Le Finals e i miei esami si avvicinano a velocità direttamente proporzionale. Certo che molti di voi capiranno la mia disperazione, vi offro in dono una sintesi di quello che è successo in questo secondo turno. Tra bracket saltati, blasfemie, lacrime di commozione e branchi di Biyombo selvatici che si abbeverano nei laghi canadesi .
Disclaimer: non capisco nulla di basket, sono una via di mezzo tra Isiah Thomas come GM e un dirigente della FIBA.
Cleveland Cavaliers: Sono stato accusato di aver dipinto il loro primo turno come una passeggiata di salute, quindi ora cercherò di aggiungere un po’ più di suspense: con grandissima fatica, con il risultato in dubbio fino all’ultimo secondo, hanno passato il turno 4 a 0. Ehm.
Ora che ho fatto un po’ di fan service – i Cavs sembrano aver trovato il giusto equilibrio e in attacco hanno un che di GoldenStatiano (#neologismi), con tanta early offense e tante, tante, tante triple: in gara 2 hanno infranto il record degli stessi Warriors, insaccandone ben 25.
Lebron ha dato l’impressione di poter controllare le gare a suo piacimento, realizzando sempre più di venti punti e sfiorando più volte la tripla doppia. Non ricordo l’ultima volta in cui ho visto un allenatore registrare queste cifre.
Molto bene anche Irving, a tratti immarcabile, e Love, che quando si impegna ispira sentimenti espressi nel suo stesso cognome. Bene anche il supporting cast, con Dellavedova e Shumpert a garantire gli equilibri difensivi e J.R. che più forza i tiri e più segna, e più segna e più forza i tiri: fargli fare queste cose è un po’ come mettersi dell’uranio sul comodino per vedere come brilla al buio, ma per adesso funziona.
Momenti di terrore quando in Gara 3 Channing Frye ne ha messi 27 con 10/13 dal campo: alcun affermano che fosse in realtà Jordan travestito da Dio travestito da Channing Frye. #LoSeguivoDaiTempiDiFuturama
Atlanta Hawks: Se la marcia dei Cavs ricorda quella di Cesare dopo aver attraversato il Rubicone, gli Hawks, per restare in tema, ricordano un po’ Vercingetorige: hanno dato il massimo, ma gli avversari erano semplicemente troppo forti, per Toutatis. Nel secondo tempo di gara 1 hanno recuperato uno svantaggio di 18 punti per poi subire un parziale di 17-5 negli ultimi cinque minuti, in gara 2 al termine del primo tempo erano già sotto di 35 punti (e i Cavs ne avevano segnati 74) e in gara tre un altro vantaggio è stato vanificato nell’ultimo quarto da un momento di mani gelate di tutta la squadra. In Gara 4 Schroeder ha avuto in mano la palla della vittoria, salvo trovarsi davanti Lebron che lo ha costretto ad una contesa, poi vinta.
Nonostante ciò, poco da rimproverarsi per gli Hawks: bene Millsap, quasi sempre bene Horford, Korver spesso l’ultimo ad arrendersi. Di sicuro il più degno di nota è stato Schroeder, che spesso e volentieri ha provato a caricarsi la squadra sulle spalle, anche a causa dell’evanescenza di Jeff Teague.
Little known fact: gli Hawks hanno perso le ultime dodici gare contro i Cavaliers #TheStreakLivesOn
Golden State Warriors: Iniziano la serie senza il loro giocatore chiave, ossia Kevon Looney, ma la cosa non sembra disturbarli finché Thompson e Dray Green realizzano 60 punti in due, come in gara 1. Nel primo tempo di gara due però la nave sbanda, con Green che ha un’improvvisa nostalgia del 2012/13 e si mette a tirare come allora (spoiler: non benissimo) e Klay che soffre i continui raddoppi. Gara complicata che viene risolta dalla leadership di Iguodala e da 8 punti dello “zio” Festus Ezeli a dieci minuti dalla fine, complice anche il calo dei Blazers e un secondo tempo più costante da parte dei due leader. Dopo la sconfitta in gara tre, secondo tradizione Steph-Curry-ritorna-per-gara-4, stavolta però senza distruggersi un ginocchio: mette a segno 40 punti, diciassette dei quali in overtime, e porta a casa la partita. In gara 5, una vera battaglia, i Warriors la spuntano sul +5 e chiudono la serie.
Insomma, c’è un motivo se il 30 di Akron è l’unico MVP eletto all’unanimità che viene anche usato come “marchio di qualità” per la cocaina dagli spacciatori. #BreakingSteph
Portland Trail Blazers: Ben oltre il loro obiettivo stagionale (che in teoria avrebbe dovuto essere tankare, ma fa nulla), i Blazers affrontavano la serie senza nulla da perdere, a parte la serie stessa. Che perdono. Quindi in sostanza qualcosa da perdere l’avevano.
Seghe mentali a parte, di certo brucia l’aver buttato via una gara 2 che avrebbero potuto portare a casa: Lillard che realizza 25 punti in tre quarti e poi 0 nell’ultimo, sancendo il tracollo della squadra, è proprio un colpo sotto la cintura. Al Moda Center – dove da tempo aleggia lo Spettro di Brandon Roy in tempo di playoffs – i Blazers portano a casa una vittoria meritata guidati dallo stesso Lillard e da un indomabile Papè Satàn Aminu, ma vengono schiacciati da Curry nell’overtime di gara 4. In gara 5 è un duello rusticano tra gli Splash Brothers, Thompson e Curry, e i…ehm… Bucket Cugini Di Secondo Grado (?), Lillard e McCollum, con i primi che realizzano 62 punti e i secondi che ne mettono a segno 55, che purtroppo non bastano a ottenere la vittoria.
I Blazers escono onorevolmente, e con la soddisfazione di essere la prima squadra ad aver battuto due volte i Warriors in questa stagione, a parte i Bulls del 95/96. #Blazers9596
Toronto Raptors: I Raptors iniziano perdendo la prima partita in casa, come contro i Pacers, un po’ per educazione e un po’ perché il fattore campo è fuori moda. Avete presente quel compagno di squadra che sbaglia ogni tiro e mette solo quello decisivo? Il suo nuovo santo protettore è Kyle Lowry, che non mette una tripla in tutta la partita, e poi pareggia la gara allo scadere con un tiro da centrocampo. In gara 2 Lowry e DeRozan tirano con percentuali poco affidabili per tenere fede al loro soprannome di Sdeng Brothers e dunque tocca a Demarre Carroll e Valanciunas portare a casa la partita.
In gara 3, forse il momento più delicato della serie, Lowry realizza 33 punti, trascinandosi dietro la squadra dopo l’infortunio di Valanciunas. Sconfitti in gara 4, con Lowry e DeRozan più latitanti di Matteo Messina Denaro, i Raptors rialzano la testa nella gara successiva quando il duo si fa redivivo. Segue una bruciante sconfitta all’overtime in gara 6, e si arriva al nemico storico della franchigia canadese: gara 7. Ebbene, succede qualcosa di mai visto prima: Lowry scollina ancora i 30, DeRozan ne mette 28, Biyombo infrange ogni etica morale registrando un 17 e 18 e i Raptors approdano per la prima volta nella loro storia alle finali di Conference, arrivando dove Vince Carter e Tracy McGrady non erano mai riusciti.
In Canada ovviamente grandi festeggiamenti, e anche qualche incidente: due ragazzi si sono urtati per sbaglio e si sono chiesti scusa. #AnarchyInOntario
Miami Heat: Se i Raptors sono sembrati frenati dall’incostanza, gli Heat hanno avuto due grossi limiti: l’età media e gli infortuni. Già, perché dopo la vittoria in gara uno e la sconfitta in gara due, l’infortunio di Whiteside ha messo in grave difficoltà la franchigia della Florida. Se mi avessero detto tre anni fa che le sorti degli Heat in una serie di playoff sarebbero dipese da Hassan Whiteside, avrei invocato il TSO per l’interlocutore. Spoelstra ha provato a inventarsi di tutto per riparare alla falla nel reparto lunghi: da riesumare Haslem, che per cellulare ha ancora un Nokia 3310, a scongelare Stoudemire, che più che Amar’è ormai è solo Amar’ezza. Alla fine la soluzione meno dannosa è stata schierare il rookie Justise Winslow, due metri scarsi di altezza, come pivot bonsai, con l’acciaccato Luol Deng da quattro: viste le premesse, la squadra sarebbe dovuta affondare come un Titanic con a bordo Giuliano Ferrara. Ma un Dwyane Wade ringiovanito di almeno 8 anni si è caricato la squadra, il Titanic e Giuliano sulle spalle e ha approfittato di ogni calo di concentrazione degli avversari per tenere viva la serie, inanellando prestazioni da Pornhub e infrangendo record su record.
Significativo il momento in cui, in gara tre, ha quasi causato un incidente diplomatico quando l’inno canadese è partito in anticipo e non ha interrotto la routine di tiri per non deconcentrarsi. #WorldWarWade
Oklahoma City Thunder: Iniziano la serie sotto cattivi auspici: Westbrook aveva dormito male perché continuava a sognare Charlie Villanueva in tutù, Durant invece era turbato dai propri momenti da bad boy in conferenza stampa: tutto ciò si ripercuote in gara uno, dove vengono distrutti dagli Spurs, offrendo meno resistenza della Polonia nel 1939. La serie sembra già chiusa, ma in gara 2 molto poco polaccamente i Thunder reagiscono e si prendono un quanto mai inaspettato fattore campo trascinati da un Durant da far vedere alle mamme incinte e da un Westbrook che è sempre più genio, sregolatezza e vestiti brutti. In gara tre se la giocano per gran parte del match, salvo sciogliersi nel finale. In gara 4, al contrario, arrivano con le spalle al muro all’ultima frazione di gioco e reagiscono, trascinati soprattutto da Durant che realizza 29 punti nella seconda metà di gioco per un totale di 41. In gara 5 realizzano il colpaccio vincendo a San Antonio in un finale al cardiopalma, con un Westbrook da statua d’oro all’entrata del ridente stato dell’Oklahoma, primo portone. Gioca benino persino Waiters, che gode del mio odio più affettuoso, e la coppia Adams – Kanter in pitturato si dimostra estremamente efficace e ardua da gestire per i lunghi degli Spurs.
In gara 6 è l’Apocalisse: 14 punti di Andre Roberson, che non metteva tre triple in una partita dal 2012, 15 di Steven Adams, che ormai è posseduto da Khal Drogo, e i 55 punti combinati da Westbrook e Durant. Spurs eliminati, ora avanti i Warriors per un duello assolutamente da seguire. #OKCorral
San Antonio Spurs: Erano tra i grandi favoriti al titolo, in particolare dopo la tempesta perfetta di gara uno. Alla lunga però l’età dei giocatori chiave si è fatta sentire, e ancora di più l’assenza di contributo da parte delle seconde linee, che sulla carta erano da sempre il punto di forza della squadra texana. Duncan da lacrimuccia, soffre Adams per tutta la serie ma conclude con una prestazione rispettabile in gara 6 – quella che potrebbe essere la sua ultima partita, ma abbraccio il cuscino e prego di no – quando a fare fatica era Lamarcus Aldridge. Il quale è sicuramente uno dei punti fermi per il futuro degli Spurs, e lo ha dimostrato realizzando 78 punti nelle prime due gare della serie. Un po’ meno decisivo Leonard, costretto a fare gli straordinari in difesa per coprire gli errori dei compagni. Male Danny Green, mai al meglio in questa stagione, e Tony Parker, spesso incapace di contenere Westbrook in difesa. Nonostante una serie finita drammaticamente, passata dal 2-1 al 2-4, gli Spurs hanno dato una lezione di etica sportiva: sia in gara 2 che in gara 5 si sono verificati degli errori arbitrali nei finali di partita che, seppur in minima parte, hanno viziato i risultati, entrambi sfavorevoli per San Antonio: eppure nessuno si è sognato di polemizzare a riguardo, anzi Popovich e Ginobili hanno riconosciuto come la sconfitta sia imputabile esclusivamente alle cattive prestazioni. Ci mandano ancora tutti a scuola. #PerdonateIlGuardalinee
di Davide Romeo
genialeee