illustrazione grafica di Paolo Mainini
Oh, Louisiana,
resti ad aspettare
e arriva il momento
di cavalcare il fulmine…
MELO HITS A THREE FOR HIS FIRST POINTS IN 376 DAYS! pic.twitter.com/x7etoMSmyE
— ClutchPoints (@ClutchPointsApp) November 20, 2019
Viviamo una vita intera cercando di convincerci che siamo padroni del destino, che le coincidenze, per l’appunto, siano solo coincidenze. Lo facciamo perché abbiamo bisogno di credere che se lavoriamo abbastanza duramente, se abbiamo talento e – perché no – un pizzico di fortuna, tra noi e l’obiettivo che ci siamo prefissati di raggiungere ci sia solo la strada che abbiamo scelto di percorrere. Poi però succedono delle cose che ci fanno dubitare di tutto questo, ci fanno pensare che ci sia un disegno di cui noi riusciamo appena a intravedere qualche linea, un quadro di cui percepiamo qualche pennellata ma non a vederlo ed apprezzarlo pienamente.
Quando la palla lascia i polpastrelli di Carmelo Anthony, maglia 00 dei Portland Trail Blazers, per frustare la retina e riportare i Blazers a -1 (a gara appena iniziata) nella partita in trasferta della sua nuova squadra contro i Pelicans, ‘Melo è di nuovo il freshman sensazionale agli ordini di coach Jim Boeheim. Quello che a New Orleans, al Louisiana Superdome, fece piangere Kirk Hinrich, Nick Collison, Keith Langford e tutta la discendenza dei Naismith, sfiorando la tripla doppia davanti ad oltre 52.000 spettatori. ‘Melo mette la tripla, si punta le tre dita alla tempia ed è di nuovo il diciannovenne che fece innamorare di lui tutti gli appassionati di basket negli USA. Quanta strada che hai fatto, ‘Melo, per tornare diciannovenne a New Orleans: ti va se la ripercorriamo insieme?
11 febbraio 2002, Sovereign Bank Arena, Trenton
Carmelo Kyam Anthony perde il padre, Carmelo Iriarte, a poco più di due anni di età per una brutta malattia. A otto anni si sposta a Baltimore, all’high school sceglie di andare in Virginia, lontano da casa, a Oak Hill Academy, “un posto dove non c’era altro a cui pensare che non fosse il basket e lo studio. Quello che ci voleva per me, a Baltimore c’erano troppe cose a distogliermi”, così raccontava ‘Melo spiegando la decisione di lasciare la Towson High School nel Maryland.
La Top 100 dell’High School è da sempre abbastanza aleatoria, perché oltre al talento puro e alle prestazioni dei giocatori, dobbiamo parametrare il tutto ai campionati statali in cui giocano i prospetti in lista e al livello di maturità fisica e tecnica raggiunta. Per fare qualche esempio concreto, nella ESPN Top 100 del 2002 Deron Williams era al numero 100, Andre Iguodala all’84, Brandon Roy al 36, Lenny Cooke (che decise di saltare il college e dichiararsi eleggibile al Draft) al 2. Come dite? Chi è Lenny Cooke? Appunto.
Bene, in questa lista, il prospetto numero 1 degli States era proprio lui, Carmelo Anthony.
È decisamente inusuale vedere 11.000 spettatori ammassati per una partita di High School. Ma la sfida tra Oak Hill Academy e Mount St. Mary’s voleva dire vedere in azione il miglior giocatore liceale della nazione contro il miglior prospetto degli anni a venire. Da una parte ‘Melo, con la maglia numero 22 di Oak Hill Academy, dall’altra il prescelto col 23 che avrebbe fatto parecchia strada negli anni a venire. I punti segnati alla fine furono 34 per Anthony (con 14-25 dal campo e 11 rimbalzi) e 36 per l’altro (12-27, 8 rimbalzi e 5 assist). Oak Hill Academy, però, alla fine si portò in Virginia anche la vittoria, 72-66.
9 Marzo 2003, Carrier Dome, Syracuse
In quella che è l’ultima gara casalinga in maglia Orange per il freshman dell’anno, Syracuse affronta Rutgers nell’ultima gara di regular season della Big East Conference. Gli uomini di coach Boeheim vengono da 9 vittorie nelle ultime 10 gare, hanno un record di 22 W e 4 L, di cui una proprio contro gli Scarlet Knights. Al Carrier Dome ci sono stipate 33.071 persone, al tempo record di pubblico per una partita di regular season di basket collegiale “on-campus” (per la cronaca: il record attuale, di 35.642 spettatori, appartiene sempre a Syracuse, stabilito nella partita dello scorso anno contro Duke). Questo ci dice tanto sulla passione della cittadina nello stato di New York, fino al 1963 sede della franchigia NBA oggi nota come Philadelphia 76ers, e ci dice altrettanto sull’eccitazione generale nei confronti del ragazzo nativo di Red Hook, Brooklyn, 250 miglia di distanza dalla tana dei ragazzi di coach Boeheim. Syracuse batte Rutgers 83-74, ‘Melo scrive 30 punti, 14 rimbalzi, 6 assist, 3 recuperi, una stoppata, zero perse (più un fallo tecnico). Per la prima volta nella loro storia, gli Orange – all’epoca Orangemen – chiudono la stagione imbattuti in casa.
7 aprile 2003, Louisiana Superdome, New Orleans
Neanche un mese dopo quella partita al Carrier Dome, il numero 15 in arancione sta giocando la terza finale del torneo NCAA della storia dell’ateneo. Le prime due non sono andate benissimo, soprattutto quella del 1987 contro Indiana, chiusa da una tripla sulla sirena di Keith Smart. ‘Melo ha messo 20 punti nei primi 27 minuti. Poi si è fermato, ma la stoppata di Hakim Warrick su Michael Lee sigilla la vittoria di Syracuse. Il ragazzo da Brooklyn, oltre ai 20 punti, mette a referto 10 rimbalzi e 7 assist. In semifinale, due giorni prima, aveva portato i suoi alla vittoria contro Texas con 33 punti e 14 rimbalzi. Titolo NCAA e riiconoscimento di Most Outstanding Player delle Final Four 2003 vanno nella sua bacheca. Dopo pochi giorni, Jim Boeheim lo convoca nel suo ufficio e gli dice “Carmelo, i tuoi servizi non sono più richiesti qui da noi”, che detta così poteva anche suonare strano, ma in realtà stava a significare “che aspetti? Sei pronto per la NBA!”.
26 dicembre 2003, Pepsi Center, Denver
Il primo trentello di Carmelo Anthony da professionista era arrivato alla sua sesta partita, ma faceva testo fino a un certo punto, un po’ perché l’avversario erano dei non trascendentali Clippers, un po’ perché alla fine i Nuggets avevano pure perso quella partita. La notte di Santo Stefano, invece, gli Houston Rockets non si trovano di fronte un ragazzino alla sua ventinovesima partita da professionista: il giocatore che hanno davanti è un diciannovenne che sta in campo come un veterano. 13-22 dal campo, 37 punti totali e 7 rimbalzi. Denver vince di un punto grazie al 3-3 dalla lunetta di Voshon Lenard, e al 26 dicembre vince la sua diciottesima partita in stagione regolare. L’anno precedente all’arrivo di Carmelo Anthony, le vittorie erano state 17 in tutta la regular season. A fine stagione le W saranno 43, coi Nuggets che torneranno ai playoff dopo otto assenze consecutive. Carmelo Anthony raccoglierà 40 voti sui 118 disponibili nella corsa al Rookie dell’anno e finirà al secondo posto dietro a LeBron James, un verdetto che, believe it or not, all’epoca fece alzare qualche sopracciglio (Anthony era davanti a James per media punti, media rimbalzi e percentuali dal campo e dalla lunetta, e soprattutto i Nuggets fecero i playoff a differenza dei Cavs).
24 febbraio 2006, Target Center, Minneapolis
Al Target Center c’è il tutto esaurito, com’era abbastanza usuale in quegli anni. Del resto c’era ancora Garnett, che un paio di anni prima li aveva portati in testa alla Western Conference e vittoria del titolo di MVP, Dove finirono piegati solo dai Lakers in 6 gare in finale di conference. I Nuggets provano a scappare a inizio partita, poi nel terzo quarto. Minnesota però non vuol saperne di mollare la preda, e dopo 48 minuti le due squadre sono inchiodate sull’88-88, con The Big Ticket che sbaglia il tiro della vittoria. Il supplementare vede ancora lo stesso copione, Nuggets che provano ad andare avanti nel punteggio e Wolves che li riprendono: nell’ultimo minuto dell’overtime Minnesota piazza un parziale di 6-0 che li porta sul 101-99 quando mancano 6.5 secondi alla sirena finale. Anthony in questi cinque minuti è stato assolutamente impalpabile dopo aver chiuso i regolamentari a quota 27. Sembra, comprensibilmente, stanco. Nonostante questo, George Karl chiama timeout e decide che l’ultimo tiro deve prenderselo lui, contro Minnesota. Kenyon Martin gli fa arrivare la palla in angolo dove Trenton Hassell lo pressa fin quasi a farlo uscire dal campo. Melo si svita, alza la parabola, la palla descrive un arco lunghissimo, finisce in fondo alla retina. 102-101. Il tentativo successivo di Garnett non va a segno, i Nuggets vincono.
6 aprile 2006, Pepsi Center, Denver
Al Pepsi Center ci sono i Los Angeles Lakers di Kobe Bryant e Lamar Odom Entrambe le squadre sono in zona playoff e lottano per una miglior posizione nel tabellone della postseason. 41-34 per i Nuggets, 40-35 per i Lakers. I gialloviola sono, al solito, offensivamente piuttosto dipendenti da quello che ancora per poco vestirà la maglia numero 8, che segna 40 punti nei tempi regolamentari e dopo essere stato sotto nel punteggio per tutta la partita ha il tiro della vittoria nelle mani con meno di un secondo dalla fine, ma non lo mette e si va all’overtime sul 99-99. Anthony è il principale terminale offensivo dei ragazzi di George Karl che hanno però un notevole contributo da Elson e Camby (entrambi in doppia doppia), nonostante le percentuali non eccelse. Quando mancano meno di 4 secondi alla fine della partita, infatti, il suo tabellino recita 11-29 dal campo per 31 punti totali. La palla però va a lui, è scontato che sia così. Palleggio, fade-away, palla dentro. Quinto game winner in tre mesi, e ‘Melo ha ormai un altro soprannome: Captain Clutch.
22 gennaio 2007, Pepsi Center, Denver
Per la prima volta dopo la trade che ha spezzato i cuori di tutti i tifosi dei Sixers, i Denver Nuggets schierano in quintetto Allen Iverson e Carmelo Anthony. Segnano 51 punti in due, a cui si aggiungono i 17+17 di Marcus Camby, e arriva la vittoria coi Memphis Grizzlies. Non funzionerà (I Nuggets usciranno per due stagioni consecutive al primo turno dei playoff, contro Spurs e Lakers), ma è stato bellissimo provarci.
25 maggio 2009, Pepsi Center, Denver
I Denver Nuggets hanno fatto fuori i New Orleans Hornets al primo turno (vincendo una gara con un margine di 58 punti, record dei playoff eguagliato) con un secco 4-1, poi i Dallas Mavs con identico punteggio e per la prima volta in 24 anni sono in finale di conference, ancora una volta, come nel 1985, di fronte ci sono i Los Angeles Lakers. ‘Melo non gioca una partita così importante da 6 anni, da quella magica finale del torneo NCAA. La tensione è palese, i Lakers lo marcano strettissimo e lui sbaglia quasi tutte le conclusioni dal campo. Ma i Nuggets hanno un supporting cast come Captain Clutch non ha mai avuto prima di allora nella sua carriera, ne mandano 7 in doppia cifra e battono i Lakers 120-101 ottenendo la decima vittoria in questa post-season e impattando la serie sul 2-2. Né Denver né Anthony sono mai stati così vicini ad arrivare a una finale NBA. Né prima né dopo.
3 maggio 2013, TD Garden, Boston
Carmelo Anthony ha la maglia dei New York Knicks, adesso, e la Big Apple lo accoglie come un figliol prodigo, grazie anche (anzi, soprattutto) ai risultati ottenuti sul campo. Sotto la guida di coach Mike Woodson, Hoodie Melo è il miglior realizzatore della NBA 2012-2013 a 28.7 punti a partita, arriva terzo nelle votazioni per l’MVP, strappando anche un voto per il primo posto, che toglie a LeBron James la possibilità di diventare il primo unanimous MVP della storia della Lega. Gli arancioblù hanno chiuso la stagione a 54-28, miglior record dal 1997, e grazie anche ai 21 punti di Carmelo Anthony, miglior realizzatore della partita, battono i Boston Celtics di Garnett e Pierce 88-80 in Massachussetts e vincono la loro prima serie di play-off dal 2000. Ad oggi, il 4-2 ai Celtics rappresenta l’ultima serie di play-off vinta sia per i Knicks che per ‘Melo.
24 gennaio 2014, Madison Square Garden, New York
La sfida tra Knicks e Bobcats non è di quelle che tolgono il sonno ai tifosi del Madison Square Garden, soprattutto se si considera che con l’addio di Kidd e Camby i Knicks si sono trasformati da squadra campione di Division e testa di serie numero 2 nella Eastern Conference a squadra involuta e a caccia di un posto nei playoff sia pur con un record negativo. Il giorno di quella partita, l’ottavo posto ad Est è proprio dei Bobcats, che si presentano al Madison per mantenere quella posizione a cui i ragazzi di coach Woodson possono ancora ambire. A fine primo quarto, Carmelo Anthony ha già segnato 20 punti. Con una bomba da metà campo sulla sirena, a metà gara è già a 37. A fine terzo quarto, fate 56. La partita è indirizzata, ma Mike Woodson capisce l’andazzo, sente profumo di leggenda. Lo lascia in campo fino a quando i punti diventano 62, nuovo career high e massimo di punti segnati al Madison da un giocatore dei Knicks. Il numero 62, peraltro, è una cifra in un certo senso “iconica”, visto che solo in 15 giocatori nella NBA hanno raggiunto questa cifra. Di questi 62 punti, per la cronaca, solo 2 sono arrivati con una schiacciata, a dimostrazione ulteriore del set offensivo del numero 7 arancioblù. A fine stagione, però, per la prima volta nella sua carriera mancherà la qualificazione ai playoff.
21 agosto 2016, Carioca Arena 1, Rio De Janeiro
Carmelo Anthony è alla sua quarta olimpiade. C’era nel 2004, quando col Nightmare Team la nazionale USA tornò a casa scornata (e sconfitta anche dall’Italia, pochi giorni prima del via del torneo. C’era nel 2008, con un ruolo più consistente, quando il Redeem Team si occupò di rimettere a posto le gerarchie della pallacanestro mondiale. C’era a Londra 2012, quando il trentello di Durant fu decisivo nella rivincita contro la Spagna, battuta 4 anni prima, che Team USA portò a casa per soli 7 punti di scarto. Il suo terzo oro olimpico arriva a Rio De Janeiro, il 21 agosto 2016, in una finale contro la Serbia che non ha mai avuto davvero storia, chiusa su un +30 che rappresentava lo scarto più ampio per una finale olimpica dai tempi di Barcellona 1992. Nessun giocatore di basket USA aveva mai vinto per tre volte l’oro olimpico, prima di lui. Nessuno ha a casa 4 medaglie olimpiche, seppure una sia dimenticata in fondo ad un cassetto. Nessuno ha mai segnato 37 punti in una partita delle olimpiadi. Nessuno ha mai segnato 10 triple nella stessa gara. Nessuno, tranne lui.
25 settembre 2017, New York
Dopo sei stagioni e mezzo nella Grande Mela, i New York Knicks decidono che tra loro ed Anthony può bastare, e lo spediscono agli Oklahoma City Thunder, in compagnia di Russell Westbrook e Paul George, per provare a dare l’assalto alla sempre durissima Western Conference. Ai Thunder sarà, per la prima volta nella sua carriera, il terzo violino della squadra. Lascia New York come settimo realizzatore All-time della franchigia, terzo per triple segnate e per media punti.
15 aprile 2018, Cheseapeake Energy Arena, Oklahoma City
Dopo cinque anni, ‘Melo torna ai playoff. Non lo fa da prima punta della propria squadra, come abbiamo detto, ma da terzo nelle gerarchie della squadra di coach Billy Donovan. L’idea dell’ex allenatore di Florida University è quella di schierare Carmelo Anthony come power forward, sfruttandone la potenza fisica e la capacità di farsi rispettare a rimbalzo. Tra lui, Westbrook, Paul George e Steven Adams, OKC è una delle migliori squadre proprio in questa voce statistica (quinta assoluta in NBA). Ai playoff, però, i Thunder si sciolgono come neve al sole dopo aver vinto la partita inaugurale della serie. I Jazz ribaltano il fattore campo in gara-2 e vincono tutte le gare casalinghe, eliminando Westbrook e soci con un secco 4-2. Nelle ultime due partite, Anthony chiude in entrambe le occasioni a quota 7 punti. Sembra un oggetto del mistero, e i Thunder decidono che di un oggetto del mistero di quasi 34 anni non sanno che farsene.
22 gennaio 2019, Houston
Dopo due mesi e mezzo dall’ultima presenza in una partita ufficiale, i Rockets spediscono Carmelo Anthony a Chicago. Il suo bilancio in maglia Houston, dove doveva essere utilizzato come arma tattica al servizio del roster di D’Antoni per alleggerire la pressione sul duo Paul-Harden, è di sole 10 presenze, di cui 4 in doppia cifra. Il binomio Anthony-D’Antoni, già saltato nel 2012 per le dimissioni del coach italo-americano dalla panchina dei Knicks, si scinde per la seconda volta, stavolta però a partire è il giocatore.
1 febbraio 2019, Chicago
Anthony sembrava destinato ai Bulls nella free agency del 2014, quando poi un po’ a sorpresa all’ultimo momento scelse di rifirmare per i Knicks. Cinque anni dopo, Chicago è decisamente meno elettrizzata all’idea di poter avere l’ex Syracuse tra le proprie fila. Dopo averlo tenuto a roster per 5 partite, come ampiamente previsto, i Bulls tagliano ‘Melo senza averlo neppure fatto debuttare con la maglia dei Tori. A quasi 35 anni, la carriera del 10 volte All-star sembra giunta al capolinea.
17 agosto 2019, PalaEstra, Siena
I heard he had a style
And so I came to see him, to listen for a while
And there he was, this young boy, a stranger to my eyes
Strumming my pain with his fingers…
Il giorno dopo un Palio, Siena è una città sonnacchiosa. Ed è in questa atmosfera, di caldo e adrenalina che scende, che la squadra di basket di Syracuse affronta una selezione di giocatori denominata “Siena Summer Team”. A fine partita, Jim Boeheim si intrattiene con alcuni giornalisti italiani – compreso il sottoscritto – venuti a vedere i suoi Orange . che incredibilmente sperimentarono anche alcuni minuti di difesa a uomo, sorprendendo tutti i presenti. Rispondendo a una domanda di Riccardo Pratesi, lo storico vice di coach K nelle ultime edizioni di Team USA, il coach di Anthony ai tempi del college disse: “Se torna in NBA? Se non sono stupidi, e forse lo sono, ci tornerà. Sa bene di essere un giocatore da second unit, ma ha ancora tanto da dare”. Tre mesi dopo, ‘Melo firma per i Blazers un contratto annuale non garantito al minimo salariale. Dopo sedici giorni di “prova”, Portland converte il contratto in fully guaranteed.
E allora il filo si riallaccia, la storia riparte, dopo quella tripla contro i Pelicans. Anthony riprende a fare quello che sa fare meglio, come in quella notte contro i Pistons, pochi giorni prima del lockdown, in cui torna sopra i trenta punti, un traguardo forse simbolico ma indicativo, se si pensa che tra il trentello del 25 febbraio 2017 in maglia Knicks e quello del 23 febbraio 2020, il ragazzo da Brooklyn ha cambiato cinque squadre (Oklahoma City, Atlanta, Houston, Chicago e appunto Portland), è stato tagliato due volte senza mai scendere in campo, è passato da un max contract a un minimo salariale non garantito, dallo status di stella a quello di giocatore pacco di cui liberarsi in fretta. Abbiamo riso sulle foto che lo ritraevano con la pancetta a Houston e sentenziato, ancora una volta troppo in fretta, che la sua carriera in NBA fosse irrimediabilmente finita dopo le 10 partite giocate coi Rockets. Dimenticando colpevolmente i tre ori olimpici, il titolo NCAA, il titolo di miglior marcatore, la sua attitudine a prendersi i tiri decisivi, la bellezza del rilascio del suo jumper, il fatto incontrovertibile che il talento, quello puro, è l’unica cosa che non si può insegnare e non si può disimparare.
Paul Pierce, in un bel post su The Player’s Tribune, ha detto che è stato il giocatore più difficile da marcare che abbia mai incontrato. Carmelo, nell’arco di tempo che va dal 2003 al 2020, è il giocatore che ha messo più tiri per portare in vantaggio la propria squadra negli ultimi 30 secondi di partita. Lo ha fatto in 26 occasioni, precedendo in questa speciale classifica Bryant, James, Nowitzki e Wade.
Carmelo Kyam Anthony è stato impermeabile alle critiche, alle sentenze, perfino alle evidenze fattuali che gli dicevano che era ormai al capolinea, e adesso è lì, con la sua maglia 00 dei Blazers, a 1000 punti esatti dalla top 10 dei migliori realizzatori NBA di ogni epoca, guarda un po’, come sono strane le coincidenze, sembra quasi che facciano parte di un disegno più ampio, che noi, da quaggiù, non riusciamo a vedere o ad apprezzare pienamente.
Strumming my pain with his fingers
Singing my life with his words
Killing me softly with his song…