illustrazione di Paolo Mainini
articolo di Marco Munno

 

 

 

Cognome complicato, fisico da lungagnone ma agilità da esterno, discendenze africane affondate nello sport, formazione cestistica europea, arti spaventosamente lunghi ideali per lasciare il segno nella pallacanestro attuale, tanto lavoro da fare ma potenzialità stellari. Un pacchetto del genere con Giannis Antetokounmpo era già stato recapitato alla Lega anni fa: arrivato (giustamente) in sordina, si è poi tramutato nel miglior giocatore attualmente della NBA, con buona pace di Nikola Jokić e di tutti gli altri.

Quando la storia sembra ripetersi, con la differenza che la produzione fra gli adulti prima dell’attraversamento dell’Oceano è già sostanziosa, tutto il panorama cestistico statunitense mantiene le antenne belle dritte.

E quindi, via di approfondimenti da parte dei principali media di settore, organizzazione di un tour di amichevoli in terra statunitense fra la sua squadra e quella Ignite della G League, spam di highlights sui social network, arrivando alla proiezione sul League Pass delle sue partite nel campionato francese con tanto di live tweeting da parte degli account ufficiali della NBA.

Per una Lega che vede le tre icone della precedente era (LeBron James, Steph Curry, Kevin Durant) avviate al termine della carriera e che abbraccia quelle attuali nel loro prime (con Giannis, come già detto, in testa), è tempo di pensare ai volti del futuro, anche per quanto riguarda la rappresentatività fuori dal campo. E se i candidati al ruolo sono accompagnati, chi più chi meno, da piccoli dubbi che si trascinano sin dai tempi del draft (Ja Morant sulla reale efficienza dietro alle giocate spettacolari, Zion Williamson e Luka Dončić sulla tenuta fisica, LaMelo Ball e Anthony Edwards sulla continuità), le incertezze sul francese sembrano pochissime. Tanto da definirlo in più occasioni il miglior prospetto dai tempi di LeBron, uno che se disponibile sarebbe stato scelto per primo assoluto negli ultimi 10 draft (nel 2012 se la sarebbe giocata con Anthony Davis, che pure a confronto era ben più acerbo nella metà campo offensiva). Addirittura riuscendo ad avere un impatto sulla Lega prima ancora di mettere piede negli USA, viste le diverse squadre dedicatesi al tanking selvaggio nella speranza di poterlo scegliere a giugno. Insomma, su uno che viene paragonato a turno a Gobert, a Durant, a Porzingis, a Davis e a Antetokounmpo le aspettative sono altissime, proprio come lui (219 centimetri di statura, che diventano 292 a braccia alzate, eccezionali come i 240 di apertura alare).

E se vi sembra troppo, sappiate che siamo ancora agli inizi: difficilmente nelle discussioni cestistiche legate alla NBA, ci sarà un topic più ricorrente, per tutto l’anno che lo separa dall’effettiva entrata nella Lega, di Victor Wembanyama.

Quando si vedono robe del genere è difficile trattenere gli entusiasmi…

 

Si è spesso vociferato che, per la nascita del 2 metri e 29 centimetri Yao Ming, l’unione dei genitori ex atleti fu “favorita” dal governo nazionale; non si è trattato della stessa situazione per Wembanyama, anche se un padre alto 1.98 e una madre alta 1.91 con ottime probabilità avrebbero dato vita ad un erede ben fisicato. Victor continuò così come la sorella maggiore Eve (diventata cestista professionista di buon livello) e il fratello minore Oscar (ora nelle giovanili dell’ASVEL) a portare avanti la tradizione sportiva di famiglia, dove il babbo era stato saltatore in lungo e la madre giocatrice di pallacanestro; dopo aver provato anche il judo e il calcio, impiegato poco sorprendentemente da portiere, scelse definitivamente il basket.

D’altronde, al mondo cestistico era stato avviato da mamma Elodie de Fautereau, dopo il ritiro diventata coach. Iniziando ovviamente nella squadra della sua città, il comune di Le Chesnay sito ad ovest di Parigi, prima di quella amichevole per la categoria under 11, in cui giocava sotto età. Avversari erano i ragazzi delle giovanili del Nanterre, guidati da Michaël Allard, che guardava con curiosità quello che credeva essere l’assistente degli avversari del Entente Le Chesnay Versailles: il classico ragazzo alle prime armi come allenatore, che però aveva una faccia un pó troppo da bambino. Prima di ritrovarselo a fare la ruota di riscaldamento: Alland allora realizzò che Victor era effettivamente un bambino, e che sul parquet stava vedendo qualcosa di speciale.

Speciale, come gli svolgimenti di alcuni dei temi a scuola di un Wembanyama fatto a modo suo anche in ambito extra sportivo. Ad esempio, nel compito in cui gli venne chiesto di raccontare una breve storia riguardo alla realizzazione di un sogno nel cassetto: era logico attendersi che raccontasse del lieto fine della propria storia da cestista, ma probabilmente si sentì già avanti nel suo percorso per definirlo ancora “un sogno”, e allora scrisse la storia di “Alice e Jules”, una coppia felicemente sposata prima dell’incidente in cui un Jules ubriaco alla guida finì in coma, risvegliandosi senza più contatti con Alice prima della riunione fra i due. O quello in cui da coach Michaël Bur gli venne chiesto di scegliere una parola dalla stessa iniziale del proprio nome: partendo dalla V di Victor, Wembanyama spiegò come V fosse anche un numero romano, il cinque, come a simboleggiare le cinque posizioni in cui era in grado di performare sui campi di pallacanestro.

Campi di pallacanestro diventati nel frattempo quelli del Nanterre, che da quell’incontro lo incluse in men che non si dica nel proprio settore giovanile. In breve Victor si trasferì nel dormitorio societario (riposando in un letto fattogli costruire su misura) e visse a stretto contatto con un gruppo di circa 25 persone si dedicò al suo sviluppo: assieme a quello tecnico, curò quello fisico, con l’obiettivo di sviluppare massa intorno a quell’esile struttura fisica, e cercò di isolarlo il più possibile dalle distrazioni date dall’interesse di media, scout e agenti sempre maggiore.

Indovinate chi è il bimbo sottoetà e contemporaneamente più alto dell’allenatore

A proposito di agenti, per lui si mosse Bouna Ndiaye, il “Miško Ražnatović di Francia”, conoscenza di lunga data della madre di Victor, a cui spesso avevano consigliato di andare a dare un’occhiata al figlio dell’amica. Riluttante per la giovane età del ragazzo, si decise quando il piccolo (insomma…) compì 13 anni: ne rimase semplicemente strabiliato.

“Elodie, vengo solo per divertimento, non per lavoro”: questo il proposito iniziale di Bouna, che vedendolo muoversi, passare la palla, palleggiare con quella coordinazione in quella custodia cambiò in pochi minuti idea arruolandolo nella sua scuderia.

Quando Victor era ormai quattordicenne, nel tardo giugno del 2018, incrociò dal vivo Nicolas Batum, che di lui aveva già sentito parlare, al termine di un allenamento con la nazionale a Parigi al quale sarebbe seguito quello di Wembanyama. Impressionato dal fisico, Batum decise di chiedere allo staff dei Bleus di tornare in hotel un quarto d’ora più tardi: non poteva credere ai suoi occhi, nel vedere Victor così a suo agio, nonostante le misure, nel controllo del pallone. Chiamò subito quel Tony Parker, Presidente dell’ASVEL di cui Batum, oltre ad essere proprietario di minoranza, era diventato Director of Basketball Operations:

“Ho visto il futuro. Ciò che fa questo ragazzo non ha senso. Dobbiamo firmarlo”

L’assalto all’epoca andò a vuoto, così come quello del Barcellona che lo ottenne solo in prestito per giocare la Minicopa del Rey (con una doppia doppia da 16 punti e 15 rimbalzi lasciata lì nella finale per il terzo posto). Poco più di un anno dopo, la prima vetrina internazionale: all’Europeo Under 16 di Udine si presentò come giocatore più alto nella competizione (2 metri e 18 centimetri, più dei compagni di nazionale Balfournier di 2.15 e Raynaud di 2.12) e, con quasi una doppia doppia di media (9 punti + 9.6 rimbalzi a gara) ma soprattutto con 5.3 stoppate a partita fu importantissimo per la sua Francia, sconfitta solo in finale dalla Spagna di Juan Núñez, Rubén Domínguez e Caicedo, guadagnandosi l’entrata nel primo quintetto della manifestazione.

Victor continuò la sua avventura nelle giovanili del Nanterre, folgorato dal primo torneo vinto a 11 anni giocando con la squadra under 13 (“Piansi dalla gioia all’epoca”), passando per momenti di crescita come gli scontri adolescenziali fra coetanei in squadra, vittorie di titoli giovanili, partecipazioni all’Eurolega giovanile e, come logico, affacciandosi alla prima squadra: visse il suo esordio tra i professionisti negli ultimi 31 secondi e 7 decimi del match contro Brescia (quello giocato in terra francese, mentre al ritorno in Italia non era presente), diventando così a 15 anni, 9 mesi e 25 giorni il più giovane di sempre a debuttare in Eurocup dopo Stefan Petković nel 2007.

Per gli scout specializzati di tutto il globo la sua imponenza non era ormai segreta per nessuno, mentre per il pubblico generalista Wembanyama si mise in evidenza la prima volta con le famose clip dell’ottobre 2020. Nel 2 vs 2 di scrimmage a squadre miste, da una parte c’era lui a far coppia con Vincent Poirier, dall’altra il compagno di squadra diciassettenne Maxime Raynaud in tandem con Rudy Gobert. Nei confronti dei due pilastri della pallacanestro francese, allora impegnati in NBA rispettivamente ai Celtics e ai Jazz, Victor non mostrava alcun timore reverenziale: anzi, pur con molta meno massa, rispondeva con la delicatezza del tocco anche lontano da canestro.

Nominato miglior giovane del campionato, col nuovo massimo di punti siglato a fine di un torneo da 6.8 punti, 4.7 rimbalzi e 1 stoppata a gara, a ulteriore riprova di un costante miglioramento, ha trovato di nuovo l’ASVEL a farsi sotto per accaparrarselo. E’ stato il Nicolas Batum proprietario a trattare, con successo, il trasferimento di Wembanyama con Bouna Ndiaye, agente anche del Nicolas Batum giocatore.

Prima del passaggio a Villeurbanne, con il conseguente debutto in Eurolega, si è giocato il Mondiale Under 19 in estate: per lui 14 punti, 7.4 rimbalzi e soprattutto 5.7 stoppate di media (!), nuovo record assoluto nella specialità per un singolo torneo FIBA. La sua corsa si è interrotta solo nella finale, persa di 2 punti contro gli Stati Uniti. E con i transalpini avanti all’inizio dell’ultimo quarto per 68-64, la chiave è stata proprio quella di escludere Wembanyama dalla gara: attaccato puntualmente, è stato caricato di falli (chiudendo comunque il match con 22 punti + 8 rimbalzi + 8 stoppate), con due commessi consecutivamente che ne hanno costretto la sostituzione. Quindi, il parziale americano di 11-0 durante la sua assenza dal parquet, che ha girato punteggio e inerzia della partita. A provocare i due falli che gli sono costati l’uscita temporanea dal campo, oltre a firmare 5 punti nel break, è stato proprio quel Chet Holmgren che si è presentato al draft di questa estate con tante caratteristiche simili a quelle del transalpino: telaio da lungagnone dalle leve lunghissime, con agilità fuori dal comune e alte potenzialità di risultare la prima scelta assoluta. Il suo commento al termine di quella gara si carica quindi oggi di particolare significato:

“Non faccio spesso complimenti agli avversari, ma riconosco le qualità di Wembanyama. Pensavo di essere alto, pensavo di avere braccia lunghe, ma lui porta queste caratteristiche ad un livello molto più avanzato. Si muove bene, sa tirare, ha tante abilità. Sarà ricco un giorno. So che lavorerà duro, spero di poterlo vedere nella NBA e giocarci contro per tanti altri anni ancora”.

Tra Victor e Chet il primo di tanti e tanti scontri?

 

L’impatto con la massima competizione continentale però non è tutto rose e fiori. L’ASVEL rende oltre le previsioni, trascinato da quello che si dimostra uno dei migliori backcourt d’Europa, Chris Jones & Elie Okobo. La maggior parte delle responsabilità offensive viene ovviamente affidata a loro, con gli altri ad alternarsi come terzi violini e un reparto lunghi molto affollato e eterogeneo (dai veterani Gist e Fall ai più giovani Osetkovski e Kostas Antetokounmpo) in cui c’è da sgomitare per farsi spazio. Victor deve scalare le gerarchie, e lo fa pian piano, passando dai pochi minuti e pochissimi palloni toccati al giocarne 25 abbondanti a sera da febbraio in poi (così come 25 sono i punti a referto per il suo massimo stagionale, il 3 aprile), al rientro dall’infortunio alla spalla patito a dicembre. Un altro infortunio gli fa chiudere la stagione in anticipo: diventa campione di Francia ma nella finale non scende in campo, terminando l’annata sportiva con 9.4 punti, 5.1 rimbalzi e 1.8 stoppate di media in 18.5 minuti in campionato e 6.5 punti, 3.8 rimbalzi e 1.9 stoppate in Eurolega.

contro Milano – foto www.thesun.co.uk

I numeri non impressionano e Victor lo sa, così come ritiene di dover avere più spazio per la sua crescita: iniziano i ripensamenti sulla prosecuzione della propria carriera all’ASVEL, e la clausola di uscita dal contratto entro il 26 giugno viene esercitata. Esplorando il mercato, le offerte sul tavolo sono fioccate: per i suoi servigi si sono fatti sotto dal Vecchio Continente (in particolare Real Madrid e Barcellona), dall’australiana NBL e anche dagli Stati Uniti stessi, con l’Ignite per portarlo in G League. Oltre, ovviamente, alla proposta dell’ASVEL pronto ad offrirgli il posto in quintetto e a costruirgli la squadra intorno, pur di scongiurarne la partenza. Tuttavia, spalleggiato da Ndiaye, caduta l’opzione iniziale di Parigi la scelta di Wembanyama è ricaduta su un club non certo blasonato come quelli menzionati, il Boulogne-Levallois Metropolitans 92.

L’idea è stata quella di trovare un ambiente adatto a prepararlo per il prossimo step, quello americano: ovvero, un club che non partecipa a competizioni continentali (escludendo così molteplici impegni e proporzionate maggiori possibilità di infortuni) e senza la necessità di doverne eccessivamente frenare la crescita individuale, in nome di esigenze di squadra dettate da ambizioni più elevate. Al Metropolitans ha la garanzia di poter seguire al meglio il suo percorso mirato allo sviluppo di un corpo in grado di reggere una lunga carriera oltreoceano, con un preparatore fisico, un medico e un ortopedico personali al suo fianco quotidianamente.

foto www.bebasket.fr

Le indicazioni ricevute dagli allenamenti di questa estate a Dallas con Myles Turner dei Pacers e Tyrese Maxey dei Sixers d’altronde hanno mostrato che, se mentalmente il ragazzo è già pronto per affrontare qualsiasi competizione, dal punto di vista strutturale c’è ancora lavoro da fare per reggere l’impatto con la fisicità della NBA. Inoltre, riguardo allo sviluppo tecnico, al Metropolitans può essere incanalato in un contesto che ne esalti le qualità e possa aiutarlo a migliorare nelle aree in cui difetta, partendo dall’abilità nel coinvolgere i compagni, con coach Vincent Collet al timone. Quel Vincent Collet che lo ha definito già il miglior prospetto mai uscito dal campionato francese, davanti a Tony Parker, Boris Diaw e Rudy Gobert. E che non ha storto la bocca più di tanto nell’incassare il “no” alla convocazione per l’Europeo di questa estate, ma anzi si è posto l’obiettivo di costruire un buon rapporto col ragazzo in vista del prossimo appuntamento dei Blues, quello con il cerchietto rosso intorno: le Olimpiadi casalinghe di Parigi, del 2024.

Nel frattempo è arrivato l’esordio assoluto con la Francia nella finestra di qualificazioni al Mondiale: 19.5 punti e 6.5 rimbalzi con il 46.4% dal campo in due partite

Questo primo paio di mesi al Metropolitans è più che incoraggiante: è una testimonianza alla sua continua crescita. I 36.5 punti nelle due partite di esibizione di inizio ottobre contro l’Ignite di Scoot Henderson (l’altro grande prospetto in vista del Draft 2023) della G League non sono stati un caso: ad oggi, Victor è secondo (con una striscia di 9 vittorie consecutive piazzata) della Ligue Nationale de Basket-ball Pro A, in cui è primo per punti segnati con 23.6 di media, primo per rimbalzi catturati con 9.4 di media, primo per stoppate date con 2.8 di media e primo per valutazione registrata con 26.9 di media.

Nonostante i numeri, l’impatto principale che ha sul gioco non è tuttavia quello in attacco, dove ancora difetta nel coinvolgimento dei compagni e nella continuità al tiro (sebbene la meccanica sia sempre più solida) man mano che si allontana da canestro, ma quello in difesa.

La sua presenza, in grado di coprire larghi tratti del campo, inibisce gli attacchi rivali dal concludere quando è nei pressi, tanto nelle collaborazioni sui pick’n’roll quanto negli 1 contro 1: dal punto di vista numerico è in grado di rifilare agli avversari una stoppata in più di media del secondo in questa graduatoria, rappresentando la punta di diamante del sistema dal miglior defensive rating del campionato.

Tra un crossover e un fadeaway sempre più sensazionale che mostra di settimana in settimana, il conto alla rovescia per vederlo all’opera sui massimi palcoscenici mondiali, a partire dalla National Basketball Association, si avvicina sempre di più allo zero. Tutti sanno che c’è ancora qualche mese da aspettare, ma l’intero mondo della pallacanestro sa anche che il tempo corre velocemente: è questione di poco prima di vederlo all’opera al massimo livello possibile, cercando di incarnare la prossima rivoluzione cestistica.

Sono già tutti sull’attenti: Victor Wembanyama sta arrivando.

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