articolo di Matteo Soragna
foto ItalBasket
I giorni che precedono l’inizio di una manifestazione internazionale sono fatti di aspettative, di tensione, di impazienza e in alcuni casi di insofferenza.
Appena atterri sul suolo del paese ospitante senti una sorta di “Click”, una piccola scossa che mette il cervello e il corpo in modalità torneo e abbandona la modalità preparazione. Respiri l’atmosfera della competizione, la sua portata e si rinfresca il significato di far parte di un gruppo elitario di dodici giocatori selezionati.
Il bello di giocare in Nazionale è che puoi partecipare a eventi di portata mondiale, in posti che difficilmente rivisiterai e con organizzazioni solitamente di alto livello.
Un movimento sportivo (tendenzialmente) programma nel medio/lungo periodo la preparazione e la partecipazione a questo tipo di tornei, ma per un atleta è diverso, perché vive di anno in anno quello che deve affrontare, all’interno di quello che è il suo percorso di crescita che naturalmente è a lungo termine.
Il lavoro da fare per arrivare all’appuntamento nelle migliori condizioni possibili, dandosi le chances di portare a casa un risultato o quantomeno di fare il massimo che si possa raggiungere, è caratterizzato da molti aspetti e molte variabili che influiscono sulla qualità del prodotto.
Partiamo dalla preparazione tecnica messa subito in difficoltà da un fattore: il tempo. Che è poco.
Solitamente si inizia a lavorare sei settimane prima del “giorno uno” della manifestazione alla quale si partecipa. Se pensate che sia un periodo più che sufficiente vi sbagliate. E di grosso.
Se considerate che durante una stagione intera di campionato gli allenatori cambiano più volte molti schemi offensivi, tanti vengono eliminati, altri vengono appena modificati, tante collaborazioni difensive hanno bisogno di mesi prima che vengano metabolizzate dai giocatori e (soprattutto) tante intese in campo hanno bisogno di ore e giorni passati in campo prima che nascano, potete capire la difficoltà di lavorare in un lasso di tempo così breve.
Un vantaggio è che spesso il gruppo della Nazionale, per almeno sei/sette dodicesimi, gioca insieme da molti anni, al netto del cambio di C.T. e quindi di stile di gioco e regole.
Serve molta disponibilità da parte dei giocatori nel capire velocemente quali siano le regole base dell’attacco e della difesa per poi addentrarsi nei dettagli più complessi che richiedono più tempo, e serve una grande capacità comunicativa e di semplificazione di tutto lo staff tecnico per esporre nel modo più chiaro e veloce quelle regole.
C’è anche la variabile dei giocatori che non capiscono un cazzo, ma su quella c’è poco da lavorare.
Altro aspetto fondamentale dal punto di vista tecnico è la preparazione della partita sulle caratteristiche degli avversari che si incontreranno nei gironi. Per avere le informazioni si visionano i video delle partite delle squadre che giocano nei tornei di preparazione e, quando le distanze (o il budget della Federazione) lo permettono, si mandano gli assistenti a vederle di persona per poter cogliere anche le minime sfumature di gestione o qualche schema che era sfuggito in sede di analisi video.
Va tenuto in considerazione un aspetto molto importante: la mole di lavoro che permette ai giocatori di andare in campo preparati e con tutte le informazioni necessarie per provare a vincere una partita, è imbarazzantemente maggiore rispetto alle due o quattro ore giornaliere di allenamento degli atleti. Uno staff tecnico non stacca mai la spina, da quando apre gli occhi la mattina a quando li chiude la sera (aggiungete ogni tanto anche qualche passaggio onirico).
Oltre alla preparazione tecnica c’è quella fisica.
Anche in questo caso le dinamiche sono differenti rispetto ad una stagione intera, dove hai tempo per fare periodi di carico e scarico, dove puoi gestire acciacchi e infortuni in un determinato modo. Nel caso di un Mondiale o di un Europeo o di un’Olimpiade devi gestire la preparazione per essere performante in brevissimo tempo, per “entrare in forma” addirittura a manifestazione iniziata, quando ci saranno le partite da dentro/fuori o quelle del secondo girone dove non puoi fare errori.
La gestione degli infortuni e degli acciacchi è diversa. Sempre assolutamente nel rispetto dell’atleta, i tempi si accorciano e giocare sul dolore diventa praticamente una necessità e una condizione che il giocatore affronta per primo perché ha il desiderio di fare bene a prescindere dai fastidi. In questi casi o non sei proprio in grado e non giochi, oppure scendi in campo e al dolore pensi dopo che la partita è finita. Nel secondo caso a cena, in genere, il menù prevede “Rigatoni zucchine e Voltaren”, a seguire “Tartare di manzo con salsa Worcestershire, uovo e Sinflex” e per finire “Crema al mascarpone con glassa al Toradol”.
È qui, ma non solo, che entra in gioco tutto lo staff medico, professionisti a totale disposizione della squadra in qualsiasi momento del giorno (e della notte). A colazione, prima dell’allenamento mattutino, dopo l’allenamento, dopo pranzo, prima dell’allenamento pomeridiano, dopo l’allenamento, dopo cena sono tutti momenti di confronto, domande e accertamenti sullo stato fisico dei giocatori, di terapie e trattamenti. Per poter delineare tutto il percorso fisioterapico che serve per rimettersi velocemente da un problema o per gestirlo nel migliore dei modi. Uno staff medico lavora come la squadra lavora in campo, serve competenza (ça va sans dire), impegno, affiatamento e capacità decisionale. Il legame che si crea tra giocatori e staff è veramente molto profondo ed è fondamentale nell’ottenere un risultato.
Non dovrei dirlo, nel senso che dovrebbe essere scontato, ma parte di questo legame dipende anche dall’atteggiamento di chi ha bisogno delle terapie, dalla sua puntualità agli appuntamenti, dalla sua disponibilità ad accettare gli orari gestiti dai dottori e dai fisioterapisti, dalla responsabilità nella gestione del suo corpo durante questi periodi delicati. È una questione di rispetto in assoluto, del lavoro degli altri e del proprio corpo (che a quanto pare conta abbastanza nello sport professionistico).
Altro argomento sensibile, più di quanto un normale tifoso o appassionato possa pensare, è l’alimentazione. Il corpo di un atleta è a tutti gli effetti una macchina e come tale ha bisogno del carburante migliore e più adatto. Negli ultimi anni la figura del dietista e del nutrizionista è entrata a far parte dello staff medico perché se con la gestione dei pasti, degli alimenti e degli integratori si può guadagnare un centimetro in più nel salto, un pizzico di potenza in più, un recupero più rapido, lo si deve fare.
Nella mia esperienza sportiva ho sperimentato diversi regimi alimentari, naturalmente sempre sotto consiglio medico, ognuno dei quali mi ha dato vantaggi e se hai un minimo di capacità di ascoltare il tuo corpo ti rendi conto anche delle piccole cose che cambiano nel tuo organismo. Recupero migliore dopo gli allenamenti, migliore qualità del sonno, migliore capacità digestiva, un corpo più pronto a lavorare e a fare fatica.
Anche in questo caso molto dipende dall’atteggiamento dell’atleta, che si deve fidare e abbandonare alle indicazioni di chi ha studiato l’argomento (tipo il Dott. Burioni con i No-Vax), che non deve lasciarsi andare alle tentazioni. Quindi tenere in camera sacchetti di caramelle, dolci e schifezze varie perché prima di dormire mentre si guarda qualche serie su Netflix viene fame, non è un comportamento da super professionista. Pensate che non possa succedere? Vi sbagliate, purtroppo.
E in campo? Ci sono variabili che vanno oltre il giocare bene o male?
Certamente.
Ci sono episodi singoli che possono segnare l’andamento di un campionato, figuriamoci di un torneo breve.
Per fare qualche esempio torno indietro alle Olimpiadi di Atene, alla prima partita del girone contro la Nuova Zelanda. In uno degli ultimi possessi, Phill Jones, conoscenza del nostro campionato che vestiva la maglia di Cantù, cade mentre penetra e perde il pallone, perdendo di fatto la possibilità di portarsi a casa la partita che si conclude con una nostra vittoria di soli due punti. Sul momento non me n’ero accorto, ma Jones cade perché Radulovic gli fa (involontariamente) uno sgambetto.
Nell’ultima partita del girone incontriamo l’Argentina e dopo un incontro giocato punto a punto ci troviamo a un secondo abbondante dalla fine sopra di uno con una rimessa dal fondo per Ginobili & co.
Non so cosa succeda, ma commettiamo un errore gravissimo e Delfino si trova da solo sotto canestro con la palla. Incredibilmente sbaglia l’appoggio al tabellone, la palla rimbalza sul ferro e scade il tempo.
Sono due partite, quattro punti guadagnati, lo scontro diretto con l’Argentina a favore e di conseguenza il secondo posto nel girone. Che ha voluto dire accoppiarsi con Porto Rico ed evitare la Grecia padrona di casa.
Siamo andati a vedere l’ultima partita dell’altro gruppo, Grecia-Porto Rico, che avrebbe deciso il nostro accoppiamento e la sensazione (non so quanto reale o semplicemente un nostro percorso mentale) è stata che i caraibici abbiano lasciato tranquillamente la vittoria agli ellenici sapendo che avrebbero incontrato noi e non l’Argentina.
Se fosse stata effettivamente una scelta la capisco perché a bocce ferme anch’io avrei pensato allo stesso modo. Poi però le cose sono andate come tutti sappiamo anche se la partita è stata tosta e combattuta fino alla fine.
Oppure, come sarebbe andato l’Europeo in Spagna nel 2007 se nella partita d’esordio contro la Slovenia di un giovane Goran Dragic, dopo che uno dei nostri esterni, quello con le spalle più dritte al mondo, il glande (non è un refuso) Sora!, ha messo due bombe consecutive di cui una a più o meno quattro secondi dalla fine, Lakovic non avesse segnato la bomba allo scadere che ci ha fatto perdere di un punto e costretti poi a giocare la seconda fase a gironi con due punti in meno?
Vero è che poi in quella seconda fase abbiamo perso l’ultima partita contro la Germania di Nowitzki lasciando loro l’accesso ai quarti di finale, ma quella tripla del play sloveno è stata una botta che, a parere mio, ha segnato tutto il nostro Europeo.
Andiamo ai Mondiali in Cina in una situazione fisica molto complessa, con Nik Melli che ha dovuto dare forfait per l’intervento al ginocchio, con Gigi Datome che ha iniziato a lavorare con la squadra dopo Ferragosto, con il Gallo colpito da un attacco di appendicite e costretto a operarsi rimanendo fermo fino a pochi giorni dall’inizio della competizione.
Imprecare per queste condizioni è più che lecito, dopodiché bisogna pensare a fare bene in qualsiasi tipo di situazione e dare il massimo nelle poche partite che questa manifestazione offre.
Meo Sacchetti ha accompagnato tutto il percorso di qualificazione e successivamente di preparazione alla spedizione in Cina con la sua classica filosofia di gioco, fatta di grande fiducia ai giocatori, attitudine alla corsa e libertà in attacco appena c’è un buon tiro a disposizione. Il tutto ad una semplicissima condizione che pone ai ragazzi: difendete e potete fare quello che volete in attacco, non difendete e potete fare quello che volete in panchina.
Le squadre di Sacchetti hanno tutte un filo conduttore, divertono. Nel recente passato hanno associato anche la vittoria (tre coppe Italia e uno scudetto) sublimando quello che per molti è il concetto di sport.
Con la Nazionale sappiamo che è diverso, per i molti motivi cui ho accennato in queste righe, ma la mentalità del C.T. è sempre la stessa e tutte le dichiarazioni che ha fatto da quando è alla guida della Nazionale fanno capire che non ha nessuna intenzione di snaturarsi e di concedere ai singoli togliendo qualcosa al gruppo.
Solo per fare alcuni esempi, ha detto chiaramente che i giocatori devono capire che nella squadra ci sono le prime punte, le seconde e le terze. Quindi ognuno deve capire il proprio ruolo senza anteporre il proprio interesse e senza pensare di essere meglio di quello che si è.
Inoltre ha specificato che non vuole assolutamente (testuale) “facce di merda” in campo quando non si tira per un paio di azioni o quando si viene sostituiti.
Ha sottolineato che chi entra in campo con la faccia di quello che va a fare un lavoro, ha sbagliato posto, visto che c’è la fila per fare quello che fanno gli sportivi.
Questa genuinità nei messaggi e il tipo di messaggi che manda piacciono a tutti i tifosi che saranno pronti a salutare la Nazionale ad ogni partita in terra d’oriente.
Inoltre “Ni hao” fa rima con “Ciao!”, vorrà pur dire qualcosa, no?
Pace, Amore e Felicità amici cestisti!