illustrazione in copertina di Paolo Mainini
articolo di Marco Munno

 

 

 

C’era una maledizione da sfatare in Eurolega per la banda dei ragazzi dell’Olympiacos.

Tre anni prima, sconfitta all’ultimo atto: tripla di Thompson subita a 18 secondi dal termine e il quadruplo errore di Paspalj (due volte), Tomić e Tarpley per il 59-57 finale per Badalona.

Due anni prima, sconfitta all’ultimo atto: non fu possibile arginare l’Arvydas Sabonis dalla voglia di congedarsi dall’Europa da vincente in direzione NBA.

Un anno prima, sconfitta ai quarti: da sommare, la beffa della vittoria andata proprio ai rivali storici del Panathinaikos dell’MVP delle Final Four Dominique Wilkins.

Per spezzarla, innanzitutto coach Dušan Ivković arriva a fare da condottiero in panchina.

Di fronte il Barcellona, con gli assi Djordjevic e Karnišovas da battere.

Un ostacolo da superare affidandosi alla guida del meraviglioso playmaker ingaggiato la stagione precedente, che alla NBA aveva preferito la gloria nel Vecchio Continente, David Rivers.

A contorno delle truppe greche la muraglia del tifo dei Reds, un concentrato di passione in grado di affollare le tribune anche lontano dallo Stadio della pace e dell’amicizia, facendo sentire ai propri beniamini in ogni arena il fragoroso affetto del Pireo.

All’unisono con i tamburi dei seguaci c’erano i battiti del cuore di Georgios, trepidante per l’occasione di veder finalmente trionfare al massimo livello i colori da sempre preferiti.

foto www.allstarbasket.gr

Al termine, il ragazzo poté esultare: superando i blaugrana a Roma, furono i greci a chiudere con la coppa fra le mani.

Col dodicenne Printezis a ribadire il suo amore eterno per il vessillo bianco e rosso.

Due colori che nel mondo del piccolo Georgios campeggiavano dappertutto, sulle sciarpe appese in cameretta e nelle canotte custodite in armadio, mentre nel cassetto c’era il sogno di poterli vestire sul parquet. D’altronde, il suo fisico continuava a crescere, accompagnato da un atletismo avveniristico per i tempi. A scarseggiare era il talento puro, in una generazione che contemporaneamente vedeva mettersi in evidenza giovani fenomenali come Spanoulīs, Zīsīs o Bourousis. La tanta voglia di lavorare non passò comunque inosservata e l’Olympiacos lo arruolò per il settore giovanile, spendendo 30 milioni di dracme per acquistarlo quindicenne dall’Asteras Agiou Dimitriou. Dopo pochi giorni, nella sua prima intervista per il magazine ufficiale dei Reds, dimostrò di avere già le idee chiare: quando gli chiesero come immaginasse essere la sua vita da lì a 10 anni, rispose prontamente: “Avendo lavorato duro, proverò a fare al massimo ciò che mi verrà chiesto dalla squadra, che mi auguro sarà ancora l’Olympiacos; inoltre mi piacerebbe avere un bel ruolo con la nazionale greca”.

Il passaggio in prima squadra però non era certo facile: Georgios faticava a battere la concorrenza nelle rappresentative giovanili nazionali di Panagiotis Vasilopoulos come ala forte titolare, figurarsi ritagliarsi minuti tra i vari Bagarić, Wolkowyski, Žižić che si alternarono negli anni sotto i tabelloni al Pireo. Quando alla batteria dei lunghi si aggiunsero prima Schortsianitīs e poi Bourousis, divenne chiaro che per proseguire nella sua crescita Printezis avrebbe dovuto cercare spazio altrove. Tanto più che il suo coach di quegli anni, Jonas Kazlauskas, oltre a concedergli poca fiducia (se non nell’ultima stagione assieme, la 2005/06), continuava a chiedergli di smetterla di “fare quella roba che forse sembra un tiro”, una movenza che invece Georgios insisteva nel perfezionare, facendola negli anni sempre più sua.

L’opportunità gli venne fornita da un giovane coach, un certo Georgios Bartzokas alla sua prima panchina da capo allenatore con l’Olympia Larissa, dopo gli esordi da assistente al Maroussi (dove vedeva quotidianamente all’opera in palestra uno Spanoulīs agli albori della carriera professionistica). L’asse composto dai due Georgios collezionò il primo di tanti futuri risultati positivi: Bartzokas condusse la squadra alla prima qualificazione ai playoff nella massima serie della propria storia, Printezis vide crescere i propri minuti e di conseguenza il fatturato (per la prima volta in doppia cifra per punti). In aggiunta, per “Print” alcune soddisfazioni personali come il premio di miglior giovane del campionato e la presenza nell’All-Star Game greco, comprensiva di vittoria nella gara delle schiacciate.

Fatturato e soddisfazioni individuali che non sono mai state proprio il pane di Georgios, abituato a pensare a cosa fare di positivo per aiutare la squadra prima che a impilare numeri che lo mettessero in evidenza sui tabellini. Lottare in post basso, trovare con intensità prima che con eleganza il modo per concludere, sporcarsi le mani a rimbalzo e sui palloni vaganti, farsi trovare pronto quando le stelle deputate decidono di coinvolgerlo: queste le peculiarità di Printezis, che anche dall’altra parte dell’Oceano gli valsero considerazione. Ad esempio, una decina di giorni prima del Draft del 2007, questo il profilo tracciato da nbadraft.net, uno dei siti specializzati sulla materia:

 

Punti di forza: ala piccola che gioca con grande energia e combattività … ha davvero un ottimo atteggiamento e non conosce altra maniera di stare in campo se non dare sempre il massimo … atleta solido e dalla taglia giusta per giocare come numero 3 … è un giocatore con tanta forza nell’uno contro uno considerando che si tratta di un europeo … è aggressivo e solido nell’attaccare il canestro … un bravo ragazzo che lavora sodo e che perciò può avere la possibilità di diventare un giocatore di livello NBA in poche stagioni … il suo ball handling è buono per essere un 3 ma può migliorare … il suo modo di giocare è in qualche modo simile a quello di Antawn Jamison, visto che segna molto nei pressi del canestro … con la voglia di fare il lavoro sporco, va forte verso i tabelloni … si butterà sul parquet per conquistare i palloni vaganti e prendere sfondamenti …

Debolezze: E’ un atleta solido con una buona varietà di abilità ma non è eccezionale in nessuna di esse, a parte la combattività … deve diventare più pulito dal punto di vista offensivo … non è un gran passatore, ma mostra volontà nel voler servire i compagni liberi … gli manca velocità di piedi negli spostamenti laterali, ma non è terribile … potrebbe migliorare nel suo range di tiro e nella conclusione dal palleggio …

 

Furono gli Spurs ad accaparrarsene i diritti, con la consueta scelta “esterofila” di fine secondo giro di quegli anni (dal Ginóbili del 1999 in poi, vennero selezionati Javtokas nel 2001, Scola nel 2002, Karaulov nel 2004 e Markota nel 2006 prima di Printezis, tutti dalla 56esima pick in giù), solamente per poi girarli ai Raptors. Saranno rimbalzati negli anni ai Mavericks, poi ai Knicks, ai Blazers, ai Thunder, agli Hawks per poi tornare definitivamente a San Antonio, dieci anni dopo. Ma al passaggio negli Stati Uniti Georgios non penserà mai granchè: il desiderio costante rimaneva quello di affermarsi all’Oly.

Tornò con i Reds dopo la stagione in prestito, con coach Pini Gershon a volerlo (dopo averlo apprezzato da avversario a Larissa) per essere parte del prossimo ciclo di una squadra disperatamente alla ricerca del ritorno in vetta, in ambito nazionale e europeo. D’altronde, esclusa una Coppa di Grecia, dall’en plein del 1997 la bacheca dei trofei dell’Olympiacos non vedeva nuovi ingressi. Le quotazioni di Georgios continuavano ad essere in rialzo, come testimoniava il legame diventato solido anche con la Nazionale. Venne infatti selezionato per giocare le successive due grandi manifestazioni internazionali, le Olimpiadi del 2008 e gli Europei del 2009, dove la Grecia del nucleo Papaloukas- Spanoulīs-Fōtsīs-Zīsīs-Bourousis-Diamantidis (quest’ultimo presente solo ai Giochi) arrivò rispettivamente quinta e terza, fermata solo dalla Generación dorada argentina e dalla Generación de Oro spagnola.

I continui insuccessi nei momenti decisivi, la pressione di un tifo scontento di cedere puntualmente il passo tanto in Grecia quanto in Europa, il mancato riconoscimento dal punto di vista economico di un ruolo da titolare ormai acquisito lo portarono però al cambio di rotta: niente rinnovo di contratto con l’Olympiacos, passaggio con un ricco triennale a Malaga.

Tra le poche gioie del biennio 2007-2009, il buzzer beater di Lynn Greer per la vittoria dei greci in gara 1 dei quarti di finale di Eurolega del 2008 contro il CSKA Mosca. (tiro decisivo, Eurolega, Olympiacos, CSKA: ne sentiremo ancora parlare…)

 

Nonostante le premesse, con un budget di livello a disposizione della compagine spagnola, l’avventura all’Unicaja fu un flop. L’equazione nella testa del management era banale: alte cifre sugli assegni corrisposti a un giocatore, alte cifre messe a referto. Un ragionamento troppo semplicistico per filare con uno dalle caratteristiche di Georgios, che difatti trovò sempre meno considerazione. Con coach Aíto prima e con coach Chus Mateo poi l’amore cestistico non sbocciò mai, con lo spazio sempre più ridotto. Un periodo che comunque lo forgiò, come dirà in futuro Printezis stesso, in cui nonostante le esclusioni non si risparmiò allenamenti estenuanti e mantenne un atteggiamento professionalmente impeccabile, come testimoniato da un Álex Abrines al tempo giovanissimo, compagno di squadra nella seconda stagione del greco in Liga ACB.

La sua seconda stagione iniziata a Malaga non si chiuse in Spagna: Vaggelīs Angelou, assistente allenatore dell’Olympiacos, era rimasto in contatto costante con Georgios e, mentre il ragazzo era ai box per una commozione cerebrale dopo una caduta nel match contro il Casajol del 20 febbraio, riuscì a cogliere nel segno nelle sue pressioni al management ellenico. L’esperienza all’Unicaja finì in archivio con 78 gare giocate, 8.5 punti e 3.1 rimbalzi in 19 minuti di media: nell’aprile del 2011 divenne realtà il ritorno con i Reds (dove conquisterò anche il suo primo trofeo, la Coppa di Grecia).

La perfetta espressione per riassumere l’esperienza in Spagna

C’era una maledizione da sfatare in Eurolega per la banda dei ragazzi dell’Olympiacos.

Tre anni prima, sconfitta al penultimo atto: nel derby greco di semifinale, l’errore nel semigancio sinistro di Bourousis che sarebbe valso il pareggio all’ultima azione del match contro il Pana.

Due anni prima, sconfitta all’ultimo atto: si trattò di un dominio blaugrana, con La Bomba Navarro e un pizzico d’azzurro con Gianluca Basile a respingere con forza l’assalto di Miloš Teodosić e soci.

Un anno prima, sconfitta ai quarti: da sommare, la beffa della vittoria andata proprio ai rivali storici del Panathinaikos dell’MVP delle Final Four Dīmītrīs Diamantidīs.

Per spezzarla, innanzitutto arriva coach Dušan Ivković a fare da condottiero in panchina.

Di fronte il Barcellona, con gli assi Navarro e Lorbek da battere.

Un ostacolo da superare affidandosi alla guida del meraviglioso playmaker ingaggiato la stagione precedente, che alla NBA aveva preferito la gloria nel Vecchio Continente, Vasilīs Spanoulīs.

A contorno delle truppe greche la muraglia del tifo dei Reds, un concentrato di passione in grado di affollare le tribune anche lontano dallo Stadio della pace e dell’amicizia, facendo sentire ai propri beniamini in ogni arena il fragoroso affetto del Pireo.

All’unisono con i tamburi dei seguaci andavano i battiti del cuore di Georgios, trepidante per l’occasione di veder finalmente trionfare al massimo livello i colori da sempre preferiti.

Nella semifinale contro i favoriti blaugrana il punteggio rimase basso. A decidere la gara fu il break firmato da “Kill Bill”: prima la tripla del +5 a 1:09 dalla sirena conclusiva, poi dopo i liberi di Ndong l’assist per l’appoggio di Dorsey a 16 secondi dal termine per il definitivo 68-64. Per l’Olympiacos il percorso da mina vagante non si era concluso.

Se spuntarla con il Barcellona fu complicato, quella contro il CSKA in finale però aveva tutto l’aspetto di una missione impossibile.

Di fronte c’era una squadra che aveva perso solo due partite in stagione nella competizione più importante d’Europa, che nel roster poteva contare su gente come l’MVP di Eurolega di due stagioni prima Miloš Teodosić, una leggenda europea al suo ultimo match in carriera Ramūnas Šiškauskas, un Alexey Shved che aveva fatto fuoco e fiamme nella semifinale contro il Panathinaikos e soprattutto il miglior giocatore impegnato nel Vecchio Continente, Andrej Kirilenko.

Come spessissimo accade nelle finali, la tensione rese il match compassato all’inizio, con un primo quarto terminato con un eloquente 10-7. Arrivò puntuale però la sgasata dei russi, guidata da Teodosić: al 28esimo minuto, l’appoggio di Shved fissò il punteggio sul 53-34, con un +19 per il CSKA che con poco più di un quarto dal termine non pareva lasciare possibilità agli ellenici.

Il fuoco della speranza non si era però ancora del tutto spento nel petto dei ragazzi di Ivković. Il mix di paura di vincere e di rilassatezza visto il punteggio dei russi fece da benzina per i greci: gli spiriti dei Reds si incendiarono e con una fiammata arrivò il 14-0 di parziale dell’Olympiacos che rimise tutto in discussione. Fu proprio Printezis, insieme a Sloukas e Kesely, a guidare la riscossa: in post sovrastò Krstic e Khryapa, segnando tutti i suoi 12 punti del match nell’ultimo quarto, compresi quelli che portarono l’Oly a -2 a un minuto dalla fine (60-58). Il Teodosić trascinatore aveva lasciato spazio già da qualche minuto alla sua brutta copia, con palloni persi e scelte affrettate, a cui sommare l’errore dalla lunetta nell’1/2 del 61-58 per i russi. Puntuale dall’altra parte il fallo su Papanikolaou, per evitare la possibile tripla del pareggio: 2/2 e pallone in mano al CSKA. Toccò a Spanoulīs fermare subito il cronometro con un fallo, con Šiškauskas a presentarsi dietro la linea della carità sul 61-60.

Tremanti, le gole dei tifosi del CSKA, ansiose di ritirare fuori le urla ricacciate dentro a forza dalla rimonta a cui assistevano.

Tremanti, i cuori dei tifosi dell’Olympiacos, speranzosi di potersi giocare un torneo chiuso solo 12 minuti prima.

Tremanti, le mani di Šiškauskas quando strinsero un pallone diventato di piombo, per scagliarlo verso canestro. Si presentò a quel momento con il 77.2% ai liberi in carriera: si ritrovò con una percentuale di poco più bassa, ma per sempre macchiata da quell’episodio, dopo che i ferri respinsero entrambe le conclusioni per un 0/2.

Per i 9.7 secondi rimasti sul cronometro, il pallone non poteva che finire con naturalezza nelle mani di Spanoulīs. Hines disturbò la corsa di Shved che lo pressava a tutto campo, prima di dargli la possibilità di giocare un pick’n’roll in punta. V-Span per anticipare la difesa cambiò direzione invece di sfruttarlo, buttandosi a sinistra. Shved lo indirizzò verso gli aiuti dei compagni, Teodosić si staccò da Mantzaris per disturbarlo, Kirilenko (visto il mancato abbassamento di Krstic) lo aspettò per lo scontro all’ultima azione, fra il miglior difensore e il miglior attaccante. Ma Spanoulīs sapeva di non dover vestire per forza i panni di Kill Bill: scaricò nel mezzo angolo, verso Printezis lasciato libero dal russo.

In due decimi di secondo, dalle mani di Georgios partì la sfera verso l’alto. L’aria intorno si fece sempre più rarefatta, i respiri si fermarono nel fugace attimo in cui la palla raggiunse il punto più alto della sua traiettoria.

Se un giorno qualcuno vorrà disegnare un logo per l’Eurolega con una silhouette, come quello della NBA con Jerry West, dovrà essere quella l’immagine. Se un giorno qualcuno vorrà spiegare la Devotion con un singolo momento, sarà quello il frame.

Quando il pallone scese, non osò disturbare il ferro. Sfiorò appena il cotone.

Quel tiro che coach Kazlauskas, in quella finale sulla panchina del CSKA, voleva togliergli anni fa dall’arsenale, diventa la Petaktari che vale il miglior momento dell’intera storia dell’Eurolega.

Con il marchio a fuoco, bianco e rosso, di Georgios Printezis.

Al termine, il ragazzo poté esultare: superando l’Armata Rossa a Istanbul, furono i greci a chiudere con la coppa fra le mani. Col ventisettenne Printezis a ribadire il suo amore eterno per il vessillo bianco e rosso.

Foto Ulf Duda/EB via Getty Images

Con il successo in campionato a sommarsi a quello in Eurolega, furono quindi i ragazzi del Pireo a presentarsi ai nastri di partenza della stagione 2012/13 con un bersaglio sulla schiena. Il cambio di coach, con Bartzokas al timone, aggiunse la ricerca di nuove soluzioni tecniche a quella di motivazioni per una squadra alla ricerca di una difficile doppietta di trionfi nella massima competizione europea. D’altronde, il back-to-back non era mai stato realizzato da un team greco e nel ventunesimo secolo era riuscito solo al Maccabi (a cui si aggiungerà l’Efes di Micić e Larkin dei giorni nostri).

E la marcia dell’Olympiacos non proseguì spedita, anzi rischiò di fermarsi alla serie dei quarti di finale: nella decisiva gara 5, i Reds erano sotto di 15 contro l’Anadolu Efes. Fu Printezis a suonare la carica, segnando canestri fondamentali nel corso della rimonta greca. Prima un miniparziale personale di 5-0 a tre minuti e mezzo dalla fine; poi la rubata su Tunceri, con 1 libero realizzato e il rimbalzo catturato sul secondo personale sbagliato. Venne messo così in cassaforte il sorpasso sui turchi e il biglietto per la seconda Final Four consecutiva.

Ad attendere gli ellenici a Londra, nell’attesa rivincita della passata finale, c’era nuovamente il CSKA, senza più Kirilenko ma con Aaron Jackson, Sonny Weems e Vlado Micov aggiunti a roster e Ettore Messina in panchina. Lo spettro della Petaktari dell’anno prima aleggiava in tutta la O2 Arena e l’Armata Rossa non riuscì ad evitare il condizionamento: il CSKA non entrò praticamente mai in partita, con i Reds a dominare tutto il match e a ritrovarsi ad una vittoria di distanza dal ritorno sul tetto d’Europa.

Di fronte c’era ancora una volta la miglior squadra vista sino a quel momento nella competizione; in questo caso, si trattava dello spettacolare Real Madrid di Rudy Fernández, di Sergio Llull e del Chacho Rodríguez. Proprio i Blancos partirono a razzo, toccando il +17 nel solo primo quarto; ma come nella stagione precedente, guai a dare per spacciati i biancorossi troppo presto. Spanoulīs armò la mano in attacco, firmando nella seconda metà gara tutti i suoi 22 punti, e Kyle Hines con la fantastica stoppata nel terzo quarto in recupero su Mirotic diede un segnale inequivocabile in difesa: per l’Olympiacos la doppietta in Eurolega divenne realtà.

foto www.olympiacosbc.gr

Seguì anche la conquista della prima Coppa Intercontinentale ripristinata nel 2013 dopo 17 anni di assenza, ma l’ossessione rimaneva l’Eurolega. I Reds erano ansiosi di aggiungere altre Final Four alle quattro giocate in cinque stagioni (2009 e 2010, con Printezis però assente in quest’ultima, oltre alle due vinte). La missione fallì nel 2014, dove i campioni in carica si fermarono alle Top 16, ma nel 2015 si presentò una nuova occasione di tornare tra le magnifiche quattro.

Ai quarti di finale, un nuovo incrocio con il Barcellona. Dopo la netta sconfitta di gara 1, fu Georgios a lanciare i suoi nei successivi due match, con 20.5 punti + 6.5 rimbalzi di media (con astronomiche percentuali al tiro, testimonianza del lavoro fatto per ampliarne il range e la selezione: 81.2% da 2 e 40% da 3). Ribaltata la serie con due vittorie, l’Olympacos si ritrovò il primo match point a disposizione tra le mura amiche.

Nell’ incontro, a basso punteggio, Printezis però stava facendo fatica. Rientrato a un minuto e mezzo dal termine, dopo la panchina punitiva a seguito dei vari errori commessi, trovò una situazione che pareva compromessa, con Abrines in lunetta sul -3 (61-64 per i blaugrana). Alex però fece 1/2, e la tripla di Mantzaris sommata alla (sciocca) palla persa di Tomic permisero ai greci di portarsi sul -1 con il possesso a favore. A piazzare la schiacciata del vantaggio fu proprio Georgios, a 39 secondi dal termine, a fissare sul tabellone il 66-65 per i Reds. Intervallati da un layup di V-Span, Navarro realizzò tre liberi, sbagliandone tuttavia uno di quelli a disposizione: si arrivò quindi sul 68-68, con 6 secondi sul cronometro e rimessa in favore dell’Olympiacos.

Mantzaris giocò il pallone verso il pericolo pubblico numero 1, Spanoulīs, che ricevette quasi a metà campo; al primo palleggio si trovò raddoppiato da Oleson, che si staccò da uno Sloukas subito servito all’altezza della lunetta. Nella rotazione difensiva sul 4 vs 3 generato, Abrines chiuse repentinamente sul play mancino, lasciando Tomic a dover decidere: proteggere il ferro da Mantzaris (nel frattempo andato in post basso) o uscire su Printezis appostato sull’arco dei tre punti. Il lungo croato scelse di restare nel pitturato: Kostas trovò una linea di passaggio apertissima verso Georgios. Piedi verso canestro, mani pronte nonostante quel rilascio stilisticamente non bellissimo: morbida fu la tripla che sulla sirena si infilò nell’anello, feroce fu l’urlo del Pireo dopo il buzzer beater che valse un altro giro alle Final Four.

Non arrivò un successo in quell’occasione, ma per mettere le mani su un altro trofeo Printezis non dovette aspettare troppo altro tempo. Gli bastò aspettare maggio 2016, per un successo che portò con sé un significato particolare. Si giocava la serie di finale scudetto: nel giorno di gara 1 contro il Panathinaikos, a Georgios fu data la terribile notizia del decesso del padre. Ovviamente il pensiero di non presentarsi in campo lo sfiorò, ma come dichiarato da lui stesso, “non se la sentì di lasciar sola la sua seconda famiglia dell’Olympiacos con una gara cruciale all’orizzonte”. Terminerà la serie trionfando ad OAKA, e insieme alla coppa, al cielo alzò ripetutamente gli occhi, bagnati dalle lacrime, per una dedica speciale.

Da quel momento, un lungo digiuno di successi, non solo per quanto riguarda la squadra di club. Anche il suo rapporto con la nazionale non diede grandi soddisfazioni: la transizione da Papaloukas e Diamantidis a Calathes e Sloukas quali nuove punte di diamante della selezione greca, di fianco ai leader Spanoulīs e Printezis, non diede i risultati sperati. Anzi, la sua ultima uscita con la canotta della Grecia si è consumata in un modo che più Printezis non si può: una gara senza grandi numeri a referto (7 punti e 5 rimbalzi), nella vittoria sulla Turchia nel corso delle qualificazioni al Mondiale 2023.

Dal punto di vista individuale, nel 2017 arrivò per Georgios la selezione nell’All Euroleague First Team, dopo un torneo da 12.8 punti, 5.1 rimbalzi, 1 assist, 0.7 rubate e 0.2 stoppate a partita in 25:23 minuti di media di utilizzo; e soprattutto con un impatto sul parquet, come ormai riconosciuto da tutti, andato ben oltre le cifre.

Che comunque, sommate, danno un quadro abbastanza esaustivo dell’importanza del suo ruolo nella pallacanestro europea: a fine carriera, nei libri di storia dell’Eurolega è risultato il primo di sempre per canestri dal campo segnati (1428), il secondo di sempre per partite giocate (375), il quarto di sempre per punti realizzati (3599) e il sesto di sempre per rimbalzi catturati (1452). Non poteva mancare poi nel miglior team della decade 2010/2020 di Eurolega, votato da addetti ai lavori e dai tifosi.

Sempre nel 2017 tornarono le lacrime: non solo per la sconfitta nella finale di Eurolega contro il Fenerbahçe, ma quelle di gioia, sgorgate alla firma del contratto che lo avrebbe legato ormai a vita alla divisa adorata, fino al 2020.

Per poi andare per una stagione ulteriore, al termine della quale si ritireranno Spanoulīs, Borousis e Zīsīs, ma non lui, forse alla ricerca di un’altra festa per un nuovo trofeo conquistato, per fare da sottofondo alla sua uscita di scena.

Si arriva alla stagione 2021/22, con Bartzokas ancora in panchina e l’Olympiacos ancora alle Final Four da outsider. Georgios fa da mentore delle nuove leve, a partire dal Vezenkov definitivamente esploso come nuova ala forte titolare nel quintetto dei Reds, non facendo comunque mancare il suo contributo sul parquet.

Solo un’incredibile tripla di Vasa Micić ferma le truppe greche da un nuovo accesso in finale, ma resta ancora una battaglia per Printezis: quella forse più iconica per un cuore tinto di bianco e rosso come il suo, contro i verdi del Panathinaikos per la supremazia cestistica nella madrepatria.

Da quello del 2016 i trofei di campione di Grecia sono andati solamente a riempire la bacheca dell’OAKA, ma non poteva andare così anche nella passata stagione. Un brillante Olympiacos non ha fatto sconti a nessuno, si è preso la Coppa, ha chiuso la regular season con una sola sconfitta con percorso netto ai playoff: 8-0 complessivo, compreso quindi il 3-0 in finale.

In un festante Stadio della pace e dell’amicizia, la celebrazione dei tifosi per lo scudetto ritrovato della scorsa annata si è sovrapposta a quella per un campione di cui per anni sono stati orgogliosi. Passato dall’essere un tifoso sugli spalti a rappresentare tutti loro sul parquet, lavorando duramente per raggiungere i successi ottenuti, spinto da una dedizione alla causa dei Reds che con i fan ha sempre condiviso.

 

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Un post condiviso da Georgios Printezis (@pripripri15)

“Dalla prossima stagione, guarderemo assieme la nostra squadra dagli spalti. Grazie dal profondo del cuore per i momenti che abbiamo vissuto insieme durante tutti questi 20 anni. Continuate a supportare la squadra nel bene e nel male, nel modo in cui già fate. Grazie per i ricordi”.

Mentre i compagni gli si sono stretti intorno, indossandone la maglia per omaggiarlo, proprio ai tifosi di sempre ha diretto quelle che sono state le ultime parole da giocatore.

Col trentasettenne Printezis a ribadire il suo amore eterno per il vessillo bianco e rosso.

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