di Marco A. Munno
foto copertina di revistaq.mx
Ginobili, Scola, Hermann, Sconochini, Delfino, Nocioni, Oberto, Pepe Sanchez, Prigioni, Gutierrez, Montecchia, Wolkowisky: questa filastrocca ha rappresentato, nella prima decade degli anni 2000, una delle maggiori dinastie della pallacanestro mondiale (la generacion dorada) e sicuramente la piú importante di sempre per quella argentina, donandole i piú grandi successi mai ottenuti. Un effetto collaterale dei trionfi è però rappresentato dalle aspettative che si accumulano sulla generazione successiva; nel basket albiceleste, non proprio una rinomata fucina di talenti, attendersi il raggiungimento delle stesse vette dalla selezione attuale sarebbe quantomeno pretenzioso.
Tuttavia è possibile trovare un anello di congiunzione fra le due generazioni, con un ragazzo tra le nuove leve affine per talento e atteggiamento ai componenti del fantastico gruppo del passato: si tratta di Facundo Campazzo.
Fisico sotto la media coi suoi 179 centimetri d’altezza, mezzi atletici non impressionanti, pallacanestro poco cerebrale, nessuna rinuncia nel catalizzare le responsabilità nei momenti topici delle partite: non è questo il profilo del cestista su cui scommettereste.
Troppo basso per essere rilevante.
Di certo grandi aspettative su di lui non le nutriva mamma Mary, in cerca solamente di uno sport che potesse occupare il figlioletto di 5 anni sin troppo attivo. Quando però si alzava la palla a due il suo contributo era gigante; il team della natale Córdoba fu trascinata a giocarsela faccia a faccia con i migliori team della regione.
Troppo piccolo, coi suoi 15 anni, per fare la differenza nella semifinale del campionato nazionale under 18 nella sfida contro il Peñarol con la sua Unión Eléctrica, in squadra assieme a Pablo Bertone. Tuttavia Osvaldo Mario Echeverría, il coach avversario istituzione di Mar del Plata, vide delle potenzialità che lo spinsero prima a convocarlo per un provino e poi ad inserirlo nelle giovanili: iniziò così uno dei matrimoni di maggior successo della pallacanestro albiceleste.
Al primo anno di giovanili nel Peñarol: segnale premonitore?
Troppo giovane per giostrare nella cabina di regia di una delle squadre più titolate del continente.
Sergio Oveja Hernández, coach del bronzo di Pechino della nazionale, dopo averlo fatto esordire nella Liga Nacional, con 1 minuto e 33 secondi (registrando 2 punti e 2 rimbalzi) nella vittoria sul Gimnasia di Comodoro Rivadavia per 89 a 71, corse però il rischio quando il playmaker titolare Fernando Tato Rodríguez, leggenda del Peñarol,fu costretto ad un repentino ritiro da un problema cardiaco all’inizio della stagione 2011/2012.
Giocatore più migliorato dell’annata, elezione nel quintetto ideale del campionato, MVP delle finali vinte: fra finte spiazzanti e palleggi ubriacanti, passaggi geniali e triple pazzesche, i dubbi furono prepotentemente spazzati via.
Troppo grassottello per essere un ventenne di belle speranze.
Fu quel Manu Ginobili, archetipo della categoria di geniali mingherlini argentini, a far notare la cosa all’imberbe Facundo, durante un allenamento di preparazione alle Olimpiadi del 2012. La Selección si presentava all’appuntamento in cerca di una terza medaglia consecutiva, mentre per Facu si trattava della seconda manifestazione con la Nazionale in pochi mesi, dopo l’oro conquistato ai Campionati Sudamericani dopo la considerazione mai avuta nelle nazionali giovanili. Il messaggio colse nel segno, visto che in futuro Campazzo diventerà testimonial di diete equilibrate e sani stili di vita.
L’esperienza a cinque cerchi si rivelò quindi formativa non solo per quanto espresso sul campo di gioco, dove Facu mostrò i primissimi flash delle sue capacità come la tripla doppia sfiorata contro la Tunisia (12 punti, 9 rimbalzi, 7 assists), anche se la soddisfazione maggiore venne dalla stoppata rifilata in un’amichevole di preparazione a Kobe Bryant.
Troppo poco competitivi i tornei sudamericani per verificarne in pieno il valore.
Chiusa la stagione 2013/14 con medie a gara di 16.3 punti, 4.1 rimbalzi, 5.9 assist e 2.1 rubate aggiungendo alla sua quarta Liga Nacional il titolo di MVP delle finali, fu chiaro come in Argentina non avesse più nulla da dimostrare. Era il tempo di mettersi alla prova in Europa, dove lo portò il Real Madrid insieme, fra gli altri, al connazionale Andrés Nocioni. Arrivò subito lo storico poker di Liga, Supercoppa, Coppa del Re, Eurolega e Coppa Intercontinentale, ma tanto si arricchì il palmares quanto poco Facundo si vide sul parquet. L’adattamento risultò complicato, lo status di extracomunitario ne ridusse ulteriormente le possibilità di collezionare minuti di gioco; il momento in cui si fece notare maggiormente fu quando, nei festeggiamenti per il mentore Chapu premiato come MVP delle Final Four di Eurolega, il suo entusiasmo esplose incontenibile.
Troppo difficile l’adattamento a ritmi, abitudini e terre diversi dai suoi.
I blancos lo cedettero in prestito in un contesto più modesto, dove però avrebbe potuto disporre di maggiori occasioni per esprimersi: Campazzo prese la strada per Murcia. Anchè lì Facundo ci mise poco a farsi notare: quarta partita di campionato, nella vittoria in trasferta contro il Siviglia, rubò la palla a metà campo dalle mani di Jermaine Anderson per andare a concludere al ferro, diventando il giocatore più basso della storia della Liga ACB a mettere a segno un’inchiodata.
Dopo la prima ci prende anche gusto
Troppo delicato il ruolo affidatogli al successivo appuntamento olimpico, quello del 2016, quale raccordo fra i reduci della Generación Dorada all’ultima passerella e i componenti del nuovo corso.
Lo interpretò al meglio, chiudendo la competizione come capocannoniere e miglior assistman della Seleccióncon 15.8 punti e 5.8 assistenze a gara, come suo solito senza tirarsi indietro di fronte alle responsabilità, per quanto pesanti potessero sembrare.
Soprattutto, validò il suo ruolo di destinatario del testimone di leader nell’occasione migliore possibile: la rivalità sportiva forse più sentita al mondo, quella che all’Argentina contrappone il Brasile. In quella occasione, la cornice era arricchita sia dal prestigio di un appuntamento quale l’Olimpiade che dal luogo in cui si sarebbe disputata la partita di girone fra le due nazionali, ovvero l’Arena Carioca 1 della capitale verdeoro di Rio De Janeiro con sedicimila appassionati sulle tribune. Non poteva che uscir fuori quella che risultò la partita più spettacolare del torneo, con le due squadre a rispondersi colpo su colpo risolvendo il confronto solo dopo un doppio overtime. In quel contesto Facundo impresse il suo marchio, mettendo a segno il suo massimo di punti con la canotta della Nazionale con 33, associandovi 11 assists e realizzando una lunga serie di tiri pesanti come monoliti: da quello del pareggio nel primo supplementare…
… a quelli che decisero definitivamente il secondo.
Anche se la giocata maggiormente rappresentativa della tempra del ragazzo non fu un canestro, ma un rimbalzo preso in attacco, più rapido dei corpaccioni che aveva intorno, con successivo assist a Nocioni per la tripla del pareggio in chiusura dei tempi regolamentari.
Proseguì il suo momento di grande verve nella stagione successiva, quella che si rivelò essere l’ultima al Murcia, dove venne premiato quale Giocatore Più Spettacolare della Liga ACB: un premio che sembra tagliato apposta per i lampi di talento di Facu, che susseguendosi uno dopo l’altro lo resero uno dei più elettrizzanti da vedere con la palla a spicchi in Europa.
Troppo indisciplinato per incidere nei contesti più competitivi del continente.
Passando per un’AmeriCup chiusa al secondo posto, con la sesta medaglia in 6 anni di militanza in Nazionale, tornò a Madrid deciso a provare di valere la camiseta blanca.
Il destino gli presentò un’occasione, con l’infortunio di Sergio Llull e Facundo non si fece trovare impreparato: a fine stagione, in Liga ACB mise insieme 9 punti con 4 assists in soli 21 minuti giocati a gara nel turnover del fornito roster del Real.
Conferma della sua solidità arrivò inoltre in Eurolega: risultò il madrileno con il maggior numero di partenze in quintetto (30), nonchè quello che distribuì più assists con 4.5 ad allacciata di scarpe, cui aggiunse 7.9 punti e 1.4 rubate (secondo dell’intera competizione) in 23 minuti di utilizzo.
Dimostrò di aver lavorato sugli aspetti positivi e su quelli negativi del suo gioco, incanalando le sue intuizioni cestistiche in un sistema dalla massima organizzazione, così da farle risaltare ai massimi livelli europei. Registrò infatti il miglior rapporto fra assists e palloni persi della sua esperienza nel Vecchio Continente, con un valore di 2.81 a migliorare quello di 1.93 del biennio di Murcia, grazie ad 1 pallone perso in meno a partita.
Parallelamente, nelle iniziative individuali ampliò la gamma delle soluzioni a disposizione; alle acrobatiche penetrazioni con cui sbrogliava le situazioni più complicate al Peñaro aveva aggiunto diverse tipologie di efficienti conclusioni, con un miglioramento ad esempio della percentuale da 3 punti, portata anch’essa al massimo personale registrato tra Liga ed Eurolega con il 33.8%.
In grado tanto di creare per i compagni quanto di mettersi in proprio, si era ormai trasformato in una minaccia costante per le difese e una continua fonte di highlights per gli spettatori delle sue gesta.
Un repertorio che lascia a bocca aperta
Troppo fragile quel ginocchio sinistro che si infortunò, col rischio di chiuderne anticipatamente la stagione.
Ma stavolta nella fase calda dell’Eurolega Facu non voleva essere solo una comparsa: testa bassa e tanto lavoro, con l’obiettivo di un rientro per le Final Four davanti a sè. Saltata la serie di playoffs con il Panathinaikos, Campazzo completò il recupero e, seppure non nelle migliori condizioni, riuscì a calcare il campo, schierato titolare da Pablo Laso in entrambe le gare che portarono al Real Madrid l’agognata Décima.
A proposito: per scendere dal canestro dopo i festeggiamenti, furono necessari i compagni Yusta e Tavares.
This is what happens when Facu gets stuck on the rim #PriceOfGlory @RMBasketFans pic.twitter.com/cGGcqVlPbe
— Moses (@MosesB1) 20 maggio 2018
Troppo pesante la perdita di Doncic in direzione Dallas per poter essere assorbita con sforzo relativo nella corrente stagione madrilena.
Lasciata libera dallo sloveno, la maglia numero 7 passa a Facundo, che torna a vestirla dopo averla già indossata nella nazionale Albiceleste e a Murcia. Con l’ingaggio fra gli esterni di Prepelic e Deck, i Blancos decidono di fatto di puntare maggiormente su di lui, che risponde innalzando ancora di più la sua importanza all’interno del sistema del Real: aumenta il numero di assists e diminuisce quello dei palloni persi per il miglior rapporto della carriera.
Il vizio per le giocate ad effetto, invece, resta immutato.
L’avevate già vista questa?
Seppure in situazioni totalmente diverse, ha concluso le due annate in cui si è esibito in Eurolega nello stesso modo, alzando il trofeo; visto il rendimento in questa prima parte di stagione del Real, è plausibile pensare che non ci sia due senza tre. Inoltre, è arrivata la certezza della partecipazione al Mondiale del 2019 con la Selección, in cerca di riscatto dopo il peggior piazzamento degli ultimi 24 anni nell’ultima occasione, mentre nel corso dello scorso anno è girata qualche voce relativa ad un interessamento alle sue prestazioni da parte di franchigie NBA, principalmente da parte dei Rockets.
Certo, la concorrenza in Europa, con le consuete CSKA e Fenerbahce in primis, resta agguerrita; ripetere i fasti dell’Argentina che fu è utopico; l’approdo negli Stati Uniti con la sua combinazione di età e fisico ha alte possibilità di risultare un buco nell’acqua. Troppo difficile.
Ma si può essere troppo sicuri di non voler nuovamente credere nelle possibilità di Facundo Campazzo?