Offseason frenetica quella del 2019, con un mercato frizzante per le squadre partecipanti alle due competizioni più prestigiose, al di qua e al di là dell’Oceano. Nella baraonda di trasferimenti, sono due i team ad incarnare più degli altri gli estremi delle strategie dirigenziali: in NBA gli Oklahoma City Thunder con lo smantellamento per la successiva ricostruzione in un ampio raggio temporale; in Eurolega il Barcellona con la collezione di stelle con l’obiettivo di vincere tutto e subito.
Entrambe ad inizio luglio si sono ritrovate alla ricerca di un ulteriore pezzo funzionale al proprio piano: per la franchigia statunitense sarebbe stato adatto un ragazzo già conoscitore dell’ambiente da investire di maggiori responsabilità; per la compagine catalana sarebbe stato perfetto qualcuno che già sapesse come si vince al Palau Sant Jordi.
Per entrambe, l’identikit tracciato portava alla mascella squadrata e alle folte basette di Alejandro Abrines Redondo, ai più noto come Álex Abrines.
Il quale fece già da trait d’union fra le due compagini nel 2016, passando dal blaugrana della Catalogna al blu dell’Oklahoma dopo essere stato scelto al draft del 2013 proprio dalla squadra tifata dal fratello Marcos.
Nella preseason dello stesso 2016, gara da ex per Álex coi Thunder contro il Barça
Trascorsi tre anni però il ruolo del ragazzo è divenuto tutt’altro: da anello di congiunzione ad anello mancante.
Assente nel roster della squadra americana, assente in quello della squadra europea.
Non solo. Assente proprio da ogni parquet dal 23 dicembre 2018, non contando le due sparute apparizioni del 29 gennaio e del 1 febbraio, seguite poi dalla risoluzione del contratto con i Thunder per ragioni non meglio specificate.
Questa l’ultima notizia relativa ad Abrines collegata ai campi da gioco.
Da allora, una coltre di nebbia è scesa sulla carriera sportiva del ragazzo: attivo sui social e su Twitch con il videogioco Fortnite, ma nessun accenno alla sua situazione sportiva.
“Non voglio fermarmi qui. Come giocatore penso di aver ancora tanto da migliorare, di poter crescere ancora molto. Per questo lavoro duramente ogni giorno. Quando mi ritirerò, mi piacerebbe guardare indietro e dire di esser stato il miglior giocatore che avrei potuto diventare. Non avrei potuto allenarmi di più, mi sarei spinto al massimo possibile. Penso che ciò sia la cosa più importante.”
Eppure, solo 9 mesi prima, con questa determinazione, Álex chiudeva sorridendo il bel documentario ¡Si Señor! dedicatogli dai Thunder. Fermo nel proposito di raggiungere nuove vette in una carriera dalla traiettoria dapprima piatta, da sconosciuto alle grandi platee fino ai 16 anni, ma poi in rapidissima ascesa.
Dall’esordio da professionista nel 2010 nel Clinicas Rincon, affiliata dell’Unicaja Malaga, all’approdo in prima squadra nell’anno successivo, passando per un oro all’Europeo Under 18 e un bronzo a quelli Under 20 con le selezioni giovanili spagnole, per poi giungere al Barcellona e alla selezione al draft NBA del 2013.
Un percorso convulso da leggere, figurarsi da vivere. Per non farsi travolgere Abrines restò qualche anno in Catalogna prima degli Stati Uniti, raggiunti con tre anni (e svariati successi) in piú ma con la medesima smania per il gioco che lo ha accompagnato sin da quando, da bambino, senza un canestro in casa lo costruiva con i cubetti giocattolo per scagliarci dentro le action figures.
Tuttavia mentre il grande carrozzone della pallacanestro mondiale andava avanti spedito, Álex ne era sceso.
Fermo mentre il gioco scorreva, con quanto accadutogli derubricato a semplice punto interrogativo e ad un trattino sopra il suo cognome nelle liste dei convocabili per i playoffs NBA dei Thunder e per i Mondiali della Spagna.
Un assordante silenzio lo ha circondato fino al 3 di luglio, quando lo stesso Abrines ha spiegato in prima persona il tutto in un video pubblicato su Twitter, ambientato simbolicamente nella palestra maiorchina del liceo La Salle, lí dove la sua carriera ebbe inizio.
“Caro pallone, che casino!”
Casino: una situazione così lontana da ciò che Álex ha sempre vissuto. Studente modello, tanto da saltare anche un tour in Cina con una delle selezioni dell’Unicaja per terminare gli esami. Ragazzo dedito oltre allo studio alla palestra, dove si presentava sempre in anticipo rispetto agli orari di allenamento per affinare il proprio tiro. Un luogo nel quale la presenza di Álex era una certezza, come testimoniato dalla fidanzata dei tempi del liceo Carla Garcia, ora diventata moglie al culmine di una relazione stabile specchio del modo di essere di Abrines.
“Così tanto tempo insieme e ora mi fai questo. Ci conosciamo da prima ancora che cominciassi a camminare”.
Non solo un modo di dire, ma un’espressione da prendere alla lettera. Papá Gabriel di professione fu per anni ala in Liga ACB, con tiro da fuori specialità della casa (come i geni di Álex dimostrano), prima di diventare allenatore delle giovanili del La Salle, piccolo club dove la segretaria era mamma Aranxta.
“Anni e anni di indistruttibile amicizia finchè, pochi mesi fa, tutto è andato in frantumi.”
A poco è servito aver messo a segno il suo massimo in carriera di 25 punti il primo novembre, con un altro exploit a fine mese da 21 messi a referto con un elegante 7/11 fuori dall’arco. In occasione del match dei Thunder previsto nel Christmas Day inizia la sequenza di indisponibilità alle gare di Álex, per una combinazione di laconiche “illness” o “personal matters” quali motivazioni ufficiali nei comunicati dei Thunder.
“Tutto perché hai cominciato a farmi paura. Non potevo neanche guardarti. Sono arrivato anche ad odiarti. Stare con te era poco meno di un obbligo, ti evitavo alla minima occasione. Volevo solo scappare via da te e da tutto ciò che ti circondava.”
Nel passaggio oltreoceano, Abrines aveva messo in conto di poter faticare, trovandosi di fronte ai migliori difensori del pianeta. Non immaginava però di doverne affrontare uno ancora più temibile, che fosse in grado di fermarne ogni penetrazione, di stopparne ogni tiro, di non abboccare ad alcuna sua finta: lui stesso.
Qualcosa all’interno dello stesso Álex aveva segnato il ritratto del suo sorriso sui parquet come i tagli di Lucio Fontana.
Un’attrazione mutata in repulsione per ciò che aveva avuto fedele al suo fianco nel corso della vita.
La palla a spicchi diventata un ingombro di forma sferica.
La scintillante divisa da gioco fattasi un putrido straccio.
I 3 metri e 5 centimetri di lunghezza della strada verso il paradiso divenuti la profonditá di un vertiginoso dirupo.
Il rassicurante rifugio del campo trasformatosi in un’angusta prigione da cui evadere.
Gli amici con cui voler condividere bei momenti diventati adesso ostili oppositori da rifuggire.
“Questo è il motivo per cui ho passato tanto tempo a dirmi che tutto questo non poteva essere vero, che non aveva senso, che doveva tornare a essere ciò che era.”
Record assoluto di punti per un 18enne in Liga ACB con 31 messi a segno, con la maglia dell’Unicaja Malaga contro l’Estudiantes.
MVP dell’Europeo Under 18 vinto dalla Spagna nel 2011, con con 13.1 punti, 4.8 rimbalzi e 1.8 rubate ad allacciata di scarpe.
Protagonista nel bronzo spagnolo dell’Europeo Under 20 del 2012, con la tripla del definitivo 67-66 sulla Serbia nella finale valida per il terzo posto.
Trionfatore nell’ultima Liga ACB vinta dal Barcellona nel 2014, a cui aggiunse la Copa del Rey nel 2013 e la Supercoppa spagnola del 2015.
Rising Star dell’Eurolega nella stagione 2015/2016, secondo blaugrana a riuscire nell’impresa dopo un certo Ricky Rubio.
Bronzo Olimpico a Rio nel 2016.
Bronzo europeo in Turchia nel 2017.
Erede designato di un certo Rudy Fernandez, dalla stessa provenienza da Palma di Maiorca, dallo stesso archetipo fisico e tecnico, con la medesima propensione a mettere a segno triple pesanti come macigni.
Questo era, per Álex.
“Per questo ho chiesto aiuto alle persone che mi circondano e ai migliori professionisti per ritrovare la felicità che provavo ogni volta che eravamo assieme. Per questo ho deciso di dire basta e di combattere per la nostra amicizia per tornare a sorridere insieme.”
“Si può essere Bill Gates o un disoccupato, problemi di questo tipo possono accadere a chiunque. Le persone devono sapere che con l’aiuto di professionisti, di amici e della famiglia si può andare avanti.”
E Abrines a proposito di comunità con le quali stringere ne sa qualcosa: dalla scorsa estate nella sua Maiorca tiene il personale Campus, con l’intento di mostrare in prima persona ai piccoli cestisti come il sogno NBA possa essere coltivato anche partendo da un’isola delle Baleari.
“Non è stato facile. Tante volte ho pensato di gettare la spugna, dicendomi che avrei trovato altri modi per essere ispirato e tirare fuori il meglio da me stesso. Ma niente e nessuno è entrato così in profondità dentro di me come hai fatto tu, perciò mi sono armato di coraggio per mettere fine a questo incubo.”
“Una domanda è come un coltello che squarcia la tela di un fondale dipinto per permetterci di dare un’occhiata a ciò che si nasconde dietro.” Così scriveva Milan Kundera riguardo agli interrogativi da affrontare e all’introspezione necessaria per poi trovare le risposte. Riguardo agli sportivi, il quesito che tutti almeno una volta affrontano è quello sul momento in cui dire “basta” valutando diversi aspetti: l’etá avanzata, gli acciacchi sempre piú fastidiosi, l’obiettivo di non peggiorare il proprio livello di gioco invece di migliorarlo, gli impegni familiari piú gravosi magari per l’arrivo della progenie, eventualmente il bisogno di una ricerca di stabilitá economica per le categorie meno retribuite.
Il fatto che tutte queste condizioni fossero a favore dello spagnolo è perciò indice dello suo stato di grande difficoltá e della necessitá per Álex di un profondo confronto con sè stesso.
“Alla fine siamo persone: giocatori per 2 o 3 ore al giorno, ma che dopo possono passare momenti difficili.”
Quei momenti che il ragazzo, in nome dell’amore mai sopito per il gioco, ha deciso di affrontare guardandoli negli occhi, in una coraggiosa sfida 1 vs 1.
“Ci sono riuscito. Ho ritrovato il sorriso e la voglia di vederti, di tornare a passare migliaia di ore insieme”.
Cosí come ha sempre seminato i difensori ad inseguirlo sui blocchi, Álex è alla fine riuscito a liberarsi dei suoi demoni. Ha riscoperto il piacere di scagliare il pallone verso il cesto, di infilare nuovamente il pallone nell’anello. L’assist gli è stato servito dal Barcellona, lodato dallo stesso ragazzo per la vicinanza alla persona Álex prima che al giocatore Abrines: il Palau, definito dal giovane stesso casa della tifoseria piú emozionante per la quale abbia giocato, dalla prossima stagione vedrá nuovamente le parabole dei tiri partire dai polpastrelli del ragazzo.
“Caro pallone, sono tornato. Sono io, Álex. Grazie per avermi aspettato”.