Mani di Picasso, talento di Leonardo, culo di Valeria Marini e fame della Madonna: Boris Diaw
“Sì vabbè, questo ha la pancia, non corre, tira male i liberi… cos’ha che io non ho?”
E’ la classica scena del mercoledì sera, quando sei culo spiaggiato e pupille al televisore. Entra mio padre, stranamente c’è una partita, comincia a lamentarsi. Ci sono troppi tiri da 3, nota in campo pochi cestisti e tanti fagioli saltellanti, oppure ha visto qualcosa o qualcuno che non gli piaceva. Finisce il discorso con un eloquente “lì in mezzo ci puoi andare anche te.” Non gli rispondo mai, so che scherza, ma sta parlando di zio Boris. L’unico francese che ha barattato les escargots per il pollo fritto di KFC.
“Sa giocare, Beppe.”
Boris Babacar Diaw-Riffiod è il motivo per cui ci chiediamo ancora a cosa serve preparazione atletica ma, per la gioia di Mario Boni, non è che sia stato sempre così. Figlio di un ex-saltatore – ma come? – e di Elisabeth, una delle più forti pivot del basket transalpino, come cita Tranquillo con puntualità mensile è stato compagno di merende di Tony Parker all’INSEP di Parigi, ormai 15 cenoni di Natale fa. Altruista come un missionario in Kenya, raro esempio di cultura e intelligenza cestistica, tradisce una sicura carriera da ingegnere nucleo-aerospaziale per farsi conoscere sul campo, con la casacca del Pau-Orthez. In 3 anni sotto i Pirenei la notizia non sono tanto i trofei, o le cifre: partecipa alla gara delle schiacciate all’All Star Game in Francia, e ne vince una nel 1999, in un Adidas Camp in Germania. Silenzio.
Zompava talmente tanto che lo scelsero gli Hawks, con la n. 21, nel celeberrimo draft del 2003. Qualche giorno prima, nel classico work-out, aveva chiesto ad un assistente cosa fosse il Vortech (lo strumento che misura l’elevazione), e chi avesse fatto il massimo: “Amare Stoudemire, 32 inches”. Polverizzato con 35.5, “ce n’etait pas si difficile”. Boris forse non si aspettava, però, che il salto nell’NBA fosse così complesso: ad Atlanta inizia benino, si mette già in mostra per la sua duttilità incredibile, ma la stagione seguente, complici infortuni e l’arrivo di Coach Woodson, non è all’altezza delle aspettative. Ritrova Stoudemire proprio l’anno dopo, in maglia Suns: Joe Johnson non aveva trovato l’accordo per prolungare il suo contratto in Arizona, per cui viene sostanzialmente scambiato con il figlio di Elisabeth, che già da qualche tempo non aveva più il n.13 in suo onore, preso da Glenn Robinson, ma il 32. Sul momento, sembra una cavolata infame. Ma è a Phoenix che accresce la fama di Boris come giocatore. La fame, soprattutto.
Come spesso accade ci vuole anche un po’ di fortuna per affermarsi, e in questo caso giocano a suo favore il basket di Mike D’Antoni, l’estro di Steve Nash e l’infortunio di Stat. Le cifre lievitano: 13.3 punti, quasi 7 rimbalzi e 6.2 assist nel 2005/06, primo atleta francese a realizzare una tripla-doppia in NBA, partecipazione ai play-off, riconoscimento come giocatore più migliorato della stagione, il famoso MIP. Il punto più alto lo raggiunge proprio in finale di conference, contro i Dallas Mavericks: i Suns vincono in Texas gara1 121-118 firmandone 34, compreso il canestro decisivo. E’ un fuoco di paglia, perché i Mavs ribaltano la serie subito e, nonostante un altro trentello in gara6, Phoenix è costretta a capitolare 4-2. Diaw rifirma a 45 milioni per 5 anni, un giocatore come lui è fondamentale per quel tipo di pallacanestro. Tuttavia, non riuscirà mai a replicare annata e statistiche, anche per l’arrivo del redivivo, e resuscitato, Grant Hill.
Nel 2008/09 viene spedito a Charlotte, dove probabilmente ricomincia a mangiare per la depressione. Dello zio Boris salviamo solo le cifre (15.5 di media nella prima annata coi Bobcats): disputa i play-off solo una volta, spazzato via subito 4-0 dagli Orlando Magic, litiga più volte con Coach Silas, che lo accusa di mancanza di aggressività, dimostrandosi spesso e volentieri svogliato come un casellante a Ferragosto. Diventa free-agent a Marzo 2012, preso con un tozzo di pane (e nutella) dai San Antonio Spurs. Assieme all’amico di sempre, Tony Parker, e con un allenatore stimolante come Gregg Popovich, risulta essere un fattore decisivo nel crescendo rossiniano nelle ultime 3 stagioni degli “speroni”. Finale di conference, Finale NBA, titolo NBA. Se avete ancora tutti negli occhi la schiacciata di Kawhi Leonard in tap-in in gara4, o Ginobili in faccia a Bosh in gara5, io non mi tolgo dalla testa la palla che Diaw ha dato a Splitter dietro la schiena, o la sua bimane. Ha la mia pancia, cazzo. Ho urlato. Ho pianto. Perché è come me.
Recentemente ha preso in giro Ibaka e i due Gasol in diretta mondiale, viene da un oro europeo vinto da Capitano della sua nazionale. Fisico da dominatore di aperitivi come ogni buon lungo di promozione, la spiega in post basso, in pick & pop, su instagram. Organizza ogni anno dei tornei di basket in Senegal, sebbene sia conosciuto nell’ambiente per la sua generosità è, numeri alla mano, il 6° uomo più ricco di Francia… già, mi ha fatto tifare la Francia. Serve altro?
Chapeau, Mon Diaw.