Insegnare minibasket è speciale, per mille motivi e dal suo primo obiettivo. Quello di trasmettere la passione per lo sport che hai sempre amato, per il quale è ancora aperta la finestra del tuo tempo libero e per cui ti sei fatto scivolare via mille emozioni che, di tanto in tanto, ti tornano indietro con la memoria. E’ speciale come i destinatari del tuo messaggio, perché avere a che fare con dei bambini che non si ricordano il nome del proprio compagno di banco è tanto bello, quanto impegnativo.
Fare l’istruttore minibasket non è per tutti. Serve una pazienza infinita, un entusiasmo coinvolgente, avere una creatività innata nei giochi e nelle situazioni e devi sapere come farti rispettare. Spesso vedi gioire e devi consolare un bambino nel giro di 3 minuti, che è il tempo che intercorre mediamente fra il primo canestro della sua vita e la palla che gli cade, accidentalmente, sul naso. Devi tassativamente avere il controllo di ogni singola situazione per tutta la durata della tua lezione. In tutto ciò, ci metti il rapporto con i genitori, che deve essere positivo con chiunque anche se il papà che ti fa saltare i nervi c’è sempre, i 5’/10′ persi ogni volta per allacciare una dozzina di scarpe, il fatto che non sia un lavoro vero e proprio, come ti suggerisce il rimborso di fine mese. Ma è come se lo fosse. Se riuscite a tener testa a questo insieme di cose per l’intera stagione sportiva, vi accorgerete che sarà stato fantastico. E diventerete definitivamente immuni al bipolarismo.
Come fare per avvicinare i bambini alla pallacanestro? Recentemente, in alcune zone d’Italia è stato sviluppato il cosiddetto ‘Progetto Scuola‘: in pratica, gli istruttori della sezione minibasket delle varie società si recano nelle scuole elementari del loro paese, o del loro quartiere, per tenere dei corsi sull’argomento. Solitamente, questa iniziativa dura lo spazio di un mese (leggi: 3/4 lezioni per classe, di circa un’ora): ma sono stato un po’ titubante quando Davide, il mio responsabile MB, mi ha chiesto di andare. Lo volevo fare, l’avrei fatto ‘da spalla’ però, non avendo mai avuto a che fare con bambini di 5-6 anni mi mancavano proprio le basi da cui partire. Appena ha accettato il ruolo del ‘Capo’, è iniziato il mio primo, nuovo, giorno di scuola.
Insegnare basket alle elementari è totalmente diverso rispetto al tuo canonico lavoro in palestra. Innanzitutto, se nei corsi regolari ti aspetti di essere in mezzo a dei bambini vogliosi di tirare a un canestro, qui ti ritrovi con classi di 20/25 equamente suddivisi fra quelli che fanno già altri sport (non certo il tuo), quelli che non gliene può fregar di meno e, soprattutto, quelli che l’unico schema motorio di base che hanno imparato è accendere la televisione, e comporre il canale di Cartoon Network. La palestrina è piccola, ma è perfetta per ciò che siamo venuti a fare: le maestre ci lasciano volentieri carta bianca, per certi versi è come se fosse la loro ora buca.
La seconda premessa, fondamentale, è che quello che si fa da adesso in poi ha poco o nulla a che vedere con la vera pallacanestro. Dopo aver radunato tutti i bimbi ed esserci seduti in mezzo (mettersi al loro livello, specialmente con i più piccoli, è importantissimo), io e Davide abbiamo due possibilità: una lezione fatta di esercizi spezzettati, seppur seguendo una certa continuità, o raccontare una storia, una fiaba già nota, per appassionare i marmocchi e nella quale ci sono situazioni che sfociano in giochi con o senza palla, la cosiddetta Fabulazione. Alcuni esempi? Si parte dallo scenario di una foresta ghiacciata, al cui interno ci sono diversi personaggi cattivi: uno di questi è il Mago Ghiaccio, per l’appunto, che ha il potere di fare diventare i bimbi suoi prigionieri toccandoli con la palla, molto semplicemente. Chi viene preso finge di essere un albero, sta con le braccia tese e le gambe divaricate, perché l’unico modo che ha per essere liberato è che qualche altro bimbo ci passi sotto. Un altro spunto è quello della Grande Città: i nani si spostano con la ‘macchina’ palleggiando, ma quando noi istruttori alziamo la mano, segno che il semaforo è rosso, devono essere bravi a fermarsi nel minor tempo possibile. Chi lavora con le classi prime sa bene che l’idea della fabulazione toglie parecchie castagne dal fuoco. Il tiro a canestro è quasi sempre il gioco finale, e rappresenta l’ultima parte della lezione: in pochissimi riescono a segnare, decidiamo perciò di assegnare uno o due punti a chi tocca il ferro o il tabellone. Finisce l’ora, loro hanno matematica, noi siamo stanchi e sudati come delle capre peruviane, come se fosse davvero un tipico corso del nostro minibasket. L’urlo finale, i “cinque” e gli abbracci dei bambini, però, ci ripagano di tutto.
“Nel nostro sistema scolastico ci sono molti problemi” spiega Davide, con il quale ho sempre piacere di fare due chiacchiere. “Fra questi, il fatto che le ore di educazione motoria sono estremamente ridotte, che queste spesso vengano usate per il recupero di altre materie, e che gli insegnanti che sanno come comportarsi in palestra sono davvero pochi. Alla Scuola, in un certo senso, fa quasi comodo avere degli esperti esterni che promuovano le loro attività: riuscire ad entrarci, però, è complicatissimo, e richiede una grande quantità di tempo. La cosa migliore sarebbe conoscere qualcuno che dentro la scuola ci lavori già, e che possa fare da filo diretto per poter arrivare a parlare con la carica più alta all’interno della struttura, il Direttore Scolastico” continua Davide. “Abbiamo avanzato la proposta del progetto a Marzo/Aprile, e siamo riusciti a svolgere le nostre lezioni solo a inizio Novembre. E quando sei dentro, scopri che ci sono tante differenze rispetto ad un corso normale: dalla scarsità di materiale a disposizione, fino alla necessità di avere una persona di sostegno per i bimbi che ne hanno bisogno. Si tratta di avere l’intelligenza di presentare qualcosa di accattivante, che possa creare delle esperienze piacevoli e gratificanti per i bambini stessi.”
Il mio primo, nuovo, giorno di scuola è andato bene. Sono stati tutti bravissimi, mi ha solo fatto un po’ strano vedere un nano di 6 anni con il mohicano e il brillantino. Ringrazio il capo, sto per accendere la macchina mentre sento le classi uscire, perché è scoccata la campanella dell’intervallo. Alcuni vengono verso di me per salutarmi. Sanno già il mio nome. Non è meraviglioso tutto questo?