illustrazione grafica di Fabio Casirati
articolo di Marco Munno

 

 

Con le principali stelle della NBA, da James a Durant passando per gli ultimi MVP Curry, Westbrook e Harden, ormai arrivati sostanzialmente ai 30 anni, i migliori della generazione successiva cominciano a reclamare il proprio posto quali futuri simboli della Lega.

Il profilo tipico dei vari under 25 ad aspirare al trono, da Anthony Davis a Giannīs Antetokounmpo passando per Ben Simmons, Joel Embiid o Kristaps Porziņģis, presenta un tratto caratteristico: si tratta di giocatori dall’atletismo formidabile e dalle leve lunghissime, alle quali associano qualità, dal ball handling al tiro da fuori passando per la visione di gioco, tipiche di cestisti dal fisico più mingherlino, dominando con un mix di fisicità e tecnica gli avversari.

Nello stilare la lista, però, è d’obbligo inserire uno che non presenta questo tipo di silhouette, anzi che proprio dal punto di vista fisico è indietro rispetto alla media della Lega; tuttavia, a pieno titolo nell’elenco dei papabili migliori cestisti del prossimo decennio, non si può non considerare Nikola Jokić.

Per Nikola non essere notato alla prima occhiata non è una novità.

Ad esempio, il fratello ad essere un prospetto in casa era un altro. Non si trattava del più grande Strahinja, modesto professionista in Serbia, ma di Nemanja.

La pallacanestro era comunque lo sport di casa

Il secondogenito di casa Jokić, che già aspirava ad un’esperienza nei college americani, fu chiamato nell’estate del 2004 da un amico con cui condivideva varie esperienze sui campi da quando avevano 16 anni, quel Darko Miličić che non riusciva ad imporsi a Detroit, in cerca di conforto e di compagnia. Accettò una borsa di studio a Detroit Mercy, ma per un anno e mezzo, fino al passaggio di Miličić ai Magic, si dedicò grazie alle possibilità economiche dell’amico a feste e lussi fuori dal campo; trascurò così il lavoro in palestra e una carriera oltreoceano terminata a fine 2012/2013 con l’ultima partita ai Scranton/Wilkes-Barre Steamers, proprio come Darko con l’ultima in NBA, ai Celtics.

Al ritorno nella città natale di Sombor trovò Nikola, lasciato quando aveva solo 10 anni come vittima degli scherzi da bullo di Strahinja, diventato un ragazzone intorno ai 2 metri con istinti cestistici fuori dalla media. Ma anche con un peso di circa 136 chili e poca voglia di lavorare duramente in palestra, con episodi come quello della settimana di allenamento al Mega Vizura saltata per un problema al polso dato dall’aver firmato troppi autografi; un atteggiamento che portava spesso il padre, il quale al suo approccio sin troppo rilassato preferiva il carattere focoso dei due consanguinei, a chiedergli maggior impegno.

Non proprio l’effige del tipico atleta dominante

Proprio per evitare un Miličić 2.0, i due fratelli cominciarono a seguirlo da vicino, per monitorare il lavoro del talentuoso terzogenito, particolarmente allergico a flessioni e suicidi punitivi, a cui preferiva i 3 contro 3 a metà campo per non preoccuparsi di percorrere l’intero campo per tornare in difesa; ancora oggi continuano a vivere insieme in quel di Denver.

Una Denver cui ha rischiato seriamente di non approdare. Il suo agente Misko Raznatovic, che notoriamente motivava il ragazzo prima delle partite importanti con il curioso “immagina di giocare contro me e mia figlia per dei biscotti al cioccolato”, visto il poco interesse mostrato dalle varie franchigie NBA riguardo ai servizi del suo assistito, dieci giorni prima del draft 2014 aveva addirittura annunciato la rinuncia all’eleggibilità da parte di Nikola.

Raznatovic fu però persuaso nel lasciare Jokić disponibile, per una scelta sulla quale il general manager dei Nuggets Tim Connelly sapeva non si sarebbe suscitato troppo clamore: come da suo programma, il serbo rimase disponibile fino al secondo giro, con il ragazzo addormentato durante la chiamata avvenuta al numero 41 e ESPN che non riprese il momento della selezione in tv, mandando in onda uno spot dedicato a Quesarito, l’ultimo arrivano nei menu della Taco Bell.

Maggiori attenzioni Nikola le avrebbe sicuramente suscitate se si fosse invece presentato al termine della stagione successiva. Rimasto in Europa secondo un piano di sviluppo di Raznatovic che ne prevedeva un consolidamento nel Vecchio Continente prima del passaggio negli USA, divenne infatti il più giovane MVP (insieme a Dario Šarić) della storia della Lega Adriatica, con 15.4 punti, 9.3 rimbalzi (leader dell’intero campionato) e 3.5 assists ad allacciata di scarpe.

Ma se il Barcellona, nell’inverno del 2015, nonostante avesse discusso quasi tutti i dettagli, esitò nel portarlo in blaugrana, dopo che la dirigenza nel viaggio a Belgrado assistette ad una delle sue peggiori partite, per i Nuggets le idee sul ragazzo erano ben più chiare.

Artūras Karnišovas, assistente di Connelly, spinse per portare subito Jokić in Colorado, sostenendo che il necessario lavoro sul deficitario fisico del ragazzo avrebbe avuto una maggiore possibilità di riuscita nella NBA che in Eurolega. Puntando sulla composizione di una piccola colonia europea nella Mile-High City, con il coach serbo Ognjen Stojaković e il centro bosniaco Jusuf Nurkić oltre al dirigente lituano, il ragazzo fu convinto ad affrontare il suo primo viaggio in assoluto negli Stati Uniti, all’età di 20 anni.

Arrivò per lui anche un’altra prima volta, ben più temuta dal ragazzone: gli fu infatti confezionato un regime dietetico ad hoc da Steve Hess, responsabile dei preparatori fisici dei Nuggets, per lavorare su un corpo che presentava133 chili dipeso e il 21% di grasso corporeo. La sua alimentazione fu regolata con la suddivisione in 6 salutari pasti giornalieri invece di una dieta dalle pesanti restrizioni, ma soprattutto fu eliminata la Coca Cola consumata in ingenti quantità giornaliere, per portarlo ai 113 attuali.

In Cina, tuttavia, il suo legame con la Coca Cola resta ben saldo

Pur partendo inizialmente dalla panchina, fece intravedere i primi sprazzi del suo talento nel 18 novembre del 2015: in casa degli Spurs, al cospetto di una leggenda come Tim Duncan, pur perdendo il match per 109-98, mise a segno 23 punti e 12 rimbalzi. Il sospetto cominciò a trovare le prime conferme: no, non si trattava di un nuovo Darko.

Chiudendo la stagione in crescendo stabilizzando la sua presenza in quintetto base, terminò la stagione terzo nelle votazioni per il rookie dell’anno.

In estate, per lui l’impegno con la nazionale: nel Torneo Preolimpico di Belgrado conquistò gli onori di MVP della competizione senza neanche sudare troppo, trascinando la Serbia con 17.8 punti, 7.5 rimbalzi e 2.8 assists a gara alla qualificazione per le Olimpiadi di Rio de Janeiro dove arrivò alla medaglia d’argento, dietro ai consueti vincitori statunitensi.

Nell’annata successiva, schierato inizialmente in coppia con Nurkić ad agire da ala forte, dopo la partita persa il 10 novembre con i Warriors (la quinta nelle prime otto), chiese di fare un passo indietro e partire dalla panchina. Tuttavia circa un mese dopo, successivamente alla sconfitta di 20 punti contro Dallas del 12 dicembre, con un record di 9 vinte e 16 perse coach Malone cambiò il suo ruolo: lo ripropose titolare ma nel ruolo di centro, non affiancato a Nurkić ma al suo posto. Il segnale fu chiaro: nel dualismo con il bosniaco, i Nuggets avevano deciso di puntare su Nikola.

Pian piano The Joker(così soprannominato dal compagno di squadra Mike Miller in difficoltà nel pronunciarne il suo cognome) iniziò a scalare le gerarchie della NBA. Mostrando qualcosa di differente: oltre ai punti (provenienti dalla combinazione di coordinazione in post basso e un ampio range di tiro) e ai rimbalzi, qualità consuete per un lungo, la sua peculiarità è quella delle assistenze ai compagni. I quali sempre di più si accorgono della semplicità nel giocare al suo fianco: basta lasciargli il possesso e tagliare a canestro pronti alla ricezione, sarà Nikola a consegnare palloni col contagiri solo da tramutare in comodi canestri.

Il 3 febbraio 2017, arrivò per Nikola la prima tripla doppia in carriera (nonchè la prima realizzata da un Nugget dopo quattro anni): quella contro i Milwaukee Bucks risulterà la prima delle 6 stagionali, superato solo da Russell Westbrook (con 42), James Harden (con 22) e LeBron James (con 13).

Intorno a lui il team continuò a crescere e fu eliminato dalla corsa playoffs solo a due gare dalla fine della regular season da un canestro impossibile di Westbrook, proprio nella sera della sua 42esima tripla doppia, quella valida per il record assoluto in una stagione:

Nello stesso match, con Russell iniziarono le storie tese che si protrassero anche nella preseason seguente:

Se al posto di Nikola si fosse trovato uno degli altri due fratelli, la questione non si sarebbe risolta in modo così pacato

 

Prosecuzione della piccola rivalità a parte, la stagione scorsa per Jokić ha rappresentato quella dell’affermazione in grande scala, quale certezza per l’intera Lega.

Intorno alle sue letture di gioco, i Nuggets hanno proseguito con la costruzione di un attacco particolarmente prolifico (sesto assoluto della NBA, dopo essere risultato il quarto nella stagione precedente).

Il serbo si è dimostrato davvero un giocatore diverso dagli altri: centri di stampo europeo con particolare attitudine all’assist se ne erano già visti (come Sabonis, Divac o Gasol), ma molto più statici di Nikola, che invece si ritrova anche a condurre in palleggio le transizioni offensive. In un’epoca in cui sono sdoganate le point forwards, ovvero i giocatori con fisico da ali che gestiscono in modo sempre più spinto il playmaking della squadra, con Nikola ci si trova davanti ad un point center.

Non un semplice equilibratore: in grado di trovare linee di passaggio nascoste agli altri, dietro un’andatura dinoccolata cela una visione periferica grazie alla quale pesca i compagni con perle abbacinanti per stile ed efficienza.

Certo, nelle sue prestazioni sono cominciati ad emergere anche i punti deboli. In difesa, il ragazzo ha messo ancora in mostra la poca attitudine ad uno sforzo reso ancor più necessario vista l’assenza di particolari mezzi atletici, con un pessimo 67.9% concesso dal campo agli avversari marcati da difensore primario (il peggiore fra coloro ad aver difeso almeno 5 tiri) e una gran difficoltà nel contenimento nei pick’n’roll:

Con baricentro alto e piedi lenti, non riesce a tenere la penetrazione del palleggiatore nè tenta di opporsi al rollante

 

Il suo contributo è stato comunque d’impatto. Le cifre accumulate a fine annata di 18.5 punti, 10.7 rimbalzi e 6.1 assist, con il 39.6% da 3 in 75 gare non dicono tutto.

Una media di almeno 18 punti + 10 rimbalzi + 6 assists nel corso di una singola stagione è stata registrata solo da altri cinque giocatori nella storia (Oscar Robertson per tre volte; Larry Bird, Wilt Chamberlain e Russell Westbrook per due; Kevin Garnett per una). Tuttavia negli altri casi mediamente il numero di tiri tentati è stato di 20.1, mentre nel caso di Jokić sono stati solamente 13.5.
Inoltre, dei 31 giocatori ad aver segnato almeno 18 punti a gara durante la scorsa stagione, è risultato il 27esimo per percentuale di utilizzo dei possessi della squadra.

Il tutto ad indicare come il ragazzo risulti un passatore naturale, maggiormente portato all’assistenza che alle conclusioni personali (dove è riuscito comunque a registrare una superba efficienza, con un 60.3% di percentuale reale al tiro); primo in assoluto nella Lega per assist in area (36), terzo per assist da situazione di post-up (con 56, dopo due come LeBron James e Draymond Green), ha spesso preferito optare per il coinvolgimento dei compagni anche nei pressi del canestro rispetto alle iniziative individuali, troneggiando sulle difese.

Addirittura, ha concluso l’annata con sole 8 schiacciate, un numero incredibilmente minore delle triple doppie invece messe a segno, ben 10. Fra queste, per non farsi mancar nulla, anche una dall’eccezionale primato, la più veloce della storia: in 14’33” di gioco (chiudendo poi a quota 17 assist…)

I playoffs sono sfuggiti nuovamente per un amen, all’ultima giornata di una regular season nella quale Paul Millsap, acquisito in estate quale complemento di qualità per il Joker (come dimostra il net rating di +9.9 della coppia) ha collezionato solo 38 presenze, limitato dagli infortuni.

Tuttavia la direzione intrapresa dalla franchigia del Colorado è stata chiara: durante l’offseason, ha deciso di legare totalmente il proprio futuro al ragazzo, blindandolo con il contratto più ricco dai tempi di Carmelo Anthony, un quinquennale da 148 milioni (non esercitando la team option da 1.6 milioni con il rischio di perderlo da unrestricted free agent nell’estate successiva, ma offrendogli il massimo salariale da restricted free agent, cosicchè nessun altro team abbia potuto tentare l’inserimento nella trattativa).

La pianificazione è risultata così ben orchestrata dai Nuggets intorno al nucleo dei giovani Murray (21 anni) e Gary Harris (24), oltre al 23enne Nikola, dall’aver permesso di essere in condizione di tentare addirittura il colpaccio in free agency:

Sogni a parte, la partenza stagionale del team guidato da coach Malone è comunque ottima. Con 9 vittorie nelle prime 14 partite (fra cui la prima sconfitta patita dai Warriors), i Nuggets sfoggiano unattacco un po’ meno brillante (ottavoper offensive rating della Lega, pur segnando solo 0.9 punti in meno a gara rispetto alla scorsa annata) mauna difesa d’élite, la quarta in assoluto (con 4.6 punti subiti in meno rispetto alla scorsa stagione).

Con 17.5 punti e 10.4 rimbalzi a partita sinora, le cifre in queste due categorie statistiche per Nikola sono rimaste pressochè simili, mentre quella degli assist è cresciuta di quasi 1 a partita (per la precisione 0.8), valendogliil premio di miglior giocatore della prima settimana nella Western Conference (sesto giocatore nella storia della franchigia a conquistare il riconoscimento per almeno tre volte, insieme a English, Mutombo, Anthony, Iverson e Billups).

Inoltre, ha già messo a segno una tripla doppia; per non perdere il vizio, anch’essa particolarmente stupefacente.

Dal punto di vista difensivo, inoltre, con la strategia cambiata da parte del coach addetto alla difesa Wes Unseld Jr. nell’assecondare maggiormente le attitudini dei giocatori, Nikola sembra trovarsi molto di più a suo agio, dopo aver richiesto di aggredire maggiormente il palleggiatore nei giochi a due, invece di abbassarsi nel contenere:

Dopo aver disturbato la visuale di Stephenson sul blocco portatogli da McGee, recupera su JaVale restando a protezione del canestro dopo il ribaltamento di Rondo, intercettando il passaggio di Kuzma in area pur essendo in situazione di sottonumero

 

Ad oggi risulta il terzo lungo di sempre per partite con almeno 10 assists, a 23, conBoris Diaw, Alvan Adams e Bill Russell superati in questo primo scorcio di stagione. Davanti a lui solamente Chris Webber a 26, il cui sorpasso è solo questione di giorni, e il capolista nel particolare primato, sempre Wilt Chamberlain a 79, il cui aggancio non è certo impossibile proseguendo con questo ritmo.

Allo stesso modo, sembra lanciata la sua rincorsa al primo All Star Game e magari alla prima partecipazione ai playoffs, quelli per cui ha dichiarato di non sentirsi intimidito, dichiarando di affrontare qualsiasi gara come se si trattasse di un’amichevole nella propria cittadina.

Non sarà facile in una Western Conference equilibrata e colma di talento, nella quale però Nikola continua a scalare le gerarchie, affermandosi come una delle principali stelle per il presente e proponendosi prepotentemente per un ruolo da possibile MVP nel futuro: insomma, fra cestisti dal primo passo fulmineo e dall’atletismo straordinario, sembra proprio che nessuno possa più permettersi di snobbare quello ad essersi sempre autodefinito “a fat point guard”.

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