“Il segno zodiacale del Toro è un segno molto stabile in cui sono presenti testardaggine e molta possessività. La sua più grande virtù è la pazienza come anche la costanza. Il Toro è tenacissimo nel perseguire uno scopo, e quando la sorte gli è avversa, sa attendere con grande calma e ricominciare, senza affaticarsi e senza perdere tempo in recriminazioni che, per lui, sarebbero inutili”.
La vita nel Bronx si sa, non è mai facile per nessuno.
La stella di Kemba Walker nasce lì, nei sobborghi di Manhattan, l’8 Maggio 1990 da mamma Andrea e papà Paul, entrambi provenienti dalle Antigue. Fin da piccolino, Kemba nutre un’insaziabile passione per 2 cose: la danza (breakdance ed hip hop in particolare) e la pallacanestro. Con la danza arriva addirittura ad esibirsi alla giovane età di 12 anni all’Apollo Theater, uno dei palcoscenici più famosi della città, mentre nel basket inizia sul cemento, non sulle tavole del parquet. Il cemento è quello dei playground del Bronx, in primis Parque de los Ninos, poi Rucker Park, dove Kareem Abdul-Jabbar coniò il suo storico gancio cielo, dove “Dr. J” Julius Erving fece cadere le prime mandibole, dove Earl Manigault e Joe Hammond, ossia la storia dello streetball in persona, lasciarono ricordi indelebili nel corso degli anni.
Come detto, l’ambiente del Bronx non è mai stato rassicurante per un ragazzo, nemmeno per uno che si apprestava ad iniziare il suo anno da sophomore al college di UConn come era Walker nel 2009.
In un vespro d’Agosto, insieme ad altri ragazzi, era sul cemento del Parque de los Ninos per il Watson Classic, un torneo che si svolgeva in quel playground ogni estate. Walker palla in mano a 30’’ dal termine sul +2, accelerazione, crossover e… BANG.
Non è un’espressione per descrivere una tripla messa a segno, ma una vera e propria onomatopea. La sua azione infatti venne fermata dal suono di un colpo di pistola, che proveniva poco distante da lì. Kemba vide tutto con la coda dell’occhio.
Uno, due, tre, quattro spari.
All’interno della gabbia del campetto tutti, allenatori e giocatori, si buttarono a terra in preda al panico, per poi iniziare a correre verso la direzione opposta dal luogo del misfatto. Partita interrotta dal suono di colpi di arma da fuoco e dalle sirene della polizia che, di lì a poco, sarebbe arrivata sul posto.
Kemba frequentò la high school ad Harlem, più precisamente la Rice High School, alla quale fu sponsorizzato dal suo coach della Middle School, Carl Nickerson. Si dice infatti che il suo ex allenatore, al termine dell’ultimo anno di Walker nella scuola, abbia chiamato l’allenatore della Rice, Maurice Hicks, dicendogli “Hey, Moe. Dovresti venire a vedere Kemba Walker giocare. A lui interessa il vostro liceo, a voi potrebbe interessare lui”.
Lì, nella Rice High School, ma soprattutto nella Gauchos Gym, palestra del liceo, passava intere nottate ad allenarsi, per migliorare con lo scopo di diventare, un giorno, “One of them who made it”, uno di quelli ad avercela fatta.
La prima stagione la giocò come cambio di Edgar Sosa, poi playmaker di Lousville, Biella e più recentemente Sassari, e le ultime due da titolarissimo e punta di diamante del quintetto base di coach Hicks. L’episodio, o meglio la partita, che pose definitivamente Kemba Walker sulla bocca di tutti fu il match durante il Nike Super Six del 2007, nella stagione prima del passaggio al college, contro la Simeon di Derrick Rose.
Walker su Rose: “L’ho visto giocare una volta la scorsa estate, la cosa più importante da dire è che certamente non posso essere intimidito da lui. È un penetratore, gli piace arrivare al ferro. Devo solo prenderlo faccia a faccia e non farlo respirare”.
Rose era sicuramente il miglior giocatore affrontato dalla squadra di Hicks in quella stagione, e Walker gli mise il cosiddetto bastone tra le ruote: 22 punti, ma con 9/19 al tiro e 0/7 da 3 punti, portando Rice alla vittoria per 53-51.
Col suo gioco frizzante, fatto di penetrazioni e tanta energia, ma anche assist, palle rubate e velocità supersonica aveva stregato gli addetti ai lavori, ed in maniera speciale Jim Calhoun, coach degli Huskies del college di Connecticut.
Calhoun vide negli occhi di Walker quella fame che pochi giovani hanno: fame di migliorarsi, di spingersi sempre oltre l’ostacolo per raggiungere il proprio obiettivo. Fame di successo. Così gli offrì una borsa di studio.
Con il campus a 2 ore di macchina da casa sua, Kemba accettò la proposta, e nell’estate del 2008 divenne uno studente (ed un giocatore) di UConn.
Mamma Andrea, in tutta sincerità: “Solitamente le donne hanno bottiglie di profumi in casa, io ho trofei. Sapevo che Kemba avesse qualcosa di speciale dentro di sé”.
Piccola chicca: nel McDonald’s All-American Game del 2008, partita riservata alle stelle in uscita dalle high school di tutti gli Stati Uniti, grazie a questa giocatina qui Walker entrò nei mock draft di tutto il mondo.
Kemba Walker rimase a Connecticut per 3 stagioni, dal 2008/2009 al 2010/2011, e tra i tifosi del college della costa nord-orientale degli Stati Uniti. Ed anche se ormai aveva entrambi i piedi all’interno del basket collegiale, non ha mai esitato a ricordare le sue origini come giocatore: “Penso che grazie al basket da playground abbia imparato a tenere testa ai ragazzi più esperti di me, e credo anche che ciò mi abbia preparato fisicamente e mentalmente per giocare una pallacanestro di alto livello”.
Agli albori della sua carriera collegiale non aveva un gran tiro, né da 3 né dalla media, e dunque si affidava alla sua inenarrabile velocità ed abilità di palleggio per superare gli avversari ed arrivare a canestro. Aveva ancora il suo buon vecchio playground inner, insomma.
La cosa che colpì di più coach Calhoun fu sicuramente la volontà di migliorarsi ogni giorno di più, di darsi un’opportunità, di aspettare il suo momento e, nel frattempo, lavorare per conquistare il suo obiettivo. Proprio come il segno zodiacale del Toro impone.
La prima stagione per Walker a Connecticut fu una stagione sicuramente positiva, ma con il senior AJ Price come playmaker titolare e l’ex Sassari Jerome Dyson come guardia (ed uno dei migliori realizzatori della squadra) era difficile avere tanti possessi nelle mani, quello di cui il numero 15 necessitava. Con Dyson fuori per infortunio da Febbraio, furono 8.9 i punti di media (ma con il 27% da 3 punti) alla fine dell’anno, in 36 partite giocate di cui 2 dal quintetto base. Grazie alle sue prestazioni si aggiudicò l’ingresso nell’All-Big East All-Rookie Team, ma UConn non riuscì nemmeno ad entrare nel tabellone finale del torneo NCAA.
Thabeet e Price, i punti cardine di quella squadra, in estate vennero draftati il primo dai Grizzlies ed il secondo dai Pacers, ed anche Jeff Adrien arrivò alla laurea, lasciando nelle mani di Walker il destino della squadra di coach Calhoun.
Quest’ultimo e George Blaney, suo assistente, diagnosticarono nell’estate 2009 un problema nella meccanica di tiro di Walker, e per 30 giorni lo fecero allenare sul suo jumper da 2 e da 3 punti.
I frutti arrivarono prestissimo: dal 27% della stagione precedente, Walker sale al 44% nelle prime 3 partite (concludendo col 34%), e dai quasi 9 punti di media arriva a 14.7. “È fantastico. Vedere che il mio duro lavoro mi ha ripagato è emozionante”.
Ma l’annata decisiva per il futuro di Kemba Walker fu quella 2010/2011, l’ultimo anno del suo percorso universitario a Connecticut.
Cosa rende un ragazzo di 185 cm un giocatore speciale?
L’etica.
Ogni giorno, in palestra, era il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via. Allenamenti personali al termine di quelli di squadra, lavorare sui propri punti deboli e sul proprio fisico. Questa era la routine di Walker a UConn.
E grazie a questa tenuta mentale e ad un talento davvero importante (tanto da attirare su di sé le attenzioni di Allen Iverson, che lo paragonò a… Sé stesso https://twitter.com/alleniverson/status/51739031305846784) trascinò UConn al torneo finale NCAA, che mancava da 3 anni. Tanti i trofei individuali che Walker portò a casa di mamma e papà nel Bronx dopo quella stagione da 25.1 punti, 5.6 rimbalzi e 4.7 assist a partita, ma più tardi arrivò anche quello più ambito: la vittoria del torneo NCAA, da Most Outstanding Player, l’MVP dell’Ncaa insomma.
Quella scalata verso la vetta dei college USA proiettò Walker tra le prime 10 scelte del Draft NBA 2011. Da un momento all’altro, la sua carriera al college era terminata, ma si apriva davanti a lui il mondo dell’NBA.
Kemba ci pensa, poi torna con la mente indietro di parecchi anni, una decina circa, e rivede un giovane smilzo fare su e giù per il playground di Parque de los Ninos, con qualche passo di hip hop allegato alle esultanze ai suoi canestri. Sono cambiate tante cose da quei tempi.
La notte del Draft, quando alla numero 9 gli allora Charlotte Bobcats chiamarono il suo nome, lui salì sul palco, solito sorrisone, stretta di mano audace a David Stern e, sotto voce, gli sussurrò: “I made it”.
Eh sì Kemba, ce l’hai fatta. E quello era solo l’inizio.
Dopo il Draft arriva anche la prima firma su un contratto di sponsorizzazione, quello con la Under Armour, a suo tempo ancora un’azienda in cerca di nuovi talenti e di visibilità (cosa che oggi con Curry non manca di certo), e fu il primo rookie a firmare per un’azienda del genere prima che partisse la stagione. A Charlotte iniziarono ad amarlo fin da subito, proprio per le stesse caratteristiche per cui coach Calhoun gli offrì la borsa di studio: un giocatore piccolino, ma con un cuore immenso.
I primi paragoni al piano di sopra lo accostavano a giocatori come Ty Lawson, un giocatore non eccelso nel tiro da fuori ma grandissimo penetratore e giocatore di squadra. Facile parlare col senno di poi, ma un po’ di fiducia in più per ‘sto ragazzo no eh?
“I taurini preferiscono prendere ogni giorno lentamente e diligentemente, e lavorare per raggiungere il loro ultimo fine”.
Il problema del primo Kemba Walker in NBA era che, pur segnando 17/18 punti di media a stagione, lo faceva tirando con percentuali molto basse, prendendosi i tiri che il suo difensore gli concedeva, dai quali non traeva alcun vantaggio. E chiaramente, essere un rookie nella peggior squadra di sempre, col record di 7-59 nell’anno del lockout, non gli facilitava il compito. Gli avversari non avevano alcun rispetto del suo tiro da 3 punti, gli lasciavano metri di spazio e rendevano più difficile i suoi 1 vs 1. Il suo gioco aveva bisogno di evolvere.
Anche se gli attributi d’acciaio li ha sempre avuti, come dimostra il fatto che è il giocatore che si è preso (ed ha realizzato) più tiri decisivi nell’ultimo minuto di una partita NBA. E con i buzzer-beater cominciò già dal 14 Novembre 2012 contro i Timberwolves.
Crossover, pull-up jumper, got it!
Proprio come al playground, facile no?
Ma quello che più importava al ragazzo era migliorarsi, rendere i punti deboli i suoi nuovi punti di forza e vincere. Ma con calma.
Dopo il cameo ai playoff nel 2014, usciti 4-0 contro i Miami Heat al primo turno, i nuovi Charlotte Hornets tornano con una nuova veste per una nuova vita già dall’anno successivo. Ovviamente, con Kemba Walker come giocatore simbolo della franchigia.
La grande stagione del ragazzo del Bronx viene però macchiata da un’operazione di pulizia al menisco, che lo ha tenuto fuori per ben 6 settimane tra Gennaio e Marzo, servitegli a ricaricare le pile in vista più che altro di quest’annata. In estate ha voluto voltare pagina, prendere una penna e scrivere un nuovo capitolo della sua carriera.
Questo nuovo capitolo porta l’inizio dell’era Kemba Walker 2.0.
Prima di tutto, nuove scarpe.
Come poteva Michael Jordan non avere nella sua crew il volto della sua franchigia? E in un attimo, Kemba Walker dalla Under Armour passa a Jordan.
Poi si passa alle cose un po’ più serie.
Col suo nuovo allenatore di tiro Bruce Krueutzer ha corretto tutti gli errori nella sua meccanica di tiro, come il far partire il pallone dalla fronte o la tendenza ad andare in leggero allontanamento durante la sospensione.
In questa stagione, sia Kemba che gli Charlotte Bobcats di un raggiante Michael Jordan stanno giovando di questi miglioramenti.
Nella 3^ settimana di Gennaio, le medie tenute dal piccolo playmaker degli Hornets parlano chiaro: 34.8 punti, 6.0 rimbalzi e 6.0 assist. Più questa partitina qui, da 52 punti, in faccia agli Utah Jazz, mandando in frantumi il precedente recordi di 48 di Glen Rice.
I canestri di Walker, la sua intesa con Nicolas Batum e la solidità di tutto il roster stanno portando Charlotte al 6° posto nella Eastern Conference con un record di 37-29, e Kemba sta vivendo la sua miglior stagione da pro. E da un paio di giorni ha portato a casa di mamma Andrea e papà Paul il trofeo di Eastern Conference Player of the Week, come se non bastasse.
Ma tutto questo non è un caso.
“Sicuramente ora sono più aggressivo. Sto segnando un numero di tiri molto più elevato, questa è la vera differenza. Sono soltanto più solido in questo momento della mia carriera. Nella NBA conta solo vincere. Se tu e la tua squadra vincete, beh allora sarete considerati fra i migliori”.
La tenacia, la determinazione di un ragazzo che dai suoi modesti 185 centimetri ha passato la sua giovane vita a migliorarsi, giorno dopo giorno. Che non si è mai arreso di fronte a nulla, nemmeno alle difficoltà che viveva quotidianamente nel Bronx.
“I nati sotto il segno del Toro sono felici di attaccarsi ai loro progetti fino a quando non riescono a portarli ad una conclusione positiva”.
E allora lotta Kemba. Anzi, continua a lottare.
Perché nella sua vita non ha mai lasciato nulla di incompiuto. Ha preso degli sgangherati Huskies e li ha portati al trionfo in NCAA partendo quasi da zero. Ha accolto la sfida di fare lo stesso con la città di Charlotte, prima con i Bobcats peggior squadra di sempre ed ora con gli Hornets, con un proprietario come Michael Jordan che, per sua stessa ammissione, ha preso Walker sotto la sua ala protettiva.
E poco importa se a Toronto, quest’anno, non l’hanno chiamato sebbene meritasse almeno una telefonatina. Quando si tratta di vincere gare di celebrità lui si tira volentieri indietro, tranne se gli chiedete di mostrarvi un paio di mosse di breakdance.
Provate ad andare a chiedere al custode della Gauchos Gym della Rice High School se quella sera di domenica 14 Febbraio lo ha visto da quelle parti. Sia mai che abbia perso un’occasione per allenarsi…
(disegno di Kemba Walker a cura di http://fanciullodelghetto.blogspot.it/)