Che cos’é la Mamba Mentality?
La risposta giusta non é “essere abbastanza matti da andare al lavoro conciati così” (e, se ve lo state chiedendo, la risposta é affermativa – l’ho fatto davvero):
La spiegazione giusta ed autentica, fornita dal diretto interessato in una chiacchierata con Flavio Tranquillo al primo piano della sede Nike Italia di piazza Gae Aulenti a Milano, é la seguente: 5 sono i pillars su cui l’approccio di Kobe si fonda ed é imperniato.
Nell’interagire col capannello di giornalisti accorsi e nel rispondere alle domande della platea, Kobe li tocca praticamente tutti, fornendoci così preziosi esempi concreti di cosa vogliano dire concretamente, tradotti in pratica:
RELENTLESSNESS: Compete At Everything
“No matter what, you gotta keep going, you gotta win…” – l’abilità di insistere allo sfinimento, competere su ogni possibile fronte, di settare l’asticella sempre altissima… Non solo per la pallacanestro, ma per qualsiasi cosa si faccia:
“Non é strano non dover fare il training camp? Come spendo tutto il mio tempo libero? No. Lavoro. Devo sempre lavorare io (schiocca le dita, ndr), son fatto così. Subito a pensare ‘What’s next’. Quando sei un professionista tutti pensano tu sappia fare solo quello, ma non é così: ho davvero tanti progetti a tenermi impegnato”
“Come spendo le mie giornate dopo il ritiro? Ho davvero tanti progetti a cui lavorare, come ad esempio il libro per bambini che sto mettendo a punto. Il genere é fantasy e mitologico legato ovviamente allo sport. In futuro anche dei film, ma richiede tempo”
“Se lo scrivo io in prima persona? Io sono stato il designer e la mente dietro ogni singolo dettaglio: ho pianificato e creato ogni singolo ‘mondo’, poi per la stesura formale ho 3 professional writers a disposizione, ma il design é interamente mio. Ci lavoro da 2.5 anni”
“La mia scarpa preferita tra le tante che ho prodotto? La PROSSIMA…”
“Se toccherò mai più una palla da basket? Sicuro, così come pero’ é certo il fatto che non lo farò per tornare a giocare da professionista”
“Quale la mia partita che ha racchiuso di più non solo la relentnessness ma anche l’intera mamba mentality? Gara 7 contro i Celtics”
C’é tempo anche per due battute solo tangenzialmente inerenti all’argomento in questione, ma still worth mentioning:
“Cosa ne penso della ‘decision’ di KD? Che sono felice di non giocare più a pallacanestro… La scelta di Durant é stata complicata e sofferta, la sua decisione va rispettata”
“Dopo il lockout sono stato vicino all’approdo a Bologna, mi chiedi cosa é successo? Beh, semplice – il lockout é finito e sono tornato nella NBA”
“Chi il nuovo Kobe? Difficile, ognuno é diverso ed unico. Non ho un nome in mente”
“Come vedo i Lakers? Il talento c’é, e sono molto giovani”
RESILIENCY: Fight Through Adversity
Tornando al filo conduttore della Mamba Mentality, come naturale follow-up al punto precedente, c’è la caparbietà, la capacità di non arrendersi dinanzi alle avversità (celebre la sua frase, che in tanti – sottoscritto incluso – hanno fatto propria: “Everything negative – pressure, challenges – is all an opportunity for me to rise”).
Quali sono state alcune delle avversità che il nostro si é trovato a fronteggiare?
“This shoulder, that knee, this ankle, that finger…”
Come si diceva sopra: “You gotta keep going…”, chi si ferma é perduto.
Anche se non é stato uno degli argomenti trattati in questa conferenza, é emblematico ricordare come Kobe riesca a trovare modi per trasformare il “dolore” in motivazione, basti pensare al fatto che, dopo la sconfitta nelle finali NBA del 2008 contro Boston, ha ascoltato quotidianamente ed ossessivamente la canzone ‘Don’t stop believing’ suonata al palazzo in quella occasione solo per tenere vivo il ricordo della lancinante sconfitta ed il pain derivante dalla conseguente ferita inferta ed accusata.
FEARLESSNESS: Overcome Your Fears
Fondamentale nel modus operandi di Kobe é l’abilità di affrontarle le proprie paure. Come fare? Negarle completamente sarebbe sprovveduto e persino stupido; bisogna piuttosto raggiungere quello stato in cui, pur soffrendole parzialmente, si impara a saperle riconoscere, governare e persino usare a proprio vantaggio.
Un esempio?
“Il camp di Cutigliano (Pistoia): giocai male, ero nervoso sentii troppo la pressione, sbagliai un tiro importante. Quella notte, cercai di capire il perché, di analizzare…”
…e saper sfruttare la cosa a proprio vantaggio: “Grazie alla mamba mentality, adesso il tiro lo prenderei sempre”.
Le paure vanno accettate, ma non bisogna mai diventarne la preda.
Visto che é stata nominata l’Italia, veloce menzione (anche se off-topic) anche per le altre risposte riguardanti il BelPaese:
“Sì, é la mia seconda casa, é qui che sono cresciuto e dove ho avuto modo di evolvere come individuo”
“Se ho considerato venire a vivere un intero semestre con tutta la famiglia in Italia per fare vivere alle ragazze la mia stessa esperienza? Certo, ci ho pensato, ma un intero semestre no – magari per un periodo in estate”
“La mia terzogenita? Molto probabilmente non sfuggirà neanche lei per ciò che riguarda il nome (le altre figlie si chiamano Natalia e Gianna)”
OBSESSION: Sweat The Details
Che il nostro fosse maniacale lo sapevamo già, e se vi serve una ulteriore riprova basti pensare alle stime in termini di tempo che fornisce relativamente al completamento degli altri progetti di cui si sta occupando… 2.5 anni per il libro, tra 3 e 5 per il film… Kobe vuole capire le cose a fondo, analizzarne tutte le sfaccettature, per poi sfornare un prodotto o deliverable, qualsiasi sia il campo, che rasenti la perfezione.
In “parterre” anche il nostro Ettore Messina, ricordato con piacere dall’ex #24 (e #8) gialloviola grazie alla comune ossessione per la pallacanestro:
“Mi sono trovato benissimo col Coach ai tempi di Los Angeles, sono stato felice di averlo. Ha fatto bene, non a caso i San Antonio Spurs se lo sono accaparrato subito. Ha un futuro da head coach nella NBA”
Perché? Il motivo é presto detto, e si collega perfettamente al filo conduttore sullla mentalità e sull’approccio al Gioco:
“Messina ha la mia stessa mentalità: intende e concepisce la pallacanestro nella stessa maniera in cui lo faccio io, studia continuamente il Gioco. Mi piacerebbe lavorare ancora con lui”.
Anche Kobe lo studia, in ogni istante e l’ennesima testimonianza la si é avuta in occasione del clinic del pomeriggio, che verrà descritto poco sotto.
“Come posso aiutare l’Italia del basket? Bisogna assolutamente partire dai giovani, investire su di loro é l’unico modo per far crescere e fiorire il movimento, che deve tenere il passo con gli altri”.
PASSION: Love The Game
Last but not least, nulla funzionerebbe in assenza dell’amore viscerale per il Gioco, ovvero quella disciplina che…
“[…] mi ha permesso di divenire l’uomo che sono […]”.
modellato, formato.
E quando gli viene chiesto se, leaving aside la sua lettera alla pallacanestro scritta per annunciare il proprio ritiro (Kobe chiarisce anche che quelle righe così cariche di significato sono state scritte di getto, in 15 minuti sul suo iPad, dopo aver avuto un’illuminazione a riguardo mentre era bloccato nel traffico di Los Angeles), se non sia il basket a dover ringraziare lui anziché il contrario, Bryant é lapidario é deciso.
“Assolutamente no. Al basket devo tutto, mi ha insegnato ad essere uomo, amico, tutto”.
Nel pomeriggio cambia lo scenario (lo storico PalaLido, in veste speciale per l’occasione…) ma di certo non diminuisce il fascino dello spettacolo: ammirare Kobe studiare cosa gli accade intorno (principalmente sul parquet, ma non solo) è qualcosa di davvero affascinante! Prima di trattarne ed affrontarne i dettagli, pero’, andiamo per ordine…
Nell’attesa del campione NBA, a riscaldare la platea ci pensa Flavio Tranquillo, che si presta volentieri ad intrattenere il pubblico assieme allo speaker ufficiale della manifestazione improvvisando una gara di tiri dalla metà campo per dei fortunati selezionati tra gli attendees. La tenzone in question non basta pero’: Il clinic non comincia ancora e ‘The Voice’ si rende anche disponibile a prendere a domande dal pubblico quando, dopo averne risposte un paio, vede apparire Coach Messina.
Si inizia a far sul serio, quindi: Ettore raduna ragazzi e ragazze selezionate per il clinic nel cerchio di centrocampo, impartisce loro delle direttive ed inizia a supervisionare lo svolgimento degli esercizi assegnati.
Sono passati meno di 120 secondi dal rompete le righe per iniziare coi palloni, che il nostro manda subito un messaggio forte al pubblico, invitato a rispettare la sacralità dell’allenamento:
“Stiam facendo allenamento, se state zitti è meglio! Non per me, per loro…”
é la frase indirizzata ad un chiassoso gruppetto di ragazzi sulle tribune. Just saying.
Nonostante i dialoghi tra staff ed atleti siano di difficile comprensione, sforzandosi, si riescono a carpire passaggi interessanti, come ad esempio i 3 aspetti fondamentali che Ettore sottolinea quando interrompe un esercizio di 3 vs 0 relativamente alle situazioni di “penetra e scarica”: 1) l’importanza dell’angolo scelto (nel passaggio, ma anche nel taglio), 2) l’importanza del non avere fretta, 3) l’importanza dell’andare in contro alla palla quando si aspetta il passaggio.
Non solo preziosi consigli: carota e bastone, come é giusto che sia.
Quando diventa ormai chiaro che il gruppo non riuscirà a portare a termine in tempo utile uno dei compiti impartiti (125 canestri in situazioni di transizione con 3 palloni e 3 conclusioni a campo percorso in 6 minuti), scatta l’adunata a metà campo (il classico “Qui, tutti!”, seguito da fischio) e tutti a fare i piegamenti.
Come segnalato all’inizio dell’allenamento, si é qui per fare sul serio.
Gli esercizi continuano, e l’attesa per Kobe sale: ragazzi e ragazze stessi danno il meglio di sé dinanzi ad un’inusuale platea, ma non riescono a fare a meno di sbirciare con la coda dell’occhio. Quando arriverà?
Inizia ad esserci parecchio movimento in corrispondenza di una delle quattro entrate, finalmente il momento è giunto: Kobe is in da house!
Come pronosticabile e come avete visto in diretta, pubblico in visibilio: il nostro, microfonato e sorridente, si concede un veloce giro di campo per poi afferrare un pallone – aggirandosi tra gli atleti sta subito decidendo dove contribuire, portare “added value”.
Chiari i pattern nel suo linguaggio del corpo; 3 le pose ricorrenti: braccia dietro la schiena, che si alternano spesso a braccia conserte e, soprattutto, a mano a tenere il mento, mentre gli atleti vengono scrutati e scansionati nelle loro mosse presenti, ma anche passate e future: vengono studiati.
Kobe, glielo hanno detto in tanti, sarebbe un ottimo allenatore, ma per ora sembra prematuro e persino riduttivo immaginarlo come tale. Possono tirare un sospiro di sollievo i potenziali giocatori e/o giocatrici, che avrebbero dovuto fare i conti con le sue expectations.
“Numero 2, numero 2!”, sentitelo nel video qui sotto prendere da parte una delle ragazze per spiegarle cosa avrebbe potuto e dovuto fare meglio
Ogni cosa é dosata, pianificata, meticolosamente: esigenza, certo, ma al contempo anche l’accortezza nel piegare all’indietro il microfono per non parlare pubblicamente quando si rivolge alle compagne di una delle ragazze spiegando dove abbia sbagliato.
Sotto i suoi occhi avvengono scontri in uno contro uno: vince chi arriva prima a 3 canestri sia tra giocatori che tra giocatrici, con rispettive finaline di categoria (maschile e femminile).
Conclusasi la maschile, Kobe si rivolge allo sconfitto: “Che é successo? Ti ha battuto. Ma come? Facendo cosa?”. La risposta che il #24 attende e si aspetta tarda ad arrivare, quindi ancora un po’ di probing: “Facendo cosa ti ha battuto?” ed infine la soluzione: “Andando sempre a destra! Non l’hai notato? Ogni singola volta. Mandalo di là, a sinistra”, seguita da un italianissimo “Eeeeh” a rinforzare il concetto quando l’allievo annuisce illuminato.
Mentre il suo staff gli fa cenni relativi al fatto che debbano tagliare corto ed optare immediatamente per la foto ricordo, Kobe non sente ragioni e blocca tutti per dare spazio alle domande dei suoi allievi: é importante abbiano spazio per chiarirsi dubbi ed ottenere risposte, é importante, ricollegandosi alla conferenza stampa della mattina, investire su di loro, affinché il movimento fiorisca, si sviluppi e possa competere con gli altri – del vecchio continente e non.
E se le domande non arrivano, perché li ha presi alla sprovvista, allora é lui a porle – diretto, incalzante, schietto, chirurgico:
“Tu, sì tu… Tu hai perso contro di lei. Perché? C’é qualcosa che avresti potuto fare meglio? C’é qualcosa che hai imparato?”
Se ci pensate, Kobe Bryant non é un insegnante facile da avere: é quel Maestro i cui allievi si lamentano del fatto che sia esigentissimo, piazzi l’asticella sempre molto in alto e renda la loro vita difficile, ma che, sotto sotto, nessuno di loro riesce a disprezzare perché lo fa nel loro interesse e perché non possono non riconoscere come sia lui – sempre e comunque – il primo Studente.
Il Black Mamba, a distanza di cinque anni dall’ultima volta, ha fatto l’appello e Milano (e l’Italia) ha risposto presente.
Quando uno così sale in cattedra e spiega, non so voi, mai io di appunti ne prendo tanti.
Secondo voi, ne han presi anche gli altri?
Looking forward to what’s next.
LGT out.