di vista. Il palazzetto di Bamberg è decisamente più “giovane” rispetto a quello del Bayern (è stato inaugurato nel 2001 e poi riammodernato nel 2006, con ampiamento di capienza fino agli attuali 6800 posti, e nel 2013) ed è un piccolo gioiello. E’ collegato dal centro con navette gratuite, conta fino a 1300 posti auto di parcheggio al prezzo di 3€ al giorno e ha al suo interno un centro commerciale, con tanto di supermarket e ristoranti, che fa vivere l’arena anche al di fuori degli oltre 150 eventi ospitati ogni anno, tra partite di basket, pallavolo, altri sport, concerti, conferenze e altro ancora. La Brose Arena fin dall’ingresso è moderna, luminosa, pulita, spaziosa. Esistono dei guardaroba in cui tutti i tifosi possono andare, appendere la propria giacca per poi tornare a prendersela a fine partita, ritrovando sempre tutto al proprio posto.

Grazie alla gentilezza e alla disponibilità di Federico Perego, assistant coach di Trinchieri, e Thorsten Vogt, responsabile dei media e della comunicazione, riceviamo il braccialetto che garantisce l’accesso all’hospitality lounge.

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Questa grande sala che apre un’ora e mezzo prima della partita e rimane a disposizione dei tifosi fino a un paio d’ore dopo la fine del match, dà l’opportunità di mangiare e bere a volontà, attingendo da un vario buffet di cibo dolce e salato e potendo sfruttare frigo pieni di bibite fresche o un bancone con diverse varietà di birra. A questo servizio possono accedere non solo gli sponsor oppure gli ospiti del club, dei giocatori e dei membri dello staff, ma anche tutti i tifosi che abbiano voglia di trascorrere il pre e/o il post-partita mangiando e bevendo direttamente al palazzetto, acquistando per 25 euro la possibilità di sfruttare i servizi offerti da questa lounge per tutto il periodo della sua apertura. A lato sono presenti anche un’altra premium lounge più piccola e raccolta, con tanto di menù alla carta, e dei business box per piccoli gruppi con un trattamento riservato e vista direttamente sul campo. Spostandosi sul parquet, si entra in un ambiente di grande livello: come conformazione il palazzetto ricorda alla lontana un PalaSerradimigni un po’ più grosso, i seggiolini sono comodi, moderni e con tanto spazio davanti per le gambe (aspetto che in alcuni palazzetti italiani, senza fare nomi, mette in grande crisi chiunque sia più alto di 1.85), mentre lo spazio tra le tribune centrali e il campo è minore rispetto a quelle del giorno prima a Monaco, con il pubblico decisamente più a ridosso del parquet. Ovviamente tutti i settori sono esauriti, come accade sempre a “Freak City”, e l’atmosfera è logicamente più calda ed elettrica del giorno prima, visto che l’avversario di turno è il Cska Mosca.

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Pur in un contesto con molti più decibel, due cose in particolare ricorrono alla Brose Arena come all’Audi Dome: ancora una volta, rispetto agli standard italiani, il tifo è più “ritmato” che altro, con battiti di mani e soprattutto tamburi a farla da padrone più che le voci, mentre l’educazione e la civiltà del pubblico stupiscono ancora una volta chi proviene da una cultura sportiva più “malata” e meno sviluppata come quella del nostro paese. Viene presentato il Cska e non si sente mezzo fischio. Nel corso della partita nessun giocatore avversario viene mai insultato o neanche fischiato, qualche tiepido fischio viene riservato solo agli arbitri in due o tre circostanze che probabilmente, in un paese diverso come il nostro, avrebbero fatto partire una selva infinita di improperi. Mai una volta si vede qualche tifoso scattare istericamente verso la balaustra per insultare qualcuno, eppure il tifo è caldo dall’inizio fino alla fine, soprattutto durante la rimonta del Bamberg da -19 a +2, dimostrando che si può creare un ambiente caldo e trascinante pure comportandosi da persone intelligenti e senza per forza fare tifo contro. Alla fine del match nessuno scappa via dal palazzetto al suono della sirena, ma anzi tutti si fermano a tributare un lungo omaggio al Cska, vittorioso di 2 grazie al buzzer beater di Fridzon, ma soprattutto al Brose, sconfitto in volata per l’ennesima volta in stagione nonostante un’eccellente prova. Eppure il risultato viene messo in secondo piano dai tifosi, che non hanno fatto mancare l’apporto per neanche un secondo e che hanno riconosciuto nei loro giocatori lo stesso atteggiamento.

Dopo la partita ci spostiamo di nuovo nella hospitality, in attesa che arrivino Andrea Trinchieri e Federico Perego, e di nuovo la sala che può contenere quasi 600 persone è piena: tutti coloro che avevano diritto all’accesso stanno mangiando qualcosa o sorseggiando una birra mentre un maxischermo trasmette la conferenza stampa dei due allenatori. Tanti si consolano della sconfitta con un paio di birre o un piatto di salsicce o spezzatino, ma si nota che di certo la mentalità da “vita o morte” che contraddistingue la vittoria e la sconfitta alle nostre latitudini, qui è ancora lontana. Alla spicciolata arrivano anche i giocatori e gli allenatori, che abitualmente cenano proprio nell’hospitality in mezzo ai tifosi, senza che a questi passi per la testa l’idea di importunarli. L’atmosfera è quella di una grossa cena di famiglia, in un ambiente disteso e rilassato, dopo essersi goduti assieme una bella partita di basket, chi in campo, chi in panchina e chi in tribuna. La sensazione che lascia è particolarmente piacevole, e ci lascia lì a pensare che ad una squadra del genere, in un’arena del genere, con un ambiente del genere e un “prodotto” tout-court del genere, probabilmente pure noi se fossimo di Bamberg (ma anche di un’altra città tedesca, visto che, ci hanno spiegato, tutte le società di Bundesliga hanno la loro area hospitality al palazzo) lasceremmo giù volentieri fior di bigliettoni per un abbonamento che ci permetta con costanza di vivere un’esperienza cestistica e intrattenente del genere.

 

A TU PER TU COL TRINKA

Di Ivan Belletti

Non dovevo mangiare quel bombolone alla marmellata. Aveva già fatto “31” al buffet dell’hospitaliy, il “32” significa esplosione di stomaco.

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Li ho mangiati tutti io quelli che vedete

Riflettendo sulla mia inguaribile ingordigia, scorgo coach Trinchieri arrivare in sala. Il suo assistente, Federico Perego, ci racconterà in seguito che la pressione a Bamberg rasenta lo zero. Anche sul -43 nel derby contro il Bayern, al primo anno dell’esperienza tedesca della coppia, il tifoso medio era solo intento a consolare lo staff. “Andrà meglio la prossima”.

Cose mai viste, come i bicchieri di vetro in tribuna.

Il nervoso resta in tutti i modi: troppe partite perse all’ultimo secondo, questa poi fa ancora più male. Bamberg meritava la vittoria in rimonta, Trinchieri in conferenza stampa si rifiuta di parlare dell’arbitraggio, sottolineando l’unica cosa in comune tra loro e il Cska: l’appartenenza a questa Eurolega.  Vero, sotto il punto di vista di budget e talento diffuso, come gioco però nessuno si è accorto della differenza. Il coach si siede da solo, spalle alla “platea”, manca solamente il cartello “please don’t disturb”. Non viene avvicinato da nessuno infatti per i primi 10 minuti. Cultura sportiva. Sono le 23 passate, l’hospitality si svuota, rimangono solo lo staff e noi che cerchiamo di digerire. Un’amica in comune ha il coraggio di avvicinarsi a Trinchieri, aveva scommesso che sarebbe stata allontanata a male parole. Nulla di tutto ciò, il coach chiacchiera, e dopo qualche minuto Perego fa il cenno di raggiungerlo. Ho di fronte uno dei tre coach che ammiro maggiormente in Europa, più da un punto di vista di empatia che di mera pallacanestro.

lavagna

Il suo ho sempre pensato fosse un approccio culturale, filosofico, a scavare nelle persone che ha vicino per poi costruire la sua idea di gioco. Con lui Melli sta diventando un professore, credo non a caso. Due chiacchiere per rompere il ghiaccio, ci rimprovera di non avere assaggiato alcune specialità di Bamberg (noi, che con il glühwein pensavamo di aver toccato il cielo con un dito). Mi prende in giro per il colore improbabile che ho raggiunto tra caldo, un po’ di emozione e Jager digestivo.

Si crea un clima quasi paradossale, dove ci sentiamo a nostro agio. Chiacchiere, risate, e, come si dice a Bologna, “tiramento di culo” causato dalla sconfitta che pervade l’ambiente senza però né rovinarlo né condizionarlo.

Arriviamo al dunque, parliamo un po’ di pallacanestro, del sistema Bamberg. Il primo termine che mi viene in mente, ascoltando Trinchieri e avendo visto ciò che mi circonda, è “semplicità”: gli sponsor sono coccolati, il tifoso è al centro dello spettacolo offerto, il risultato è quasi una conseguenza. Il sistema Bamberg è vincente perché massimizza tempo e spazio a disposizione, cogliendo e sviluppando aspetti essenziali per il buon funzionamento di una società sportiva. Un esempio è l’attenzione al settore giovanile, dove l’investimento è molto forte (intorno al milione di euro annuo), a partire dal reclutamento in tutta Europa (Arnoldas Kulboka, lituano classe ’98. Visto coi miei occhi a Treviso, tanta roba). La squadra Under 19, oltre a giocare il campionato giovanile, disputa anche l’equivalente tedesca dell’A2. E’ il modo migliore per far crescere il proprio vivaio. Il coach ci racconta che tutto il programma tecnico è seguito da lui stesso: l’Under 19 fa preparazione di inizio anno con la prima squadra, gli schemi sono gli stessi, ci sono sempre almeno un paio di giovani agli allenamenti.

Capitolo Melli, che non si può non toccare, almeno per quanto riguarda l’aspetto umano, che in questo caso è preponderante, specie per quanto riguarda la scelta iniziale. La domanda che si pone il coach, che ci poniamo anche noi è: quanti giocatori sono disposti a farsi il proprio “zaino di cartone”, lasciare il proprio Paese per provare un’esperienza in un altro Paese, con un’altra cultura, un altro modo di vivere, senza conoscere praticamente nessuno? I risultati ci stanno dicendo che, chi ha scelto “l’esodo”, è migliorato anche caratterialmente oltre all’aspetto tecnico/ tattico.

Siamo rimasti solo noi, abbandoniamo la sala e scendiamo sul parquet per fare le ultime chiacchiere. La Brose Arena è quasi sempre occupata da eventi, più di 20 al mese. E’ di proprietà del Comune, anche se la società (che ha anche una struttura più piccola, dove si trovano gli uffici e la palestra di allenamento) ha investito forte nel suo rinnovamento.

“E’ cambiata così tanto l’Eurolega quest’anno?”.

Un gigantesco SI’. “Una volta si parlava di clubs’ league. Ora è diventata una players’ league”, spiega il coach. C’è sempre meno tempo di preparare la partita, siamo quasi a 0. Conta sempre di più l’attitudine e le capacità del singolo giocatore. Chi ha gente abituata, pronta, ha sicuramente più chances di vincere. Il Cska ne è un esempio lampante: squadra “alla Nba”, con giocatori abituati a certi palcoscenici e un budget da capogiro (curiosità: è l’unica squadra ad avere l’aereo privato). Continuiamo a parlare di preparazione per un anno che ormai ha ritmi Nba, dove non c’è tempo per “disperarsi” perché spesso le ore che separano da un’altra partita di Eurolega non sono nemmeno 48.

Coach, dico una cagata o è cambiato anche il riscaldamento prepartita? Mi sembra che la parte senza palla sia aumentata”.

Sì Ivan, hai detto una cagata”.

Ecco perché stimo Trinchieri come persona prima ancora come coach. Pochi fronzoli, disponibilità al dibattito, prima ti studia e poi capisce come comportarsi. Per come sono fatto io, la franchezza è il miglior premio.

Chiudiamo la Brose Arena praticamente, da veri barboni di lusso scrocchiamo il passaggio in albergo da Perego. Ancora due chiacchiere: Federico ha avuto un problema con il wi-fi in casa, dopo neanche mezza giornata era già stato segnalato il problema e avevano provveduto alla risoluzione. C’è un società dietro alla squadra che è in tutto e per tutto un’azienda, che consente alla parte tecnica di lavorare senza stress e con le spalle continuamente coperte.

Alle 2 di notte siamo in albergo, la testa è bombardata di mille informazioni, stimolata da un’esperienza che ci ha fatto capire quanto la determinazione e la serietà di un gruppo di persone può fare la differenza a livello europeo.

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Marco Pagliariccio

Di Sant'Elpidio a Mare (FM), giornalista col tiro dalla media più mortifero del quartiere in cui abita, sogna di chiedere a Spanoulis perché, seguendo il suo esempio, non si fa una ragione della sua calvizie.

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