Sacramento, CA, 2 Giugno 2002. Nello stato del sole sta andando in scena la battaglia sportiva che sta sconvolgendo l’America. Da una parte i vagabondi, quelli del Nord, che saranno pure la capitale ma sono i figli della “Gold Rush” di cui recita Charlie Chaplin, perché se non avessero trovato l’oro a Coloma a metà ‘800, beh… col cavolo, che questo postaccio infame ora avrebbe gli stessi abitanti di Firenze, e come sindaco Kevin Johnson. Dall’altra, molto, molto più a Sud, gli ex-messicani, oggi gli attori di Hollywood e i benestanti, per cui basterebbe accendere un qualsiasi programma da Mtv in giù per farsi avere un’idea di chi stiamo parlando. E’ una sfida sportiva clamorosa. Non azzardatevi, mai nella vita, a chiamarlo derby.
Mike Bibby, Doug Christie, Peja Stojakovic, Chris Webber, Vlade Divac. Derek Fisher, Rick Fox, Robert Horry. Kobe Bryant, Shaquille O’Neal. Non chiamatelo derby perché, dal Washington al Maine, stanno tutti cercando di far fuori quei due.
Ultimamente ci aveva provato la Portland di Sheed e Steve Smith, la Indiana di Rose e Reggie Miller, la Phila di Allen Iverson. Le ultime due settimane, dopo l’1-1 iniziale, avevano raccontato una rimonta clamorosa e incompiuta dei Lakers da -27; sempre da -24, la celebre tripla dalla punta di “Big shot Rob“. Il palleggio, arresto e tiro di Bibby del 92-91, il roboante 41+17 di Shaq in gara 6. Phil Jackson in conferenza stampa aveva chiamato i locali “contadinotti semicivilizzati”, dopo aver messo la foto di Vlade nell’armadietto del 34: presentarsi all’evento della vita suonando i campanacci delle mucche non migliorerà di certo la loro reputazione, ma contribuirà a rendere l’atmosfera speciale.
Arco Arena. Ne manca una.
“FOR YOU, SACRAMENTO KINGS!” Si gioca in una roba irreale di 17.317 paesanotti inferociti e con un baccano medio di 102,5 decibel, persino mia nonna vi pregherebbe di abbassare il volume. Coach Adelman non ha ancora Stojakovic al 100% (si era infortunato in gara3 della semifinale contro i Mavs) e ripropone in quintetto ancora il rookie dal Bosforo, quella chioma a pois biondi di Hidayet Turkoglu. Sì… esatto. Quel collage bruttissimo mi è rimasto più impresso di quando vidi per la prima volta ‘The Elephant Man’ di David Lynch.
Che “Brother Hedo” sappia giocare, però, non è in discussione: il primo parziale è suo e di Chris Webber, sul 10-7 Jackson è costretto, pensa te, a chiamare time-out. Kobe ne mette 3 in fila, O’Neal comincia ad abusare di Divac e in un attimo siamo già 13-20 per gli altri, quelli stupendi, quelli della Californiabene. Shaq viene messo in panca perché rischia costantemente il 2° fallo, e di là fa l’ingresso in campo l’altro serbo, quanto basta per tornare con la partita in equilibrio: “Peja” si butta indietro dalla lunetta per il +1 Kings, quasi alla sirena il 2/2 ai liberi di Robert Horry.
21-22 al 12′, 13 per Bibby & Webber, 13 per Kobe & Shaq. Sarebbe davvero speciale, con una Bud ghiacciata, un maxischermo e i pop-corn.
Il 2 vs 5 con cui si apre il 2° quarto rende merito al lavoro surreale di Jackson, che deve gestire in qualche maniera gente indimenticabile come Devean George e Samaki Walker, soprattutto mette in luce la bontà della panchina di Sacramento, che gira a mille con il doppio play Bibby-Bobby (Jackson, quello nero). 25 Pari, 35 pari. Medvedenko. L’intramontabile Scot Pollard vola in campo aperto per il +6, prima che il duo delle meraviglie, ormai sulla quarantina, rimetta le cose a posto all’intervallo.
L’impressione è chiara: coach Zen deve cominciare a trovare qualcosa da tutti, altrimenti butta malissimo. Sacramento ha un’altra fiammata e, grazie a Divac e a Webber, si porta addirittura a +9, con una palla senza senso di C-Webb per il suo centro. Dura un attimo: sei punti in fila di Bryant, finalmente Fisher e Fox battono un colpo. Siamo 68-69, e non è che vi possa ricordare, o spoilerare tutto. Quarto quarto.
Ci sono momenti che vengono scolpiti nella mente, nel percorso di un giocatore. Mike Bibby, a 5′ dalla fine, stava rischiando l’immortalità. Poi c’è Turkoglu che penetra, approfitta di un banale errore di Rick Fox – non si aiuta dal lato forte… – e vede in angolo, solissimo, Peja Stojakovic. Corto, storto, senza retina, senza niente. Per la gioia dei paesani, però, la faccia di Bibby è quella di uno abituato ai party di metanfetamine in Breaking Bad. Apre una striscia incredibile, e pareggia a quota 100. Overtime.
102 Pari, 104 pari. 106 Pari. I Lakers capiscono che, in fondo, basta darla sotto ad O’Neal, totalmente immarcabile dopo il 6° fallo di Divac: Shaq tirerà i liberi con 11/15, contro il 16/30 di tutta Sacramento. 106-112. A pochi secondi dal termine della partita, Jim Gray intervista nello stesso momento Bryant e Bibby, con l’intera panchina dei Lakers ad abbracciare il play per quello che stava facendo, nell’immagine più bella della serie più bella che io abbia mai visto.
La storia la sapete. Shaq torna a casa sbeffeggiando Vlade in un famoso video (“you need to go where people know your name” video). I Lakers spazzeranno 4-0 i New Jersey Nets vincendo il terzo anello consecutivo, i paragoni Bryant-Jordan, sempre utilissimi, si sprecheranno. I Kings si scioglieranno qualche anno dopo, Bibby e Webber avevano appena giocato la partita più importante della loro carriera. Divac e Stojakovic vinceranno l’Oro con la Jugoslavia al mondiale di Indianapolis qualche mese dopo, dimenticando, solo in parte, il cross di gara7. George, Walker, Medvedenko, Mark Madsen. L’ingiustizia di questo sport.
Kings e Lakers, già. Quest’anno ad ovest han fatto peggio solo gli Utah Jazz.
Ragazzi, non chiamatelo derby. Quelli lassù s’incazzano..
La serie più bella, concordo. E la tristezza più grande, dopo la delusione di gara 6. Divac grande idolo, il tiro di Peja me lo ricordo ancora in quanto ho la mascella slogata da allora (rimasto a bocca aperta, ma sul serio).
Il mondiale di Indianapolis ha parzialmente lenito le ferite fortunatamente!