“L’unica cosa bella di Fort Worth è che ci sono tante strade per andarsene”
Vecchio detto americano
“Dai, sono ragazzate..”
“Eh, ragazzate un c***o!”
“Ma cosa vuoi che sia una canna, chi non si è mai fatto una canna? E’ stato incastrato solo perchè era famoso”
“Macchè famoso! Va a comprare la marijuana con i suoi amici con dei soldi falsi, lo beccano, gli danno solo la condizionale, lui se ne frega altamente nonostante i servizi sociali e continua a sballarsi per altri due, tre anni, ritrovandosi positivo ai controlli e se ne va giustamente in galera, dopo aver fatto anni di disastri in giro con i suoi compari?? Sono ragazzate queste? Ma smettila, e pensare che tutti qui lo amano”
Il buonista e il moralista, il simpatizzante e l’invidioso, il liberal e il tory, parlando di Evil Jimmer Marshall Henderson nei corridoi dell’Harrison Health Center, nel campus della University of Mississippi, meglio conosciuta come Ole Miss.
Nella primavera/estate del 2013 a Ole Miss non si parlava d’altro.
Marshall Henderson da Fort Worth, l’eroe della fresca vittoria nel SEC Tournament, l’uomo chiave dell’upset su Florida in finale, il protagonista dell’altrettanto entusiasmante upset all’NCAA Tournament sulla #5 del Seed Wisconsin (prima della tirata e sfortunata sconfitta subita da LaSalle di Coach Giannini nel Round of 32), colui che aveva sbeffeggiato e dileggiato per svariati secondi i tifosi di Auburn sventolandogli in faccia la propria canotta di Ole Miss, il simbolo e la faccia dei Rebels di fronte alla nazione, l’indolo incontrastato di tutta la Rebels Nation, aveva fallito test di alcol e cocaina, e ancora una volta si era dimostrato debole nel ricadere in cattive frequentazioni e in pessime consumazioni.
Perdersi, toccare il fondo, ritrovarsi, perdersi ancora, toccare il fondo ancora, ritrovarsi ancora. Così, avanti, così, back and forth.
Forza interiore. Durezza mentale. Disciplina, rispetto, valutazione, amore per il gioco. Così Marshall Henderson si è sempre rialzato dopo ogni batosta che la vita gli ha inflitto.
Con il basket. Attraverso il basket. Per il basket. Per gli spicchi di una palla che ha sempre avuto in mano sin da piccolissimo.
Ci sono sempre state grandi aspettative, su di lui. Sempre. Prima il padre Willie, nel cortiletto di casa sua. Poi alla High School, ancora il padre, Willie infatti era il suo coach alla L.D. Bell High, dove Marshall era, anche lì, la superstar.
“Tutto quello che ho imparato nel basket l’ho imparato da mio padre. Mi ha insegnato soprattutto che disciplina e duro lavoro sono la chiave per il successo nella vita” racconta Marshall, con la maglia da allenamento della Edimes Pavia, sua nuova destinazione lasciando trasparire quanto importante è stata per lui la figura di Willie. E forse grazie a questa grande forza interiore trasmessagli dal padre, e grazie alla durezza mentale che Willie gli ha instillato, tutte le volte che Marshall è caduto, si è sempre rialzato, si è sempre rimboccato le maniche e ha sempre ricominciato, più forte e determinato di prima.
Per amore del basket. Per amore amore della etica del lavoro. Per amor proprio.
Nei suoi anni a Ole Miss, Henderson era the real sensation. Strafottente, sicuro di sé, pungente, il J.J Redick della Southeastern Conference, ovunque andasse era una battaglia personale contro i tifosi avversari. E spesso quella battaglia la vinceva lui. Ma per arrivare lì la sua carriera universitaria è passata attraverso molte peripezie.
Un grande prospetto dalla Bell High School, Henderson ricevette parecchie offerte da programmi di basket anche importanti. Marshall scelse Utah, dove però il suo anno da freshman fu deficitario:
“Ancora oggi penso che la scelta di andare a Utah fu una scelta sbagliata. Fin dall’inizio le cose non erano come mi aspettavo, abbiamo finito la stagione 14-16 e ho deciso di cercare una università migliore e più grande”.
In quella stagione in canotta Utes, Henderson segnò 11.8 punti a partita, senza mai incidere sulle sorti della squadra, una specie di limbo che lo portò a virare verso casa, verso il Texas, ovvero Texas Tech. Ma anche lì, problemi:
“Volevo andare nella Big 12, dove il livello di talento era al massimo, sapevo di dover stare fermo un anno, ma nel mentre il coach che mi aveva voluto venne licenziato (Pat Knight, figlio di Bobby). Il nuovo coach (Billy Gillispie), fece fuggire anche altri giocatori, e anche io me ne andai, mi accasai lì vicino, a South Plains Junior College. Fu una stagione da 36-0, vincemmo il titolo NJCAA, fu in assoluto la mia stagione preferita. Ad oggi 8 dei giocatori di quella squadra sono professionisti, eravamo una grande squadra. Sapevo che giocando una buona stagione avrei avuto una chance in Division I, obiettivamente ho giocato una stagione incredibile e sono stato ricompensato”.
Player of the Year that season in NJCAA, Ole Miss lo aspetta, e lui arriva con il botto. Breakout season se ce n’è una, la prima stagione di Henderson in maglia Rebels è semplicemente ammaliante. Marshall diventa immediatamente la faccia, l’attitudine, l’anima, l’agonismo e il più dirompente braccio armato della squadra di Andy Kennedy. Come detto arriva la vittoria nel SEC Tournament, la vittoria su Wisconsin al primo turno del torneo NCAA, e un entusiasmo a Oxford che non si viveva perlomeno dai tempi delle Sweet Sixteen del 2001, quando in maglia Rebels c’erano Rahim Lockhart e Justin Reed.
L’uomo del giorno in quella primavera 2013 era Marshall Henderson. Ma lo sarebbe stato anche durante quell’estate, e non certo per le sue performances cestistiche.
Finchè la stagione era in corso, finchè c’era da giocare, finchè si era totalmente concentrati sul basket, tutto filava liscio. Nella off season, o nei momenti in cui il basket non era il pane giornaliero per 8 ore, le priorità di Marshall diventavano altre. Uscire con gli amici, divertirsi con gli amici, fare casino con gli amici, quei “dumbasses” che papà Willie ha sempre indicato come deleteri per la attitudine e le tendenze di suo figlio. E aveva ragione, papà Willie. Pure Marshall era un “dumbass”, un coglione, secondo suo padre, preoccupatissimo per le sorti del figlio, che oltre ad essere il giocatore più rappresentativo di Ole Miss era incidentalmente anche il party animal più coinvolgente del campus.
E lì, Marshall ricadde ancora. Positivo a test dell’alcol e cocaina. Non era la prima volta, il ragazzo era recidivo.
Riabilitazione immediata, Henderson ancora una volta era caduto e ancora una volta si stava rialzando, andando incontro al proprio destino, cercando di essere lui a tenere le redini della propria vita.
E così fece. Seguì un intenso periodo di riabilitazione, ma il rientro in squadra non era per nulla certo. Tutto era nelle mani di Coach Kennedy, che doveva soppesare tutti i pro e i contro della situazione.
Kennedy si comportò da uomo e da mentore, non scaricando uno dei suoi e concedendogli un’altra chance, aspettandosi però a sua volta, giustamente, una risposta forte, da uomo, da parte del suo Numero 22.
E la risposta Marshall la diede innanzitutto fuori dal campo, assumendosi totalmente le proprie responsabilità e passando attraverso una dura riabilitazione, e una volta ricominciata la stagione, le risposte arrivarono anche sul campo. Dopo i 20.1 punti di media nella stagione precedente a Ole Miss, Henderson fu ancora una volta l’uomo squadra dei Rebels, 19 punti di media a partita, e anche se i radar della NBA non si avvicinarono mai molto a lui, in quella stagione 2013-14 Marshall dimostrò a sé stesso e a tutti i suoi detrattori che si può anche cadere, ma che ci si può rialzare ed essere più fieri e motivati di prima, che si possono commettere degli errori, anche reiterati, ma che poi si può anche riparare ai propri errori, con l’onestà, con il lavoro e con la dedizione.
“Il passato? Ora non ne voglio parlare. Sto scrivendo un libro in cui parlerò di tutte queste cose”
Chiuso quel capitolo, Marshall Henderson è uscito da Ole Miss e ha cominciato la sua carriera da professionista in giro per il mondo.
In un’intervista disse “vorrei essere il primo giocatore al mondo ad aver giocato in 30 nazioni!”. Un paio di provini in Italia, poi in Qatar, dove vinse il campionato con il Al Rayyan Doha, vincendo anche il trofeo di MVP del campionato, esperienza che lo entusiasmò:
“Il Qatar è meraviglioso! Eravamo una grande squadra, un giorno vorrei tornare là ancora a giocare, Doha è un posto meraviglioso dove vivere. Il livello del campionato non è così alto come in Europa o in America, ma è comunque ad un buon livello”
Dopo il Qatar, per Marshall ci fu l’Iraq, nel Naft Al-Janoob Basketball Club Basra, in un campionato di medio livello cestistico, in una realtà sempre asiatica diametralmente opposta a livello di vita e opportunità rispetto al Qatar, e ovviamente con ambiente, stabilità e disponibilità di soldi molto differenti. E qui il giocatore da Ole Miss ebbe un pò di problemi logistici, peraltro comprensibili:
“Ero sempre nella mia camera d’albergo, uscivo solamente per andare all’allenamento e alle partite”
Talvolta il ripartire da molto lontano può essere molto dura. E di certo per un giocatore americano (o forse per un giocatore di basket, in generale) giocare nel campionato iracheno, non dev’essere facile, nonostante di giocatori stranieri ce ne siano diversi, nella Iraqi Basketball League. Nel bel documentario di Vice Sports intitolato ROAM, che ripercorre i giorni di Henderson in Iraq, si respirano sensazioni e situazioni che lasciano trasparire molto chiaramente le difficoltà incontrate da Henderson durante la sua permanenza irachena, terminata con il deludente quarto posto del Naft Al-Janoob Basra nella classifica finale del campionato.
Dopo la pre-season con i Sacramento Kings e l’esperienza in NBA Development League con i Reno Bighorns nella scorsa stagione, Marshall Henderson quest’anno ricomincia dall’Italia, quasi a sorpresa, con umiltà, voglia di lavorare, e un rinnovato entusiasmo.
Ricomincia dalla Edimes Pavia, società storica del basket italiano, da quest’anno in Serie C Gold, con una società nuova e rinnovata nel front office, nel coaching staff e nei giocatori, una società decisa a rinverdire al più presto i fasti del passato, cominciando ovviamente dalla promozione in Serie B già da questa stagione. E Marshall Henderson è qui proprio per questo:
“Pavia è una bellissima città, questa società mi ha dato l’opportunità di poter vincere il campionato e di conquistare la promozione. Spero che questa esperienza mi aiuti a migliorare me stesso, e spero anche di dare una mano alla squadra”
Marshall Henderson e la Edimes Pavia intraprendono così, insieme, una nuova avventura, la Edimes con un nuovo assetto societario e con obiettivi reali di riscatto, e Marshall Henderson…
Sei di nuovo in pista, Evil Jimmer. E riparti da lontano, da molto lontano.
Ti metti in gioco, ti metti alla prova, come solo le persone di grande carattere sanno fare.
Ancora una volta sei riuscito a dimostrare al mondo che nonostante tu sia caduto rovinosamente, magari più di una volta, nella tua giovane vita, hai SEMPRE avuto la forza di rialzarti e di proseguire con orgoglio e dedizione per la tua strada. Sempre a testa alta.
Disciplina e duro lavoro sono la chiave per il successo nella vita, questo hai imparato da papà Willie, questo hai applicato e stai applicando nella tua vita, e ogni passo verso la realizzazione dei tuoi desideri, che sia essere un uomo degno di rispetto o un grande giocatore di basket, è una consacrazione. Una soddisfazione. Una vittoria.
E Marshall Henderson, esordendo in maglia Edimes Pavia nella sua nuova vita, ha già vinto.