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articolo di Daniele Vecchi
alcune parti dell’articolo sono frutto di una intervista di Daniele a Federico
Ricordando la vecchia rubrica su American Superbasket “Barber Shop Conversation”:
-“Chi sei tu Fede?”.
-“Se vuoi ti dico chi sei tu, D”.
-“Mah, come vuoi”.
-“Sul tuo passaporto non c’è scritto niente, sei uno dei pochi veri cittadini del mondo che conosco. Hai un cuore immenso, un talento naturale per metterti nei guai, e un talento sovrannaturale per uscirne”.
-“Ok, adesso smettila, e dimmi chi sei tu”.
“Non so, credo solo che lo sceneggiatore della mia vita mi abbia preso in simpatia”.
Ladies and Gentlemen, Federico Buffa.
Un bambino di terza elementare, da qualche parte in una città di provincia, con il suo zainetto se ne sta ritornando a casa dopo la scuola. Il padre di una sua compagna di classe, un vero ammalato di basket, lo incrocia, sa qual è la sua passione, e dopo averlo salutato, gli chiede:
“Maximo, ma allora ti piace il basket?”, ovviamente conoscendo già la risposta.
A Maximo gli si illuminano gli occhi, senza dire nulla si mette in posizione, respira profondamente, si concentra e dice, al massimo della ispirazione:
“Michael! Jeffrey! Jooordaaan!”
Braccia larghe, occhi chiusi, testa verso il cielo, ispirazione profonda e interpretazione perfetta.
Esattamente come fece Federico Buffa sotto le luci altrettanto perfette dello Studio di Sky a Rogoredo.
Un Federico Buffa nel suo vero e unico elemento, il Basket NBA.
Il suo.
Il nostro.
Se un bambino di 8 anni nel 2022 si cimenta nel verso di Federico Buffa sulle parole di Flavio Tranquillo, parole vecchie di 24 anni ma scolpite nella commossa memoria di chi le ha vissute e rivissute milioni di volte, vuol dire che con il loro talento, emozione, trasporto, e soprattutto totale ed incondizionato amore per il gioco, hanno fatto breccia nei cuori e nelle anime di perlomeno cinque generazioni.
Se un bambino di 8 anni nel 2022 in una città di provincia ce la mette tutta per fare Federico Buffa che interpreta Flavio Tranquillo, vuol dire che questi due, qualcosa di buono lo hanno fatto, per davvero.
Proviamo a partire dall’inizio.
Non è assolutamente facile raccontare Federico Buffa, il miglior narratore della sua vita dovrebbe essere proprio lui. Per dirla alla Luther Blissett nel fenomenale romanzo Q, noi al massimo potremmo essere l’umile servitore indegno servo della Santa Chiesa, e lui il braccio armato della Inquisizione, il Gian Pietro Carafa della situazione, nella prima metà del Cinquecento.
22 ottobre del 1972, alla prima di campionato italiano di Serie A1, la Mobilquattro Milano, la squadra per cui tifava Federico, si trovò ad affrontare la fortissima Forst Cantù.
Il tredicenne Buffa si ritrovò così al primo turning point della sua vita, perché dopo quella domenica pomeriggio la sua vita non fu più la stessa.
La sua vita non fu più la stessa dopo aver incrociato lo Sceriffo del Nebraska, Chuck Jura, appena sbarcato in Italia da University of Nebraska Lincoln.
Il risultato finale vide la Mobilquattro soccombere 81-95, ma nel firmamento cestistico italiano una stella era nata. Alla sua prima partita in Italia infatti Jura segnò 42 punti (degli 81 totali), un piccolo assaggio di ciò che avrebbe dimostrato nei quattordici anni successivi in Italia. Fede ricorda così, con occhi sognanti, quella illuminazione, quasi assaporando di nuovo quelle sensazioni:
“Rimasi letteralmente fulminato. Da allora ho scritto il suo nome su tutti i muri di Milano”.
Amore totale per il basket negli occhi di un ragazzino. Gli occhi di quel ragazzino sono ancora gli stessi, oggi, che guardano la NBA del terzo millennio avanzato. Occhi più esperti, certo, occhi che hanno visto migliaia di partite, le più belle partite della storia, ma che hanno ancora quella stessa innocenza e quella curiosità di vedere e ammirare i protagonisti del nostro sport, lo sport più bello del mondo, che ha comunque bisogno di essere raccontato al meglio.
Le parole di Neffa a questo riguardo sono perfette:
“E poi ci sono i poeti.
Per come la vedo io, sono gli eroi che fanno le imprese, ma sono i poeti che fanno gli eroi.
Una regola che mi sembra si applichi alla perfezione anche allo sport; popolato di super atleti-supereroi e, nella migliore delle ipotesi, di poeti, che sanno trovare le parole per la nostra meraviglia”
Quando nel 1997 Federico Buffa e Flavio Tranquillo cominciarono ad essere le voci delle partite NBA, vi fu l’appuntamento con il destino.
Fu lì che tutto cambiò.
Una nuova era era cominciata.
Un combo inarrivabile ed inattaccabile, sincronizzato, perfettamente equilibrato, ognuno con le proprie peculiarità e ognuno con il proprio stile, ognuno totalmente padrone di ciò che stava dicendo e sempre perfettamente pronto e preparato qualsiasi cosa stesse succedendo sul campo e fuori. Totale padronanza di ciò che stava accadendo, massimo della dialettica, enorme ricchezza linguistica e vernacolare, frasi colorite e vecchi proverbi, il tutto dentro ad una totale e straripante passione per il gioco.
Una cosa mai vista né sentita.
In pochi anni la combo Federico Buffa-Flavio Tranquillo diventò un duo di culto vero, facendo scuola non solo nel basket ma nell’intero mondo del commento sportivo. Assieme avevano creato un nuovo modo di concepire una cronaca, creando loro malgrado una miriade di cloni ed imitatori, inequivocabile sintomo che la nuova era di una nuova scuola stava arrivando. Quella nuova era di una nuova scuola travolse tutto e tutti, nel mondo sportivo, con una onda lunga una ventina d’anni, soprattutto per quanto riguarda Federico Buffa.
Ma qual è stata questa rivoluzione che Tranquillo e Buffa hanno messo in atto? Quali sono stati i punti cardine da loro scardinati, nel “vecchio” modo di fare le cronache?
Innanzitutto la conoscenza.
Flavio Tranquillo conosceva (e ovviamente conosce tuttora) molto bene il gioco, era sempre sul play by play, estremamente descrittivo anche nel riconoscere tipologie di attacchi e difese e non divagava quasi mai, senza mai scadere in argomenti che non erano prettamente collegati alla partita o alla squadra, e soprattutto senza scadere mai nel gossip, nelle opinioni e nelle convinzioni personali. Equilibrio e obiettività massima, senza mai nemmeno per un millisecondo parlare male, denigrare o sminuire nessuno, che fosse giocatore o allenatore o pubblico.
E Federico Buffa? Cultura, preparazione e intelligenza. Lui è stato contemporaneamente il JJ Okocha della Nigeria, il Moses Malone dei Philadelphia 76ers, il Curt Schilling dei Boston Red Sox, il Vernon Maxwell degli Houston Rockets, è stato colui che ha dato classe, bellezza, incisività, simpatia e cultura ad una macchina già perfettamente funzionante, facendola diventare qualcosa di meravigliosamente armonioso e inarrivabile. La sua dialettica, la sua prontezza, la sua preparazione su ogni argomento riguardante gli Stati Uniti e lo sport in generale hanno alzato l’asticella di tutto.
E’ mai esistito prima di lui qualcuno che nella stessa cronaca di basket (o di sport in generale) potesse parlare di Van Gogh, di storia egizia, di Princeton offense, di Fantozzi, del Playground di Venice Beach, di Derek Jeter e i suoi problemi con le ragazze, degli Squallor, di cinema francese o delle percentuali di Ray Allen nel crunch time, senza sembrare mai saputello o spocchioso?
No, mai esistito.
Federico era sempre e comunque educato e forbito, ma dissacrante quanto bastava, e cosa più importante, lo era senza essere mai sopra le righe. Federico regalava perle, non le imponeva come verità. Condivideva il suo sapere durante la cronaca, senza mai prendersi troppo sul serio, e al pari di Flavio Tranquillo, senza mai scadere in personalismi e giudizi soggettivi. A tutto ciò, già tantissima roba, si aggiungevano i rispettivi timbri di voce riconoscibilissimi, e la storia fu scritta.
– Non è un mondo giusto quello dove Avery Johnson ha un Anello e John Stockton no.
– Le cose belle della vita? Michelle Pfeiffer, il cioccolato e Kobe Bryant in campo aperto.
– Piove. Il Gatto è morto. La fidanzata mi ha lasciato… e io tengo ai Clippers.
– Commovente… il suo tiro è più pulito della Casa Bianca. Guardate cosa esce da quella mano… un sonetto! (su Ray Allen)
– La Grande Mela, dove anche la Statua della Libertà, com’è noto, ha già il braccio alzato per ricevere in post-basso, non perdona, anch’essa, in tutti i sensi…
– Eh! Geraldo sale ragazzi, questo è uno schiacciatore come non ne circolano più, la testa è sopra il ferro e come vedete è molto coreografico, cinetico, tersicoreo e poi potente nell’ultima parte. No, no, proprio… stiamo un paio di spanne sopra tutti. (su Gerald Green)
– Ci sono Socrate, Platone e Aristotele, cioè Gasol, Bryant e Nash, che parlano dell’immortalità dell’anima. E poi c’è il giocatore-chiave, cioè Dwight Howard, che è in una stanza a giocare con i Lego e a guardare Scooby-doo.
– Rasheed Wallace? C’è una regalità, una bellezza, una forza in quell’uomo fuori dal comune. Certo, ci sono due problemini psichici… e chi non ne ha?
– Sì, Phoenix è una bella città… oddio, se cerchi un dipinto del Giorgione non lo trovi.
Ma facciamo un paio di passi indietro. Chi era e cosa faceva Federico Buffa quando nessuno ancora lo conosceva?
Federico era un ragazzo tranquillo, frequentava il liceo Alessandro Manzoni di Milano, giocava discretamente a basket, con buoni risultati fece le trafile nelle varie giovanili satellite dell’hinterland milanese, storicamente di alto livello, venendo anche allenato, nel suo ultimo anno di agonismo, da un imberbe Flavio Tranquillo, che mai gli perdonò la scelta di abbandonare la pallacanestro giocata.
Infatti Federico aveva altri progetti per la testa, la sua forte personalità e la intrinseca fiducia in sé stesso avevano già settato e scandito il ritmo dei suoi obiettivi.
E gli Stati Uniti erano il suo obiettivo principale fin dall’adolescenza.
Il suo impatto con il mondo americano e i momenti subito antecedenti, non furono però propriamente idilliaci. Nell’immaginario comune del terzo millennio, un anno o un semestre di studio all’estero, anche negli States, sembra essere una cosa fattibile e quasi di ordinaria amministrazione, mentre a fine anni settanta la cosa era estremamente difficile e problematica.
Le sue parole a riguardo:
“1978. All’epoca era diverso da oggi. Il quarto anno di scuola superiore in USA lo si guadagnava con una selezione e non semplicemente pagando come adesso. Ritiro a Como, sabato e domenica. Io nemmeno passo la pre-pre-selezione, quindi vengo rilasciato alle 13, mi dicono chiaramente ‘Federico, l’America non fa per te’.
Io, non particolarmente segnato nello spirito, cerco un bar perché alle 15, in diretta Rai, si gioca al Palalido Xerox-Cantù, che ero irritatissimo di non poter vedere in presenza, partita ovviamente vinta da Cantù.
Mio padre non la prese male, la prese malissimo, soprattutto perché non sembravo particolarmente contrito. Quando gli dissi che un mio grande amico andava a fare una summer session a UCLA in agosto, lui mi disse di dargli i contatti che avrebbe iscritto anche me.
Scelsi sociologia. Ho ancora il libro di testo.
Atterrai al Kennedy e appresi che era morto Papa Paolo VI. Feci la mia prima apparizione al gym coperto dell’Università nel pomeriggio della mia prima data on campus, e incontrai Wilt the Stilt, a momenti svengo, pensando che Life Can Be Good.
Mai, mai, proprio mai, avrei immaginato che 19 anni dopo lo avrei rivisto nella sua ultima apparizione pubblica a Cleveland all ‘All Star Game 97 nella celebrazione dei 50 Top NBA Players.
Arrivo a UCLA e la mia vita cambia. Chi avrebbe mai pensato che potesse esistere un mondo come quello? La tua piscina è una olimpionica, quando vai a giocare a basket di fianco ci sono giocatori NBA che giocano, quando vai in sala mensa puoi mangiare quello che vuoi quanto vuoi tranne bere alcol, per un ragazzo italiano degli anni settanta quello era un posto che NON POTEVA ESISTERE.
A UCLA per me vi fu comunque poca gloria. Solo un guizzo quando il professor Levy chiese alla platea, con parecchie strafighe in shorts che venivano a lezione coi pattini (botta non da poco per uno che al liceo classico aveva compagne di classe femministe in zoccoli olandesi e gonnellone come andava allora) se qualcuno sapesse chi aveva scritto il De senectute”.
Un’esperienza, quella in terra Bruins, che ancora una volta rappresentò una svolta di vita per Federico, che di ritorno dal suo periodo a Santa Monica, si presentò ad Aldo Giordani alla neonata redazione di Superbasket, e gli consegnò, con discreta sfacciataggine, un articolo riguardante la sua esperienza negli States, come detto cosa poco usuale per i tempi.
Aldo Giordani non si dimostrò particolarmente impressionato, ma capì subito il potenziale comunicativo del giovane Buffa, e con grande soddisfazione di Federico, il martedì successivo, giorno di uscita del settimanale, l’articolo venne pubblicato.
In quel momento il nome di Federico Buffa cominciò a diffondersi.
La prima metà degli anni ottanta di Federico fu un coacervo di esperienze, lo studio per la laurea in giurisprudenza, l’inizio di lavoro di procuratore (mestiere ancora agli albori, soprattutto nel basket), e soprattutto i numerosi viaggi all’avventura negli Stati Uniti, dove raccolse in prima persona testimonianze del mondo NBA e NCAA, viaggiando per l’America con mezzi di fortuna e senza “budget”, solo con la voglia di conoscere e di apprendere il più possibile da quel sogno che stava vivendo, ovvero essere dentro alla propria passione e renderla una realtà.
Grazie alle sue numerose trasferte oltreoceano, la rivista Superbasket si arricchiva dei suoi racconti e dei suoi report, diventando ben presto un punto fermo del settimanale di Aldo Giordani.
Il lavoro di procuratore insieme a Dario Santrolli si stava sviluppando molto bene anche grazie ai frequenti viaggi di Federico negli States, che riuscì a creare una fitta rete di contatti (di ottima qualità, come potevano essere Rick Majerus, Frank Layden o un giovane RC Buford).
Come ben presto tutti ci saremmo accorti, la dialettica, la preparazione, la voglia di apprendere e migliorare non mancavano, a Federico, che cominciò a lasciare il segno non solo sulla carta stampata e nei rapporti interpersonali con persone di rilievo nel mondo del basket, ma anche nell’etere.
Nel 1984 divenne infatti il commentatore delle gare dell’Olimpia Milano, a fianco di Flavio Tranquillo, ma a ruoli invertiti, ovvero Federico che conduceva la cronaca e Flavio che interveniva come color commentator.
Federico aveva il vento in poppa, lanciatissimo nel destreggiarsi tra cronache, mercato giocatori e viaggi negli States. Nel 1985 fece un rapidissimo cameo all’aeroporto di Malpensa assieme a Micheal Jordan, intervistato dalla Gazzetta dello Sport con Federico come interprete.
Nella foto si può notare il taglio di capelli di Federico, prossimo alla partenza per i Militari (il famigerato CAR a Macerata, Caserma Armando Di Tullio), a studi universitari praticamente ultimati. La Laurea in Giurisprudenza arrivò l’anno seguente con il voto di 110 e lode, mentre nel 1987 fu protagonista della sua prima cronaca televisiva, su TV Reporter.
La premiata ditta Santrolli-Buffa nel mentre stava oramai lavorando a pieno regime, cominciando a portare in Italia giocatori e giocatrici di primo livello come Debra Rodman, Tanya Pollard, Vincent Askew e l’indimenticato Mike Mitchell, scomparso nel 2011, uno dei giocatori più amati nella storia del nostro campionato.
Con i primi anni novanta la passione per la comunicazione e per le cronache, e ovviamente l’altissimo livello delle sue prestazioni, lo portarono ad abbandonare gli impegni di procuratore per concentrarsi sulla carriera di commentatore. Cominciò a commentare il Basket NCAA sempre assieme a Flavio Tranquillo, per poi iniziare nel 1994 come color commentator a Tele+, sempre in ambito NCAA.
Nel 1995 Tele+ acquisisce i diritti del Basket NBA, e qui la storia che tutti conosciamo ha inizio.
La voce di Federico nel commentare NBA Action diventò una incontrovertibile icona per tutti gli appassionati, voce che accompagnò anche Flavio Tranquillo durante le cronache, fino a diventare il combo che ha totalmente cambiato il modo di concepire le cronache sportive in Italia.
La fama della coppia Tranquillo-Buffa raggiunse apici che nemmeno Federico credeva.
Durante una delle NBA Finals commentate on site dal combo Buffa-Tranquillo, venne a presentarsi a loro il noto scrittore Alessandro Baricco, pure lui appassionato di basket, andò per conoscerli, e fu quello il momento in cui Federico cominciò a rendersi conto che stavano facendo davvero qualcosa di importante, che erano diventati loro stessi un punto di svolta, un turning point.
Nel 2003 Federico, notoriamente accesissimo tifoso del Milan, cominciò ad apparire anche sugli schermi di Milan Channel, parlando di calcio e cominciando ad aprire una porticina al di fuori del basket.
Uno dei ricordi più importanti di Federico fu la notte della Finale di Coppa dei Campioni al Camp Nou di Barcellona contro lo Steaua Bucarest, il 24 maggio 1989 (ricordo molto importante anche per chi scrive, bellamente in fuga dal servizio militare per prendere il treno speciale in partenza da Milano Porta Garibaldi in direzione Catalunya. Diserzione all’estero, dieci anni di carcere militare rischiati).
“Dopo il trionfo del Milan, di ritorno in macchina assieme ad alcuni amici il giorno dopo, ho partecipato al rituale ritorno lungo la autostrada francese, molto ricca di caselli, a cui i tifosi rossoneri diretti verso l’Italia, non mancavano di fermarsi, scendere, raggrupparsi e cantare vittoriosi sventolando le proprie bandiere, tra l’imbarazzo e l’insofferenza dei casellanti e degli avventori francesi”
Non sono state sempre rose e fiori, le stagioni di Fede a Sky.
Vi furono anche momenti bui, per lui, momenti di sconforto che ne hanno fatto vacillare la sua grande fiducia in sé stesso e che per qualche millesimo hanno oscurato il suo carisma. Bisogna precisare a scanso di equivoci che Federico è sempre stato e sempre sarà una persona educata, gentile, sorridente, che sa stare al suo posto, che non invade mai gli spazi altrui e che non contesta mai le decisioni prese dai colleghi, che siano da lui condivise oppure no. Ai primi di ottobre 2011, Federico fece la sua prima apparizione a Sky Calcio Show, e fu una delle sue peggiori giornate lavorative. Non si sentiva assolutamente a suo agio in quel ruolo, e ben presto capì che quello non era il suo posto, e che quel tipo di trasmissione non era cosa per lui.
Il giorno dopo, ancora segnato dalla brutta esperienza di 24 ore prima, partecipò alla consueta riunione redazionale settimanale, dove incontrò l’allora direttore editoriale di Sky Sport Giovanni Bruno. Una delle cose a cui Federico teneva di più in quel periodo, era commentare le Olimpiadi 2012 a Londra, di cui Sky era anche partner di produzione, il che significava un dispiegamento di forze e risorse importante, a fronte di questo evento di primissima categoria. Nel basket sarebbero state le Olimpiadi di Stati Uniti-Spagna, sarebbe stato un torneo fantastico, e per Federico sarebbe stato un onore e una grande emozione commentare quel grandissimo evento.
“A quella riunione chiesi a Giovanni Bruno se poteva esserci una vaga possibilità di poter commentare il torneo di basket. La risposta di Bruno fu netta, sintetica e lapidaria. No.”
Umilmente e tranquillamente Fede prese atto della risposta del Direttore, ma dentro di sé ci rimase malissimo, non riuscendo a spiegarsi la motivazione di quella scelta editoriale. Federico rimase a commentare la NBA su Sky per altre due stagioni, prima di lasciare definitivamente il microfono cestistico e di scindere la combo con Flavio Tranquillo.
Inutile negare che la defezione di Federico Buffa dal Basket NBA fu un trauma per tutti gli appassionati di basket, che ebbero però, fin da quella stessa estate, l’occasione di vedere Fede in un altro ruolo, quello di opinionista ai mondiali di Calcio 2014 in Brasile. L’umiltà e la voglia di fare le cose al meglio di Federico trovarono il loro naturale zenit nel modo in cui si è presentò a quei Mondiali, in punta di piedi, silente e come sempre ricettivo. Federico Buffa si presentò a Rio De Janeiro con il suo personale autore Carlo Pizzigoni, svolgendo il suo lavoro in team con il suo collega, come sempre alla grande.
Ovvio che per tutti noi malati di basket la vera superstar di quei Mondiali di calcio era lui, ma la sua umiltà e la sua rispettosa attitudine da profilo basso “stai zitto e ascolta” ha insegnato tanto anche a colleghi e addetti ai lavori.
Federico elogia Victor Hugo Morales, telecronista, scrittore e giornalista uruguaiano: un momento meraviglioso
Da lì è partita un’altra “unit” della vita professionale di Fede, quella che l’ha consacrato definitivamente come il più grande narratore sportivo (perlomeno) contemporaneo: monografie televisive sportive ad amplissimo raggio.
Abbiamo tutti sotto gli occhi le sue emozionanti narrazioni su Michael Jordan, su Diego Armando Maradona, su Pelè, sul calcio argentino, su Muhammad Alì, su Gigi Riva, su George Best, sulla vittoria italiana nella Coppa Davis del 76 e molte altre.
Federico è anche diventato un ottimo attore di teatro, con all’attivo alcune bellissime pièces teatrali come Le Olimpiadi del 36, il Rigore che non c’era e l’ultima, sempre per la regìa di Marco Caronna, Amici Fragili, la storia dell’incontro tra Gigi Riva e Fabrizio De Andrè.
La cosa veramente bella di Federico è che continua a mettersi alla prova, alzando sempre più l’asticella del proprio talento, mettendosi continuamente in gioco, non accontentandosi e soprattutto non essendo mai la fotocopia (che in molti personaggi pubblici diventa pantomima) di sé stesso.
Federico Buffa ha sempre amato viaggiare, conoscere, confrontarsi e scoprire, tant’è che alle domande di rito “hey Fede, allora quando ci becchiamo?”, le risposte erano sempre “eh D, sono in Giappone”, “no way D, sono negli States”, “non ce la faccio, sono in Francia”, “mi sa che non riesco, sono in Corea del Nord” e così via.
Questo suo costante viaggiare a tutto tondo lo ha portato giocoforza a visitare luoghi meravigliosi, anche se di tutti i luoghi che ha visitato, due sono stati i viaggi che lo hanno segnato, per motivi differenti.
2020, Cile. Uno stupendo viaggio nella meravigliosa terra cilena, che coincise però con l’esplosione della pandemia. In Cile la pandemia ancora non era esplosa, e le leggende metropolitane a riguardo degli europei, soprattutto degli italiani, visti come untori del virus quasi peggio dei cinesi, si sprecavano. Il risultato fu che Federico venne trattato come un appestato, soprattutto da turisti americani. La conseguenza fu che Fede era sempre in giro con una guida “personale”, nel senso che era sempre da solo perché nessuno voleva fare le escursioni e i viaggi con lui in quanto italiano.
Il top del misticismo però Fede l’ha vissuto nel 2003, in Iran. Assieme a una guida locale che gli ha fatto visitare tutti i luoghi culto della meravigliosa cultura persiana, Federico si è trovato alle Torri del Silenzio a Yazd, esattamente nel centro dell’Iran, luogo di culto della religione monoteista zoroastriana. Le meravigliose Torri sono state per secoli il luogo dove i corpi dei defunti venivano depositati per essere decomposti, distrutti e mangiati dagli uccelli, secondo i dettami della religione che imponeva la assoluta non contaminazione dei corpi.
In quel luogo mistico, Federico ebbe una sorta di illuminazione/folgorazione, e disse alla guida, con il quale aveva già visitato parecchi luoghi e con cui aveva instaurato un rapporto di amicizia:
“Guardaci, siamo due uomini caucasici, appartenenti a religioni semitiche, e siamo qui, in questo luogo, che è la culla di una religione monoteista”.
La guida, scafata ed abituata a stranieri di qualsiasi tipo che visitavano il paese, colse la meraviglia di quella ispirazione, colse il misticismo del ragionamento di Federico, e disse, stupefatto:
”In effetti non l’avevo mai vista sotto questo punto di vista”.
Immensa umanità, immensa sensibilità, immensa curiosità, immensa passione.
Questo è Federico Buffa.
Dopo aver marchiato a fuoco almeno tre generazioni di giovani e meno giovani malati di basket, di addetti ai lavori e di commentatori sportivi ad ogni livello, oggi Federico Buffa, che non commenta una partita NBA dal 2014, si esprime così, sul SUO Basket NBA, nel 2022:
“Mi guardo tutte le partite. Quando vedo qualcosa che m’entusiasma salto sul divano e commento in slang NBA, tipo ‘La Melo put his defender in a cha cha slide’… shit like that… mi guardo le partite due o tre volte, per me è divertimento puro”.
Un coro da stadio si alza in tutta Italia ed esplode nel boato “UNO DI NOI! FEDERICO UNO DI NOI!” Semplicemente perché lui è veramente uno di noi, uno che ama visceralmente il nostro sport, senza fronzoli, senza compromessi, senza filtri, senza lamentele, senza dietrologie, al contrario di molti altri.
Federico Buffa ha ancora il merito e la saggezza umana di stupirsi e stupire. Sperando che continuerà a farlo ancora per molto tempo.