“Catch your magic moment,
do it right here, now.
It means everything.”
(Right Now – Van Halen, 1991)
Fine Agosto / Settembre, primo giorno. Mentre presidente e allenatore si dividono il discorso di inizio anno, vedi la gente arrivare un po’ per volta, alla spicciolata. Solite cose, quelle quattro chiacchiere che dovrebbero servire a rendere le idee chiare e che sfociano con l’annuncio esplicito dell’obiettivo stagionale, qualunque esso sia. Ma ti accorgi presto del valore reale della squadra: quando gli unici a presentarsi durante tutto il periodo della preparazione sono gli under, perché sono motivati e credono davvero di poter strappare qualche minuto. Quando al primo vero allenamento in palestra vedi i ferri piangere, e non sono lacrime di sudore.
Le prime amichevoli vanno male, se non malissimo. Un paio di mesi dopo il record recita un disperante 1-7 o 0-9, con il Coach sull’orlo di una crisi isterica e il Pres che ha un motivo in più, validissimo, per farsi vedere il lunedì sera. Diventa fondamentale rendersi conto di una cosa, a questo punto: mai come in altre situazioni, se prima non si era fatto nulla in questo senso, c’è la necessità di venirsi incontro l’un l’altro, e cementare il gruppo. La stagione è lunga, può diventare lunghissima senza piccoli espedienti: paste abbondanti a cadenza settimanale, uscite di squadra ignoranti, il senior infortunato che viene a trovare i suoi compagni di squadra durante l’allenamento… piccole cose, come parlarsi, dentro e fuori dal campo. Senza queste, pensare che i risultati possano cambiare sarebbe una pretesa troppo grande. E il basket è forse lo sport dove la legge di Murphy si manifesta nella sua più cruda, infelice espressione.
Capisci di essere scarso, ma non è la classifica. E’ che dopo ogni sconfitta, mentre poggi finalmente il culo sulla panca dello spogliatoio, hai come la sensazione che avresti sicuramente potuto giocartela meglio, ma che non c’era proprio nulla da fare. Come se ti presentassi al bar del palazzetto per un caffé con i vestiti firmati, e solo 80 cent. nel portafoglio. E se hai l’amico barista pronto a farti uno sconto, almeno stavolta, per il giocatore delle serie minori c’è un’ultima giostra, alla quale è necessario arrivare in piedi. L’ancora di salvezza, la roulette russa cestistica dei play-out.
I play-out hanno l’unico obiettivo di cancellare quanto successo fino a quel punto della stagione. Racchiudono un misto di tensione, brutta pallacanestro, pura passione. Personalmente, mi emozionano più dei play-off: ho sempre pensato che la voglia di non mollare venga sempre prima della voglia di vincere. Siamo uomini, e poi giocatori.
Maggio 2013, per dire.
La PGS Welcome Bologna, mia squadra di allora, affrontava nello spareggio per non retrocedere lo Sciotaim di Campagnola Emilia, un paesino della bassa padana fra Carpi e Reggio. La serie D emiliana ha una formula stranissima: ci sono due gironi da 16 squadre, penultima e terzultima si incrociano fra di loro e si parte 0-1 per la meglio classificata, al meglio delle 3 partite: la penultima gioca la prima gara in casa e se perde, in sostanza, è già fuori. Non vi sto a dire che eravamo quelli messi peggio, ovviamente. Il problema è che eravamo partiti con l’idea di fare una grande stagione. I più ottimisti gridavano ai play-off, i nomi c’erano tutti e non c’erano dubbi sul fatto che ci saremmo divertiti, comunque. Un inferno.
Gli infortuni dovuti al primo mese di atletica. L’esordio casalingo, -15 al termine di una partita sentita contro un’altra squadra della città. Siamo stati l’unica squadra a perdere entrambe le sfide contro quella che poi sarebbe stata l’ultima in classifica, con 10 punti. I problemi di lavoro, e gli scazzi frequenti dei giocatori più esperti. Aver esaurito a Gennaio il contenuto della borsa medica. Una coesione fra senior e under mai realmente avvenuta. Pianti in spogliatoio. Borse consegnate. Far fatica a sorridere prima, durante e dopo la palestra. Perché non era il contesto ideale, sapendo di aver deluso le aspettative.
Ho pensato a tutto questo. Abbiamo tutti pensato questo, dopo l’ultima stangata della 30° di regular season. Dovevamo dare un senso ai nostri ultimi nove mesi. L’abbiamo capito davvero quando, a metà del 4° quarto di gara2, ci siamo ritrovati sotto di 7 per effetto di un gioco da 4 punti. Ancora a -5 a 1′ dalla fine, con una tragica situazione falli, difendiamo alla morte e restiamo aggrappati al match. I miei liberi del sorpasso vengono puntualmente annullati da un canestro dall’altra parte, ma il canestro decisivo è una pennellata mancina di Gianmarco, play-guardia partito dalla tribuna nel periodo autunnale, divenuto sempre più decisivo nel corso dell’anno. Mancano 5” per l’ultimo tiro ospite, l’area sembra una Royal Rumble dove l’arbitro non ha voce in capitolo. 66-65, tutti alla bella, mi fecero notare non troppo ironicamente che era stata una delle mie (pochissime) partite giocate bene dal 1° di Ottobre. Avevano ragione. Sorrido.
Nel primo allenamento dopo gara2 la dirigenza ci informò che il futuro della società sarebbe stato più nebuloso della Manchester di George Best. Questo non fece che rendere ancora più uniti noi stessi. Sono un ’88 ed ero uno dei più giovani, portai in macchina gli under ancora senza patente arrivando in ritardo di 10′ al palazzetto il giorno della trasferta, sbagliando strada almeno 3 volte con la musica a palla. Ridevamo, avevamo la testa sgombra: mancavano 40 minuti e potevamo cestinare tutto, tranne le ultime due settimane. A Campagnola andò in scena una partita equilibrata dove tenemmo sempre il controllo delle operazioni, non fosse stato per delle percentuali ridicole dalla lunetta. Nessuno aveva realmente pensato di poterla perdere. 65-71, “è finita”! Tutti a festeggiare insieme al Mulino Bruciato, il ristorante di riferimento dei Minors bolognesi. Tutti, insieme, finalmente.
Oggi quella squadra non c’è più, e fra un paio di giorni gioco la prima serie play-off di serie D, la mia categoria da 7 anni. La vivo diversamente, è il premio di un’annata che ci ha visto protagonisti inattesi. Farei fatica a scriverci qualcosa sopra se dovessimo vincere. Sono carichissimo, ma non sono così emozionato.
Ho condiviso un anno sportivamente tragico con alcuni dei miei migliori amici, due lo sono diventati da quell’esperienza nel corso del tempo: lo stesso Gianmarco, tornato a essere mio compagno di squadra, e Marcello, uno dei quattro gatti che vengono tutte le domeniche a vedere le nostre partite. Giocare i play-out ha un sapore diverso, vincerli è eroico, in qualsiasi categoria. Qui si nota davvero che c’è l’uomo prima del giocatore. Per chi ama il basket, è spettacolare.
“Though nothing will keep us together,
we can be heroes, just for one day”
(Heroes – David Bowie, 1977)