“Indubbiamente, La partita di basket più emozionante che abbia mai visto” (Rick Barry – commentatore CBS)

 

 BOSTON GARDEN @ Boston, 4 Giugno 1976. “The State of Massachusetts”, come avrebbero cantato e ballato quarant’anni più tardi i Dropkick Murphys, ospitava nel leggendario palazzo dello sport cestistico del capoluogo la quattordicesima, non certo l’ultima, Finale NBA. Di queste, i Celtics ne avevano vinte e appese come stendardi, sul tetto del “Garden”, soltanto 12, sostanzialmente frutto del grande lavoro di coach Arnold “Red” Auerbach, in panchina, e della carriera di uno dei migliori centri e difensori della lega mai esistiti, Bill Russell, sul campo. Nel frattempo, “Red” si era spostato di qualche metro verso i tifosi, ma da qualche annetto sedeva sempre lì, al solito posto. Semplicemente, si stava appassionando ad una serie dove gli avversari erano considerati come la classica vittima sacrificale, trattandosi dei Boston Celtics. Stavolta, però, era un po’ più dura. Era un po’ più tesa, e difficile del previsto.

“Red” Auerbach e Bill Russell: anni ’60 = Boston Celtics



Come in ogni storia che si rispetti, ci sono anche “gli altri”. In questo caso, “gli altri” sono i Phoenix Suns: e la loro storia, nello specifico, è leggermente diversa. Entrati nella lega soltanto nel 1968 (Russell aveva appena festeggiato il 10° titolo, per darvi un’idea), erano riusciti ad accedere ai play-off una volta sola sino a quel momento, perdendo una serie di primo turno contro i Los Angeles Lakers. Certo, le cose sarebbero andate in un altro modo, se nel ’69 non si fosse perso il lancio della monetina con i Milwaukee Bucks, che vedeva come posta in palio un tale Kareem Abdul-Jabbar. Dopo un lustro di totale anonimato, il 1976 sembrava davvero l’anno buono: gli antagonisti, però, erano i peggiori possibili, contro i quali i “soli” avevano perso, contando le prime 2 gare della Finale, le ultime 12 sfide consecutive. Sfatato il tabù in gara3, a Phoenix servì un tempo supplementare, e una super difesa sul temuto playmaker Jo Jo White, per riportare la serie in perfetto equilibrio. E così, mentre in quei giorni Adriano Panatta vinceva nella sua Roma gli Internazionali d’Italia di tennis, negli Stati Uniti gli occhi degli sportivi erano tutti puntati su Boston – Phoenix. “The greatest game ever played”. La miglior partita mai giocata.

La copertina di Sports Illustrated, 7/6/1976: Alvan Adams e Dave Cowens

15.000 Spettatori, 2 arbitri, i quintetti: White, Scott, Havlicek, Cowens e Silas per i Celtics; Sobers, Westphal, Perry, Heard e Adams in maglia Suns. In casa Boston, John Havlicek rappresentava l’anello di congiunzione fra passato e presente: sbarcato nella NBA nel lontano ’63, l’ala di origine ceca arrivava a quelle Finals con 7 anelli al dito, e stava continuando inesorabilmente a riscrivere tutte le più importanti voci statistiche della pallacanestro americana: al giorno d’oggi, con 26.395 punti, rimane il 16° miglior marcatore di tutti i tempi della lega.

Di contro, Phoenix presentava una squadra più giovane: basti pensare che Ricky Sobers e Alvan Adams, che formavano l’asse play-pivot titolare, stavano disputando la loro prima stagione. Adams vinse il premio come Rookie of the Year ma, senza dubbio, il giocatore di riferimento della franchigia dell’Ovest rimaneva la guardia, Paul Westphal, scambiato nell’estate precedente proprio dai Boston Celtics, con cui vinse il trofeo nel 1974. Westphal sarà anche un eccellente allenatore (è attualmente vice ai Brooklyn Nets), così come un altro tesserato dei Suns che, però, guarderà tutta gara5 dalla panchina. Stiamo parlando di uno dei Coach più influenti nella storia dello sport statunitense. Pat Riley.

Sì, questo è Pat Riley

L’inerzia dovrebbe logicamente essere a favore dei ragazzi dell’Arizona, ma il caldissimo fattore campo ha la capacità di azzerarla completamente. Boston inizia a razzo: 20-5 dopo 6′, addirittura +20 al terzo time-out chiamato da Phoenix, che perde 8 palloni nel solo 1° quarto e ha poco o nulla da Heard e Westphal mentre, di là, spadroneggia un Havlicek mostruoso, nonostante avesse saltato per precauzione l’allenamento del mattino. C’è una sola squadra sul parquet: emblematico l’ultimo tiro del periodo, chiuso sul 36-18, con Jim Ard lasciato completamente libero per il piazzato dalla difesa ospite.

Photo by Dick Raphael/NBAE via Getty Images

In tutto questo, è giusto ricordare un paio di cose importanti: nel ’76 non c’è il tiro da 3, il che favorisce la tendenza ad avvicinarsi a canestro il più possibile, e non c’è la minima traccia del pick & roll, perché i soli blocchi degni di essere considerati tali sono fatti per permettere l’uscita dei tiratori. Ciò detto, visto l’andazzo, sembra quasi un Boston – Phoenix del 2017: i campioni della Eastern Conference toccano il massimo vantaggio sul 42-20, prima che gli ospiti emettano un sussulto con un parziale di 4-19 concluso da un gioco da 3 di Perry, e da una schiacciata del redivivo Heard. Il match si accende, finalmente: i due lunghi, Silas e Adams, devono gestire i rispettivi problemi di falli; i Celtics tengono agevolmente in mano le redini del gioco, e c’è pure il tempo per un’imperiosa linea di fondo di Don Nelson… cosa impensabile, vista la “linea” del Don Nelson attuale. Si va al riposo sul punteggio di 61-45. Eloquente, indiscutibile, meritato.

Alla ripresa, sono due i protagonisti principali. Il primo è la pubblicità della CBS, che ricorda a tutti (per l’ennesima volta) l’incontro di boxe fra il mitico Gorilla Monsoon, uno degli atleti di punta del wrestling statunitense, e Muhammad Ali, in quel momento storico l’Atleta di punta dell’universo mondo. Il secondo è il già citato play di Phoenix, Ricky Sobers, che approfitta del totale black-out degli avversari – destabilizzati dal 5° fallo di Silas – per siglare in solitaria il parziale che riporta i duellanti in parità, a quota 68. I Suns ci sono, eccome, ma hanno un demerito: non riescono mai e poi mai a mettere la testa avanti, così ci pensa Dave Cowens, dominante sotto le plance, a tenere le compagini a distanza di sicurezza.

CREDIT: Dick Raphael/Sports Illustrated

Sul 94-89, con 1’ da giocare, sale in cattedra Paul Westphal. In ordine: fallo subito, giro e tiro appoggiato al vetro, palla rubata, gioco da 3 punti in contropiede, 6° personale di Charlie Scott. Un tiro libero di Heard consente ai Suns di mettere la freccia, la prima freccia, quando ci sono soltanto 22’’ sul cronometro (94-95): dopo il time-out di coach Heinsohn, Boston si affida a John Havlicek, silente per tutto il secondo tempo ma bravo a guadagnarsi un altro viaggio in lunetta, costringendo l’ottimo Adams a sedersi, lui pure, per raggiunto limite di penalità. 1/2, i Celtics catturano l’offensivo senza riuscire a segnare: quando i campioni dell’Ovest riprendono la palla, però, i secondi da giocare sono ancora 4, e non 3 come erroneamente segnalato dal tavolo degli ufficiali di campo. Quarant’anni dopo, quanto si sarebbe discusso di questo frangente? L’ultima rimessa è un disastro , e finisce direttamente nelle mani dei Celts. Altro errore arbitrale: Silas chiede un time-out a 1’’, l’ineffabile Richie Powers non se ne accorge. Sarebbe stato fallo tecnico e libero, presumibilmente decisivo, per la squadra ospite. Supplementare.

Tutti gli highlights dell’ex di giornata: Paul Westphal

 

Dopo il tempo regolamentare, erano già tutti esausti. Sia moralmente, che fisicamente.” (Coach Tom Heinsohn)

 

Siamo nel drama più totale. La tensione è evidente, la TV nazionale la concentra, spesso e volentieri, sui volti dei due allenatori. 101 pari, le due squadre hanno la palla per vincerla. Di qua Sobers perde palla, dopo una complicata rimessa. Di là si ritorna da Havlicek, che spara un airball dall’angolo e rimanda tutto ai 5’ successivi. Chi vince la partita, vince la serie. Lo sanno i giocatori, lo sanno i tifosi. Non c’è alcun dubbio su questo.

il classico tiro in sospensione di Jo Jo White

Il 2° OT parte con un botta-e-risposta fra Sobers e White: continua con l’uscita per falli dell’ottimo Cowens e, nell’attacco seguente, del centro di riserva Awtrey. E’ ancora White, deciso a riprendersi ciò che gara4 gli aveva tolto, a segnare con il finger roll sopra le braccia protese di Heard, in quella che è da considerare l’azione più bella del match. 109-106, 19’’. Finita? Manco per idea, perché lo sceneggiatore ha ancora voglia di sporcare il foglio. Van Arsdale centra il primo canestro della sua gara e, dopo una rubata ‘felina’ di un dolorante Westphal, Curtis Perry insacca dal mezzo angolo per il vantaggio Suns. 109-110, 5’’. Palla ad Havlicek, come sempre. La volete vedere, vero?

Il vecchio John, marcato da Sobers, deve prenderla sulla linea di metà campo. Gli viene concessa la sinistra ma nessuno raddoppia, giustamente, si arresta a stento e mira, dichiaratamente, alla stabellata. Ritrova l’equilibrio del corpo per non cadere, vede lo Spalding accarezzare la retina. Il Garden impazzisce. C’è mezza Boston in campo, sul glorioso parquet viene gettato di tutto, è festa. Ma non è ancora finita.

Seguono minuti di pura follia. L’arbitro Powers viene colpito deliberatamente da un fan (poi arrestato), i Celtics vengono richiamati dagli spogliatoi e la panchina Suns si vede affibbiare un tecnico per aver chiamato un minuto, questa volta sì, inesistente. Mancano meno di 2’’ ma, nonostante il libero realizzato dai biancoverdi, Phoenix può rimettere da metà campo esattamente come se il time-out fosse avvenuto. Serve un tiro veloce, se lo prende “Gar” Heard: turn-around dalla lunetta con l’uomo addosso. Difficilissimo, non impossibile. 112 pari. E non sembra vero. “Triple Overtime”.

“Avevamo deciso di chiamare un time-out, anche se sapevamo di non averne più a disposizione. Ci interessava soltanto rimettere la palla a metà campo. Non saremmo mai riusciti a segnare in un secondo, partendo dal fondo.” (Paul Westphal)

C’è tempo per un altro colpo di scena, l’ultimo. Dopo il 6° fallo commesso, anche Paul Silas deve salutare la compagnia: e con i lunghi titolari fuori tocca al panchinaro di turno, Glenn McDonald, prendersi il proscenio. Due canestri dal campo, due tiri liberi: Westphal tira fuori le ultime, misere energie, ma sul -2 a pochi secondi dal termine non riesce l’ennesimo recupero della sua commovente partita. Finisce, questa volta sì, e “dopo la mezzanotte”, come avrà modo di sottolineare Dave Cowens. Sul tabellone, è 128-126. Negli annali, è “The Greatest game ever played”.



(tutta) Boston in campo

“Non è stato come giocare 3 supplmentari. E’ stato come giocare 3 partite. In una sola” (Garfield Heard)

 

Come previsto, Boston vincerà la serie in gara6, andando ad espugnare l’Arizona Veteran Memorial Coliseum 80-87. John Havlicek alzerà al cielo l’ottavo titolo NBA, il tredicesimo per i Celtics: Jo Jo White, topscorer del quinto episodio con 33 punti segnati, verrà giustamente premiato come MVP. I Suns torneranno in finale 17 anni dopo, nel 1993, con Paul Westphal in panchina e guidati da un maestoso Charles Barkley, ma beffati, ancora una volta, nelle ultime curve del match decisivo: dalla famosa bomba di John Paxson, dai Chicago Bulls di Michael Jordan.

Recentemente, l’autorevole Bleacher Report ha ribattezzato i Phoenix Suns, non a torto, “The unluckiest team ever”.

La squadra più sfortunata di sempre ci ha regalato la miglior partita di sempre. Applausi.

Buona visione!

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Carlo Pedrielli

Bologna, cestista delle "minors", tifoso da Beck's, cantastorie per sé e istruttore minibasket. Per questo sport darei tutto, tranne il culo.

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