“Jonathan Bender era Kevin Durant prima di Kevin Durant”. Non parole del sottoscritto, ma di Mel Simon, co-proprietario degli Indiana Pacers fino alla morte sopraggiunta nel 2009. La sua storia, però, è quella di tanti altri talenti in erba fermati dalla sfortuna. I cronici infortuni alle ginocchia ne hanno praticamente stroncato la carriera a soli 25 anni, quando nonostante tutto era già pro da 7 stagioni. Ma questa è una storia con il lieto fine stavolta.
Andiamo con ordine. Il 23 marzo del 1999 Durant è uno sbarbatello di 10 anni ed il suo futuro giocatore preferito, Dirk Nowitzki, sta chiudendo la sua stagione da rookie in quel di Dallas tra più fischi che applausi. Quella sera il tedescone, però, firma il primo acuto della sua scintillante carriera, mettendo 31 punti in faccia agli Houston Rockets. Probabilmente nessuno all’epoca capì che quel dì iniziò a cambiare totalmente il modo di considerare giocatori alti 7 piedi con capacità da esterni. Ovvero quella trasformazione che proprio KD sta portando ora a compimento.
Il giorno dopo quel 23 marzo, un ragazzone di 18 anni e 212 centimetri di nome Jonathan Bender si abbatte come un uragano sul McDonald’s All American. Ha centimetri e apertura alare da pivot, ma controllo del corpo, atletismo e tecnica di una guardia. È Durant un decennio prima di Durant. Bender disintegra il record della partita che mette di fronte i migliori prospetti delle high school americane che da 18 anni era nelle mani di Sua Ariosità stampando 31 punti (con un paio di triple) conditi da 10 assist e 3 stoppate. Mezza America finisce sulle tracce di quell’airone e sebbene fosse già d’accordo per andare al college di Mississippi State è dura resistere alle sirene della Nba.
Bender è molto esile e il tiro da fuori va e viene, ma un giocatore così potenzialmente può rivoltare la Lega come un calzino. Nel draft 1999 lo sceglie Toronto alla numero 5, ma Larry Bird si innamora delle potenzialità di quell’aliante nero e vorrebbe farne il leader per il post-Reggie Miller. Così spedisce in Canada Antonio Davis, praticamente l’antitesi di Bender, e prende sotto le proprie cure il buon Jonathan.
Scommessa ampiamente persa. L’ala giallonera è martoriata dagli infortuni alle ginocchia sin dal suo primo anno, solo nel 2001/2002 riesce a giocare quasi tutta la stagione (78 partite a 7,4 punti di media in 21,1 minuti di media) ma nell’estate 2006, dopo essere diventato habitué di Nba Action e con due stagioni nelle quali ha giocato complessivamente appena 9 partite, decide di appendere le scarpe al chiodo. Prova a tornare tre anni dopo, nel 2009, con la maglia dei New York Knicks di Donnie Walsh, suo presidente anche nel 1999 quando sbarcò ad Indianapolis. Fa pure in tempo a far registrare un season-high di 16 punti in 19 minuti contro i Thunder di quel Kevin Durant cui, idealmente, passò il testimone. Durant segna 30 punti quella sera, facendo ricordare a tutti cosa poteva essere di Bender se la fortuna fosse stata dalla sua parte.
L’estate 2010 è quella del ritiro definitivo, ad appena 29 anni. Cosa fa un giocatore Nba distrutto dagli infortuni alle ginocchia senza alcun titolo di studio? No, non si dà alle sparatorie con Jarvis Crittenton e Gilbert Arenas. Non finisce sempre così in America.
Jonathan è un bravo ragazzo, metodico, pronto ad applicarsi per quello in cui crede. E pensa: voglio aiutare i ragazzi che si troveranno ad affrontare gli stessi problemi che ho dovuto affrontare io nella mia carriera. Cosa fa allora? Prende del nastro adesivo, pesi da caviglie, elastici spessi e un rotolo di cerotto mettendo in piedi il prototipo di quello che sarà il JB Trainer Intensive (http://jbitmedpro.com). Un congegno che aiuta a rinforzare la muscolatura delle gambe senza caricare sui tendini delle ginocchia. Jonathan ci investe circa 80 mila dollari ma solo sette anni più tardi, nel 2013, lancia la sua impresa. “Quando nel 2009 andai ai Knicks fu per provare a me stesso che quello che stavo facendo funzionasse”, spiegò in seguito Bender. E funzionava davvero, tanto che oggi l’ex Pacers, a soli 32 anni, è milionario grazie alla sua invenzione. “Non voglio che mi guardiate come un ex giocatore Nba che ha fatto dei soldi ma la cui carriera è finita. Voglio dimostrare che ci sono altri modi per esplorare i propri talenti e doni della natura”.