L’8 Ottobre si è giocata la prima partita casalinga di pre-stagione dei Clippers (vs Portland Trail Blazers), e io c’ero. Siccome c’è una policy molto rigorosa che vieta di fare foto o video negli spogliatoi prima della palla a due, ho pensato di descrivervi tutto quello che ho visto nel tempo concessomi ad osservare la squadra di Los Angeles.Prima di sciorinarvi la lista in questione, qualche breve riga per descrivere il locker room: sulla sinistra si trovano dapprima uno spazio contenente il classico carrello con i palloni, poi una stanza vera e propria che fa da lounge con divani, enormi vassoi con frutta disposta concentricamente, ed un grosso schermo. Proseguendo dritto si arriva nel cuore dello spogliatoio stesso: gli armadietti con tanto di targhe e divise appese (gran colpo d’occhio) sono disposti ad ‘U’ e fronteggiano la “parete video”. Andando oltre, in una zona dove ovviamente nessuno che non faccia parte dello staff può addentrarsi, si ha l’accesso alla sala massaggi ed alle docce.

Ora che potete auspicabilmente figurarvi la struttura, ecco a voi in ordine sparso una serie di curiosità ed osservazioni che un giornalista o qualsiasi addetto ai lavori serio non farebbe mai:

 

  • alla destra di Blake Griffin c’è un armadietto vuoto. Fin qui tutto ok, se non fosse che gli ultimi arrivati, come fossero i due under di turno, non sono ritenuti degni di poggiarsi in quello spazio disponibile ma devono piuttosto arrangiarsi con due sedie pieghevoli dell’IKEA davanti alla parete video e cibaglie che descriveremo poco più giù.

  • alla destra dello spazio vacante ci sono subito i due europei: il Gallo e poi Milos. Al fianco del serbo si trova il rookie Sindarius Thornwell, che dopo le recenti dichiarazioni del suo allenatore sembra riscuotere successo con i media ed attira a sè molte attenzioni.


  • ogni giocatore ha le proprie ciabatte personalizzate: di gomma nera, senza loghi o marche visibili, con lo strappo in plastica bianca e cognome inciso sul lato destro. Vi state immaginando come sarebbero le vostre?

 

  • sempre in tema calzature, prima aggiunta: Montrez Harrell ha riempito le scarpe originariamente di un bianco immacolato con una serie di scritte fatte con pennarelli di colore diverso, stanti a rappresentare cose che vuole tenere a mente e vicine a sè a ricordargli di come, nonostante i vari preconcetti incontrati, ce l’abbia fatta. La maggior parte sono indecifrabili (riferimenti a persone o situazioni con nomi in codice), ma alcune sono esplicite. Tra di esse si staglia: “NOT TALL ENOUGH”.
                  

    Il buon Montrell qui in versione Jar Jar Binks
  • stesso topic (scarpe), seconda aggiunta: Austin Rivers, l’unico che non lesina chiacchiere dal primo all’ultimo minuto (probabilmente a causa del fatto che non scenderà in campo) si sta allacciando ai piedi delle adidas, cosa che salta all’occhio dei compagni e dei reporters nel bel mezzo di una netta prevalenza Nike.

    Partendo da lì, e con un aggancio facile a BBB ed alla relativa signature shoe (che lui non comprerebbe mai, pur rispettando l’intraprendenza della famiglia in questione, e delle quali preferisce di netto il secondo e più recente design), il figlio del coach dalla voce inconfondibile offre uno spunto interessante su Lonzo e Lavar:

    l’odio è potentissimo, non sottovalutatelo. Far leva in questa maniera su sentimenti di odio è una furbata. Costruirsi una fan-base così ed avere un seguito in questa maniera è meglio che non averne. Se si gioca bene e se si mettono su numeri e prestazioni degne di nota, poi, ci vuole un secondo a convertire questa gente in propri sostenitori. E’ cosi che funziona, flippano in un attimo. Mi ricorda molto ciò che succedeva sempre con Zo (Alonzo Mourning). Orde di haters, pronte ad amarlo ed osannarlo quando poi si imponeva sul parquet. Pensateci”.

    La sillaba ‘zo’ è in comune; interessante paragone di Austin Rivers
  • Teodosic esce dalla stanza dei massaggi con un’andatura che ricorda quella del vostro meccanico che si sta per appicciare una meritata sigaretta, dopo aver messo a dura prova le proprie giunture nell’essersi piegato per portare a termine un intervento

 

  • quando gli domandiamo se possiamo disturbarlo con un paio di domande, scatta sulla sedia e sentenzia: “I have to go”. Si alza, ci scuote affettuosamente le spalle e scompare nel tunnel. A fine partita poi, si dileguerà abilmente prima ancora che venga aperto l’accesso ai media, dirigendosi a passo spedito nel parcheggio mentre parla al cellulare. Anche se non abbiamo potuto parlargli, possiamo sempre soffermarci sugli indizi che ci ha lasciato – vedasi sotto.

 

  • Milos è l’UNICO che si è preso la briga di leggere lo scouting report sugli avversari. Se quello degli altri lo si trova nei posti più improbabili, intonso ed immacolato, il suo è stato invece scrutato e riposto a portata di mano metodicamente. Persino noi l’avremmo ignorato in pre-stagione…

 

  • il suo armadietto è il più minimalista di tutti, by far. Non c’è nulla. Spieghiamo meglio: sopra il compartimento in cui viene appeso il materiale da gara (che da vicino è veramente fico; bentornata Nike) ce n’è uno a mo di cassaforte (con tastierino per la combinazione, dovesse servire) nel quale posare accessori od oggetti più cari e da tenere a portata di mano. Il suo è vuoto: unica cosa visibile una sacchetta (di quelle di plastica con la cordicella) buttata a terra.

 

  • visto che siamo in tema armadietti, passiamo a quello del nostro connazionale: al posto della canotta, purtroppo, una camicia celeste su misura doppio ritorto. Il Gallo non sarà della partita, quindi non c’è in spogliatoio nel pre-game. Nello scomparto superiore beauty case Louis Vuitton, orologio ed occhiale da sole tattico;

 

  • sorprendente il medesimo comparto per ciò che concerne gli averi di Blake: per lui 3+ prodotti per la pelle e per il corpo tenuti a portata di mano, per il prima e per il dopo;

 

  • parliamo un po’ del #32, proprio lui, che, contrariamente a quanto fanno solitamente i big delle squadre nei 30 minuti in cui lo spogliatoio viene aperto alla stampa, non si nasconde. Non solo questo, ma non si fa neanche problemi ad interagire come se nulla fosse. Ci mostra le terga (togliendosi i suoi boxer regolari della Nike per indossare quelli da partita) ma soprattutto, arrivato sudato ed a torso nudo dal campo, blasta selvaggiamente – urlandogli – il rookie Jawun Evans, reo di non essere scattato a portargli un asciugamano pulito appena lo ha visto!

    Ecco cos’era quello sguardo spento e bastonato al media day…
  • vale la pena soffermarsi sulla ‘parete video’ menzionata più su, davanti alla quale ci sono le sediole degli under. Un grosso schermo prioetta l’ultima partita degli avversari, i Blazers contro i Raptors. Sotto la TV ci sono curiosamente 4 o 5 iPads che mostrano una “scheda giocatore” dei principali pericoli del roster avversario, contenente altezza, peso e stats. Didn’t see this one coming. Accanto ad essi, poi, cibo abbastanza rusticano. Una scatola di ciambelle di Krispy Kreme che riscuotono parecchio successo prima di scendere in campo,
    ed una serie di vassoi di alluminio contenenti carne o verdure, avvolte nel celophane, a creare questo curioso contrasto con l’angolo tecnico ed a ricordare il picnic dell’infanzia;

 

  • è quasi tempo di andare, l’accesso ai media sta scadendo. Come da considerazioni qui sopra, pian piano ricompaiono gli altri ‘big’. E’ il turno del buon DeAndre Jordan che, tutto vestito di nero, raggiunge velocemente il suo posto. Dando le spalle al centro della stanza (e quindi alla cesta raccoglitrice di panni sporchi), si sfila il doppio paio di calzini che indossa e ne lancia uno con un improvviso no-look… Colpendomi in pieno.

    Una soddisfazione non da poco… Non risponde a domande e si prepara per la partita. L’unica cosa che si fa in tempo a notare è quanto sorprendentemente siano sottili e secche le sue caviglie.

 

 

Usciti dallo spogliatoio, ci si può aggirare clandestinamente ancora per qualche minuto a bordo campo, giusto il tempo di poter constatare come Jerry West faccia sempre la sua porca figura.

“La sai la vera storia sul perché mi chiamano Logoman?”

In un tono meno faceto, per quanto in un evento simile neanche il coach dei Clippers stesso abbia voglia di essere serio esordendo col suo tifo per altre discipline sportive ed entrando in conferenza stampa dopo la partita persa urlando “What’s up dawwwgzzzz?”, qui sotto trovate qualche pillola relativa alle parole di Doc Rivers:

  • non è preoccupato per le condizioni del Gallo, lo è di più per quelle di Austin e Dekker (tutti e tre fuori per l’occasione)

 

  • segnala come con cosi tanti volti nuovi 5 partite di pre-stagione siano poche e ci sarà bisogno davvero di tanti ma tanti scrimmage

 

  • non nota alcuna differenza in termini di affinità sul parquet tra Milos e Beverley a causa del loro comune trascorso europeo nel 2009-2010 all’Olympiacos

  • non è un caso che Blake si stia prendendo sempre più tiri da oltre l’arco dei tre punti, e la confidenza che sta guadagnando in tal senso è una cosa che al coach piace.

 

Per concludere la parentesi semi-seria, ecco a voi il video delle parole di quest’ultimo al termine della partita:


Siccome seri però non lo siamo mai stati, la chiusura la facciamo così, mostrandovi i potenti mezzi NBA per l’intervista lato Portland a fine partita:

Tutto il mondo è paese.

L’NBA la sento un po’ più vicina. Spero che con questo racconto valga lo stesso anche per voi.

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About Author

Valerio D'Angelo

Ingegnere romano malato di palla a spicchi. Lavoro a WhatsApp (ex-Google, ex-Snap, ex-Facebook) e vivo a Dublino, in una nazione senza basket, dal 2011. Per rimediare ho scritto il libro "Basket: I Feel This Game", prefazione del Baso. Ho giocato a calcetto con Pippen e Poz, ho segnato su assist di Manu Ginobili, ho parlato in italiano con Kobe in diretta in una radio americana e mi e' stato chiesto un autografo a Madrid pensando fossi Sergio Rodriguez.

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