Le prossime due settimane saranno un po’ nostalgiche per quanto mi riguarda. Siamo attualmente a metà della regular season di Eurolega, le nostre prossime due partite saranno contro Armani Milano e Bamberg: entrambe le squadre sono allenate da coach che ho avuto all’inizio della mia carriera.
Prima delle partite, sicuramente avrò il tempo di fare due chiacchiere sul passato, parlando dei nostri ricordi e di quanto siamo andati lontano con le nostre carriere individuali. Dopo quasi dieci anni di basket professionistico in Europa, sento il bisogno di tornare all’inizio, dove tutto cominciò, per raccontare come un piccolo paese in Italia mi ha aiutato a costruire tutta mia carriera.
Dopo la delusione per non essere stato scelto e non avere avuto l’opportunità di firmare con una squadra NBA, sapevo che la mia opzione migliore sarebbe stata quella di iniziare la mia carriera da pro in Europa. Ho discusso insieme al mio agente sulle diverse possibilità, ma al tempo non ne sapevo molto del basket europeo, visto che la mia unica speranza era quella di poter entrare nell’NBA.
Il mio agente, a Las Vegas per la NBA Summer League, mi chiamò per dirmi che c’era un allenatore di una squadra italiana che avrebbe voluto incontrarmi a pranzo per presentarsi e far due chiacchiere in merito alla possibilità di poter aggregarmi alla sua squadra per la prossima stagione.
La parte più divertente è che pensavo che ci saremmo incontrati in qualche ristorante “a 5 stelle” o in un locale italiano di moda, un qualcosa di fighetto per essere un po’ “viziato”. Ho detto al mio agente di sì e di chiedergli il luogo dell’appuntamento.
Mi disse che ci saremmo incontrati al McDonalds al Palms Casino Food Court… proprio un posto fighetto! LOL
Più tardi, quel giorno, andai al McDonalds, aspettando di incontrare per la prima volta il coach italiano. Mentre ero seduto ad aspettare, un uomo con gli occhiali, basso e tarchiatello, con i capelli lunghi fino alle spalle, mi venne incontro salutandomi con un gran bello sorriso e un “ciao”. Non assomigliava decisamente al tuo tipico allenatore di basket.
Si presentò come coach Andrea Trinchieri, era stato appena ingaggiato dalla Prima Veroli, squadra della seconda lega italiana.
Mentre mangiavamo entrambi cheeseburger e torta di mele, il coach mi spiegò le grandi ambizioni della squadra per la stagione seguente. Parlò della bella atmosfera in città e di come mi sarei trovato bene. Parlammo per un’ora, e dopo la nostra conversazione decisi subito: chiamai il mio agente e gli dissi che volevo andare a Veroli e giocare per coach Trinchieri.
E fu così che la mia avventura iniziò.
Un mese dopo ero all’aeroporto di Philadelphia, pronto per prendere il mio volo di 8 ore per Roma. Non avevo letteralmente la minima idea di cosa aspettarmi, nemmeno un’idea di cosa mettere in valigia o di cosa portarmi dietro. Mi basavo solo sulle conversazioni con coach Trinchieri e sulle “googlate” della città. Ripensandoci bene, la maggior parte delle cose che mi ero portato dietro non le ho usate mai.
Atterrai a Roma, dove mi aspettava il manager della squadra, Giampaolo.
Ci aspettava circa un’ora di viaggio per arrivare a Veroli, avevo un sacco di domande per Giampaolo, ma lui non parlava inglese molto bene e io ovviamente non sapevo una parola d’italiano, per cui la maggior parte del viaggio la spendemmo in un silenzio grottesco.
La città di Veroli è situata in cima ad una collina, a quasi 600 metri di altitudine. L’unico modo per arrivare in città è attraverso una strada a una corsia sul lato della montagna. Macchine e camion viaggiavano ad alta velocità su questa strada, e l’unico modo per guidare senza fare un incidente era quello di utilizzare degli specchi appositi situati sulla via.
Una volta arrivati a Veroli, fui colpito dalla bellezza della città. E’ davvero un tipico paese italiano, sembrava che avessi viaggiato indietro nel tempo. Le strade sono strette e pavimentate in pietra, le case bellissime, una accanto all’altra sul lato della montagna. I sentieri alberati e le viste erano da togliere il fiato, sembrava di essere dentro ad un quadro. Entrammo in una piccola strada secondaria, dove ci sarebbe stato il mio appartamento… la strada era così stretta che, se allungavo le braccia, potevo toccare i muri delle case vicine.
Pensai tra me e me che una macchina in quella strada non ci poteva manco passare… in seguito ci furono diverse occasioni in cui rischiai di essere investito, uscendo di casa distrattamente, senza pensare che in realtà quella per loro era una via normale.
La casa era un classico trilocale in stile italiano, l’aspetto più bello era la terrazza e le finestre che davano sul paesaggio. Sì perché l’appartamento era in cima alla montagna, per cui potevi vedere tutta la città e anche la parte rurale. Durante quel periodo, sarei stato ore ed ore alla finestra semplicemente contemplando il panorama. La vista era così serena e silenziosa, tutto un altro mondo rispetto alla città chiassosa dove vivevo negli States.
Il giorno successivo avevamo il primo incontro con la squadra e il primo allenamento della stagione, dove conobbi i miei nuovi compagni e la dirigenza. La squadra era stata costruita su giocatori di esperienza, visto che il club aveva l’ambizione di salire nella prima serie italiana, chiamata Serie A.
Il vincitore della regular season e la squadra vincitrice al termine dei playoff sarebbero stati promossi in Serie A, dove giocano le migliori squadre del paese. La dirigenza aveva ben chiaro l’obiettivo, visto che molti giocatori provenivano dall’A1. Appena 4 anni prima Veroli era in C1, essere in A2 per loro era un grande risultato.
Il general manager della società era una leggenda della pallacanestro italiana, Antonello Riva. E’ considerato uno dei più grandi giocatori del basket europeo. E’ inoltre il miglior realizzatore della storia nel campionato italiano e anche della nazionale.
Mi raccontò di quando venne inserito nell’ “All Team” delle Olimpiadi del 1984 insieme a Michael Jordan e del suo tiro dalla distanza… quando ancora non esistevano i 3 punti. Non realizzai bene il valore di Antonello finchè non viaggiai in altre città. Ovunque andassimo, era celebrato e riconosciuto da tutti. Mi regalò la copia firmata della sua autobiografia, è nella mia bacheca dei trofei negli States.
Non avevo idea di cosa aspettarmi al nostro primo allenamento. Ero il giocatore più giovane in mezzo ad un gruppo di “veterani”. Il basket europeo è molto diverso da quello collegiale. Nel college, la maggior parte degli attacchi sono costruiti su isolamenti e sull’atletismo dei giocatori. Tendenzialmente, nell’NCAA una squadra si passa la palla per i primi 20/25 secondi dell’azione e poi negli ultimi 10 arriva al giocatore più talentuoso, sperando che faccia la giocata.
Il gioco europeo è totalmente il contrario, tutto è basato sul pick and roll e su azioni costruite: ci misi un po’ per abituarmi a tutto questo. Ricordo che, al primo allenamento, giocai in isolamento e attaccai il ferro come facevo centinaia di volte al college. Invece di segnare, però, andai a sbattere contro 3 miei compagni e la palla finì fuori dal campo.
Coach Trinchieri venne subito verso di me furibondo, in quel momento non era proprio quel tipo simpatico con cui condividevo la torta di mele al McDonald’s.
Realizzai in quei momenti che, per essere efficace ed avere successo in Europa, non potevo fare le stesse cose che facevo al college, dovevo cambiare il mio gioco.
Coach Trinchieri mi insegnò tantissimo il primo anno. E’ conosciuto per essere molto duro ed esigente con i suoi giocatori. Era la mia prima esperienza con un allenatore del genere, che pretendeva tantissimo, ma realizzai in fretta che il coach voleva solo il meglio per i suoi. Più era duro con me, più mi motivava per diventare un giocatore migliore. Ripensandoci bene, penso che aveva visto in me qualcosa di più grande che un semplice giocatore di seconda lega italiana. Mi avrebbe parlato continuamente, incoraggiandomi a vedere e seguire le migliori ali e centri in Eurolega. Guardavamo le partite e mi invitava a studiare giocatori come Andre Hutson (Roma), Shawn Stonerook (Siena), Felipe Reyes (Madrid), Erazem Lorbek e Mike Batiste. Mi parlava del perché questi giocatori avevano avuto successo e quali “intangibles” avevano portato alla propria squadra. Trinchieri mi aiutò a infondere in me la volontà di giocare in Eurolega e avere quel successo che vedevo nei giocatori che mi aveva consigliato di guardare e studiare.
Essendo un rookie di 22 anni, non avevo idea di cosa aspettarmi dalla mia prima stagione professionistica. Speravo che i miei compagni mi guidassero e aiutassero su tutto quello che c’era da fare e non. Sono stato molto fortunato ad aver scelto una squadra con così tanti giocatori esperti che avevano giocato ad alti livelli. Due dei più esperti, Michele “Mickey” Mian, membro della nazionale argento alle Olimpiadi del 2004, e Pietro Bianchi erano quelli che ascoltavo e osservavo attentamente.
Pietro era il capitano della squadra, ogni giorno era un grande esempio di come deve essere un leader. Sono sempre stato colpito dall’entusiasmo ed energia con cui giocava tutti i giorni, ad ogni allenamento e ad ogni partita. Pensavo che, se lui portava quell’energia a 35 anni, non c’era alcuna ragione per cui io non ne dovessi portare la stessa o anche di più a 21 anni.
Michele Mian mi insegnò cosa vuol dire essere professionista dentro e fuori dal campo, oltre all’importanza di prendere cura del proprio corpo. Era in una forma incredibile e mi insegnò l’importanza dello stretching, dei massaggi ecc.. A quei tempi, non ne capivo assolutamente l’importanza, ma adesso, a 30 anni, capisco perché mi diceva quelle cose.
Una delle figure più importanti per la mia carriera arrivò a metà stagione, il suo nome è Jerome Allen. Così come Pietro e Michele, anche per lui sarebbe stata la sua ultima stagione. Per la maggior parte della sua carriera, Allen venne considerato una delle point guard più forti del campionato italiano.
Mi chiamava “il suo rookie”, lo sarei andato a prendere ogni giorno per andare ad allenamento, e lui in cambio mi avrebbe pagato la cena tutte le sere. Tra un viaggio ad allenamento e una pasta al pomodoro parlammo moltissimo. Ho imparato tanto da quelle conversazioni sugli aspetti dentro e fuori dal campo. Ci penso tutt’ora alle nostre chiacchiere e, ancora oggi, le uso come consiglio tutte le volte che ne ho bisogno.
La nostra era qualcosa di più di una squadra normale, la società fece un grande lavoro per farci sentire parte di una grande famiglia. Dopo ogni partita avevamo delle cene con cibo e vino illimitato, dove tutti i membri della società e le famiglie partecipavano per celebrare le vittorie. Credo che questa atmosfera fu la ragione principale del successo di quell’anno e di una chimica sia in campo che fuori.
Finimmo per fare la storia della società, vincendo la Coppa Italia di A2 e arrivando secondi a una partita dall’esser promossi in Serie A. Anche se non raggiungemmo in pieno l’obiettivo che ci eravamo fissati, non ho mai considerato quella stagione un fallimento. Siamo stati in grado di fare la storia e gran parte della città considerò la nostra squadra una delle più memorabili nella storia della società.
La stagione successiva ebbi diverse offerte da squadre di Serie A ma volevo rimanere a Veroli per un altro anno. Dopo essere arrivato davvero ad un passo dalla promozione, volevo aiutare la squadra a raggiungere l’obiettivo. Coach Trinchieri lasciò per firmare a Cantù, in A1.
Il nuovo coach sarebbe stato Massimo Cancellieri, che incontrai per la prima volta durante l’NBA Summer League a cena da Hooters (già meglio rispetto alla torta di mele al McDonald’s, LOL).
Coach Cancellieri era l’esatto opposto di Trinchieri. Cancellieri era più calmo e posato. Pur essendo anch’egli molto esigente, aveva un approccio e un comportamento diverso coi suoi. Lo considero più quello che la gente chiama “a player coach”.
Mi ha aiutato tantissimo a migliorare le mie abilità come giocatore, passando ore ed ore con me alla mattina negli allenamenti individuali. Gli devo tantissimo, perché mi ha aiutato a migliorare negli aspetti di gioco in cui avevo bisogno, facendomi diventare un giocatore di alto livello in Eurolega.
Finimmo la stagione ancora meglio della passata, vincendo ancora la Coppa Italia e finendo primi in regular season, avanzando nei playoff fino alla finale contro Sassari. Avevamo il fattore campo e sembrava che la promozione fosse davvero ad un passo.
Sfortunatamente, perdemmo la serie 3-1, gara 4 fu la peggior sconfitta della mia vita. Sentivo personalmente non solo di guidare la mia squadra, ma di avere tutta la città sulle mie spalle. Penso di non aver mai visto delle persone così eccitate quando Veroli raggiunse la finale.
Era l’unica cosa a cui pensavo, vedendo Sassari e i suoi tifosi festeggiare la vittoria. Ero distrutto.
Non salii nemmeno sul pullman della squadra, andai a piedi in hotel perché mi sentivo personalmente responsabile e non volevo vedere nessuno. Riuscii poi a superare la delusione, ma ogni volta che torno a Sassari, quei ricordi riaffiorano e mi fanno star male.
Quella partita sarebbe stata l’ultima a Veroli: l’anno successivo firmai in Germania, al Brose Basket, dove iniziai la mia carriera in Eurolega.
Veroli, la città, la squadra sarà sempre qualcosa di speciale per me, perché mi ha aiutato a fare i primi passi della mia carriera. Senza Veroli, non penso che sarei stato in grado di avere successo anche in Eurolega, perché quegli anni mi diedero gli strumenti per diventare un giocatore e portare i primi mattoni alla mia carriera da professionista.
Anche se sono passati 8 anni e non ho più avuto l’occasione di ripassarci, i ricordi sono ancora molto vivi: in quel biennio ho incontrato tanta gente che ha avuto poi impatto sulla mia vita e sulla mia carriera.
Il mio cuore si è spezzato quando ho saputo che la società ha avuto problemi finanziari e la dirigenza si è vista costretta a chiudere i battenti. Sono rimasto deluso perché so bene l’impatto che la squadra ha su tutta la gente del posto. In segreto, spero sempre di finire la mia carriera laddove l’ho iniziata, e giocare l’ultima stagione a Veroli.
Ho giocato per alcune delle squadre più importanti in Europa e ho vissuto nelle città più grandi, ma nessuna si guadagnerà la stessa ammirazione che ho per quel piccolo paese sul versante della montagna.
Grazie Veroli, per tutto quello che mi hai dato, grazie per le persone che mi hai fatto incontrare e per le esperienze che ho vissuto, Chissà, forse ci rincontreremo presto.
Sempre Forza Veroli.
articolo raccolto da Marco Pagliariccio, traduzione di Ivan Belletti
VEROLI: WHERE IT ALL BEGAN
The next two weeks will be a bit of nostalgia for me, we are currently in the middle of our Euroleague regular season, our next two games are against Bamberg and Armani Milano, both have coaches that have coached me in the beginning of my career. Prior to the games with both coaches, I will spend time talking to both about the past and memories and how far we have all come in our individual careers. After a decade of playing professional basketball in Europe, I felt for my next blog post, I should go back to the beginning where it all started and share how a small town in Italy helped shape my entire career. After the disappointment of not getting drafted and not having the opportunity to sign with any NBA Teams, I knew the best option for me was to start my professional career overseas in Europe. My agent and I discuss a number of different options, but at the time I really didn’t know much about the European game, as I had the hope of solely playing in the NBA.
While in Las Vegas for the NBA Summer League, my agent called me and told me that a coach from an Italian team wanted to meet for lunch to introduce himself and to talk about the possibilities of playing for his team this season.
The funny part of this conversation is, I’m thinking to myself, we were going to meet at some five-star steakhouse or fancy Italian restaurant, you know thinking I’m about to get “Wine & Dined”. I tell my agent yes and ask where we are meeting, He said he will meet you at the McDonalds in the Palms Casino Food Court, so much for being “Wine and Dined”. LOL
Later that day, I went to the McDonalds and waited to meet the Italian coach for the first time. As I sat down and waited, a short stocky man with glasses with long hair to his shoulders came strolling in and greeted me with a great big smile and “Ciao”. He definitely did not look like your prototypical basketball coach.
He introduced himself as Coach Andrea Trinchieri, he was just hired as the head coach of Prima Veroli in the Italian 2nd Division.
As we both ate cheeseburgers and apple pies, he explained to me the big ambitious the team had for this upcoming season. He talked the great atmosphere in the town and how it would be a great place to live. We talked for about an hour, after our conversation, I immediately made my decision. I called my agent and told him, I’m want to go to Veroli and play for Coach Trinchieri.
And just like that, my journey began.
One month later, I was in the Philadelphia airport ready to take the 8-hour flight to Rome. I literally had no idea what to expect, no idea what to pack or what I needed to bring. All I really had to go off of was the conversation I had with Coach Trinchieri and what I could google about the city. Looking back on it, the majority of the things I packed I never even used.
I landed in Rome and was picked up by the airport by the manager of the team, his name was Giampaolo.
We had about an hour ride to get to Veroli from Rome. I had so many questions to ask Giampaolo, but he didn’t speak English very well and of course I couldn’t speak Italian, so the majority of the ride we spent in awkward silence.
The town of Veroli is located on a summit of a hill elevated almost 2,000 feet. The only way to get to the city is thru a winding one lane road up the mountain side. Cars and trucks are literally speeding up the mountain and the only way to navigate up the mountain without crashing is using a system of mirrors.
Once we arrive in the town of Veroli, I was amazed how beautiful the town was. It was truly authentic Italian town, it was almost like I traveled back into time. The streets were narrow and paved with stone and all the homes were beautifully built and close together up along the mountain side. The scenery of the trees and the views were almost breathtaking. It was like I was living inside a piece of art from a museum. We pulled into this small side street, where my apartment was to be located, the street was so narrow that I could touch each end of the walls on both sides when I stretched my arms out.
I thought to myself there is no way this is an actual street that cars drive down, I would later learn my lesson on many occasions walking out of my apartment casually, forgetting that this was an actual street and nearly getting ran over by a passing car.
The apartment was a traditional Italian style triplex apartment, its best feature was the view from the windows and the balcony. The apartment was on the top of the mountain, so from the windows, you could see the entire town, and the countryside of the mountain. During my time living there, I would find myself staring out the windows for hours at a time surveying my surroundings. The view was so quiet and peaceful completely different from the busy city life where I lived at in the states.
The next day we had our first team meeting and practice of the new season, where I meant my new teammates and the management of the team. The team was built of experienced players as the club had the ambitions to qualify to play in the first division Italian league called Serie A.
Each year the regular season champion and the overall champion of the second division would be promoted to Serie A, where the best Italian team compete and play, the management built with exactly this goal in mind, as many of the players on the team were veterans of the first division Italian league. Just 4 years prior, the team was in the 5th division and to be competing in the A2 division was a big accomplishment for the club.
The general manager was an Italian basketball legend, Antonello Riva. He is considered one of the top players in European basketball history, he is the all-time leading scorer in the Italian League and also the Italian national team.
He would tell me the story of how he was on the all-tournament team at the 1984 Olympics with Michael Jordan and how he was shooting from three-point range before they were considered “3 pointers.“ I didn’t realize how much of a legend he was until we travel to other cities to play games and everywhere we went he was celebrated by everyone. He gave me a signed copy of his autobiography, I put in my trophy case at home in the States to showcase.
Our first practice, I had no idea what to expect. I was the youngest player among a group of experienced veterans. The European game is so different from college basketball. In college, most offenses are built around the isolation skills and athleticism of the players. Basically, a team would pass the ball around for the first 25 seconds of the shot clock and the last 10 seconds give the ball to their best player and hope he will create a play.
The European game is the total opposite, everything is based on the pick and roll and more team oriented passing, which took me a while to get used too. I remember during our first practice, I isolated and drove to the basket like I did hundreds of times in college but instead of scoring, I crashed into three of my teammates and the ball rolled out of bounds.
Coach Trinchieri immediately ran over to me and went crazy on me, at the moment he wasn’t the funny guy that I shared a McDonalds’s apple pie a month earlier.
I realized at the moment that I couldn’t do the same things I did in college and in order to be successful within Europe I would have to change my game.
Coach Trinchieri taught me so many different things during that first season. He is known for being very tough and demanding on his players. This was my first experience having such a tough and demanding coach, but I realized early on that he only wanted the best for his players. The harder he pushed me, the more it motivated me to want to be better. Looking back on it, I think he had envisioned something bigger for me than just playing in the 2nd division of the Italian League. He would always constantly talk to me about Euroleague and encouraged me to follow the best forwards and centers. We watched games and he will tell me to study players like Andre Hutson (Rome), Shawn Stonerook (Siena), Felipe Reyes (Madrid) Erazem Lorbek and Mike Batiste. We would talk about why these players were successful and what intangibles each player brought to their team. He helped instill in me the goal to want to play in Euroleague and to have careers much like the players he had me study and watch.
As a 22-year-old rookie, I had no idea what to expect from my first professional season. I looked for my teammates to help and guide me of the do and don’t of a professional athlete. I was very fortunate to have joined a team with some veteran and experienced players that had played at high level. Two of the more veteran players, Michele “Mickey” Mian, member of the 2004 Silver Medal Italian Olympic Team, and the captain, Pietro Bianchi, were both players I listen too and watched carefully.
Pietro, was the captain of the team, every day he showed a great example of what it took to be a leader of the team. I was always amazed by the enthusiasm and energy he played with every day in practice and games. I thought at 35, if he could bring that type of energy every day then there was no reason at 21, I couldn’t bring the same or more energy every day.
Michele Mian taught me about professionalism on and off the court and the importance of taking care of your body. He was in incredible shape and always talked me about the importance of stretching, getting massages and etc. At that time, I defiantly didn’t understand the importance, but now at the age of the 30, I understand now why he would tell me these things.
One of the most important figures in my career came to our team in the middle the season, his name was Jerome Allen. Like Pietro and Michele, this would also be the last season of his playing career. Much of his career he was considered one of the top point guards in the Italian League.
He called me “his rookie”, I would pick him up to go to practice every day and in turn, he would buy me dinner every night. In between the rides to practice and our “Pasta Pomodoro” dinners, we would have many conversations. I learned so much from these conversations about things both on and off the basketball court. I revert back to a lot of the conversations still today and use them as advice whenever I need them.
Our team was more than just a normal team, the club did a great job of making us all feel like we were apart of a big family. After every game, we would have these dinner celebrations with unlimited food and wine, where everyone from the club and their families would all join together to celebrate the wins. I think this atmosphere was the main reason for our team for having so much success during the season and having great chemistry both on and off the floor.
We ended up making history during the season winning the 2nd division Italian Cup and finished 2nd coming within a game from being promoted to Serie A. Even though we didn’t achieve what we set out, I never considered that season a failure. We were able to still make history and many people in the city, considered that team one of the most memorable teams in the history of the club.
The next season, I had a few offers from Serie A teams but I wanted to go back to Veroli for another season. After being so close, I wanted to come back to try and help the team get promoted to Serie A. Coach Trinchieri left to take a new job at Cantu in the first division.
Our new coach this season would be a Massimo Cancellieri, who I met for the first time during the NBA Orlando Summer League during dinner at Hooters, (upgrade over McDonald’s apple pie. LOL)
Coach Cancellieri, was the complete opposite from Coach Trinchieri. Cancellieri was calmer and laid back. While still demanding, he had a different approach and demeanor towards his players. I would consider him, more of what people call “a player-coach”.
He had a lot to do with my skill development as a player, as he would spend countless hours in the morning working with me individually during the week. I owe a lot to him, because he helped me improve on the skills needed to become a high-level Euroleague player.
We finished the next season more successful than the previous, repeating as Italian Cup Champions. We finished the season as the number #1 seed in the playoffs and advanced all the way to the finals for the 2nd division championship vs Sassari. We had the home court advantage and it almost seemed like the championship and first division promotion was ours for the taken. Unfortunately, we ended up losing the series in 3-1, that game 4 loss was by far the worst loss of my entire life. I personally felt like not only did I let the entire team but I let down the entire city of Veroli down.
I never saw people in the city so excited as when our team made it to the finals. That was the only thing I could think of as I watched Sassari players and their fans celebrate their new championship, I was devastated. I didn’t even ride the bus with the rest of team, I walked to the hotel cause I personally felt responsible and did want to face anybody. I would eventually get over the lost, but now every time I’ve gone back to Sassari that game still haunts me.
That game would be last in Veroli as next season, I would eventually transfer to play in Germany to start my Euroleague career with Brose Basket.
Veroli, the town, and the team will always be special for me as it helped give me many of the first in my career. Without Veroli, I don’t think I would have been as successful in my Euroleague career. Veroli gave me the tools to be successful and help the lay the foundation for my professional career.
Although, I haven’t been there for almost 8 years but my memories of the town and people there are still very vivid. In my two years, I encountered so many people that would end up having a huge impact in my life and career.
It definitely broke my heart when I heard the team fell into hard times and the management decided to close the team. I was disappointed for the people living there because I knew how much an impact the team had on everyone. I secretly always envisioned one day of finishing my career, like it started, and play one final season in Veroli.
I’ve played for some of the biggest teams in Europe and lived in some the biggest cites, but none of them will ever have the same admiration I have for that small town in the Italian mountainside. Thank you Veroli for all that you have given me, thank you to all the great people that I meant there and all the great memories I experienced. Hopefully, we will meet again soon
Always Forza Veroli.
supervision by Marco Pagliariccio, translated by Ivan Belletti
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