7 febbraio 2019: nel corso della trade deadline dall’ultimo giorno con più movimenti degli ultimi 30 anni, così come le altre contendenti al trono della Eastern Conference (Celtics esclusi), anche i Raptors decidono di effettuarne, ritoccando ulteriormente quella che forse è la loro miglior versione di sempre. Con un Kawhi Leonard il cui rinnovo non è certo scontato, decidono di perseguire la strada del “tutto e subito”: Masai Ujiri sacrifica parte della panchina che tanta profondità fornisce alla rotazione di coach Nurse, scambiando Jonas Valančiūnas, Delon Wright, CJ Miles e una seconda scelta del 2024 per portare in Canada un giocatore di livello assoluto, lo spagnolo Marc Gasol.
Sarà l’occasione più concreta per il 34enne per tentare di giocarsi il titolo, con la possibilità di fare più strada nei playoffs di quanto gli sia capitato sinora nella lunga carriera. Ma non è questa la chiave di lettura principale della trade. Prima di pensare al futuro, ciò che infatti resta impresso è il presente: dopo 10 stagioni e mezza, Marc Gasol non è più un giocatore dei Memphis Grizzlies.
11684 punti. 1° assoluto nella storia della squadra.
2639 assist. 2° assoluto nella storia della squadra.
5942 rimbalzi. 1° assoluto nella storia della squadra.
1135 stoppate. 1° assoluto nella storia della squadra.
769 presenze. 2° assoluto nella storia della squadra.
740 partenze consecutive in quintetto. Dal 26 dicembre 2008 se Marc è disponibile, è inamovibile.
In pratica, se si volesse rappresentare l’intera franchigia con un ritratto, l’effige sarebbe quella del gigante spagnolo.
Ci sono entità per le quali il matrimonio sembra sia stato già scritto, come se fossero da sempre destinate l’una all’altra: una volta incrociati i destini di Marc e dei Grizzlies, il legame con il team e con l’intera comunità di Memphis è diventato granitico.
Per Big Spain e i Grizzlies però le premesse non sembravano quelle.
A Memphis un Gasol c’era già: si trattava di Pau, che scelto come terzo assoluto al draft del 2001 rappresentava il simbolo della ripartenza della franchigia nella nuova città, dopo lo spostamento da Vancouver. Con un talento eccezionale, il fratellone anno per anno scalava le tappe per affermarsi quale un giocatore d’élite anche Oltreoceano: rookie dell’anno nel 2002, partecipazione all’All Star Game nel 2006, guidava il team verso l’uscita dalla spirale negativa che lo vedeva essere puntualmente uno dei peggiori della Lega, con le prime partecipazioni ai playoffs (con un titolo da MVP dei Mondiali vinti nel mezzo).
Quando perciò Jerry West, all’epoca general manager dei Grizzlies, il 01 febbraio del 2008 decise di cedere Pau dopo 476 partite da Grizzly ai Lakers ottenendo Kwame Brown, Javaris Crittenton, Aaron McKie, due prime scelte al draft e i diritti su Marc, scelto senza troppa convinzione dai losangelini nel 2007, sembrava di assistere ad un’altra rappresentazione del consueto copione che vedeva il fratello minore rappresentare lo scimmiottamento grassottello del maggiore.
The Logo però ci aveva visto lungo. A differenza di ciò che sostenevano le malelingue, la conoscenza sin da giovane di Marc, compagno di squadra nella high school di Lausanne Collegiate Schooldi suo figlio John, fu importante non per favoritismi verso un amico di famiglia o la sua ex squadra dei Lakers cui cedeva Pau, ma per sapere già di che pasta fosse fatto il piccolo Gasol.
Pau in gialloviola troverà la consacrazione definitiva negli Stati Uniti, completando un percorso che lo porterà ad essere uno dei migliori giocatori dell’intera NBA spingendolo fino a due titoli (e ad un trofeo di MVP delle finali sfiorato); Marc, dal canto suo, inizierà un percorso che porterà lui ad essere il fratello prediletto per la città di Memphis.
I primi segnali arrivarono subito, con il record di franchigia messo a segno nell’annata da rookie relativamente alla percentuale di tiro dal campo, con il 53%, togliendo il primato proprio a Pau e al suo 51.8%. La stagione successiva venne ritoccato ulteriormente, con un 58.1%, affiancandolo ad una doppia doppia di media sfiorata, con 14.6 punti e 9.3 rimbalzi ad allacciata di scarpe; consolidò infine i numeri nella sua terza stagione, risultando il migliore per la squadra relativamente a precisione al tiro dal campo e stoppate in tutte e tre le prime stagioni.
Proprio nella terza annata, cominciò a rendere manifesta quella che diventerà una riconoscibile identità all’interno dei rapporti di forza nella Lega. Insieme a Zach Randolph, Mike Conley e Tony Allen formò un nucleo il cui stile, denominato Grit and Grind, andava in controtendenza rispetto alla direzione del gioco intrapresa dalla maggioranza delle franchigie NBA. In un processo di conversione verso creatività, spaziature, quintetti piccoli e tiro da fuori, i Grizzlies procedevano nel verso opposto: sia dal punto di vista tecnico, schierando due lunghi dalla considerevole stazza, che da quello stilistico, cercando di rendere difficili le soluzioni offensive altrui invece di rendere più facili le proprie grazie a intensità, lotte di nervi, estrema fisicità.
In questo assetto, non proprio votato a soddisfare palati fini, Marc Gasol rappresentò una parziale eccezione. Se l’apporto difensivo era la stesso dei compagni, dalle sue mani il talento sgorgava anche nella metà campo offensiva.
Si ritrovò quindi protagonista delle prime vittorie mai ottenute ai playoffs per i Grizzlies, con il successo mai trovato neanche nell’era di Pau.
Il primo sigillo arrivò contro gli Spurs che si presentarono ai playoffs con il primato nella stagione regolare, aprendo una sorta di cerchio destinato a chiudersi in futuro, arrendendosi solamente a Gara 7 di semifinale di Conference contro i Thunder.
Ma il periodo in cui i Grizzlies divennero una squadra con cui era difficile fare i conti era appena iniziato, e con esso l’esplosione di Marc: nel 2012 arrivò la prima convocazione in un All Star Game per lo spagnolo e l’eliminazione contro i Clippers ai playoffs non sfaldò una squadra che, anzi, nell’annata successiva giunse al suo miglior risultato.
Il team infatti registrò la miglior difesa della regular season del 2012/2013, concedendo solo 88.7 punti a gara agli avversari, in un sistema che vede Gasol quale perno: senza doti atletiche strabordanti non regala highlights di giocate difensive che a primo d’impatto rubano gli sguardi, ma è tremendamente efficiente, come dimostra il fatto che i Grizzlies passavano da un differenziale nel punteggio di +7.5 punti quando è in campo ad uno di -3.9 punti quando invece era in panchina. Di conseguenza arrivò il premio di miglior difensore NBA e un percorso nei playoffs che si concluse solamente in finale di Conference, dove il 4-0 subito non descrive appieno l’andamento di una serie con 2 gare concluse al supplementare.
La parabola di crescita individuale di Marc, ormai stella riconosciuta nell’intera Lega, continuò con la nomina nel primo quintetto NBA nella stagione 2014-15 dove superò i 30 punti segnati in 5 occasioni, dopo esserci riuscito una sola volta nelle prime sei stagioni. Con i record personali per punti segnati, percentuale di tiro e liberi segnati, tornò all’All Star Game, stavolta da titolare nella Western Conference, trovando il fratello a fronteggiarlo nella selezione della Eastern Conference in un iconico momento, l’iniziale salto a due nella partita delle stelle in quel di Brooklyn. E non tutti, alla domanda su quale dei due fosse il migliore, avrebbero concordato sul solito Pau.
Un pregio che ha contraddistinto Big Spain nel corso degli anni è quello di non essersi adagiato sulle proprie qualità: man mano che il gioco si è evoluto ha adeguando il suo bagaglio tecnico alla direzione da esso intrapresa, contando su una comprensione cestistica impressa nei geni di famiglia.
Se da 6 stagioni consecutive risulta essere il giocatore della lega con il maggior numero di palloni toccati dal gomito, dove ha potuto fungere da playmaker aggiunto, ha sviluppato col tempo una pericolosità notevole in tutte le zone del campo, lavorando su movimenti offensivi individuali.
Basti pensare all’aggiunta al suo arsenale del tiro da 3 punti, dopo l’arrivo sulla panchina di Fizdale: a 31 anni, con un gioco in post fra i migliori al mondo, dopo 12 triple realizzate in 8 stagioni, nel 2016/2017 passò a 104 con un ottimo 38.8%: risultando in questo modo difficile da contenere, con quei movimenti un pò sgraziati ma intrisi di talento, anche dai difensori più arcigni.
Solo due stagioni fa, Marc regalò una delle più grandi gioie ai fan della franchigia, in una serie contro i San Antonio Spurs che risulterà l’ultima di playoffs dello spagnolo (a chiudere il cerchio prima menzionato) diventata famosa anche per la famosa conferenza stampa di coach Fizdale e del suo Take that for data. Nel supplementare di una partita intensissima, il canestro della vittoria in Gara 4 a 7 decimi di secondo dal termine del match portò infatti la sua firma.
Non furono unicamente sportive le emozioni donate ai fan in quell’occasione: dall’adrenalina del momento, addirittura per la signora White iniziò il travaglio, concluso con la nascita del bambino della coppia, come testimoniato dal padre Brandon.
Tuttavia, non durò molto la love story con coach Fizdale, in carica nella stagione in cui l’attuale declino in cui il team è attanagliato ebbe inizio. Fra Gasol e Fizdale i rapporti si deteriorarono in fretta, culminando col suo mancato utilizzo nell’ultimo quarto di una gara punto a punto con dei derelitti Nets conclusa poi con l’ottava sconfitta consecutiva per i Grizzlies, per scelta tecnica.
La presa di posizione della dirigenza fu netta: nonostante le colpe del filotto negativo non sembrassero essere unicamente responsabilità dell’allenatore, nel testa a testa la franchigia decise di schierarsi compatta a supporto di Gasol, con la cacciata del coach il giorno successivo all’accaduto.
Ennesima riprova del forte legame fra i componenti del gruppo del Grit and Grind si è avuta con le ultime dimostrazioni ammirate in questa prima metà di stagione: con il nucleo originale ormai ridotto ai due membri forse più dotati tecnicamente, quando le voci sulla disponibilità dei Grizzlies a lasciarli partire sono diventate ufficiali, Gasol e il suo sodale Mike Conley non hanno smesso di rimarcare l’affetto che li lega e i primi segni di nostalgia per un’epoca vissuta assieme e ormai ai titoli di coda.
Ciò che le esigenze di business hanno separato, i sentimenti reciproci ancora uniscono: non hanno tardato le dichiarazioni d’affetto tra giocatore e franchigia.
Marc si è soffermato sulla fortuna di aver vissuto l’intera esperienza:
Esperienza che è andata oltre alle mere questioni di campo: durante la sua militanza a Memphis, si è creato uno stretto legame con la comunità locale, con Marc impegnato in molteplici attività di beneficenza; da quelle maggiormente note come The Gasol Foundation o il suo celeberrimo sostegno della Proactiva Open Arms direttamente a bordo, a quelle meno reclamizzate, lo spagnolo si è sempre schierato in prima linea quale sostegno per meno abbienti ed esempio per i più giovani.
Dal canto loro, i Grizzlies non hanno potuto esimersi dal ringraziare il pivot spagnolo con un video dedicato.
Il tributo per una giocatore dal tale impatto sull’intera storia della franchigia non si limiterà di certo ad una clip: il proprietario Robert Pera ha difatti già fatto sapere che la divisa con il numero 33 sarà presto ritirata, andando a far compagnia a quelle già appese sul soffitto del FedExForum di Zach Randolph e di Tony Allen.
Le strade di squadra e giocatore si sono divise, e da un punto di vista sportivo si è trattato di un passo quasi inevitabile: i Grizzlies potranno voltare pagina e iniziare una ricostruzione con uno stipendio ingombrante di meno sul cap (data la player option che probabilmente lo spagnolo avrebbe esercitato), mentre Marc potrà spendere le ultime stagioni da giocatore competendo per vincere e non rimanendo invischiato in progetti a raggio più lungo degli anni di carriera che gli restano.
Una soluzione che sembra quindi avere un senso per entrambe le parti: consapevoli, però, del fatto che un legame così forte come il loro non sia un addio, ma solo un arrivederci.