Parlare di squadre che non si piscia nessuno non è un’arte ma, in certi contesti, può aiutare a renderti una persona leggermente più interessante. Questo è uno dei motivi per cui simpatizzo i Milwaukee Bucks: metteteci anche la location (laghi, foreste, birra), un rapporto con l’altro sesso degno di Richie Cunningham di Happy Days (ambientato, non girato, proprio nella città del Wisconsin), la maglia, soprattutto. Sì, perché la maglia è uno dei criteri base con cui un teenager italiano si sceglie la squadra NBA da tifare. Sebbene non abbia mai tifato per i “cervi” del Midwest in vita mia, sono tuttora convinto che una canotta più bella di questa non ci sia mai stata in tutta la lega.
Era il 1998, la scelta al draft era altina (come al solito), la dirigenza dei Bucks opta per prendere con la 4° assoluta Stephon Marbury, salvo poi scambiarlo con i Minnesota Timberwolves per la chiamata successiva, Ray Allen. Tre anni dopo, George Karl porta “He got game”, Glenn Robinson e Sam Cassell in finale di conference, arrendendosi solo in gara7 alla corsa inarrestabile, poi arrestata, dei 76ers di Allen Iverson. Un traguardo raggiunto più volte, in realtà: negli anni ’80 Sidney ‘Baffo’ Moncrief aveva condotto la franchigia in modo magistrale, prima di schiantarsi contro l’inarginabile scoglio dei Boston Celtics (’84 e ’86, ancora i Sixers di Doctor J nell’83). Ma nel 1971 erano stati Oscar Robertson e Lew Alcindor, il futuro Kareem Abdul Jabbar, a trascinare Milwaukee al primo, storico, titolo NBA. A conti fatti, un palmares che i tifosi di Charlotte si sognano. Sempre che i tifosi di Charlotte esistano.
Quello che è successo dal 2001 al 2014 è chiaro per tutti: degli ultimi 13 anni c’è stato solo da aprire l’astuccio, e usare il bianchetto. Chiusa l’ultima stagione con un imbarazzante record di 15-67, persino il senatore Herb Kohl, leggendario proprietario della franchigia, aveva capito di aver visto troppo. Da metà Aprile la società è in mano a Marc Lesry e Wesley Edens: se i 405 milioni di $ fanno dei Bucks l’ultima squadra della lega per valutazione complessiva, il passaggio di proprietà ha assicurato la permanenza dei cervi nel Wisconsin, scongiurando le voci che avrebbero fatto di Milwaukee la nuova Seattle. Il primo passo per la ricostruzione è stato compiuto: per il secondo, quello della credibilità, ci è bastato vedere la figlia di Edens, Mallory, la notte del draft.
Se non vi siete storditi, c’è dell’altro. In Estate Jason Kidd ha deciso di interrompere il suo rapporto con i Brooklyn Nets, per svernare sulle sponde del lago Michigan. Non solo per la tranquillità della Brew City, ovviamente, ma perché a Milwaukee ha avuto la possibilità di assumere un ruolo manageriale all’interno della franchigia: la sua esperienza nella Grande Mela è da considerarsi positiva, contando la reazione della squadra dopo l’inizio shock del 2013 e le semifinali di conference, raggiunte al primo anno da capo-allenatore. In palestra ha trovato 3/4 giovani di belle speranze: Giannis Antetokounmpo, già osannato dal nostro Valerio D’Angelo, Brandon Knight, Larry Sanders e Jabari Parker, che l’incantevole Mallory ha pescato con la numero 2.
Sul nostro amico greco ci siamo espressi recentemente: umile, duttile, dotato di braccia lunghissime e totalmente versatile, è notizia di ieri che sarà protagonista della prossima gara di schiacciate all’All Star Game. Knight è un playmaker solido, ex Detroit, grande realizzatore (17.9 di media lo scorso anno) che si è guadagnato grande fiducia da parte di Kidd. Se qualcuno ha visto il ritorno di Giasone al Barclays Center ricorderà l’errore in sottomano del n.11: Brandon non si è perso d’animo, mettendo i canestri decisivi nei seguenti OT.
Su Parker e Sanders ci sono delle incognite, che per la dirigenza dei Bucks rappresentano un motivo di preoccupazione. L’ala mormone, scintillante con la canotta di Duke, ha terminato la sua stagione a Phoenix il 17 Dicembre, causa la rottura del legamento crociato anteriore. Un colpo orrendo, se pensate che Parker viaggiava a 12.5 punti e 5 rimbalzi di media, dimostrando nella prima parte di Regular Season di essere più pronto a giocare a questo livello rispetto all’ultima grande stella del Draft, Andrew Wiggins. Sanders, invece, ha visto scendere le sue quotazioni da “nuovo Mutombo” a “caso psichiatrico”. Dopo aver firmato un quadriennale da 44 Milioni nel 2013, la parabola del lungo da Virginia racconta di un lento, inesorabile calvario. 25 partite col pollice rotto per una rissa al Nightclub, infortuni ed espulsioni varie non lo hanno riportato alla pace dei sensi, ci ha pensato la marijuana. Sanders è in modalità Oden da un mese e mezzo, ora sta scontando una squalifica di 10 partite causa spinello. Finché Coach Kidd tiene in mano le operazioni con Zaza Pachulia titolare, però, siamo tutti in una botte di ferro.
Nuova proprietà, allenatore carico, giovani promettenti con un bel potenziale, citando anche Khris Middleton, John Henson e l’impatto, uscendo dalla panchina, di O.J. Mayo. Il recorda da 21-20 vale ad oggi il 6° posto: non bastassero le bionde e le birrerie, c’è la pochezza della Eastern Conference a spianare la strada ai ragazzi del Wisconsin. Brandon, Giannis, Happy Days.
let's go bucks!
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