a cura di Marco A. Munno
disegno di copertina di Mattia Iurlano
grafici di Fabio Fantoni
In principio c’era Magic.
Fu Earvin Johnson Jr. difatti a smentire uno dei precetti basilari del gioco fino a quel momento: più sei grande e grosso, più il tuo posto è vicino al canestro. Non che si trattasse di una affermazione senza fondamento: banalizzando, le leve più lunghe sono chiaramente avvantaggiate nel raggiungimento del ferro, per cui piazzarle nei pressi dell’anello fornisce un ulteriore vantaggio. Di contro, un baricentro più alto rende maggiore la strada da fare per il pallone dal parquet alla mano impegnata nel palleggio aumentando proporzionalmente le possibilità di perdere la spicchia; infine, un corpo più voluminoso negli spazi più piccoli presenta ovviamente maggiori difficoltà di coordinazione.
Il 32 dei Lakers però mostrò anche i lati positivi del gestire il pallone forti di una fisicità imponente: con un ball handling di prim’ordine e letture cestistiche sublimi, l’opposizione dei pariruolo su penetrazioni e linee di passaggio era inferiore a causa dello svantaggio in chili e centimetri, mentre quella dei giocatori dalla corporatura simile era resa ben più complicata da una maggiore sensibilità dei polpastrelli e dalla capacità di attaccarli frontalmente partendo ben lontano dall’area pitturata. A testimonianza della versatilità del gialloviola, la storica prestazione di gara 6 della sua prima Finale schierato come centro o l’utilizzo quale ala forte dopo il ritorno successivo al secondo ritiro.
Una tale combinazione di fattori non è certo all’ordine del giorno; per trovarne una simile si è dovuto attendere una decade, finchè nel 2003 non sbarcò nella lega il Prescelto, Lebron James.
Lo spostamento per quanto riguarda il King nella posizione di playmaker accaduto proprio in questo inizio di stagione, infatti, riguarda esclusivamente la grafica di presentazione dei quintetti: di fatto, James dall’alto dei suoi 2 metri e centimetri ha sempre fatto da creatore di gioco per le sue squadre, devastando le difese in penetrazione e punendo sistematicamente aiuti e rotazioni con scarichi arrivati come proiettili con bersaglio i tiratori intorno all’arco da tre punti.
Proprio mentre il Chosen One si avvia verso gli ultimi anni della carriera, se l’eredità sembrava affidata al solo Giannis Antetokounmpo, pare essersi presentato sulla scena il terzo replicante: dopo un anno ai box, nella Lega ha finalmente esordito Benjamin “Ben” Simmons.
I paragoni fra giocatori di epoche diverse, anche se di caratura simile, lasciano il tempo che trovano; ancora meno ha senso tirare in ballo, in mezzo a due leggende del gioco, un ragazzo appena arrivato fra i pro. Tuttavia, rispetto ad uno skill set così particolare, sembra proprio quello tracciato da quei due campioni il solco in cui va ad inserirsi il rookie australiano.
Le origini di Ben sono simili a quelle di un’altra stella del panorama NBA, quel Kyrie Irving ex-Robin proprio di Batman Lebron, con il padre Dave cestista professionista nell’Australia’s National Basketball League, col piccolo ad ammirare le gesta e a cercare l’emulazione. Maritato all’autoctona Julie, si divide fra pallacanestro e i 6 bambini in giro per casa (i 4 del precedente matrimonio di Julia, oltre ad Olivia e allo stesso Ben, tutti cresciuti come fossero fratelli di sangue), portandosi l’intera famiglia da Melbourne a Newcastle per poi farvi ritorno. Proprio nei Tigers, squadra dell’ultima destinazione dei Simmons, diventa una leggenda, con maglia ritirata a fine carriera e l’incontro con un assistant coach, Brett Brown, che ritroveremo anche ben più tardi nella storia.
Simmons però da ragazzo non eccelleva solamente nella pallacanestro, dove dai 7 anni di età competeva in rappresentative con ragazzi più grandi ma anche nel rugby. In questo secondo contesto colleziona svariati riconoscimenti individuali, per talento e correttezza, facendo sfociare questa seconda passione nella pratica del football australiano. E’ a causa di (col senno di poi, grazie ad) una convinzione del coach sul ruolo di ruckman in cui schierarlo in campo, mal digerito dal ragazzo, che lo portò a dedicarsi dai 14 anni esclusivamente alla palla a spicchi.
Ottiene sin da subito visibilità a livello giovanile, dove quindicenne passa per la prima volta per gli Stati Uniti al Pangos All-American Camp per giovani prospetti, facendo alzare più di qualche sopracciglio al mondiale Under 17 dove partecipa sotto età di 2 anni con la natale Australia, medagliata d’argento; da segnalare la sua gara contro la Repubblica Ceca da 26 punti + 10 rimbalzi + 5 recuperate.
Esplosivo in combo con Dante Exum
Il trasferimento definitivo negli USA è solo questione di tempo, con le high schools a contendersi il prospetto il cui nome circola sempre più negli ambienti cestistici. La scelta ricade sulla Montverde Academy, che trascina a tre vittorie consecutive del torneo delle High School, collezionando una sola sconfitta nell’intero triennio e due premi individuali di MVP delle finali, entrando al college come prospetto numero 1 dell’intera nazione per la sua classe di freshman.
Non poteva ovviamente mancare al McDonald’s All American Game
Fra la miriade di premi individuali conquistati e record messi a segno, una sola delusione, ovvero il taglio dalla spedizione della nazionale Australiana senior dal roster finale dei 12 selezionati per il Mondiale 2014; situazione che lo porterà ad una rinuncia temporanea alle convocazioni della selezione per le competizioni future, con l’intento dichiarato però di tornare a rendersi disponibile “al momento giusto”.
Dopo un debutto, non ancora maggiorenne, di questo tipo l’avventura in FIBA non può già finire
In uno dei più classici “one and done” annunciati, Ben frequenta l’università di Louisiana State, spinto dall’assistente David Patrick, padrino di battesimo del ragazzo, fondamentale nel reclutamento del ragazzo da parte di un istituto non di massimo livello. Lì agisce da ala, registrando una doppia doppia di media con 19,2 punti e 11,8 rimbalzi e primeggiando in ogni voce statistica per la sua squadra, escluse le percentuali da 3 punti e quelle ai tiri liberi, ma non riuscendo a guidare la sua squadra all’accesso al torneo NCAA.
Il suo breve percorso universitario non è esattamente rose e fiori; al di là delle ragguardevoli cifre individuali messe a segno, si attira le critiche per un atteggiamento ritenuto non aggressivo a sufficienza, visti gli scarsi risultati di squadra, a fare il paio con un controverso documentario girato.
In “One and done”, che si proponeva di seguire l’iter di ingresso del ragazzo nel mondo dei professionisti, col passaggio obbligatorio per l’anno di college visto il limite di età imposto dalla NBA per accedervi, Ben critica aspramente l’intero sistema NCAA per una mancata retribuzione degli atleti, quando invece essi grazie al loro brand producono ricavi per l’università che li ospita; inoltre spiega come il disinteresse per le lezioni e le conseguenti assenze (per le quali fu punito con una mancata presenza in quintetto base, durata 4 minuti e 30…) fossero giustificate dalla consapevolezza di essere solamente di passaggio verso il prossimo step di carriera sportiva.
L’hype per il suo ingresso nella lega è comunque altissimo: durante l’annata al college aveva già ingaggiato come agente Rich Paul, dell’agenzia di procura Klutch Sports fondata da Lebron James, che nel settore marketing vedeva impiegata la sorella più vecchia Emily, assunta dal 2014 poco dopo l’inizio della corte a Benjamin per assicurarsene i diritti. E come la maggioranza degli atleti assistiti dalla Klutch, firma un contratto per la fornitura delle calzature con la Nike, che gli garantisce 20 milioni di dollari in 5 anni. Infine, anche dal punto di vista squisitamente pop, viene ospitato dal Tonight Show di Jimmy Fallon. Il tutto, senza un singolo minuto disputato in NBA.
Nella Draft Night 2016 è chiaramente deputato ad essere la prima scelta assoluta e sono i 76ers, in piena modalità Process, a selezionarlo dopo la vittoria della lottery con il famoso spoiler dato da Dikembe Mutombo la stessa nottata, qualche minuto prima della scelta; chissà, forse inorgoglito dal fatto che l’animaletto di casa Simmons, una Pogona australiana, sia stata chiamata proprio “Mutombo”.
Durante l’offseason si rincorrono le voci sulle idee dello staff dei Sixers di affidargli le chiavi della regia della squadra, anche se ritenuta piú che altro una sperimentazione da parte di coach Brett Brown (esatto, quel Brett Brown di prima), finchè arriva invece una pessima conferma ufficiale: frattura del quinto metatarso del piede destro, recupero stimato in tre/quattro mesi, con debutto poi posticipato direttamente alla stagione successiva, nel dubbio se sia il malanno fisico a trascinarsi (visto uno stupefacente aumento di circa 15 kg di massa) oppure l’intenzione dei 76ers di perseverare nella collezione di sconfitte in serie per puntare ad un’altra pick di primissimo livello.
Missione raggiunta, quest’ultima, per il front office di Philadelphia; la prima scelta assoluta della Draft Night 2017, annunciata da tempo, di Markelle Fultz viene avvolta dal manto di speranze di compimento del Process, mentre su Ben la nuvola di scetticismo si addensa. Ad esempio, così come nella scorsa stagione, durante l’annuale rookie survey, ovvero il questionario sottoposto alle matricole su chi pensano possa essere il miglior atleta, chi possa avere la miglior carriera e chi possa risultare il rookie dell’anno, non riceve voti a sufficienza per capeggiare alcuna di queste categorie. Non basta il rumor di una ulteriore crescita fisica di circa 5 centimetri d’altezza o l’offseason passata ad allenarsi con King Bron e la sua crew a spazzare via la coltre di dubbi sull’australiano.
Si alza il velo però sulla stagione e dalla prima palla a due emerge invece un ragazzo che sembra avere qualcosa di veramente speciale.
Cosa rende Simmons così particolare?
Relativamente alla stazza, le misure parlano da sé: 208 centimetri d’altezza, 109 chilogrammi, 214 centimetri di apertura alare, 1 metro e 05 di massima elevazione misurata (dato risalente ai tempi dell’università), con una intelaiatura da superba power forward.
Le cifre registrate recitano 17,8 punti, 10,1 rimbalzi e 8 assist di media, con una doppia doppia registrata in ogni gara giocata sinora e l’aggiunta di due triple doppie già messe a segno nelle sole 10 partite disputate nella Lega. Per fare un esempio, per realizzare un’altra coppia di triple doppie, a Jason Kidd son servite 69 partite o a sua maestà Michael Jordan 58. Sempre a proposito di esordienti nel lasso di tempo di 10 gare giocate, l’ultimo a registrare almeno 175 punti e 80 assist fu Chris Paul nella stagione 06/07, mentre l’ultimo a registrare almeno 175 punti e 100 rimbalzi fu Shaquille O’Neal nella stagione 92/93; combinando le due statistiche, però, Simmons è l’unico ad aver collezionato queste cifre in punti (178), rimbalzi (101) e assist (80) da quando i dati vengono stabilmente misurati (stagione 83/84).
Dietro questi superbi numeri, già espressivi da soli delle abilità a tutto tondo del ragazzo, si cela comunque tantissima sostanza.
Difensivamente infatti è impiegato da coach Brown in single coverage principalmente sui numeri 4 avversari, senza disdegnare accoppiamenti con i lunghi delle lineups small ball o saltuariamente con le small forward, con una versatilità che permette di gestire quintetti molto diversi: fatto salvo l’impiego fisso nello starting five di Covington e Bayless, possiamo vederlo giocare da playmaker insieme a Saric ed Embiid, così come da ala con Redick in campo, se non addirittura da point center quando fuori dal quintetto si ritrova un Embiid dai minuti contingentati.
Quello che rende l’australiano però davvero speciale sinora è ciò che riesce ad esprimere nella metá campo offensiva.
Innanzitutto, Ben è mancino, ma padroneggia ottimamente la mano debole; combinando atletismo e coordinazione, riesce quindi ad essere difficilissimo da fermare nei pressi del canestro.
Grazie alle sue leve, molto spesso si ritrova a concludere sopra la testa della difesa:
Eventualmente, estende le braccia prendendo separazione dal difensore in contenimento sulla linea di penetrazione:
Difeso da un atleta di pari taglia, frontalmente riesce a prendere vantaggio grazie alla sua rapidità:
Difeso da un marcatore con la stessa velocità di piedi, lo attacca in post:
Non solo: nonostante la scelta di Fultz, point guard di ruolo, l’idea sul suo impiego da palleggiatore principale è stata confermata in questa stagione e messa in atto sin dal primo possesso. I risultati danno piena ragione al coach: Ben è totalmente a suo agio nel trattamento di palla in campo aperto, a dispetto delle sue leve.
Inoltre, la comprensione del gioco nelle letture più facili e in quelle più complicate è già ad un livello molto alto. Conscio delle attenzioni riservategli in penetrazione, appare sempre in controllo della situazione, muovendosi a testa alta e pescando con regolarità i tiratori appostati intorno alla linea dei 7 metri e 25 appena scattano gli aiuti difensivi:
Senza disdegnare un po’ di spettacolo:
Associando poi la protezione che può fornire al pallone grazie all’imponente struttura fisica, anche linee di passaggio complicate da raggiungere per la maggioranza dei cestisti della lega sono alla portata di Ben:
Di certo, dal ragazzo sono stati evidenziati anche dei limiti. Ad esempio, la shot chart ci fornisce un’idea chiara delle conclusioni prese dall’aussie.
Ben, difatti, ha difficoltà nella meccanica di tiro, con un movimento non fluido e con equilibrio precario, tanto da perorare la causa sul fatto che non si tratti di un mancino naturale:
#Sixers’ Ben Simmons working on his jumpers. pic.twitter.com/yYAEaVwb0I
— Keith Pompey (@PompeyOnSixers) 30 ottobre 2017
Voci dicono che lo staff tecnico dei Sixers potrebbe spingere il ragazzo a cambiare mano di tiro in caso di mancato aumento di percentuali
La teoria non sembra del tutto forzata. Difatti, il ragazzo usa la destra nelle varie azioni quotidiane; possiamo notarlo, ad esempio, nel momento della firma del contratto:
Oppure:
Chiudendo con un lancio dal coefficiente di difficoltà bello elevato:
Per prendere un’intera stagione come riferimento, nell’ultima intera giocata in quel di LSU possiamo notare come circa il 75% delle sue finalizzazioni al tabellone, il 94% dei suoi floaters e il 98% dei suoi post-ups sono stati conclusi con la mano destra. Per un esorbitante totale di 82% di conclusioni che non siano jumpers concluse con la supposta mano debole.
Focalizzandoci tuttavia proprio su questi jumpers mancini, l‘efficacia si abbassa talmente oltre i 3 metri che in questo primo segmento di 10 partite non tenta più di 3,4 tiri a gara oltre quella distanza, con un misero 35,3% , per non parlare di una conclusione da 3 punti sinora mai messa a segno nei soli 5 tentativi. Dato che, in una lega sempre più votata verso l’utilizzo del tiro pesante, fa da particolare contrasto.
Allo stesso modo, è deficitaria la percentuale al tiro libero, con un 60,4% che potrebbe portare presto le difese a pensare ad un hack-a-Ben per limitarlo.
Le percentuali che globalmente dal campo si attestano al 48,7% indicano comunque una selezione di tiri effettuata con buona coscienza delle proprie capacità, non la caratteristica più comune del tipico esordiente.
Le tante qualità individuali sublimano comunque nel momento in cui, in tandem con Joel Embiid, si ritrova coinvolto nel gioco a due simbolico del terzo millennio: quello fra un’ala dalle caratteristiche di una guardia e fra un centro dalle caratteristiche di un’ala.
Il camerunense difatti sembra il partner perfetto per Ben, grazie alla sua pericolosità vicino canestro nonchè il tiro da fuori che non può essere ignorato dalle difese.
Opporsi ad una ricezione vicino canestro di un giocatore con la taglia e la coordinazione di Embiid è impresa impossibile:
La scelta speculativa di concedere il tiro a Simmons, passando sotto sui blocchi portati a suo favore, viene parimenti punita:
Impianti difensivi più organizzati sono comunque preda delle visioni cestistiche di Simmons.
Altra opzione esplorata sinora è quella del cambio sistematico, piazzandogli alle calcagna un difensore che sia in grado di contenere il bloccante senza essere preda di un esagerato svantaggio in marcatura. In quel caso, la rapidità di piedi di Simmons si rivela un ostacolo troppo arduo per il lungo che lo prende in consegna:
Insomma, pur senza un tiro credibile, ad ora il ragazzo si presenta come un totale rebus per le squadre avversarie, in grado di andare oltre lo specchiarsi nel proprio talento per mettere le sue capacità al servizio della squadra. Il tutto, a soli 21 anni, con evidenti margini di miglioramento. E la sensazione di stare vivendo la sola era di Planck, all’inizio della grande esplosione di Ben.
Great Job MAM !!!