articolo di Daniele Vecchi
North Philly, subito sotto Germantown, uno dei tanti ghetti di Philadelphia. Arrivo al campus della LaSalle University, coach Giannini mi aspetta nel suo ufficio.
Saluto il custode che ormai mi conosce (gli ho rotto le scatole per mesi per farmi entrare e fotografare tutto del campus!), e mi avvio verso l’ufficio del coach.
Entro nella palestra adiacente alla Tom Gola Arena, e sento l’inconfondibile rumore del pallone che rimbalza, riverberato dalla altezza della palestra.
Un giocatore sta facendo allenamento da solo, con un coach e con un ragazzo che gli prende i palloni.
E’ Rasual Butler.
Mi vede mentre guardo un secondo del suo allenamento e mi saluta, “hey”, per poi girarsi e continuare a tirare.
C’era caldissimo a North Philly in quel luglio del 2006.
Prima di ritornare in Italia quella mattina ero determinato a passare a salutare coach John Giannini, persona meravigliosa e sempre disponibile, che avevo conosciuto il marzo precedente proprio nella Tom Gola Arena durante la mia visita per scrivere il libro Philadelphia Basketball Stories. Quella volta Coach Giannini, sapendo che ero italiano, mi accolse con entusiasmo, parlandomi delle sue visite a parenti in Italia e dicendomi quanto la sua squadra facesse schifo.
Quell’anno infatti l’unico giocatore degno di nota uscito da LaSalle fu Steven Smith, un classico journeyman europeo, visto anche in Italia a Bologna.
Quel giorno di luglio avevo sentito telefonicamente Giannini, e avevo appuntamento alle 11.30 nel suo ufficio. Per salire da lui dovevo passare attraverso la palestrina di fianco all’Arena, dove vidi fugacemente Butler.
Una volta nell’ufficio di Giannini gli feci una breve intervista sul suo programma di reclutamento e sulla sua convinzione che LaSalle potesse fare molto bene negli anni futuri (convinzione che infatti si rivelò fondatissima).
Quando venne il momento di salutarci mi disse “hai visto chi c’è che si allena?”.
Io risposi “certo, c’è Rasual Butler”.
Pur non avendolo mai allenato (Giannini arrivò a LaSalle nel 2004, Butler uscì nel 2002), Giannini conosceva bene Butler, che ogni estate ritornava a casa Explorers per allenarsi.
Mi disse quanto Butler fosse modesto, lavoratore, puntiglioso e dedito al proprio lavoro. Mi colpirono le sue parole:
“He realized he’s not a superstar, and he’s working hard to become the best role player in the League”.
Nell’androne di ingresso all’Arena ci fermammo a parlare ancora, quando uscì Rasual con la borsa, assieme a colui che poteva essere il suo coach, o trainer.
Si fermò a salutare Giannini, che mi presentò a lui, ridendo, come “fellow goombà, italian journalist”, Rasual rise a sua volta e mi strinse la mano.
A suo tempo, qualche anno più tardi, scrissi anche un articolo su di lui per American Superbasket, vedendo come di anno in anno il suo lavoro per essere un grande role player stesse dando i suoi frutti.
Furono mitiche le parole di Gregg Popovich nell’ottobre del 2015, quando dichiarò che il motivo per cui aveva tenuto Rasual Butler per la stagione era che gli portava i cupcake ogni giorno e che era gentile con lui, un modo per trasmettere quanto era importante avere un veterano con quell’etica del lavoro nel proprio spogliatoio (onde comunque essere tagliato dagli Spurs nel marzo del 2016).
Rasual è l’ennesimo giocatore NBA proveniente da Philadelphia (Coral Reef, tecnicamente ancora nel New Jersey, nei sobborghi di Camden, sfiorata dalla NJ Turnpike, ma facente già parte dell’agglomerato urbano di Philadelphia, “espansosi” da oltre il fiume Delaware, confine della Pennsylvania), proveniente dalla Roman Catholic High School, scuola superiore in downtown Philly (Broad Street, a pochi passi da City Hall) dalla quale sono passati molti grandi personaggi del basket philadelphiano, come il compianto Eddie Griffin, Marc Jackson, o il cuor di leone di fortitudina memoria Dallas Comegys, senza scomodare altri philadelphiani protagonisti nel tempo con altre High School come Rasheed Wallace, Kobe Bryant, Wilt Chamberlain, Earl Monroe, Dion Waiters, DaJuan Wagner, Aaron McKie, Malik Rose, i gemelli Morris, Cuttino Mobley, Adonal Foyle o John Salmons.
Come molti ragazzi di Philadelphia, Rasual decise di rimanere in città anche all’università, pur avendo la possibilità di scegliere tra parecchie proposte di borse di studio per il basket provenienti da tutti gli States.
Rasual optò per il campus di LaSalle, storicamente l’”Anello debole” della confraternita philadelphiana della Big Five, ovvero LaSalle, Saint Joseph, Villanova, Penn e Temple.
In quattro stagioni in maglia Explorers, Rasual totalizzò una media di 19.3 punti e 6.4 rimbalzi (nel suo anno da senior ne catturò 8.9 di media) a partita, venendo selezionato due volte per il First Team All-Atlantic 10 e due volte per il First Team All-Big Five nei suoi anni da junior e da senior, cifre che gli valsero la chiamata al secondo giro del Draft Nba 2002, chiamata numero 52 dei Miami Heat (scelta arrivata da Detroit), una chiamata effettivamente tarda, per il reale valore del giocatore.
Dopo i primi tre anni a Miami, con medie offensive attorno ai 7 punti e un impatto sulla NBA non propriamente da superstar, viene ceduto ai disastrati New Orleans/Oklahoma City Hornets, dove Rasual comincia a rendersi conto di ciò che Coach Giannini disse, ovvero che difficilmente potrà essere un giocatore di primo piano.
Realizzato questo, Butler si concentrò sul suo gioco, su come valorizzare al meglio le proprie caratteristiche per ritagliarsi un ruolo comunque da protagonista nella NBA. Essere non solo un buon cambio dalla panchina, ma essere qualcuno realmente in grado di cambiare le partite venendo dalla panchina, questo arrivò ad essere Rasual Butler.
Forte nelle uscite dai blocchi per prendersi una tripla, sempre pronto a partire in contropiede, pronto a prendersi responsabilità offensive quando le superstar della propria squadra sono in difficoltà, questo è diventato Rasual Butler all’incirca dalla stagione 2006/2007 in maglia Hornets, chiudendo la stagione con 10.1 punti a partita, in una squadra però perdente.
Con la crescita di Chris Paul a New Orleans gli Hornets diventarono una squadra da playoff, e Rasual Butler si rivelò una pedina fondamentale.
Nella stagione 2008/2009 Rasual concluse la stagione con 11.2 punti di media a partita, tirando con il 39 % da tre punti.
Nella stagione successiva fece ancora meglio in maglia Los Angeles Clippers, 11.9 punti di media, peggiorando però abbastanza sensibilmente le percentuali da tre, con il 33%.
Alla sua nona stagione NBA cominciò la parabola discendente, mezza stagione ancora a Los Angeles, poi Chicago, Toronto, Indiana, Washington e San Antonio. Pre season con Minnesota nel 2016, poi il ritiro.
Rasual Butler era un Reggie Miller o un Ray Allen meno incisivo, meno dotato e molto meno talentuoso, ma con la stessa etica del lavoro, attenzione, dedizione e cura dei particolari.
Rasual Butler è morto ieri in un incidente d’auto assieme a sua moglie Leah LaBelle, a Studio City, in California. Aveva 38 anni.
Messaggi di cordoglio da tutti, sue ex squadre, suoi ex compagni di squadra, storici avversari o concittadini, come Kobe Bryant, che twitta “Rest in Peace my brother”, o persone legate a Philadelphia come Allen Iverson, “Rest easy my brother. See you when I get there”. Poi Marcin Gortat, Markeef Morris, Matt Barnes, Garrett Temple, Paul Pierce, Dwyane Wade, Drew Gooden, solo per citarne alcuni, tutti insieme nello sgomento di questo momento.
Rasual Butler, un compagno di squadra, un amico, un avversario, uno studente, un padre, un marito. Una persona che ovunque è andato a giocare si è sempre fatto ben volere e ha sempre rispettato il gioco. Una persona rispettabile e un professionista impeccabile.
Rasual Butler rimarrà per sempre nel mio cuore di appassionato di basket e di estimatore della città di Philadelphia.
Come ha twittato un altro philadelphiano doc Markeef Morris ricordando il proprio concittadino, nell’era digitale rimane un hashtag, #phillyfinest. Rasual Butler.