The nerves are sending shimmering signals
All through my fingers
The veins support
Blood that gushes impulsively towards
Is the triumph of a heart that gives all
That gives all
[Bjork – The Triumph of a Heart]
Terra di ghiaccio, terra di fuoco. Tra il nero della sabbia lavica, il bianco dei ghiacci perenni ed il verde della vegetazione che fa capolino qua e là, in Islanda non è mai stato semplice trovare spazio per l’arancione della palla a spicchi.
Far rotolare il pallone di cuoio su un 120×90 da quelle parti vuol dire rischiare che vedersi arrivare qualche orso in scivolata (anche se Gudjohnsen la sua onesta carriera tra Chelsea e Barcellona se l’è pur fatta). Per questo i giovani locali si dividono tra due passioni: la musica e la pallamano. Bjork, Sigur Ros, Mum, Gus Gus, Fm Belfast, Olafur Arnalds hanno tutti iniziato strimpellando lungo i locali che punteggiano la turbolenta vita notturna di Reykjavik (lo direste? Invece è così, parola mia). E la nazionale di pallamano è stata vicecampionessa olimpica nel 2008 e medaglia di bronzo agli Europei 2010. Roba da far impallidire le altre nazionali biancoblu, costantemente sbeffeggiate in lungo e in largo nel Vecchio Continente. È sempre stato così anche nel basket. Fino al 27 agosto scorso: la sera in cui il basket entrò nei cuori degli islandesi.
E pensare che la campagna estiva 2014 era iniziata con le peggiori premesse per i ragazzoni che vengono dal ghiaccio e dal fuoco. Il capitano, Hlynur Baeringsson, e l’uomo carismatico della selezione, Jon Stefansson, non avevano mai saltato un’estate in maglia biancoblu, nonostante le pochissime soddisfazioni (se un oro ai Giochi europei per i piccoli stati 2007 a Montecarlo dobbiamo considerarla soddisfazione faccio mea culpa). Un punto d’onore per una famiglia che non si è mai tirata indietro per tenere alta la bandiera rossoblu (il fratello maggiore, Olafur, è una delle colonne della nazionale di pallamano e il mediano, Eikar, fa lo stesso in quella di calcio). Ma questa volta il biondo che ha infiammato i cuori di Napoli, Roma e Treviso è senza squadra dopo aver chiuso un’ottima stagione in Acb a Saragozza e non vuole rischiare infortuni prima di aver trovato una nuova sistemazione. Per cui rifiuta la convocazione e lascia spazio alle nuove leve. Anche perché non è che si stia malissimo in vacanza dalle sue parti
Al fianco dell’amico Baerlingsson restano i giramondo Hordur Vilhjalmsson e Logi Gunnarson ed il naturalizzato ucraino Pavel Ermolinskij, più un manipolo di giovanotti quali Haukur Palsson (intravisto alla Stella Azzurra Roma dove ora milita il fratellino minore e poi passato per una stagione in Ncaa a Maryland) e gli amici per la pelle Martin Hermannsson ed Elvar Fridriksson, che fianco a fianco sono cresciuti in patria per poi sbarcare a Long Island per il college in maglia Blackbirds.
Tutt’altro che un Dream Team, insomma.
Per questo quando il 10 agosto arriva la Gran Bretagna alla Laugardalsholl, il tempio della pallamano, la Reykjavik cestistica non è che si scaldi molto. Sono in 1400 in tribuna. E tra questi c’è anche il grande Jon ad osservare, con lo spiedino di balena in bocca ed il birrone ghiacciato nella mano destra. Tra i britannici manca Luol Deng e non ci sono nemmeno Pops Mensah-Bonsu e Joel Freeland, ma la squadra è sostanzialmente quella che 12 mesi prima aveva fatto una buona figura all’Europeo di Slovenia: Kieron Achara, Devin Van Oostrum, Daniel Clark, Kyle Johnson, Myles Hesson non saranno fenomeni ma trattasi di gente abituata ai palcoscenici europei.
Meno che a quello nordico, evidentemente.
Il ritmo infernale imposto dagli islandesi sorprende la squadra di coach Prunty, uno che ha preso lezioni da Popovich a San Antonio, mica l’ultimo arrivato. Ma la lezione, in campo, la stanno prendendo lui ed i suoi, che finiscono subito sotto di 12 con gli islandesi a tenere ritmi folli. I ceffoni paiono però far bene, Clark inizia a prendere confidenza coi ferri e i sudditi di Sua Maestà rientrano in partita all’intervallo, quando il tabellone luminoso dice 34-34. Il dirimpettaio di Prunty, il canadese Pedersen, ruota appena 6 uomini, dando esattamente un minuto a testa a tutti gli altri 6 solo per dar fiato ai suoi uomini di fiducia. E quando ancora Clark ammutolisce le urla dei biondini con la tripla del 36-43 a 6’ dalla fine del terzo periodo sembra andare tutto secondo copione. Un copione che Jon e tutto il palazzo aveva probabilmente già immaginato: mica potranno reggere fino in fondo a quel ritmo lì.
Sicuri?
Baeringsson arpiona qualsiasi cosa arancione cada nel pitturato (saranno 15 i rimbalzi finali, con 14 punti) Ermolinskij, dall’alto dei suoi 2 metri, si traveste da Magic e smazza 14 assist i cui destinatari sono Palsson ed Hermanssson: i due mettono 11 dei loro 46 punti complessivi in apertura di quarto periodo davanti ad una Gran Bretagna inerme e rivoltano la partita. L’Islanda non si gira più: prima partita nel girone, prima vittoria. E la qualificazione a Eurobasket, ora, non è più così lontana.
You’ve dreamt this all before
You’ve sang this song before
You’ve seen it all before
It was just a little different, that’s all.
[Mum – Prophecies & Reversed Memories]
Jon ha visto tutto, ha gioito coi suoi compagni, si è fatto qualche birra con l’amico Baeringsson nei pub della Laugavegur. L’Europeo, quel sogno che Jon non aveva mai osato tirare fuori dal cassetto, ora è lì davanti ai suoi occhi. Ma la chance di giocarselo se la sono guadagnata gli altri. Lui era in tribuna a guardare, a fremere, ad esultare ad ogni canestro. Ha messo la sua carriera davanti al cuore, agli amici di sempre, alla sua città. Ci pensa e ci ripensa mentre guarda in tv i suoi ragazzi fallire l’esame da grandi a Tuzla, dove una settimana dopo l’impresa di Reykjavik Mirza Teletovic bombarda i sogni di gloria islandesi lanciando la Bosnia in vetta alla classifica del girone.
(al minuto 4 Teletovic mette una tripla da 9 metri come fosse la cosa più semplice del mondo)
Dopo il rovescio nei Balcani, coach Pedersen alza la cornetta e chiama a casa Stefansson. “Jon, ho bisogno di te. Togli il costume e posa la birra, vieni a Londra”. Jon tentenna. “La cosa mi stava uccidendo dall’inizio – confesserà qualche settimana dopo – ma era un grosso rischio per me giocare senza avere un contratto. Ma quando ho visto il livello di questa Gran Bretagna e che l’avevamo battuta bene in casa, io, come mi hanno detto i miei compagni, sono salito sul carro dei vincitori come una cheerleader”.
Parole che trasudavano il peso di non poter fallire l’occasione della vita.
La grande serata arriva due giorni dopo quella telefonata. Il 20 agosto, con un paio di allenamenti sulle spalle, Jon è sul volo che porta l’Islanda a Londra dove in 4.500 vogliono spingere la Gran Bretagna a ribaltare il -13 di 10 giorni prima. E l’avvio di gara sembra lasciar presagire il peggio. Quando Myles Hesson schiaccia di prepotenza in testa ai sonnolenti pachidermi islandesi il 37-24 che già al 17’ impatterebbe la differenza canestri del match di andata, il sogno di Jon sembra già andare in frantumi.
A Roma, a Napoli, ma anche a San Pietroburgo, a Saragozza e a Malaga conoscono bene non solo la mano di Jon. Ma anche le palle. E non quelli a spicchi. E ora, con la storia di una nazione che aspetta di essere scritta, bisogna metterle sul piatto.
Cosa sia successo nello spogliatoio islandese, a metà partita, lo sanno solo i 15 che erano lì dentro. Sta di fatto, che i biancoblu cambiano faccia. E indovinate chi suona la carica?
Minuto 20’45”: scarico di Ermolinskij, piedi per terra sull’arco. Sono 3.
Minuto 21’23”: penetrazione aggressiva, fallo subito da Hesson, due liberi. Uno a bersaglio
Minuto 21’36”: altra percussione in area, stavolta nessun contatto. Segna 2.
It’s in our hands
It always was
I 6 punti in un minuto e mezzo di Stefansson sono la tromba che lancia alla carica i guerrieri vichinghi: siamo padroni del nostro destino e lo vogliamo scrivere come piace a noi.
Si sveglia Palsson, si sveglia Vilhjalmsson, si sveglia Ermolinskij. E quando sulla sirena di fine terzo quarto Magnusson ammutolisce la Copper Box Arena trafiggendo la difesa brit dai 6,75, l’Islanda ha completato la rimonta: 54-56. Ma ci sono altri 10 minuti e l’orgoglio inglese non lo scopriamo certo noi. È una battaglia, si va avanti sul filo dell’equilibrio. Il solito Hesson mette il -1 britannico (67-68) con al via l’ultimo giro di lancette. Ma la palla, ora, ce l’ha l’Islanda. Vilhjalmsson chiama lo schema, la palla gira per linee esterne, poi la penetrazione di Magnusson e lo scarico per Stefansson, appostato sulla linea di fuoco da dove la sua faretra è mortifera.
“Il canestro più importante della mia carriera”.
Swoooosh, solo retina. 67-71, 44” da giocare, 23° punto per Stefansson.
La mazzata è terribile, i britannici non si rialzano più. Finisce 69-71, l’Islanda è sicura almeno del secondo posto.
Per la qualificazione ad Eurobasket, però, non basta. La Bosnia ha vinto entrambe le sfide con la Gran Bretagna oltre al match di andata contro l’Islanda per cui potrebbe bastarle perdere di meno di 10 punti, quelli rifilati ai nordici a Tuzla, per mantenere il primo posto. Per questo Teletovic, con l’obiettivo pressoché in archivio, si risparmia la trasferta.
L’Islanda, invece, non può risparmiare un bel niente, perché una delle sette seconde classificate dei vari gironi rimane a casa. Se potesse, coach Pedersen farebbe giocare pure Gudmundsson (Do you remember? https://lagiornatatipo.it/petur-grande-vichingo-porto-leuropa-in-nba/). Bisogna vincere e ribaltare la differenza canestri per agguantare un clamoroso primo posto. Altrimenti si può perdere ma con massimo 29 punti di scarto. Insomma, l’impresa è a un soffio ma bisogna essere concentrati fino all’ultimo per evitare scherzi.
Stavolta alla Laugardalsholl il clima è ben diverso: c’è il sold out e le bandiere con la croce rossa su fondo blu tappezzano gli spalti. Quegli spalti dove stavolta non c’è Jon, che è in campo per l’atto finale della “August Madness” islandese. Stavolta parte in quintetto e la squadra lo segue. Senza Teletovic, la Bosnia è una molto più compassata. Il palas si scalda, l’Islanda prova a scappare nella parte centrale con i canestri di Stefansson (21 punti alla fine) e a 7’ dalla sirena è ancora +4 (64-60). Il sogno di agganciare il primo posto è ad un centimetro.
Non basta per arrivare al traguardo con un altro scalpo, perché Kikanovic ha altri programmi e spazza via gli avversari sotto canestro (26+14 a fine partita). La Bosnia sbanca Rejkyavik per 70-78 chiudendo prima e imbattuta. Ma anche per gli islandesi è festa grande: la differenza canestri è sufficiente, è 4° posto tra le seconde classificate del Qualifying Round. Missione compiuta: l’Islanda è per la prima volta nella sua storia alla fase finale di un Europeo. Si vola a Berlino, dove ad attenderli ci saranno Belinelli e Nowitzki, Teodosic e Kanter. Un altro step, un’altra sfida per Jon.
Sono stato il primo
E ora riposo qui
Col berretto piegato
E chino la testa qui. Soddisfatto.
Fantastico Pezzo!!!"L'Islanda Domina!"