Una capacità di palleggio più ipnotica del neo sul mento della vostra prof di italiano, una velocità di movimento e di esecuzione che farebbe piombare nel più depresso alcolismo Speedy Gonzalez, un tiro da tre più letale di un comizio di Giovanardi di domenica mattina: questo è il mix di talenti racchiuso in quel giustiziere col viso da chierichetto che risponde al nome di Steph Curry.
La stagione appena trascorsa è sicuramente la migliore della sua carriera, arricchita dal premio di MVP della regular season e conclusa in bellezza con la vittoria del titolo NBA contro un Lebron James eroico come Vercingetorige ad Alesia.
Oggi però non leggerete di percentuali, tattiche o altri temi seri, da giornalisti preparati: oggi si tratta di quello che (forse) non sapete di Steph Curry, della sua vita quotidiana e della sua infanzia.
E’ noto che Steph Curry sia figlio dell’ex cestista Dell Curry. Quello a cui forse non tutti hanno fatto caso è che i due hanno lo stesso nome, ossia Wardell Stephen Curry – solita fantasia onomastica dei giocatori NBA – e che quindi dovremmo chiamarlo Dell Curry Jr.
Il nostro è diventato noto con l’abbreviativo del suo secondo nome, ma il suo legame col padre è comunque fortissimo: il numero di maglia che indossa, il 30, è proprio lo stesso del papà.
Lebron è il più famoso figlio dell’Ohio, precisamente di Akron.
Oltre a James, la città della Goodyear ha però dato i natali anche a Curry: era il 1988, e suo padre stava trascorrendo il suo anno da sophomore indossando i colori dei Cleveland Cavaliers . Anche se Steph è in realtà cresciuto a Charlotte, e non è quindi cresciuto negli stessi sobborghi di Lebron, diciamo che, se avessi una moglie in dolce attesa, nel dubbio la porterei a partorire ad Akron: non si sa mai.
Alla fine degli anni ‘90 recitò in uno spot per Burger King, poi riproposto in versione “inspirational”.
Ecco la trama: Dell e Steph condividono un momento padre-figlio mettendo triple – notare il rilascio di Steph che è gia da Brazzers – quando vengono avvicinati da un bimbo pacioccone, il quale si rivolge a Steph e gli profetizza sicuro successo nell’NBA se continuerà ad allenarsi duramente. Conclude con la frase più triste del mondo, ossia “io farò come mio padre e ti guarderò alla tele”, mentre i Curry lo ignorano, chiaramente turbati.
Quel bambino profetico e deprimente sono quasi sicuro fosse un giovane Kim Jong Un.
Nel periodo in cui la famiglia Curry si trovava ormai stabilmente a Charlotte, il giovane Steph andava spesso ad allenarsi in palestra. Un giorno, nella stessa palestra capitò un altro futuro scarsone di nome Kevin Durant: in quel momento Curry stava caricando un tiro da centrocampo – un jumper, non uno dei canonici lanci alla disperata – e ovviamente BANG, canestro pulitissimo che lascia Durant di stucco.
I due giocarono insieme per qualche ora, ignorando che tra dieci anni sarebbero diventati due dei migliori giocatori del pianeta.
Nota di colore: Durant credette che Curry fosse bianco, perchè in da hood non capitava di vedere spesso tonalità di pelle mulatte coma la sua.
La vigilia della prima partita del campionato della high school è sempre emozionante. Talmente emozionante che persino un ragazzino diligente come Steph, all’epoca, si lasciò prendere dall’entusiasmo e dimenticò il suo compito di lavare i piatti dopo cena. Comprensibilissimo. Ma mamma Sonya e papà Dell furono meno comprensivi e non lo fecero andare a giocare il giorno successivo. Niente faccende in casa, niente basket: chissà come reagirebbero certi ragazzini che popolano i campetti, a misure del genere.
Sonya Curry, moglie di Dell e madre di Steph, è salita alla ribalta durante gli ultimi playoff col titolo – meritatissimo – di Milf Curry, ma non lasciatevi trarre in inganno, perché era (ed è tuttora) un’educatrice di ferro.
Ha aperto una scuola che segue il metodo Montessori (ahia), frequentata dallo stesso Steph, e non ha mai fatto mancare una sana disciplina al suo primogenito. Ancora oggi, quando commette più di tre turnover, lo multa di 100 dollari per ogni ulteriore palla persa: poi, a stagione conclusa, va a fare shopping con tutti i soldi raccolti in questo “fondo turnover”. Se non è motivazione questa..
Non lo ripeterò mai abbastanza, soprattutto quando cerco di spiegare perché non mi entri una tripla nemmeno a piangere in aramaico: nello sport, la genetica è importante. E nella famiglia Curry non sono solo Dell e Steph gli atleti: la sorella di Stephen, la ventunenne Sydel, gioca a volley alla Elon University, e il fratello minore Seth pascola allegramente sui campacci della D-League, ma qualche tempo fa era stato chiamato a giocare proprio a Golden State, seppur con poco successo. Anche mamma Sonya in gioventù era una grande sportiva: dopo aver vinto i campionati statali di volley e basket al liceo, continuò a praticare volley alla Virginia Tech, dove conobbe il suo futuro marito.
Quando venne per Steph il momento di scegliere il college, in cima alle sue preferenze c’era quella stessa Viriginia Tech che avevano frequentato i suoi genitori, ma alla fine del liceo non giunse alcuna offerta dall’ università: come fu anche per un altro playmaker di discreto talento, Steve Nash, la sua stazza non esattamente statuaria non ispirò fiducia negli staff tecnici dei college più importanti. Steph dovette “accontentarsi” del modesto Davidson College, anche a fronte delle sole tre offerte che gli furono poste sulla scrivania. I critici e gli scettici, però, ebbero ben presto pane per i loro denti: nel 2006-07 Curry totalizzò 26 punti, 4 assist e 3 rimbalzi di media, classficandosi come secondo freshman per punti segnati – dietro a Kevin Durant – e facendo alzare diverse sopracciglia, tra cui quelle sporgenti di Lebron James, che divenne subito fan del suo gioco e seguì diverse partite del Davidson.
La tipica esultanza di Steph Curry, con le dita puntate al cielo dopo una tripla, è un esempio della sua grande fede religiosa. Ma questa non si limita al praising the lord dopo un canestro segnato: tra le altre iniziative di beneficienza di cui è promotore, è in particolare un sostenitore dell’organizzazione “Nothing But Nets”, che si occupa di raccogliere fondi per la distribuzione di zanzariere nei paesi africani ancora afflitti dalla malaria. Qualche tempo fa si è anche recato in Tanzania per visitare di persona alcuni dei bambini che hanno ricevuto l’aiuto dell’organizzazione.
Inoltre, dopo aver vinto il titolo di MVP della Regular Season, ha donato la Kia Sorento che era in omaggio col trofeo – mica male – all’ East Oakland Youth Development Center.
C’è poco da fare, è proprio un bravo ragazzo.
Uno dei soprannomi più noti di Steph Curry è “The Baby-Face Killer”, nato in riferimento al suo viso da fanciullo e alla sue attitudini di stupratore seriale di canestri dall’arco. Pensate che qualche mese fa – prendere nota, non nel 2008 o nel 2009 – si era recato a cena in una pizzeria e, nel momento in cui ha ordinato una birra, gli sono stati chiesti i documenti per accertare che fosse maggiorenne. Steph ovviamente li aveva dimenticati, e quindi ha dovuto trovare in maniera discreta un impiegato del locale che lo riconoscesse così che potesse bere la sua stramaledetta birra.
Curry e il suo compagno di backourt Klay Thompson sono notoriamente conosciuti come gli Splash Brothers. Questo soprannome è nato da un tweet di Brian Witt, un autore per il sito dei Warriors, dopo la partita contro i Bobcats del 12 dicembre del 2012 in cui i due combinarono, nella sola frazione di gara, 25 punti e sette bombe dall’arco. Il nickname nasce dalla rielaborazione di un altro soprannome assegnato a un duo di compagni di squadra: Josè Canseco e Mark McGwire degli Oakland Athletics, la squadra di baseball della città, che venivano chiamati i Bash Brothers.
Non chiedetemi altro, tutto quello che so di Josè Canseco è che è stato una guest star in un episodio dei Simpsons, e non voglio sapere altro.
Quando i due fratelli Curry, Steph e Seth, giocavano insieme da piccoli, non solo a basket, il fratello minore accusava sempre il maggiore di barare. Ora, guardatevi dentro e ditemi che talvolta non avete pensato anche voi la stessa cosa dinnanzi all’ennesima tripla finita in fondo a quel dannato canestro.
Seth, per essere dovuto crescere con quell’essere a tirarti in faccia, sei tutti noi.
Steph e sua sorella Sydel erano soliti guardare un sacco di film insieme: pellicole che spaziavano da Pretty Princess, con Anne Hataway e Julie Andrews (facepalm doloroso) a The Mask (già meglio), passando per Il Maggiore Payne, il tipico film dato su Italia Uno nelle programmazioni estive( NDR: non c’entra nulla con l’ala dei Timberwolves o con il rookie dei Thunder).
Ancora oggi, talvolta, i due fanno a gara di citazioni su twitter, nello sbigottimento generale.
Concludiamo con una nota romantica: Steph ha incontrato sua moglie, Ayesha Alexander, ad un incontro serale del Gruppo Giovani della chiesa che frequentavano: lui quindici anni, lei quattordici, entrambi timidissimi, ci furono meno parole che in un’intervista a Popovich. Lei gli regalò un pacco di caramelle e corse via.
I due iniziarono ad uscire insieme dopo il liceo: lei aveva intanto intrapreso la carriera di attrice, ricevendo anche un piccolo ruolo in Hannah Montana, quindi il loro primo appuntamento fu nientedimeno che sulla Hollywood Walk of Fame.
La loro relazione, poco tempo dopo, fu messa dinnanzi ad un serio pericolo: forze oscure, provenienti dal peggiore degli inferni, avrebbero potuto dividerli. Infatti, quando giunse il Draft del 2009, Steph era dato come possibile scelta dei Knicks (tuono in sottofondo, Madison Square Garden illuminato da un lampo), e New York era piuttosto lontana da Charlotte, ma per fortuna i Warriors lo scelsero al turno prima.
Ora preparate i fazzolettini: dopo un paio d’anni di fidanzamento, un giorno Ayesha vede arrivare Steph vestito elegante, con capelli appena potati dal barbiere e occhiali da sole scintillanti. Andarono a vedere una partita di pallavolo di Sydell, dopodiché tornarono all’appartamento di Ayesha, dove era in programma una festa con molti dei loro amici. Sul vialetto di casa Steph la fermò e le chiese se ricordasse che quello era il punto in cui si erano baciati la prima volta, dopodiché si mise in ginocchio e le fece la Proposta.
Lei freddamente gli rispose che gli metteva le corna da 4 anni con Kendrick Perkins.
Ok, non è vero.
Lei rispose di sì e da dentro la casa uscirono amici, familari e conoscenti più felici che mai: Steph se l’era organizzata bene.
Un anno dopo nacque Riley, che tutti abbiamo avuto modo di conoscere – per la gioia dei giornalisti – alle conferenze stampa delle ultime Finals, e da qualche giorno si è scoperto che avrà una sorellina.
Prevedo conferenze stampa MOLTO interessanti ad Oakland nei prossimi anni.
Se c’è una morale in tutto questo, è che per avere una famiglia felice basta non andare ai Knicks.
Alle corna con Perkins mi son ribaltato
#SadKnicks