di Marco Munno
In ogni occasione in cui si disputa una competizione internazionale, sono due le puntuali consuetudini fra gli appassionati italiani. La prima è quella del tifo di marca patriottica, per l’Italbasket e per chi sia comunque legato alla nazione, con Sergio Scariolo negli ultimi anni a fungere da fulgido esempio. La seconda è quella della simpatizzazione per le compagini con minori favori dei pronostici ma che finiscono per diventare cult, non particolarmente dotate di talento ma dai tratti particolari e magari una storia abbastanza improbabile.
In questa edizione di Coppa del Mondo, i due fenomeni potrebbero incrociarsi. Sacchetti e Scariolo non saranno gli unici due capo allenatori italiani della manifestazione, vista la presenza di Paolo Povia alla guida della Costa d’Avorio, squadra qualificatasi con un cammino tanto romanzesco quanto quello della carriera del proprio coach.
Paolo Davide Povia iniziò con la palla a spicchi sin da piccolo nel Centro Olimpia Pallacanestro, divisione minibasket della piccola società milanese dell’Ebro Basket; lì seguì poi tutta la trafila delle giovanili per cambiare successivamente ruolo a 19 anni, iniziando il percorso da coach. Arrivò a 23 anni la chiamata che lo mise di fronte al classico bivio sul passaggio al professionismo: dall’altra parte della cornetta c’era la Scavolini Pesaro, alla quale passò entrando a far parte del settore giovanile. Restò quattro stagioni, in uno staff che contava anche Matteo Panichi (già in società) e Massimo Maffezzoli, che come lui arrivò da un’altra città e con il quale condivide l’adattamento ad una differente realtà.
Nonostante il contesto fosse di eccellenza, tuttavia, a Paolo stava stretto il settore giovanile e a soli 28 anni colse l’opportunità per la prima esperienza senior riavvicinandosi a casa, con la Forti e Liberi Monza in Serie B nel 2007/2008, in sostituzione di Adriano Vertemati passato alla Benetton Treviso.
La prima stagione monzese fu positiva, concludendosi ai playoffs dopo la conquista dell’ottavo posto al termine di un’annata dal rendimento altalenante; la seconda risultò esserlo meno, con l’esonero arrivato dopo la brutta partenza in campionato.
Tuttavia non venne scalfito il desiderio costante di rimettersi in gioco di coach Povia, che scommise nuovamente su sè stesso valicando il confine e accasandosi in Svizzera, dopo i contatti stretti nei clinic estivi tenuti in terra elvetica nelle estati delle stagioni pesaresi.
A 29 anni, prevedeva di stabilirsi all’estero per due o tre annate; in realtà diventano nove, con quattro stagioni a Pully, una a Friborgo, una e mezzo a Vevey e quella corrente a Neuchâtel (da direttore tecnico del settore giovanile e non da allenatore di squadre senior) con intermezzi di periodi di pausa e selezioni giovanili nazionali svizzere.
Le soddisfazioni a Vevey non si limitarono ai risultati in campo; al di fuori infatti coach Povia strinse un rapporto di particolare stima con il suo giocatore Ismaël N’Diaye, che non si sfaldò neanche al termine dell’esperienza ai Riviera Lakers. E fu proprio durante una delle loro telefonate che Ismaël, ex capitano della Costa D’Avorio e ora diventato team manager della selezione, gli raccontò che nonostante non fosse inizialmente previsto gli Elefanti sarebbero riusciti a giocare le qualificazioni al Mondiale e andavano alla ricerca di un coach.
Povia, del quale N’Diaye conosceva il desiderio di confrontarsi con le selezioni nazionali e l’interesse per il basket africano, si prese qualche giorno per rispondere come pura formalità; accettò con entusiasmo, sentendosi “pronto a tutto” come da monito di Ismaël nel descrivere la situazione.
Il coach scoprì presto che quella frase non si riferisse solo alla diversa organizzazione delle finestre di qualificazione africane, con concentramenti di tre giorni nella stessa nazione in periodi non obbligatoriamente coincidenti fra i vari raggruppamenti.
Ad esempio, con i contatti avvenuti i primi di febbraio, l’inizio della prima finestra di qualificazione fissato per il 21 febbraio non lasciava molto tempo per organizzarsi. Tuttavia il piano messo in piedi di 5-6 giorni di raduno veniva continuamente ridiscusso, con i biglietti per il Mozambico che tardavano ad arrivare. I fondi infatti non sono erogati dalla Federazione cestistica ma direttamente dal Ministero dello Sport, fattore che rende l’iter burocratico più complesso e i tempi più dilatati. L’arrivo nella sede di Maputo si concretizza alla fine solamente la sera prima della partita, con la preparazione relegata al giorno stesso dell’esordio, con soli 4 giocatori professionisti disponibili nel roster. Come prevedibile arriva una sconfitta di 13 punti, ma nei successivi due giorni la vittoria con il Senegal (uno dei migliori team continentali) e la sconfitta di un solo punto contro la Repubblica Centrafricana fanno intravedere qualche piccolo spiraglio positivo.
Per la seconda finestra, prevista in Senegal, le premesse erano migliori: preparazione effettuata con tranquillità e aggiunta di un vice allenatore. Sul cui nome Paolo non ebbe dubbi: fece ad Ismael quello di Luca Palumbo, allievo distintosi in un corso allenatori tenuto da Povia in Lombardia in cui Povia rivide lo spirito che lo animava quando anch’egli da Milano si spostò in Svizzera per fargli da assistente a Vevey. Appena scesi dall’aereo diretto a Dakar, la doccia fredda: entrambi i playmaker Bryan Pamba e Jean-François Kebe non erano stati tesserati per un’altra problematica burocratica e non sarebbero quindi stati disponibili. Arriva un solo successo, sufficiente però a guadagnarsi l’accesso alla terza finestra; lo scarto con il Mozambico venne infatti ribaltato, così da evitare l’ultimo posto nel girone D della prima fase ed essere inserito in uno dei due raggruppamenti della seconda.
Dai due gironi E e F composti dalle compagini qualificate dopo la prima fase sarebbero usciti i nomi delle cinque squadre con il pass per la Cina; si sarebbe trattato delle prime due di ogni raggruppamento e della migliore terza. Il problema era rappresentato dal fatto che i punti non venissero azzerati ma sommati a quelli ottenuti nelle gare precedenti, ponendo così gli Elefanti ultimi nella nuova classifica. Ma Paolo e Luca erano abituati a situazioni pesanti. Ad esempio, la loro permanenza a Lagos per giocare la terza finestra non fu proprio una passeggiata, con il visto non concesso subito all’ingresso nel paese nonostante le rassicurazioni ricevute ma solo in via eccezionale; per ottenerlo lasciarono in aereoporto il passaporto, riconsegnato poi in ritardo, costando loro il primo volo di ritorno e lasciandoli, come nel film “The Terminal”, intrappolati fra i gates in attesa di ripartire il giorno dopo.
Due vittorie su tre impegni misero comunque in carreggiata gli ivoriani, la cui doccia fredda arrivò dalla quarta finestra del girone E, disputata a dicembre, in anticipo rispetto a quella del loro raggruppamento prevista a febbraio: il Camerun si era preso la terza piazza con un cuscinetto di 66 punti di scarto da ribaltare per gli Elefanti nell’ultima serie di partite.
La decisiva finestra di tre gare in tre giorni consecutivi era prevista proprio in Costa d’Avorio, nel centro più popoloso della nazione di Abidjan. Una specie di bolla durante quelle giornate ha avvolto la nazionale degli Elefanti, che si trovava davanti una situazione a doppio taglio: da un lato l’insperata opportunità di strappare il pass per la Cina davanti al proprio pubblico, dall’altro l’obbligo di non perdere nessuna delle gare per non giocare i matches successivi con la consapevolezza della loro inutilità conseguentemente acquisita. Eventualità della sconfitta che si presentava nel primo degli impegni previsti, con avversaria la Nigeria già qualificata da imbattuta, con obiettivo il solo primato fra le squadre africane da strappare al Senegal così da ammorbidire il futuro sorteggio dei gironi.
Il piano ivoriano prevedeva una vittoria a qualsiasi costo contro le Super Aquile per poi cercare di ribaltare lo scarto nei successivi due matches contro le più abbordabili Rwanda e Mali. Coach Povia aveva tuttavia messo in guardia i suoi, con un’avvertenza simile a quella ricevuta all’inizio della sua avventura: “Siate pronti a tutto”. Forse sentiva già l’aria dell’impresa, chiedendo ai suoi di non farsi trovare impreparati se la Nigeria si fosse presentata meno reattiva al match; fatto sta che, dopo il vantaggio delle prime battute, il veterano Konè che sussurra alla panchina “Coach, se non perdiamo la testa andremo benissimo” inquadra ottimamente la situazione che vedrà gli Elefanti (anche a +35 durante la gara) vincere il match con un ottimo +26. Gli ivoriani cominciano a crederci: l’entusiasmo accumulato fa da propellente per i successivi due impegni, che si chiudono con 27 punti rifilati al Rwanda e 20 al Mali, per un +73 complessivo.
E’ fatta: al termine di un percorso così palpitante, la Costa d’Avorio si è guadagnata il quinto e ultimo posto destinato ad una squadra africana nella Coppa del Mondo.
E in occasione della rassegna iridata, cui la squadra parteciperà superato l’empasse per lo sciopero successivo ai mancati saldi delle spese, la squadra conterà su un ulteriore rinforzo; è stato infatti completato l’iter per l’acquisizione della cittadinanza, vista la parentela da parte di nonno, di Deon Thompson. L’ex Tar Heel, veterano di mille battaglie sui campi d’Europa, si è integrato da subito con i compagni, fornendo loro un esempio di professionalità che oltre al tasso tecnico alzerà anche quello di disciplina e attitudine al lavoro e al sacrificio a tutto tondo.
Successo dell’operazione su cui Paolo e Luca avevano pochi dubbi: oltre alle informazioni raccolte sul conto di Deon, l’esperienza diretta dei due italiani in un gruppo dalla composizione mista per esperienze (da professionisti di livello più alto o più basso) e di formazione è quella di un gruppo pronto a superare le differenze in nome di un’unità sotto la stessa bandiera ivoriana al di là della provenienza dei componenti.
A proposito della provenienza di coach Povia, i “derby d’Italia” fra Paolo e gli altri due capo allenatori italiani che saranno impegnati al Mondiale si sono già tenuti in fase di preparazione alla rassegna iridata, con le amichevoli degli Elefanti contro gli azzurri di Sacchetti il 31 di luglio e contro la Roja di Scariolo il 9 di agosto. In occasione della prima va tra l’altro sottolineata la reunion, dopo oltre 10 anni, del gruppo pesarese con Maffezzoli e Panichi, ora nello staff dell’Italbasket. Inoltre, si fece notare la particolare camicia indossata dallo staff tecnico:
Anche l’indumento presenta una storia particolare: al momento della partenza dal ritiro di Abidjan (prolungato in Costa D’Avorio vista la cancellazione della tappa prevista negli Stati Uniti), il materiale tecnico non era stato ancora recapitato dal nuovo sponsor della selezione. Mentre le divise per la squadra furono preparate da un’azienda locale, lo staff tecnico si attrezzò in autonomia, recandosi in una piccola sartoria cittadina. Lì scelsero il particolare tessuto, tipico con la sua colorazione quale simbolo nazionale e che quindi avrebbe testimoniato ancora di più l’attaccamento alla causa rendendo fieri i tifosi. Tifosi il cui urlo era ancora strozzato in gola dall’ultimo Mondiale disputato dalla Nazionale, dove la qualificazione agli ottavi di finale nel 2010 sfuggì per soli 4 punti nell’arrivo a pari merito nel girone con Cina e Porto Rico, nonostante il successo nell’ultima giornata proprio nello spareggio con i caraibici.
In Cina, vista la composizione del calendario, se non si verificheranno particolari sorprese si terrà l’ultimo confronto fra i tre coach italiani, quello fra l’Italia di Meo e la Spagna di Sergio, nel girone successivo a quello iniziale.
Potrebbe però tenersi una quarta puntata a tinte azzurre. Analizzando gli incroci possibili degli accoppiamenti fra le vincenti dei secondi gironi, gli Elefanti potrebbero ritrovarsi Italia o Spagna ai quarti: è l’augurio che ci sentiamo di fare, in quanto vorrebbe dire che i portabandiera del tricolore avrebbero continuato a far strada nella manifestazione.