Si parla sempre di uomini che hanno cambiato la storia di determinati ambiti e determinate categorie, con la loro attitudine, con le loro idee e con le loro visioni. Steve Jobs, Bill Gates, Joseph Pulitzer, Henry Ford, Jeff Bezos, e alcuni altri.

David Stern è senza ombra di dubbio uno di loro.

E di certo non era un sognatore visionario tenero o accomodante. David Stern era uno squalo, nell’accezione più positiva, lavorativamente parlando, del termine. Come racconta l’NBA Insider per eccellenza Adrian Wojnarowski, il giorno della Draft Lottery del 2007, quando dalle palline uscirono i nomi di Portland, Seattle e Atlanta, qualcuno a Secaucus, dietro le quinte della Lottery, sentì Stern imprecare tra sé e sé:  “Il Northwest del Pacifico e il dannato Sud…..MA DATEMI UN MERCATO IMPORTANTE!”, parlando ovviamente di un mercato televisivo che potesse generare audience e contratti importanti, cosa che evidentemente i mercati di Portland, Seattle e Atlanta non garantivano.

Fin da molto prima della sua nomina a NBA Commissioner nel 1984, Stern fu virtualmente la mente che ribaltò completamente le sorti della National Basketball Association. Dal 1980 infatti, quando fu nominato dall’allora Commissioner Larry O’Brien Executive Vice-President, Stern ebbe una sorta di lasciapassare con carta bianca totale per risollevare le sorti della Lega, che O’Brian non era evidentemente riuscito a risollevare. Una volta avuto virtualmente pieni poteri, Stern si fece la domanda chiave: “Quali sono i principali problemi della Lega?”. Droga diffusa e contratti televisivi carenti, oltre che una grande differenza di budget tra le franchigie, queste furono le risposte.

David Stern nel 1983. Foto di Mario Suriani/Associated Press

Detto fatto.

Totale focus sulla risoluzione di questi problemi. Controlli antidoping severi e sistematici, squalifiche di anni o a vita per la positività alla White Lady (cocaina) fu il primo passo. Vi fu una piccola scremata di talento, certo, ma il risultato fu sorprendente e entusiasmante, anche e soprattutto agli occhi della opinione pubblica. Ripulire la Lega era fondamentale per guadagnare credibilità, e per fare in modo che il modello dei giovani fosse un modello pulito e positivo, lontano da vizi e problematiche illegali e immorali.

Len Bias morto due giorni dopo essere stato scelto al Draft da Boston nel 1986 – foto di Associated Press

Dopo qualche anno Stern successe a Larry O’Brien nel ruolo di Commissioner, e la strada fu quasi subito in discesa. Gli ascolti stavano aumentando, grazie anche al geniale duello proposto e pompato tra Larry Bird e Magic Johnson e le due (presunte) differenti culture e attitudini, la saga Celtics-Lakers stava toccando gli immaginari degli americani, anche di coloro che non avevano mai seguito con particolare interesse la NBA.

Foto di Peter Southwick/Associated Press

La fortuna gli venne anche incontro nel 1984, il suo primo anno da Commissioner, arrivarono nella Lega fenomeni su cui negli anni riuscì a creare storie, sogni, leggende e emozioni, fenomeni come Michael Jordan, Hakeem Olajuwon, Charles Barkley e John Stockton, che furono assolutamente funzionali per la idea di Stern sulla nuova era di comunicazione dei personaggi che popolavano la NBA.

Foto di Charles Bennett (File)

Come detto David Stern sapeva essere anche duro e spietato.

Ad esempio durante l’All Star Weekend 2011 a Los Angeles, durante il braccio di ferro tra i proprietari e i giocatori a riguardo del contratto collettivo che sarebbe scaduto di lì a pochi mesi, Stern, arrabbiatissimo con i giocatori, si recò in entrambi gli spogliatoi della Eastern e della Western Conference, e disse, a muso duro con tutte le sue Stelle:

“So dove la NBA ha nascosto i suoi scheletri nell’armadio, perché alcuni ce li ho messi io”.

Metafora totalmente minacciosa in stile “mafioso”, certo, ma allo stesso tempo un duro ed efficace monito su quanto Stern potesse essere determinato nel raggiungere i propri scopi.

Dai primi anni ottanta fino ai giorni nostri la NBA è stata la regina del marketing applicato, la National Basketball Association divenne un punto di riferimento chiave per tutte le altre leghe sportive, il famoso e famigerato Benchmarking trovò la sua naturale espressione nel guardare e copiare quello che la NBA faceva. E tutto grazie alle linee guida dettate da David Stern.

Nonostante la nomea di squalo delle trattative con proprietari, associazioni, televisioni, giocatori e sponsor, Stern era comunque un uomo di grande umanità. Pochi sanno che nella sua era pre-NBA e pre-Proskauer, Rose, Goetz & Mendelsohn Associated, lo studio associato con cui cominciò a collaborare con la NBA, Stern era motivato a combattere per i diritti dei più deboli e disagiati, facendo volontariato per varie associazioni di sostegno. Quando era solamente un volonteroso e determinato avvocato uscito da Rutgers University (la classica università statale del New Jersey, dalla quale sono usciti fiori di personaggi di spicco della società statunitense a tutto tondo come Jim Valvano, Philip Roth, Roy Scheider e James Gandolfini), il rampante David si dava da fare nel suo New Jersey a vincere cause su cause difendendo GRATIS afro americani in contenziosi legati ad abusi nelle assegnazioni di case in affitto e conseguenti discriminazioni razziali, dimostrando fin da subito una grande sensibilità e integrità umana, mista ad una innata ferocia “agonistica” nel condurre le trattative, cosa che sarà il suo marchio di fabbrica nei decenni.

Photo di Jesse D. Garrabrant/Getty Images

Insomma parlando il più pragmaticamente possibile, tutto quello che abbiamo visto, sognato, fantasticato, nei nostri anni di adolescenza meravigliosamente malata di basket, tutto quello che abbiamo provato nel vedere le prime partite NBA su Italia Uno nei primi anni ottanta, le grandi rivalità tra Larry Bird e Magic Johnson, o tra Bulls e Pistons, il Dream Team alle Olimpiadi di Barcellona nel 1992, The Answer, LeBron James, i Big Three in svariate salse e svariate canotte, i giocatori stranieri che dominano la Lega,  la evoluzione e la bellezza delle produzioni televisive, del merchandising, la diffusione mondiale delle partite NBA giocate in giro per il mondo, la esportazione globale e il reclutamento di decine di Ambassadors per ogni squadra utili per diffondere la storia delle franchigie e delle proprie identità, l’immaginario comune che ci portiamo dentro da anni e decenni (per i più anziani ovviamente, gli appassionati della prim’ora) a riguardo della “mistica” NBA, persino le storie “maledette” della Lega, come il vizio del gioco di Michael Jordan, le scommesse di Tim Donaghy, il razzismo di Donald Sterling, la rissa al Palace di Auburn Hills, qualche fischio “complice” nel forzare alcune serie di playoff a Gara 7 e tante altre situazioni oscure accadute in questi decenni, tutto quanto, bello e brutto, ce lo portiamo dietro e dentro, solo grazie alla visione di David Stern, che voleva una Lega totale mondiale e globale. 

Ovvio che i grandi atleti, i grandi campioni, i grandi allenatori e le grandi organizzazioni di franchigia hanno fatto il loro, e che prima di tutto, lo spettacolo era il loro spettacolo.

Ma l’idea di questo big show, la sceneggiatura, la produzione e la direzione dietro le quinte, avevano l’inconfondibile marchio di Stern.

Per tutti questi ricordi e queste emozioni che abbiamo provano nel corso della nostra esperienza NBA che sta continuando e che continuerà speriamo per sempre, per tutto quello che ha fatto per regalarci al meglio il nostro meraviglioso sport, non possiamo far altro che dire GRAZIE DAVID.

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