illustrazione in copertina di Paolo Mainini
articolo di Marco Pagliariccio, Mario Castelli e Marco Munno

 

 

 

Da Rio 2016 c’è voluto un anno in più, con cinque invece di quattro, per tornare ad assistere allo spettacolo delle Olimpiadi e in particolare a quello del torneo di pallacanestro dei Giochi.

La competizione ritenuta più importante a livello di squadre nazionali: basta vedere il numero (esiguo) di coloro che rinunciano alla partecipazione, rispetto alle altre manifestazioni..

In questa edizione, il livello medio delle 12 squadre che ne prenderanno parte sembra più omogeneo del solito: la premessa migliore per chi cerca una competizione avvincente, che possa regalare colpi di scena. E’ il torneo in cui gli Stati Uniti, pur essendo venuti con tanti cavalli di razza, non sembrano gli inavvicinabili favoriti. E’ il torneo che segnerà presumibilmente la fine della carriera con la propria selezione, e forse proprio in assoluto, di vari nomi di rilievo della pallacanestro internazionale degli anni 2000. E’ il torneo in cui Australia, Nigeria e Giappone, rappresentanti di Oceania, Africa e Asia, possono arrivare fino in fondo (nel primo caso), essere competitive a tal punto da sognare uno scherzetto anche ai team più blasonati (nel secondo caso) o andare oltre al ruolo di semplice vittima sacrificale (nel terzo caso).

Ma soprattutto, per i tifosi azzurri, è il torneo in cui dopo 17 anni si potrà di nuovo ammirare l’Italbasket, sperando che le emozioni dell’ultima volta in cui le canotte con su scritto “Italia” si videro sui parquet a cinque cerchi possano ripetersi, magari con una nuova medaglia conquistata. 

Nell’attesa, abbiamo stilato il nostro ranking, ben sapendo come, viste le premesse, possano davvero esserci più sorprese di quelle che possiamo immaginare.

 

 

 

12# IRAN

Roster

Samad Nikkhah Bahrami (Mahram Teheran)

Saeid Davarpanah (Palayesh Naft Abadan)

Aaron Geramipoor (Manchester Giants)

Hamed Haddadi (Sichuan Blue Whales)

Mohammad Hassanzadeh (Palayesh Naft Abadan)

Philip Jalalpoor (Medi Bayreuth)

Mohammad Jamshidi (Shahrdari Gorgan)

Arsalan Kazemi (Chemidor Qom)

Navid Rezaeifar (Shahrdari Gorgan)

Mike Rostampour (Shahrdari Gorgan)

Mohammad Sina Vahedi (Shahrdari Gorgan)

Behnam Yakhchali (Rostock Seawolves)

Coach: Mehran Shahintab (Shahrdari Gorgan)

 

di Marco Pagliariccio

Seppur sia una potenza ormai consolidate in Asia (tre ori, un argento e un bronzo nelle ultime sei edizioni dei campionati asiatici), per l’Iran è solo la terza partecipazione alle Olimpiadi e l’ultima, anzi unica, vittoria risale addirittura a Londra 1948. Cancellare questo digiuno infinito è l’obiettivo, ma in un girone con Stati Uniti, Francia e Repubblica Ceca ciò avrebbe del miracoloso. Contrariamente al recente passato, comunque, il basket iraniano sta mostrando i primi segni di autentica “internazionalizzazione” con, oltre all’eterno Hamed Haddadi, altri quattro giocatori internazionali in roster, tutti ragazzi nati fuori dai confini iraniani ma che hanno scelto di difendere i colori della nazione dei propri padri: Mike Rostampur, americano di St. Paul transitato anche dalla Slovacchia prima di tornare in patria lo scorso anno; Philip Jalalpoor, persiano di Germania che si è fatto spazio nelle fila di Bayreuth; Behnan Yakhchali, inglese trapiantato in terra teutonica, promesso sposo del Mitteldeutscher dopo una stagione a 16,0 di media in A2 tedesca a Rostock; Aaron Geramipoor, pivottone che dopo aver giocato nelle nazionali giovanili inglesi, dei rapidi passaggi all’università di Seton Hall prima e nelle giovanili di Tenefire poi, ha scelto l’Iran per provare ad esplodere.

UP
Esperienza e taglia fisica non mancano agli asiatici, una delle squadre più “anziane” della competizione dovendo appoggiarsi ancora al 36enne Haddadi o al 38enne Bahrami, ma anche capace di schierare due torri possenti con lo stesso Haddadi (218 centimetri) e Geramipoor (213 centimetri).


DOWN

Semplicemente, nonostante i sogni di Sergio Tavcar che lo paragona a “uno sconfinato Montenegro”, l’Iran è la squadra meno talentuosa delle 12 arrivate fino a Tokyo. Manca qualità, manca atletismo, manca probabilmente una star “vera” che possa essere faro per un intero movimento, un po’ come l’Hachimura giapponese o il fu Yao Ming cinese, il fenomeno che faccia scoccare una scintilla a una nazione che mastica basket da decenni ma senza mai riuscire a fare il decisivo salto di qualità.


X FACTOR – Hamed Haddadi

Bahrami è stato scelto per la seconda volta come portabandiera della spedizione olimpica iraniana, ma il leader della squadra sarà ancora una volta Hamed Haddadi. Esperienza NBA ormai ammuffita dagli anni (ultima esperienza firmata Phoenix Suns nel 2013) poi una lunga militanza nel campionato cinese, la combinazione formata da altezza, mano morbida e grande visione di gioco ne fanno una sorta di (tenetevi forte, nostalgici) “Sabonis mediorientale” che sarebbe stato bello vedere all’opera in Eurolega negli anni buoni della sua carriera. Verosimilmente sarà la sua ultima apparizione a livello internazionale, salutare con una vittoria sarebbe il massimo: mirino puntato sulla Satoranský’s band… 

Anche nello scorso Mondiale Haddadi ha saputo il fatto suo

 

 

#11 GIAPPONE

Roster

Yuki Togashi (Chiba Jets Funabashi)

Makoto Hiejima (Utsunomiya Brex)

Rui Hachimura (Washington Wizards)

Leo Vendrame (Sun Rockers Shibuya)

Yuta Watanabe (Toronto Raptors)

Kosuke Kanamaru (Shimane Susanoo Magic)

Yudai Baba (Melbourne United)

Gavin Edwards (Chiba Jets Funabashi)

Daiki Tanaka (Alvark Tokyo)

Avi Schafer ( SeaHorses Mikawa)

Hugh Watanabe (Ryukyu Golden Kings)

Tenketsu Harimoto (Nagoya Diamond Dolphins)

Coach: Julio Lamas

di Marco Munno

In pochissimi fino a qualche tempo fa, in pochi ancora adesso vedono la nazionale giapponese diversamente da un’accozzaglia di giocatori di basso livello ai quali appiccicare qualche stereotipo, nell’attesa che nel corso delle prime fasi dei vari tornei vengano spazzati via. Invece, negli ultimi anni il team per il team del Sol Levante c’è stato un reshaping generale: il cambio del moniker, dallo storico Team Hayabusa (ovvero Falco Pellegrino, animale in Giappone associato alla velocità, caratteristica principale dei cestisti giapponesi insieme al tiro da fuori) all’attuale Akatsuki Five indica il rafforzato legame dei ragazzi con la terra madre e non li identifica, in campo, con specifiche peculiarità. E effettivamente nel gruppo di coach Julio Lamas, che ha rinunciato ai due storici gemelli Kosuke e Joji Takeuchi (ormai 36enni) per voltare pagina in favore di un corso più giovane, le qualità sono più variegate: la squadra, da 42esima del ranking FIBA, non è favorita nella corsa a medaglie, ma anche in un torneo di questo livello ha la possibilità di mettere i bastoni fra le ruote anche alle compagini più blasonate. Nel dubbio, si può chiedere alla Francia, sconfitta (per quanto il risultato vada preso con le pinze) per 81-75 nell’ultimo impegno amichevole prima dell’inizio dei Giochi.

UP
Per una squadra che torna ai Giochi Olimpici dopo un’assenza di 45 anni, la parola d’ordine è entusiasmo. Quello di un roster che, con 6 reduci dall’avventura Mondiale del 2019, può contare su un terzetto con buona esperienza negli Stati Uniti e una relativa freschezza come quello composto da Rui Hachimura, Yūta Watanabe e lo Yūdai Baba visto in G League e diventato campione nella NBL australiana (più Avi Schafer che negli USA si è fermato alla NCAA). Sommando Yuki Togashi, Makoto Hiejima, Daiki Tanaka e Kosuke Kanamaru, tutti vincitori del premio di MVP nella locale B. League, quel Tenketsu Harimoto che come nome di battesimo in Cina ebbe Zhang Tianjie otteniamo un gruppo con molta freschezza e più armi a disposizione, con il naturalizzato Gavin Edwards a metterci esperienza. Aggiungendo al mix la condizione psicologica del non aver nulla da perdere, a differenza di tutte le avversarie che troverà davanti, il team giapponese con il giusto allineamento di pianeti potrebbe essere tutt’altro che un punching ball per le squadre che incrocerà nel proprio percorso.

 

DOWN

C’è un livello maggiore in squadra rispetto a quello che si potrebbe pensare, tuttavia il puro confronto sulla qualità generale vede i giapponesi più indietro di quasi tutti. Sono pochi i ragazzi in grado di procurare costantemente vantaggi, come dimostra il percorso di avvicinamento a Tokyo: 1 vittoria a fronte di 2 sconfitte nelle 3 gare giocate senza Hachimura, tra l’altro con gare perse contro Finlandia e Belgio, non certo paragonabili agli squadroni che (Iran a parte) gli Akatsuki Five si troveranno a dover fronteggiare. Nei casi in cui le due/tre principali armi a disposizione di coach Lamas saranno disinnescate, sarà difficile chiedere uno scatto ulteriore agli altri ragazzi.

 

X FACTOR – Rui Hachimura

Solo 23 anni ma già sulle spalle il peso delle aspettative di un’intera nazione: la valutazione della squadra giapponese non può che partire e finire con quella di Rui Hachimura. Il primo nipponico di nascita ad essere stato selezionato in un draft NBA, al suo secondo anno nella Lega ha mostrato miglioramenti costanti, sviluppando il proprio gioco aggiungendo una dimensione sempre più perimetrale a quella interna; il tutto nonostante la presenza soffocante, per un giovane di belle speranze come lui, di Westbrook e Beal. Dalle sue capacità di prendersi un ruolo da protagonista dipenderanno le sorti dei giapponesi: e, a giudicare dall’ultima partita di preparazione al PreOlimpico, conquistata contro la corazzata francese con un’ottima prestazione individuale, il ragazzo non si tirerà certo indietro.

19 punti e 7 rimbalzi contro la Francia in 29 minuti, senza timore di Rody Gobert e soci

 

 

#10 REPUBBLICA CECA

foto FIBA

Roster

Patrik Auda (Yokohama B-Corsairs)

Tomáš Vyoral (Pardubice)

Patrick Samoura (Cochise College)

Tomáš Satoranský (Chicago Bulls)

Blake Schilb (Châlons-Reims)

Ondřej Balvín (Bilbao)

Jakub Šiřina (Opava)

Martin Peterka (Braunschweig)

Jaromír Bohačík (Strasburgo)

Ondřej Sehnal (Praha)

Lukáš Palyza (Nymburk)

Jan Veselý (Fenerbahçe)

Coach: Ronen Ginzburg

 

di Marco Munno

Per la prima volta, nel 2019 la Repubblica Ceca da nazione indipendente ha partecipato ai Mondiali. Sarebbe dovuta essere stata eliminata in breve tempo, considerando anche l’assenza del miglior giocatore Jan Veselý, invece completò una splendida cavalcata fino al sesto posto. Al Torneo PreOlimpico conquistato sarebbe dovuta essere stata eliminata in breve tempo, considerando la presenza di compagini come la Grecia e i padroni di casa del Canada, invece ha completato una splendida cavalcata fino ai Giochi. Alle Olimpiadi dovrebbe essere eliminata in breve tempo, considerando l’altissimo livello medio delle partecipanti…

UP
Le prestazioni e i conseguenti risultati ottenuti negli ultimi due anni parlano chiaro: la Repubblica Ceca è una squadra che riesce a spingersi oltre la somma delle qualità individuali dei propri componenti. Una qualità che è alta nel duo Satoranský/Veselý, in teoria non allo stesso livello nel resto del team: però, con la casacca della nazionale addosso, sono vari i ragazzi a diventare protagonisti, massimizzando il proprio rendimento. Insieme alla coppia di assi, il tiratore mancino Jaromir Bohačík e quel naturalizzato Blake Schilb che pare non invecchiare mai danno valido sostegno in attacco (con Sirina principale backup fra gli esterni), mentre sono Balvín e Auda a sostenere le battaglie sotto canestro di Veselý. Il tutto in un sistema dalla grande solidità, costruito da coach Ronen Ginzburg, in cui c’è chiarezza nelle gerarchie e grande dedizione alla causa dei componenti: il segreto, neanche tanto velato, che ha permesso ai ragazzi di andare puntualmente oltre quanto pronosticato per loro alla vigilia.

 

DOWN

L’exploit ai Mondiali poteva sembrare un episodio isolato, ma quello al PreOlimpico lo ha confermato: la Repubblica Ceca è una squadra che, con grande carattere e ottima organizzazione, è in grado di sorprendere se presa sottogamba. Difficile che accada nuovamente, in un torneo dove (Iran esclusa) tutte le compagini hanno più o meno legittime pretese di dire la propria: è tutt’altro che scontato che, con le difese che presumibilmente collasseranno su Veselý e Satoranský, gli altri siano in grado di alzare ancora di più il livello e trascinare alle incredibili vette già raggiunte in passato tutta la compagine. In una competizione, tra l’altro, compressa in poco tempo e affrontata con una rotazione relativamente corta e il terzo violino, Schlib, con poco meno di 38 primavere sulle spalle.

 

X FACTOR – Tomáš Satoranský

In una carriera dalla graduale ma continua crescita, che lo vede ora solidissimo elemento da rotazione in NBA, Tomáš in Nazionale si trasforma in un gigante per rendimento complessivo: superbo direttore d’orchestra, riesce a coinvolgere i compagni facendo pesare i suoi due metri in altezza a rimbalzo e prendendosi le responsabilità delle conclusioni nei frangenti decisivi. Nell’ultimo Mondiale, con 15.5 punti + 5.6 rimbalzi + 8.5 assist di media a gara, ha mostrato a tutto tondo il suo valore, e anche nel PreOlimpico successivo è stato l’MVP del torneo e eroe della qualificazione. Niente fa pensare che ai Giochi la Repubblica Ceca non sia legata a doppio filo a quanto riuscirà a produrre Satoranský.

La fortuna aiuta gli audaci: così Satoranský ha firmato il canestro per il successo all’overtime nella semifinale del PreOlimpico contro i padroni di casa del Canada

 

 

#9 GERMANIA

foto FIBA

Roster

Isaac Bonga (Washington Wizards)

Joshiko Saibou (Champagne Châlons-Reims)

Maodo Lô (Alba Berlino)

Niels Giffey (Žalgiris Kaunas)

Jan Niklas Wimberg (Niners Chemnitz)

Johannes Voigtmann (CSKA Moscow)

Robin Benzing (Zaragoza)

Moritz Wagner (Orlando Magic)

Lukas Wank (Löwen Braunschweig)

Danilo Barthel (Fenerbahçe)

Johannes Thiemann (Alba Berlino)

Andreas Obst (Ratiopharm Ulm)

Coach: Henrik Rödl

di Mario Castelli

In una settimana di Preolimpici con risultati sorprendenti, in cui quattro squadre padrone di casa su quattro hanno fallito la qualificazione e diverse squadre favorite hanno visto svanire le speranze di qualificazione a Tokyo, la Germania rientra a pieno titolo tra le qualificate più o meno “a sorpresa” di questi Giochi Olimpici. I tedeschi sono usciti vincitori dal girone di Spalato, eliminando prima la Russia nel girone, poi in semifinale la Croazia padrona di casa (quella che cinque anni fa invece ci inflisse una delusione cocente in quel di Torino) e poi il Brasile, altra squadra che ambiva a un posto in Giappone. La squadra di Henrik Rödl (da giocatore fu una leggenda dell’Alba Berlino con 7 campionati vinti e conquistò anche un titolo NCAA con North Carolina, allenato da Dean Smith) ha dimostrato di essere la più solida del lotto nonostante l’assenza della sua stella Dennis Schröder– out per ragioni assicurative (essendo free agent NBA, stipulare una polizza costava troppo) – ma anche di altri giocatori NBA come Daniel Theis e Maxi Kleber. Eppure i tedeschi hanno vinto quattro partite su quattro, mostrando grande equilibrio e la capacità di trovare protagonisti sempre diversi. In questo girone così equilibrato sembrano partire leggermente dietro alle altre tre squadre ma, vista l’estrema efficacia del gioco messo in mostra a Spalato, nessuno potrà dormire sonni sereni contro la Mannschaft.

UP
Come detto prima, il pregio principale della Germania nel PreOlimpico è stata la sua solidità. Nelle quattro partite della Spaladium Arena hanno subito 70.7 punti di media concedendo il 43% dal campo. La difesa è apparsa l’arma principale dei tedeschi, oltre al fatto di non avere un vero punto di riferimento conclamato in attacco (come sarebbe potuto essere Schröder), ma la capacità di lasciar prendere in mano la partita al giocatore più in forma quel giorno o maggiormente sacrificato dalle difese avversarie: contro il Messico il top scorer è stato il “negazionista” Joshiko Saibou (la scorsa estate fu rilasciato da Bonn, dopo essere stato travolto dalle polemiche per aver diffuso sui social network teorie complottistiche infondate e per aver preso parte a un assembramento non consentito di persone che sostenevano che il coronavirus fosse un’invenzione e chiedevano la fine delle restrizioni al governo), contro la Russia il migliore è stato Johannes Voigtmann, contro la Croazia poi sono arrivati i 29 punti di Maodo Lo e infine contro il Brasile i 28 di Mo Wagner. I tedeschi potranno anche contare su un roster particolarmente stazzato, avendo in rosa ben sei giocatori su dodici dai 205 centimetri d’altezza in su, più di qualunque altra squadra presente a questi Giochi Olimpici.

 

DOWN

L’assenza di Schröder ovviamente toglie ball handling e inventiva a una squadra sì molto solida, ma con pochi picchi di estro e creatività. Inoltre la distribuzione di responsabilità tra i vari giocatori può essere sì un pregio, come detto prima, ma nei momenti decisivi delle partite avere un roster senza picchi di talento potrebbe anche rivelarsi un’arma a doppio taglio, non avendo un vero go-to-guy a cui affidarsi per risolvere le questioni spinose. Detto della buona presenza fisica dei tedeschi, l’atletismo della squadra è invece nella norma, e anche il tiro da fuori non è una delle armi più affilate dei ragazzi di Rödl, come testimoniano le percentuali da tre raccolte a Spalato, dove la Germania ha segnato 36 triple su 118 tentate, un modesto 30.5%.

 

X FACTOR – Moritz Wagner

L’abbiamo detto, è difficile trovare un vero giocatore di punta in questa Germania, e la forza sta proprio nel collettivo. Però, come nella Fattoria degli Animali, se c’è un animale un po’ più uguale degli altri questo è Moritz Wagner. Nel PreOlimpico è stato il miglior marcatore dei suoi con 14.3 punti di media, tirando con un eccellente 65.5% dal campo. Ala grande classe 1997, è un 2.11 che abbina coordinazione e doti tecniche a un buonissimo tiro da fuori, buon rimbalzista e bravo in aiuto a mettersi sulle linee di penetrazione, guadagnando diversi sfondamenti. In quanto a rapidità e atletismo però non brilla particolarmente, anche se un buon tempismo lo ha fatto diventare gradualmente un buon rimbalzista al suo ultimo anno di college a Michigan. In NBA da tre anni, ha fatto vedere buone cose solo a sprazzi l’anno scorso a Washington, prima di migliorare sensibilmente alla fine di questa stagione a Orlando, dove dopo la trade ha trovato più spazio e ha segnato 11.0 punti di media in 11 partite. La principale preoccupazione da disinnescare per gli Azzurri sarà lui.

Quello di Wagner non è esattamente il classico repertorio per un 2.11

 

 

#8 ITALIA

foto Italbasket

Roster

Marco Spissu (Dinamo Sassari)

Nico Mannion (Golden State Warriors)

Stefano Tonut (Reyer Venezia)

Danilo Gallinari (Atlanta Hawks)

Nicolò Melli (Olimpia Milano)

Simone Fontecchio (Baskonia)

Amedeo Tessitori (Virtus Bologna

Giampaolo Ricci (Olimpia Milano)

Riccardo Moraschini (Olimpia Milano)

Michele Vitali (Reyer Venezia)

Achille Polonara (Fenerbahçe)

Alessandro Pajola (Virtus Bologna)

Coach: Meo Sacchetti

di Mario Castelli

Siamo tornati. Sono passati 17 anni, diverse delusioni, pochissimi risultati degni di nota, ma alla fine il basket italiano, dopo aver saltato i Giochi di Pechino, Londra e Rio de Janeiro, torna alle Olimpiadi. Proprio ad Atene 2004 risale l’ultima grande spedizione e l’ultima medaglia vinta dagli Azzurri, quell’indimenticabile argento maturato dopo l’indimenticabile semifinale contro la Lituania e la sconfitta solo in finale contro la fortissima Argentina della Generacion Dorada. Ora l’Italia torna a vedere i cinque cerchi da vicino, grazie all’impresa di Belgrado quando in pochi ci avrebbero scommesso: senza Gallinari (impegnato nei playoff NBA) e Belinelli e Datome (tiratisi indietro per riposarsi e recuperare le energie dopo le finali scudetto il primo, a causa di una fastidiosa tendinite al ginocchio il secondo), la squadra di Sacchetti sembrava una delle vittime sacrificali sul percorso verso il Giappone della Serbia padrona di casa. Così non è stato, grazie a una partita straordinaria (una delle migliori nella storia della nostra nazionale), e ora – con pieno merito – alle Olimpiadi ci siamo anche noi e con un Gallinari in più.

UP
Chiaramente uno dei punti di forza della nostra nazionale sarà l’entusiasmo debordante con cui ci si presenta ai Giochi, unito alla relativa assenza di pressione: come detto, in pochi pensavano che ci saremmo trovati qui, perciò non c’erano aspettative opprimenti. Ora che invece alle Olimpiadi ci siamo, tutto quello che verrà sarà tanto di guadagnato, senza diktat su obiettivi da raggiungere. Per questo la squadra di Sacchetti (uno che sulla leggerezza delle sue squadre, sulla poca pressione e sulla depenalizzazione dell’errore ha costruito una parte corposa della sua carriera di allenatore) potrà giocare con la mente sgombra e sull’onda lunga dell’eccellente prestazione del Pionir. Il gruppo è relativamente giovane (Gallinari è l’unico nato prima del 1991), ha grande voglia di imporsi e ha anche il volto sfrontato di gente che si è imposta gradino per gradino, lavorando costantemente, come i vari Polonara, Fontecchio, Tonut, Spissu, Ricci e altri ancora, e adesso vuole godersi il meritato premio di questo lungo lavoro. E freschezza e sfrontatezza saranno l’ideale per una squadra a cui piace correre, tirare da fuori (32 triple di media al Preolimpico) e alzare i ritmi. E al gruppo guidato da capitan Melli e da Mannion, il più giovane del gruppo, si aggiungerà un califfo come Danilo Gallinari, che quest’anno ad Atlanta ha dimostrato di aver aggiunto al suo infinito talento anche l’esperienza e il carisma necessario per essere la guida per i compagni in una squadra vincente.

 

DOWN

Ovviamente giocare in quella maniera è una scelta ma quasi anche un obbligo per l’Italia. In termini di stazza e presenza fisica sotto canestro siamo tra le squadre più scoperte della competizione. Tessitori è l’unico centro di ruolo, sebbene spesso l’Italia giocherà senza un vero numero “5”, con giocatori come Melli adattati nel ruolo per allargare il campo in attacco. Questo però potrebbe ovviamente rappresentare un handicap in difesa e in misura minore anche a rimbalzo, anche se l’atletismo ai nostri non manca (e dall’altra parte questo potrebbe rendere più facile un largo utilizzo dei cambi difensivi). Manca forse anche un po’ di esperienza a questi livelli: solo tre giocatori (Melli, Gallinari e Polonara) hanno più di 30 presenze in nazionale, alcuni sono esordienti in una grande manifestazione, ma questo dall’altra parte potrebbe anche trasformarsi un una maggiore “incoscienza” da sfruttare in senso positivo.

 

X FACTOR – Niccolò Mannion

Il giocatore di maggior classe e talento è indubbiamente Danilo Gallinari, uno che da 12 stagioni consecutive segna almeno 12 punti di media in NBA, l’aggiunta di spicco al gruppo che ha vinto il Preolimpico. Però, in virtù di quanto visto a Belgrado, è apparso chiaro come l’anima di questo gruppo sia il più giovane di tutti, Niccolò Mannion: nonostante sia un classe 2001 reduce dal suo primo anno da professionista, in Serbia ha unito all’inesauribile energia del ventenne anche una maturità e una personalità da veterano. L’essere andato a bottega da Stephen Curry in quest’ultima stagione deve aver dato i suoi frutti, perché in alcuni sprazzi del PreOlimpico il “Red Mamba” è sembrato, con le dovute proporzioni, quasi curry-esco. Il suo atletismo, la sua capacità di battere l’avversario dal palleggio, creare per gli altri, arrivare al ferro e segnare da distanze siderali, saranno doti da cui l’Italia non potrà prescindere per poter fare strada nel torneo.

Che per Nico sia le prima di tante manifestazioni importanti con la maglia azzurra addosso!

 

 

#7 NIGERIA

foto SLAM

Roster

Stan Okoye (Zaragoza)

Ekpe Udoh (Virtus Bologna)

Chimezie Metu (Sacramento Kings)

Josh Okogie (Minnesota Timberwolves

Gabe Vincent (Miami Heat)

Jordan Nwora (Milwaukee Bucks)

Precious Achiuwa (Miami Heat)

Caleb Agada (Hapoel Be’er Sheva)

Obi Emegano (Fuenlabrada)

Jahlil Okafor (Detroit Pistons)

KZ Okpala (Miami Heat)

Miye Oni (Utah Jazz)

Coach: Mike Brown (Golden State Warriors)

 

di Mario Castelli

L’obiettivo è di quelli ghiotti, che possono scrivere la storia di uno sport. La Nigeria arriva a Tokyo col sogno, remoto ma neppure poi così tanto, di diventare la prima squadra africana a conquistare una medaglia olimpica nella pallacanestro. Anche non dovesse riuscirci, il miglior piazzamento di sempre per una nazionale del continente africano è abbondantemente alla portata: nessuna squadra di quella zona del mondo è mai arrivata alla fase ad eliminazione diretta, il miglior piazzamento in campo maschile è il decimo posto della Repubblica Centrafricana nel 1988, dell’Angola nel 1992 e della stessa Nigeria nel 2012; mentre in campo femminile una squadra africana non è mai andata oltre l’undicesimo posto. Considerando che al via ci saranno 12 squadre, l’obiettivo di migliorare questi precedenti è abbondantemente alla portata della Nigeria, che come dicevamo però può anche arrogarsi il diritto a sognare qualcosa di più. Sì, perché la squadra è tutt’altro che malvagia, è inserita nel girone probabilmente più equilibrato (quello dell’Italia: nessun superteam ma neanche squadre materasso) e i risultati delle amichevoli di avvicinamento ha fatto ingolosire i tifosi nigeriani e il suo geniale social media manager, che nel corso del torneo di Las Vegas ha dato spettacolo su Twitter. Proprio nel Nevada i “D’Tigers” hanno già scritto parzialmente un po’ di storia, diventando la prima squadra africana di sempre a battere Team USA, sconfitto per 90-87 in amichevole il 10 luglio. In quel torneo la Nigeria si è anche sbarazzata facilmente dei vicecampioni del mondo dell’Argentina, prima di essere rullata con un -39 dall’Australia, sua futura avversaria nella fase a gironi. Ma la squadra di coach Mike Brown, allenatore dell’anno in NBA nel 2009 quando era alla guida dei Cleveland Cavaliers di LeBron da 66 vittorie, grazie ai tanti nigeriani-americani di seconda generazione o ai ragazzi mandati a studiare in America, è ormai una potenza del basket africano (questa sarà la terza apparizione alle Olimpiadi, tutte consecutive dal 2012 in poi) ed è pienamente consapevole del proprio potenziale, che abbiamo appena iniziato a vedere.

UP
Come detto, tutti i giocatori di questa nazionale hanno avuto un “imprinting” cestistico americano. Otto di loro sono nati e cresciuti negli USA da genitori nigeriani o a loro volta figli di immigrati nigeriani. Gli altri quattro (Josh Okogie, Precious Achiuwa, Obi Emegano e Caleb Agada) sono nati in Nigeria ma si sono trasferiti da giovani negli USA o in Canada (come Agada, unico dei dodici a non aver giocato in NCAA) per studiare e affinare la loro pallacanestro. Questa capacità delle federazione nigeriana di convincere gli americani di nascita a giocare per loro, e al contempo di mandare i propri ragazzi a migliorare in nord America, ha permesso di mettere in piedi una delle squadre più forti nella storia del basket africano. A roster ci sono otto giocatori su dodici che militano in NBA (anche se non tutti con grandi minutaggi e responsabilità), il massimo di questi Giochi alle spalle solamente del team “all-NBAers” degli USA. Il livello atletico e fisico è debordante, ma la Nigeria colma anche la mancanza di esperienza e di organizzazione, che altre buone squadre africane avevano avuto in passato, grazie proprio all’impostazione americana dei propri giocatori, abituati fin da giovani a giocare ad alto livello in ambienti professionali e propedeutici al miglioramento. I punti di forza sono sicuramente la presenza sotto canestro, con lunghi come Precious Achiuwa (discreta stagione da rookie a Miami dopo un eccellente unico anno in NCAA a Memphis), Jahlil Okafor (terza scelta assoluta al draft 2015) e il neo-virtussino Ekpe Udoh, ex campione d’Europa e MVP delle Final Four col Fenerbahçe. E la guida di Mike Brown in panchina è un’altra garanzia di qualità che potrebbe aprire la porta a scenari inaspettati.

 

DOWN

La Nigeria potrà accogliere solo poche ore prima del suo esordio un giocatore chiave per la sua squadra come Jordan Nwora, fresco campione NBA con Milwaukee, che quindi non ha potuto allenarsi coi compagni e calarsi nel sistema di squadra. Un altro aspetto che lascia qualche dubbio sulla nazionale africana è quello delle point guard: Miye Oni ai tempi di Yale era un buon realizzatore ma non è mai stato un assistman convincente, e anche in G-League coi Salt Lake City Stars (squadra controllata da Utah, con cui in NBA ha giocato pochissimo), ha confermato questa tendenza. L’altro playmaker è Agada, forse il giocatore con meno pedigree tra i dodici di Mike Brown, e una mano potrebbe darla Gabe Vincent dei Miami Heat, ma in generale comunque gli handler di livello rimangono pochi per una squadra che vuole andare lontano. Da capire anche quanta efficacia potrà avere da fuori la squadra nigeriana: se le difese avversarie collasseranno e riempiranno l’area per contrastare lo stradominio fisico e atletico dei D’Tigers, servirà riuscire a mantenere buone percentuali dall’arco sugli scarichi che inevitabilmente arriveranno.

 

X FACTOR – Ekpe Udoh

Di giocatori giovani e interessanti ce ne sono diversi, alcuni hanno anche iniziato già a farsi notare in NBA, ma arriverà il momento in cui servirà anche l’esperienza e l’abitudine a giocare ad alto livello, e quindi la Nigeria non potrà prescindere da un Ekpe Udoh in grado di dare un contributo significativo. Il 34enne neo-giocatore della Virtus Bologna (ha da poco firmato un biennale) è di gran lunga il giocatore più scafato del roster, l’unico nato prima del 1993. Di battaglie ne ha viste tante, in NBA ma soprattutto in Europa, e potrebbe essere anche il leader carismatico, prima ancora che tecnico, per tanti suoi compagni. Però servirà anche che il fisico lo assista e che Udoh possa restare sano per tutti i 15 giorni del torneo Olimpico, considerando che arriva da due stagioni particolarmente complicate nel campionato cinese, dove ha giocato 28 partite su 46 nel 2019/20 e solamente 13 su 54 (con 185 minuti totali in campo) nella stagione appena conclusa. Ma se sarà un Udoh anche solo parzialmente vicino al livello di quello che avevano imparato a conoscere, quella storica prima apparizione alla fase ad eliminazione diretta per una nazionale africana potrebbe essere dietro l’angolo.

La vittoria, seppur in amichevole, contro gli Stati Uniti resterà un risultato storico

 

 

#6 ARGENTINA

foto FIBA

Roster

Leandro Bolmaro (Barcellona)

Nicolas Brussino (Zaragoza)

Francisco Caffaro (Virginia Cavaliers)

Facundo Campazzo (Denver Nuggets)

Gabriel Deck (Oklahoma City Thunder)

Marcos Delía (Trieste)

Tayavek Gallizzi (Iacc Cordoba)

Patricio Garino (Zalgiris Kaunas)

Nicolas Laprovittola (Real Madrid)

Luis Scola (Varese)

Juan Pablo Vaulet (Manresa)

Luca Vildoza (New York Knicks)

Coach: Sergio Hernández (Zaragoza)

 

di Marco Pagliariccio

Primo comandamento delle competizioni internazionali: mai scommettere contro l’Argentina, in un modo o nell’altro se la giocheranno fino in fondo. L’ultimo ballo di Luis Scola dà ancora un legame con la Generacion Dorada, ma ormai la Albiceleste di oggi ha ampiamente completato il suo passaggio di consegne alla nuova generazione, quella di Campazzo, Deck e Vildoza, che nel giro di pochi mesi sono sbarcati uno dopo l’altro in NBA. La parola d’ordine per coach Hernández è stata continuità: sono ben 10 su 12 i reduci dall’insperato argento mondiale di due anni fa ancora nel roster biancoazzurro e tanto basta per renderla una squadra più che insidiosa da affrontare. Senza dimenticare che l’Argentina è stata l’unica nazionale capace di vincere il torneo olimpico da quando gli Stati Uniti hanno deciso di portare i giocatori NBA ai Giochi: uomo avvisato…

UP

Il reparto esterni argentino ha creatività, profondità e durezza mentale con pochi eguali. Campazzo è il generale in campo, capace di inventare traiettorie di passaggio impossibili ma anche di essere un mastino in difesa sulla point guard avversaria. Ma se lui gira a vuoto c’è Laprovittola. C’è Bolmaro. C’è Vildoza. Deck è un coltellino svizzero, duro come il marmo ma anche intelligente tatticamente. Ma se lui gira a vuoto c’è Brussino. C’è Garino. Sette giocatori su tre ruoli, tutti con esperienza tra NBA ed Eurolega: tanta roba per tutte le squadre non-USA.

 

DOWN

Se sul perimetro c’è fin troppo materiale, sotto canestro ne manca un bel po’, soprattutto a livello atletico. Seppur Scola sia reduce da una stagione in Serie A a 17,8 punti e 6,7 rimbalzi a gara, è chiaro che chiedergli di fare reparto da solo a 41 anni sia improbo. E lo si è visto soprattutto nell’amichevole contro Team USA, quando coach Hernández ha provato addirittura a mandarlo sulle tracce di Durant nei primi minuti del match. Coi risultati che potete immaginare… il triestino Marcos Delía è un discreto mestierante, ma chiedergli di essere il faro di una nazionale con ambizioni di medaglia è decisamente troppo.

 

X FACTOR – Facundo Campazzo

Se Scola è il leader emotivo del gruppo, tecnicamente ormai questa è la Nazionale di Facundo Campazzo. Dopo qualche difficoltà di adattamento alla realtà NBA, l’infortunio di Jamal Murray gli ha spalancato le porte del quintetto ai Nuggets e la sua risposta è stata assolutamente positiva: mica scontato anche per un giocatore abituato a far ricredere gli scettici ad ogni step della sua carriera… Anche in Nazionale si è guadagnato tutto passo dopo passo, imparando dai senatori e raccogliendone il testimone una volta che i vari Ginobili, Nocioni e Prigioni hanno appeso le scarpe al chiodo. Riallacciare i fili con quella irripetibile stagione? Difficile. Ma guai con questi qua…

Este es el mundo de Facundo

 

 

#5 SLOVENIA

foto REUTERS/Ints Kalnins

Roster

Jaka Blažič (Cedevita Olimpia Lubiana)

Vlatko Čančar (Denver Nuggets)

Jakob Čebašek (Dinamo Bucarest)

Žiga Dimec (Cedevita Olimpia Lubiana)

Luka Doncic (Dallas Mavericks)

Zoran Dragić (Baskonia)

Gregor Hrovat (Cholet)

Edo Murić (Cedevita Olimpia Lubiana)

Aleksej Nikolić (Gravelines-Dunkerque)

Klemen Prepelič (Valencia)

Luka Rupnik (Cedevita Olimpia Lubiana)

Mike Tobey (Valencia)

Coach: Aleksander Sekulić (Nymburk)

 

di Marco Pagliariccio

Il tocco di Re Mida Doncic. Dopo essere stato una parte fondamentale del primo oro europeo della storia del basket sloveno nel 2017 nel ruolo di “Robin” al fianco di “Batman” Goran Dragić , il bimbo non-più-bimbo prodigio dei Mavs ha preso in spalla i nostri vicini di casa portandoli per la prima volta alle Olimpiadi giocando un PreOlimpico da cineteca, coronato con la roboante vittoria in finale sulla Lituania a Kaunas. La Slovenia, pur lasciata dall’Mvp dell’Europeo di quattro anni fa, ha sciorinato un basket scintillante nel torneo che metteva in palio il pass per Tokyo grazie a una batteria di esterni che all’ombra di Luka può colpire in tanti modi e un reparto lunghi dove non ci saranno più il grande vecchio Gasper Vidmar e l’infortunato Anthony Randolph ma dove il talento di Vlatko Čančar e la bidimensionalità di Mike Tobey sono state delle piacevoli (e cruciali) sorprese. 

UP

La squadra è stata fantastica a livello offensivo nel PreOlimpico di Kaunas, prima per punti segnati (106,0 a partita), rimbalzi (44,3) e assist (26,8). Il basket a mille all’ora dettato da coach Sekulić , una semi-esordiente ad altissimo livello (arriva da un triennio da vice al Nymburk, che lo ha da poco promosso head coach), ha esaltato non solo la classe infinita di Doncic ma soprattutto le doti balistiche dei cecchini pronti sull’arco a riceverne gli assist al bacio: a parte Dimec, unico vero giocatore interno a roster, nessun dei balcanici può essere battezzato e se poi il tiro entra con regolarità, come successo a Kaunas, allora sono dolori.

 

DOWN

Non sempre, soprattutto quando la posta in gioco si fa alta, il corri e tira è una buona idea. E se la partita si fa sporca e la fisicità sale può essere un problema per la Slovenia. Mike Tobey, naturalizzato proprio per dare tonnellaggio in area, è giocatore versatile e abituato ai palcoscenici internazionali, ma come ha sofferto il duo Valančiūnas-Sabonis nello spareggio con la Lituania così potrebbe avere problemi contro i Gasol o gli Hachimura di turno. La tenuta sua e di un altro lungo con tendenze perimetrali come Čančar saranno fondamentali per la Slovenia.

 

X FACTOR – Luka Doncic

Tutto, ma letteralmente TUTTO, passa da Luka Doncic. Il fuoriclasse sloveno si presenta alla sua prima Olimpiade dopo un Preolimpico semplicemente senza senso (21,3 punti col 67,7% da 2 e il 39,1% da 3, 8,0 rimbalzi, 11,3 assist, 31,5 di valutazione), mostrando una volta di più di essere ormai entrato a pieno diritto nell’Olimpo dei grandissimi del basket mondiale. Chiaro però la Slovenia è a un raffreddore di Luka Magic dal vedere rompersi questo giocattolo finora perfetto.

Per gradire, nella finale del PreOlimpico contro i padroni di casa lituani, tripla doppia da 31 punti + 11 rimbalzi + 13 assist per Luka Magic

 

 

#4 SPAGNA

foto FIBA

Roster

Pau Gasol (Barcellona)

Rudy Fernández (Real Madrid)

Sergio Rodríguez (Olimpia Milano)

Ricky Rubio (Minnesota Timberwolves)

Victor Claver (Barcellona)

Marc Gasol (Los Angeles Lakers)

Willy Hernangómez (New Orleans Pelicans)

Usman Garuba (Real Madrid)

Alberto Abalde (Real Madrid)

Álex Abrines (Barcellona)

Sergio Llull (Real Madrid)

Juancho Hernangómez (Minnesota Timberwolves)

Coach: Sergio Scariolo (Virtus Bologna)

 

di Marco Munno

E’ difficile pensare ad un gruppo che abbia maggiormente segnato il ventunesimo secolo di pallacanestro europea e mondiale più di quello de La Familia. Dopo le prime medaglie europee, la punta di diamante è stata chiaramente quella del primo oro conquistato: fu al Mondiale del 2006, proprio in Giappone. Pau Gasol, il miglior giocatore della storia della Roja, fu MVP del torneo e in quella manifestazione giocò la sua prima partita in nazionale con il fratellino Marc. Sul tetto del mondo gli spagnoli sono saliti solo un’altra volta: nello scorso Mondiale, del 2019, con Ricky Rubio simbolo del ricambio generazionale ormai quasi totalmente concluso. Questa olimpica è l’ultima occasione per i due nuclei di arrivare anche all’oro ai Giochi, sfuggito già nel 2008 e nel 2012 all’ultimo atto (in entrambi c’erano Pau Gasol e Rudy Fernandez, che sommando le partecipazioni nel 2004 e nel 2016, con questa raggiungeranno la quinta Olimpiade, entrando insieme a Luis Scola nel ristretto club composto da Navarro, Cruz, Gaze e Oscar Schmidt). E per la plausibile ultima volta della vecchia guardia guidata dei fratelli Gasol (proprio lì dove era iniziata), non poteva essere messa al loro fianco una compagnia migliore di quella dei protagonisti dello scorso successo mondiale, capeggiato da Ricky Rubio, per poter mettere le mani sul titolo a cinque cerchi.

UP
La nazionale spagnola può sostanzialmente contare su due blocchi di altissimo livello. Da un lato, quello composto dai ragazzi della “vecchia guardia”, coi fratelli Gasol, Rudy Fernández, Sergio Llull, Víctor Claver e Sergio Rodríguez. Dall’altro, quello delle loro versioni 2.0 (o supposte tali), con i fratelli Hernangómez, Abalde, Abrines, Garuba e l’MVP dell’ultimo Mondiale, Ricky Rubio. L’esperienza dei primi con la freschezza dei secondi sembrano costruire un mix al picco del suo rendimento, con le due parti a compensarsi senza “rubarsi” la scena: assicurando, quindi, sempre un livello di talento massimo in tutti gli aspetti del gioco. Forse altre compagini erano scese in campo senza esprimere tutto ciò di cui erano capaci sulla carta, ma c’è una ragione se a questi Giochi è la Spagna a presentarsi con lo scettro di campionessa del mondo in carica. Un titolo su cui, al di là delle condizioni delle avversarie, nessuno ha da obiettare e che in questo torneo non può che farli partire con l’obiettivo del trionfo finale.

 

DOWN

Padre Tempo sembra aver presentato il conto tutto assieme ai componenti della vecchia guardia in questi ultimi mesi: Rodríguez ha chiuso la stagione a Milano boccheggiando, Pau Gasol è tornato in campo a ritmo ridotto dopo mesi di inattività, il fratello Marc ai Lakers non ha mai ingranato, mentre Fernández e Llull sono rimasti invischiati nei problemi del nuovo corso del Real Madrid dando poco o pochissimo apporto alla causa, così come un Claver frenato dagli infortuni al Barcellona. Non tanto meglio è andata individualmente l’annata sportiva per i ragazzi che dovrebbero raccoglierne il testimone: per un Abrines risollevato dalla cura Jasikevicius e un Garuba sempre più in ascesa nelle gerarchie del Real Madrid (dove però Abalde è andato a corrente alternata), Ricky Rubio e Juancho Hernangómez sono rimasti impantanati nelle pessime sorti dei Timberwolves in una stagione NBA, in cui, ancora una volta, Willy Hernangómez ha principalmente fatto da spettatore.

Sarà davvero così facile accendere l’interruttore?

 

X FACTOR – Sergio Scariolo

Per massimizzare il rendimento di un gruppo di giocatori così ricco di alternative quanto di diverse personalità di spicco, da anni il riferimento per la Roja è Don Sergio. Non solo quando la Spagna si è presentata alle varie manifestazioni come favorita, ma anche quando è partita più indietro nei pronostici, il coach bresciano è riuscito a trovare la combinazione perfetta. Più volte la squadra è partita a rilento nei vari tornei, per poi chiuderli volando, risparmiando le energie per i momenti topici senza perdere concentrazione lungo il percorso: insomma, dal punto di vista gestionale per Gasol e soci si è dimostrato impeccabile. Gli si chiederà di esserlo ancora una volta, bilanciando il contributo delle nuove leve e della vecchia guardia desiderosa di chiudere in bellezza il proprio meraviglioso ciclo ai vertici della pallacanestro mondiale.

Trovatela, se ci riuscite, un’altra coppia di fratelli come Pau e Marc

 

 

#3 AUSTRALIA

foto FIBA

Roster

Aron Baynes (Toronto Raptors)

Matthew Dellavedova (Melbourne United)

Dante Exum (Houston Rockets)

Chris Goulding (Melbourne United)

Josh Green (Dallas Mavericks)

Joe Ingles (Utah Jazz)

Nick Kay (Real Betis)

Jock Landale (Melbourne United)

Patty Mills (San Antonio Spurs)

Duop Reath (Stella Rossa Belgrado)

Nathan Sobey (Brisbane Bullets)

Matisse Thybulle (Philadelphia 76ers)

Coach: Brian Goorjian (Illawarra Hawks)

di Mario Castelli

C’è una maledizione da sfatare, e questo potrebbe essere l’anno buono. In casa Australia non lo vogliono dire ad alta voce, complici anche le delusioni del passato, ma in quel di Tokyo potrebbe davvero arrivare finalmente la prima medaglia olimpica nella storia del basket oceanico in campo maschile. Parlavamo di maledizione, perché i Boomers (non nel senso dello zio che pubblica “Buongiornissimo! Caffè?” e crede alle fake news su Facebook, ma nel senso di “canguro maschio” nello slang Aussie) per quattro volte sono arrivati in semifinale alle Olimpiadi, ma ogni volta si sono dovuti accontentare della medaglia di legno. Nel 1988, 1996, 2000 (edizione di casa a Sydney, qualcuno non si è ancora ripreso) e 2016 (ricorderete la “controversa” sconfitta con la Spagna, senza girarci attorno si trattò di una mezza rapina) l’Australia ha sempre perso in semifinale e si è sempre arresa anche nella finalina per il bronzo. Quest’anno la squadra è forte, arriva da un quarto posto anche ai Mondiali 2019 e ha disputato un avvicinamento a Tokyo perfetto (vittorie in amichevole con Argentina, USA e Nigeria, ogni partita più convincente di quella precedente). È vero, mancherà Ben Simmons, una delle sue stelle, che ha preferito tirarsi indietro per passare l’estate ad allenarsi e a lavorare sui suoi fondamentali, però complici anche le assenze pesanti di due rivali molto credibili in ottica medaglia come Canada e Serbia, non si può non annoverare gli australiani tra le squadre favorite per sbarcare nuovamente almeno in semifinale. Poi, una volta arrivati lì, vedremo se la storia sarà pronta a cambiare.

UP
Nonostante le rinunce del già citato Simmons e di Ryan Broekhoff, il roster dei Boomers è profondo e di notevole qualità. A roster ci sono sette giocatori stabilmente in rotazioni di squadre NBA, un dato inferiore (ovviamente) solo a quello di Team USA e della Nigeria (i cui giocatori hanno però molto meno impatto complessivamente nella Lega): Patty Mills, Joe Ingles, Josh Green, Aron Baynes, Matt Dellavedova, Matisse Thybulle e Dante Exum non sono delle stelle nelle rispettive squadre, ma sono tutti – chi più, chi meno – giocatori che in campo ci vanno o ci sono andati per davvero. Addirittura Dellavedova (che in NBA non giocherà più dall’anno prossimo: ha appena firmato un triennale col Melbourne United) ha anche vinto un titolo nel 2016 come fedele scudiero di LeBron James. A loro si aggiungono buoni giocatori con esperienze in Eurolega, tipo Jock Landale e Duop Reath, o stelle del campionato australiano come Chris Goulding e Nick Kay (anche se nell’ultimo anno ha giocato in ACB a Siviglia). Il gruppo è coeso ed esperto, l’età media è quella giusta per questo genere di competizioni, ovvero 29 anni: non troppo “stagionati” da soffrire le partite ravvicinate, ma nemmeno con troppo poco chilometraggio alle spalle per farsi trovare impreparati nei momenti decisivi. Il gioco nelle amichevoli di preparazione è stato subito di alto livello, grazie anche al ritorno in panchina – dopo la sua prima esperienza dal 2001 al 2008 – di Brian Goorjian, il più grande allenatore nella storia del basket australiano, sebbene sia un americano (ma ormai trapiantato “down under” da più di 40 anni). Insomma, i motivi per considerare una contender l’Australia, che pochi giorni fa ha sconfitto gli USA in amichevole per la seconda volta in due anni, sono tanti e sono tutti lì da vedere.

 

DOWN

Ovviamente l’assenza di Ben Simmons toglie qualcosa in termini di centimetri, di capacità di attaccare il ferro e di ball handing, costringendo Goorjian ad assetti più tradizionali e Dellavedova, Mills e Exum a un lavoro extra, in una squadra dove non è particolarmente ampio il ventaglio di giocatori che possano creare dal palleggio.

 

X FACTOR – Joe Ingles

Senza il già citato Simmons, la stella della squadra sarà Patty Mills, autore della tripla della vittoria sulla sirena nell’amichevole vinta contro l’Argentina e top scorer con 22 punti due giorni dopo nel successo sugli USA. Ma probabilmente il giocatore chiave sarà Joe Ingles: uno dei misteri meno nascosti degli eccezionali Utah Jazz che quest’anno hanno chiuso la regular season NBA col miglior record in assoluto. Ingles è il classico giocatore “calabrone” che non dovrebbe poter essere in grado di fare tante cose che invece fa con estrema efficacia. Non è particolarmente fisico o atletico, però in attacco e in difesa riesce a sfruttare al meglio i mezzi a disposizione, aggiungendo anche un’intelligenza affilatissima, una buona visione di gioco, una eccellente mira da fuori (oltre 45% da tre quest’anno) e l’innata capacità di fare la cosa giusta ed essere un vincente, come dimostrato anche in Europa con Barcellona e Maccabi. Se l’Australia riuscirà finalmente a conquistare la sua prima storica medaglia olimpica nel basket maschile (le donne sono ormai da 25 anni la miglior squadra al mondo dopo gli USA), molto dipenderà da lui.

Come nell’amichevole di preparazione contro l’Argentina: gli australiani hanno sempre un asso in più nella manica…

 

 

#2 FRANCIA

foto Baloncesto España

Roster

Andrew Albicy (Gran Canaria)

Nicolas Batum (Los Angeles Clippers)

Nando De Colo (Fenerbahçe)

Moustapha Fall (ASVEL)

Evan Fournier (Boston Celtics)

Rudy Gobert (Utah Jazz)

Thomas Heurtel (ASVEL)

Timothé Luwawu-Cabarrot (Brooklyn Nets)

Petr Cornelie (Élan Béarnais Pau-Orthez)

Frank Ntilikina (New York Knicks)

Vincent Poirier (Real Madrid)

Guerschon Yabusele (ASVEL)

Coach: Vincent Collet

 

 

di Marco Munno

Negli anni 2000 la nazionale francese è diventata ospite fissa dei quartieri alti della pallacanestro europea e mondiale, iniziando il tutto (dopo il quarto posto agli Europei del 1999) proprio con una medaglia Olimpica, l’argento nei Giochi di Sidney del 2000. La coppia composta da Parker e Diaw ha segnato in modo indelebile i 20 anni di piazzamenti e le medaglie conquistate, rilanciando un movimento che continua a produrre una squadra competitiva ai massimi livelli. Il testimone di punta di diamante della nazionale è passato a Rudy Gobert, con Evan Fournier valido scudiero di fianco, Nicolas Batum e Nando De Colo trait d’union rispetto alle prime versioni di Francia vincente, e una lunga serie di giocatori che, forti di esperienze di valore in NBA e Eurolega, assicurano alla truppa di Vincent Collet una lunga e fornita rotazione.

UP
La completezza del roster francese è impressionante: alla serata storta di uno dei titolari può sopperire, sulla carta, un cambio di livello comunque elevato. Inoltre, i ruoli dei giocatori all’interno delle gerarchie sembrano incastrarsi quasi alla perfezione, con stelle e comprimari della rotazione di Collet abituati a ricoprire stesso ruolo e medesime responsabilità nei club. Con i regolamenti FIBA, a livello difensivo il fisico di Rudy Gobert è ancora più condizionante per gli attacchi avversari (con il cambio Moustapha Fall, reduce dall’ottima stagione all’Asvel, che ne ricalca la stessa gigante struttura fisica); può così coprire le pecche difensive del duo Fournier/De Colo, imprescindibile nell’altra metà campo. Batum farà da collante di qualità, un Heurtel tornato in campo solo nell’ultima parte di stagione sarà a dispensare cioccolatini in regia. Ma non solo: Luwawu-Cabarrot è in grado di essere efficiente dalla panchina come fatto più volte quest’anno coi Nets, Albicy e Ntilikina possono soffocare gli attaccanti avversari, Yabusele e Poirier dare fisicità ulteriore nel reparto lunghi, con il contributo extra di Cornelie.

Insomma, il mazzo a disposizione di Collet include carte di tutti i tipi.

 

DOWN

E’ vero che la Francia è stabilmente ai vertici; ma una cosa è restare tra i migliori, un’altra è essere LA migliore. Delle 6 medaglie menzionate prima, una sola è stata d’oro, con Tony Parker leader e il resto del gruppo a seguirlo. Questo potrebbe essere il limite che impedirebbe ai transalpini di compiere l’ultimo passo: l’assenza di un giocatore in grado di essere una certezza granitica e trascinare la squadra nei momenti topici. Per non sprecare tutta l’abbondanza del roster, con pecche già viste a riaffacciarsi: l’evanescenza di Batum, la porosità in fase difensiva di De Colo, la monodimensionalità in fase offensiva di Gobert, gli uno contro tutti di Fournier, il mancato coinvolgimento di chiunque altro. Con la coscienza del proprio valore che non deve trasformarsi in arroganza, come a singhiozzi già visto: nell’ultima amichevole di preparazione clamorosamente persa con il Giappone (mentre nelle due sconfitte contro la Spagna c’è la sensazione di aver nascosto un pò le proprie carte) e, tornando all’ultima competizione di rilievo, il fianco mostrato ad un’Argentina con un approccio supponente, dopo aver eliminato gli Stati Uniti a testimonianza del proprio altissimo livello.

 

X FACTOR – Nicolas Batum

Ovviamente, il riferimento difensivo per i Bleus sarà Rudy Gobert, mentre quelli offensivi saranno Nando De Colo e Evan Fournier. Ago della bilancia per le sorti del team francese però potrebbe essere Nicolas Batum: unico a vincere tutte le medaglie ottenute fra Europei e Mondiali negli ultimi 10 anni dai transalpini (ovvero 6 sulle 9 complessive della storia della nazionale), sembrava avviarsi in un rapido declino nelle ultime due stagioni agli Hornets prima di rilanciarsi, alle soglie dei 33 anni, con un ruolo di sostanza appena dietro le stelle della squadra nei Clippers arrivati in Finale di Conference. Dopo esser stato per anni delizia nei suoi lampi di talento e croce quando non si è assunto le responsabilità che il suo status richiedeva nelle varie competizioni giocate con la nazionale, gli si chiede di interpretare lo stesso ruolo di raccordo e leadership per condurre i suoi ad una medaglia Olimpica, quella che gli manca nel palmares con la canotta francese.

10 punti + 6 rimbalzi + 5 assist in 25 minuti per Nicolas Batum nell’ultima uscita prima del torneo, contro il Giappone: perfetta sintesi della sua capacità di contribuire a tutto tondo

 

 

#1 STATI UNITI

foto Baloncesto Espana

Roster

Bam Adebayo (Miami Heat)

Devin Booker (Phoenix Suns)

Kevin Durant (Brooklyn Nets)

Jerami Grant (Detroit Pistons)

Draymond Green (Golden State Warriors)

Jrue Holiday (Milwaukee Bucks)

Keldon Johnson (San Antonio Spurs)

Zach LaVine (Chicago Bulls)

Damian Lillard (Portland Trail Blazers)

Javale McGee (Denver Nuggets)

Khris Middleton (Milwaukee Bucks)

Jayson Tatum (Boston Celtics)

Coach: Gregg Popovich (San Antonio Spurs)

 

 

di Marco Pagliariccio

Il torneo di basket maschile alle Olimpiadi si è giocato nelle ultime 19 edizioni dei Giochi. Ben 15 volte su 19 l’oro è andato agli Stati Uniti e tra i quattro non-ori americani uno è dovuto al boicottaggio di Mosca ’80 e un altro alla contestatissima sconfitta a Monaco ’72 contro l’Unione Sovietica (quella del canestro di Belov sulla sirena dopo una rimessa ripetuta tre volte e una probabilissima infrazione di passi). Insomma le uniche due sconfitte olimpiche chiare e inequivocabili di Team USA sono quella di Seul ’88 contro i sovietici, che sfociò nel varo del Dream Team che sconvolse il mondo quattro anni dopo, e quella del 2004 contro l’Argentina, al momento l’unico ko americano alle Olimpiadi da quando la federazione americana ha optato per portare con sé le star NBA. E la marcia di avvicinamento ai Giochi di quest’anno, purtroppo per il team guidato da Gregg Popovich, somiglia sinistramente a quella di 17 anni fa, quando il team di un giovanissimo Lebron James rimediò una sonora batosta in amichevole dall’Italia poi argento in quella edizione. Stavolta sono state Nigeria e Australia a mettere a nudo le difficoltà di una squadra che ha subito più di un forfait già in sede di preparazione della lista dei giocatori da portare al training camp, per continuare a perdere pezzi praticamente a cadenza quotidiana. “L’oro è già prenotato”, ha sentenziato Sergio Scariolo dopo la comunque sofferta vittoria americana sulla Spagna nell’ultimo test preolimpico: sarà davvero così?  

UP

Il talento individuale di Team USA, nonostante le assenze, non ha eguali. Durant, Lillard, Booker, Tatum, LaVine sono tutti giocatori in grado di costruirsi un tiro in svariati modi, giocatori che hanno qualità, atletismo, visione di gioco impossibili da pareggiare per i pari ruolo delle altre nazionali. Green e Adebayo portano lavoro oscuro e playmaking aggiunto per integrarsi alla perfezione con il debordante talento sugli esterni e paradossalmente anche il bistrattato McGee, se collegato con la realtà, può essere un fattore con la sua predisposizione a rimbalzo e la sua taglia fisica. Nelle ultime uscite prima di volare a Tokyo, specie quella contro l’Argentina, hanno mostrato anche sempre maggiore affiatamento: se arriva anche quello (e un pizzico di difesa) sono guai per tutti.

 

DOWN

Se nelle ultime edizioni, specie nel 2008 e nel 2012, Team USA, presentandosi praticamente con tutti i suoi big, ha sempre sopperito alle carenze nel gioco di squadra e in difesa grazie a un livello di talento individuale neanche avvicinabile dalle altre che non si chiamassero Spagna, l’impressione è che la squadra stavolta sia forte ma non al punto di potersi permettere di coprire tutte le magagne in questo modo. Probabilmente la scelta di Popovich di portare Johnson e McGee a rimpiazzare Kevin Love e Bradley Beal va anche in quella direzione: dare gerarchie più precise e cercare, nel poco tempo a disposizione, di costruire una squadra che sia davvero tale. Senza considerare che se con la serie tra Bucks e Suns finita un paio di notti fa il trio Booker-Middleton-Holiday si sta aggregando alla squadra probabilmente mentre state leggendo queste righe. Non il massimo per l’alchimia del gruppo…

 

X FACTOR – Kevin Durant

Kevin Durant è probabilmente il giocatore più devastante del pianeta in questo momento storico, sicuramente non ha eguali tra quelli presenti ai Giochi (non ditelo a Luka, però). Nessuna squadra può pensare di poter arginare un 2,10 con la mobilità e la classe di KD in “single coverage”, senza contare che la stella dei Nets è già a suo agio con le regole FIBA, avendo in cassaforte già i due ori conquistati nel 2012 e nel 2016. Obiettivo: raggiungere Carmelo Anthony a quota tre ori, l’unico a riuscirci nel basket alle Olimpiadi. Ma Melo “steccò” (alla faccia della stecca un bronzo olimpico…) nel 2004, mentre per Durant sarebbe percorso netto. La sua abilità nel costruirsi un tiro fuori dagli schemi sarà cruciale per un Team USA dove, come solito, il talento dei singoli sarà la vera carta in più rispetto alle avversarie.

Potranno chiudere senza la vittoria finale, ma siamo abbastanza sicuri che la giocata più spettacolare del Torneo Olimpico verrà da qualcuno degli statunitensi

 

 


 

“Dove potremo vedere il basket alle Olimpiadi?”

 

La domanda è quella sentita mille volte in queste settimane… Le risposte sono diverse:

  • Rai 2 (ma non RaiPlay) farà vedere tutte le partite dell’Italbasket maschile e qualche altra partita del resto del torneo, ma le dirette potrebbero essere interrotte per finali di sport importanti come il nuoto o altri eventi da medaglia con italiani in gara.

 

  • Su Discovery+ ed Eurosport Player invece verranno trasmesse tutte le partite della nazionale maschile e di quella femminile del 3×3 che saranno trasmesse integralmente, così come ogni altra partita di basket e qualsiasi altro evento delle Olimpiadi, coperte con 30 canali diversi, 100 commentatori e 3000 ore di diretta. Ci si può abbonare a Discovery+ al prezzo di € 7,99 per il mese Olimpico o di 29,99€ in sconto per un anno, potendo usufruire dell’intera offerta di Eurosport (che dopo le Olimpiadi vedrà il suo Player confluire in Discovery+), compresa quindi la prossima stagione della Serie A di basket, inclusa Supercoppa e Coppa Italia.

 


 

CALENDARIO E FORMULA

 

25 luglio, ore 6:40, GERMANIA-ITALIA

28 luglio, ore 10:20, ITALIA-AUSTRALIA

31 luglio, ore 6:40, ITALIA-NIGERIA

 

A questo link www.fiba.basketball/olympics/men/2020/games trovate il calendario completo di tutte le partite di ogni girone.

 

GIRONE A

Iran, Francia, USA, Rep. Ceca

GIRONE B

Australia, Germania, Italia, Nigeria

GIRONE C

Argentina, Giappone, Spagna, Slovenia

 

Si qualificano ai quarti di finale le prime due di ogni girone più le due migliori terze. I quarti di finale verranno decisi tramite sorteggio: da una parte ci saranno le 3 vincitrici dei gironi e la migliore seconda, dall’altra le altre quattro squadre.

 

Quarti di finale: 3 agosto (orari 3:00, 6:40, 10:20 e 14:00)

Semifinali: 5 agosto (orari 6:15 e 13:00)

Finali: 7 agosto (1/2 posto alle 4:30, 3/4 posto alle 13:00)

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