di Giovanni Serio
foto copertina theundefeated.com
31 maggio 2016, gara 7 di finale di Conference tra i Golden State Warriors e gli Oklahoma City Thunder, la valigia sul letto è quella di un lungo viaggio (cit.), ed intanto io sono sul divano ad aspettare che la partita finisca e capire quale sarà la destinazione di questo lungo viaggio. Sì, perché se dovesse vincere OKC alle 11 si parte da Malpensa per Cleveland, se invece dovessero vincerla gli Warriors si parte alle 13 da Linate per San Francisco…
Suona la sirena, per mia fortuna vince Golden State, in questo modo ho qualche ora in più per sistemare le cose che ancora non avevo sistemato, arriva l’email con la prenotazione del volo, faccio il check-in, chiudo la valigia e mi avvio verso l’aeroporto.
Piccola premessa: avevo appena compiuto 23 anni, non ero mai stato negli States, non avevo mai visto personalmente le tanto rinomate arene NBA ed ora sto per vedere la mia prima partita NBA dal vivo, proprio alla Oracle Arena… inutile dirvi che ero emozionato e gasato per tutto, giusto? Come sarebbe potuto essere altrimenti?! Finali NBA sto arrivando.
Arriviamo alla Oracle Arena il giorno prima della partita e parcheggiamo a circa 100 metri dall’ingresso, lì dove c’è l’arena non c’è nient’altro se non l’arena (c’è anche il campo da baseball, la Oakland-Alameda County Coliseum– da dove Draymond Green guarderà gara 5 perché espulso- ma non ci sono palazzi o grattacieli che ti oscurano la visuale) la camminata per arrivare dalla macchina all’ingresso ti permette di ammirarla, osservarla sempre più da vicino e farti la prima idea.
E la prima impressione è… beh, non saprei definirla con nient’altro se non con: figata! Cazzo questa Arena è proprio bella, fatta bene (per quel poco che ne capisco), insomma mi piace… e poi questo cielo azzurro come sfondo rende il tutto più emozionante.
Entriamo dentro e l’impressione è sempre quella… Bella, immensa, all’avanguardia, i corridoi tutti tappezzati di poster, quadri, murales e nella sala stampa la connessione è una bomba… Dopo pochi minuti possiamo entrare a bordo campo, dove ci sono ancora gli Warriors che si stanno allenando e io rimango a bocca aperta, forse non l’ho mai più richiusa.
Insomma sono entusiasta, Flavio Tranquillo mi vede e mi dice: “Guarda che questa Arena non è niente rispetto alla maggior parte delle Arene NBA…”.
Ed io, senza aver ancora perso l’entusiasmo, ma molto perplesso: “Ah…”.
Flavio continua: “Infatti è vecchia e tra qualche anno gli Warriors dovrebbero andare a giocare altrove!”.
Ed io sempre: “Ah…”.
Pensavo: “Ma come vecchia? Ma come brutta? Ma come vanno a giocare da un’altra parte? Se questa non gli serve più magari a Brindisi potrebbe farci comodo, dici che ce la spediscono?”.
Vabbè, ci misi un po’ a ritrovare le parole, non ci misi molto a capire che tra noi e loro da questo punto di vista non c’è un oceano ma c’è un mondo di differenza.
Effettivamente però la Oracle Arena, “vecchia” un po’ lo è… il primo evento sportivo ufficiale risale infatti al 9 novembre 1966, una partita di WHL (Western Hockey League,una lega minore di Hockey), tra i California Seals e i San Diego Gulls. Pensate che il match inizio con 53 minuti di ritardo perché la Oracle non era ancora pronta…
California Seals… California… Fino ad allora la squadra si era chiamata in realtà San Francisco Seals, l’anno prima però la NHL decide di espandersi e formare una nuova division, il proprietario di San Francisco vorrebbe passare dalla WHL alla più importante NHL, ma la massima lega di Hockey mette un paletto: il Cow Palace, dove erano abituati a giocare i Seals, è troppo piccolo, bisogna trovare un’arena più grande. Il proprietario non ci pensa due volte e trasferisce la squadra a Oakland, provando a cambiare il nome da “San Francisco Seals” a “California Seals”, un modo per provare a farsi simpatici i nuovi amici di Oakland senza diventare troppo antipatici ai vecchi amici di San Francisco… tentativo fallito, un po’ come provare ad avere una nuova fidanzata senza del tutto aver mollato quella vecchia: gli amici di San Francisco non la prendono per nulla bene ed i nuovi amici Oakland non sono del tutto soddisfatti. Tant’è che dopo appena un anno i California Seals diventano gli Oakland Seals, e giocano la prima partita NHL l’11 ottobre 1967, sorte ha voluto che uno dei due linesmen di quella partita si chiamasse Bob Myers, proprio come l’attuale GM di Golden State.
La prima partita ufficiale di basket in quella che allora si chiamava Oakland–Alameda County Coliseum Arena avviene il 13 ottobre 1967 tra gli Oakland Oaks e gli Anaheim Amigos, una partita della American Basketball Association.
Gli Oakland Oaks non iniziarono benissimo la loro storia chiudendo il primo anno con un record di 22 vittorie e 56 sconfitte, l’anno successivo firmarono Rick Barry e Larry Brown riuscendo a vincere il titolo ABA contro Indiana nel 1969. Nonostante la vittoria del titolo, a causa della scarsa affluenza del pubblico, la squadra venne venduta e ricollocata nel 1970 a Washington (Washington Caps).
Solo nel 1971, il 21 ottobre, è la NBA a sbarcare a Oakland, i Golden State Warriors debuttano per la stagione 1971-1972. 47 anni di storia della pallacanestro NBA che ha raggiunto il suo apice negli ultimi 5. 47 anni dopo quella prima partita, per ricordarci la giovane età dell’Arena, la password del wifi riservata ai media durante le Finals di quest’anno era appunto: Oracle47…
47 anni, e non sentirli, per dovere di cronaca bisogna dire che nel 1996 sono stati spesi oltre 100 milioni di dollari per lavori di ammodernamento, aggiungere 4000 posti a sedere, 72 suite di lusso e 2 club privati, venne anche ribattezzata ed il suo nome divenne The Arena in Oakland, nome che ha mantenuto fino all’accordo commerciale con Oracle giunto nel 2005. Considerate che per costruirla, 30 anni prima la ristrutturazione e cioè nel 1966, ne erano stati spesi 24, per il nuovo Chase Center ne è stato speso 1… sì, di miliardi però… questione d’inflazione, ma non solo!
A proposito di soldi, nonostante durante le Finals passassi gran parte della giornata lì alla Oracle Arena, uno dei pochi posti in cui non ero ancora stato per mancanza di tempo, era lo store. Fino a quando non ho deciso di trovarmelo questo tempo: alla fine di gara 2. Gara 1 era finita +15 per Golden State, gara 2 addirittura +33, l’indomani mattina sarei partito per Cleveland e visto l’andazzo delle prime due gare non pensavo sarei mai tornato ad Oakland. Con che faccia sarei tornato in Italia portando solo souvenir dalla città che secondo me era indirizzata a perdere malamente? Quindi andai correndo verso lo store… Alessandro Mamoli ormai mi aveva dato per disperso, si stava iniziando a fare una certa ora, dovevamo finire di lavorare e non riusciva a trovarmi… Scusa Mamo, giuro che se avessi avuto la palla di cristallo non avrei ignorato le tue chiamate, e magari avrei anche risparmiato un po’ di soldi! (Anche perché nello store della Oracle girano persone con strane scarpe).
Il ricordo più bello di quelle finali NBA alla Oracle Arena? Ovviamente “the block”… Nessuna delle due squadre riusciva più a fare canestro da diversi minuti, Iguodala scappa in contropiede, io ero seduto dietro il canestro opposto a quello in cui si sviluppa l’azione, mentre inizia il terzo tempo penso che quella sarebbe stata l’azione finale, due facili per Iggy e titolo agli Warriors.
Non avevo considerato LeBron, era impossibile credere che fosse arrivato in tempo utile, era impossibile credere fosse sbucato così dal nulla.
Al suono della sirena ho ancora ben impresso due immagini, nitide e contrastanti: avanti a me avevo un giornalista di Cleveland letteralmente impazzito dalla gioia, non riusciva né a crederci né a stare fermo, sembrava un tarantolato che con il suo ballo si liberava dell’etichetta di “mistake of the lake”, si liberava di tutto quello che aveva dovuto sopportare per anni e anni di continue sconfitte e frustrazioni sportive in tutti gli sport praticati in città.
Dietro di me invece avevo due tifosi di Golden State, un padre disperato che continuava a ripetersi incredulo: “73 for nothing, 73 for nothing…” (quell’anno Golden state aveva raggiunto il record di 73 vittorie in regular season), con il bambino che provava a consolarlo inutilmente. Dentro di me non riuscivo a percepire nessun tipo di emozione particolare, semplicemente mi sentivo fortunato testimone di un pezzo di storia dello sport che amo.
Il ricordo più brutto di quelle Finali è sempre legato a Iguodala, finita la premiazione giornalisti e operatori avevano la possibilità di entrare negli spogliatoi quindi prendo la mia telecamera e mi avvio spavaldo verso lo spogliatoio di Cleveland. Peccato che mentre io mi stessi godendo il momento precedente davanti alla porta dello spogliatoio dei cavs si fosse già creata una fila chilometrica di altre televisioni provenienti da tutto il mondo.
Decido quindi di passare dalle riprese di festa e champagne dove solo Jr sapeva cosa stesse accadendo alle riprese di facce tristi e sconsolate dello spogliatoio di Golden State.
Prima di arrivare nello spogliatoio trovo però nei corridoi Iguodala intento a salutare la sua famiglia. Mi guardo intorno ed oltre a me non c’era nessun altro cameraman.
Penso: che culo!
Avevo la possibilità di filmare una scena inedita con quello che la stoppata l’aveva ricevuta.
Non ci penso più di tanto, inquadro e premo rec…
Lui mi vede…
Mi guarda…
Molla l’abbraccio…
Si avvicina verso di me…
Sì, si sta decisamente avvicinando verso di me…
Penso che forse sia il caso di scappare, a 14 anni ho vinto la gara provinciale dei 100 metri, dovrei avere buone possibilità di salvezza… ma da allora ho operato un ginocchio, smesso di fare attività fisica e messo su una discreta panza alcolica…
Resto lì immobile.
Mi si oscura la vallata (Semicit.).
Inizio a vedere nella mia mente le pagine del San Francisco Crhonicle con la scritta “Giovane cameraman italiano picchiato da Iguodala subito dopo gara 7”.
Mi prende il pass, me lo guarda e mi chiede: “Che stai facendo?”.
Io, senza neanche tentar di far valere più di tanto la mia posizione: “Se vuoi cancello TUTTO”.
Lui, clementemente (scusate il gioco di parola), decide di farmi andare via sano e salvo.
Nel frattempo la coda per entrare nello spogliatoio dei cavs era defluita, e solo Jr sa quello che è successo…
Il mio più grande rimpianto sarà quello di non aver mai visto la Oracle Arena festeggiare un titolo: in 47 anni di storia infatti (non sempre gloriosa) solo un anno gli Warriors hanno festeggiato il titolo in casa: il 2017, anno in cui le ho seguite dall’Italia… sia nel 2018 che nel 2015 Golden State vince la partita decisiva a Cleveland. Nel titolo del 1975 non ero nato, ma comunque non avrei corso il rischio di esserci sia perché la gara decisiva la giocarono a Washington sia perché le gare casalinghe le giocarono al Cow Palace perché l’Oakland–Alameda County Coliseum era occupato in quel periodo.
Ovviamente però, all’interno dell’Arena, i cimeli, gli stendardi e le foto che testimoniano le imprese sportive realizzate ci sono eccome. Quella più inusuale, o stramba se vogliamo, è semplicemente un buco sul muro… ad un’altezza di circa 4 metri, di fronte allo spogliatoio degli ospiti, troviamo una maglietta gialla commemorativa dei playoff 2007 con la scritta “We Believe”, una lastra trasparente che copre un bel buco sul muro ed una firma su questa lastra che ci svela colui che col passare del tempo si è rivelato essere l’artista inconsapevole di questa opera d’arte: “Dirk Nowitzki”.
Nel 2007 i Dallas Mavericks di Dirk Nowitzki si qualificano ai Playoffs con la testa di serie numero 1, al primo turno affrontano i Golden State Warriors che non sono propriamente gli Warriors degli ultimi anni… Un risultato già scritto, in teoria, ma che nella pratica si trasforma in quello che è passato alla storia come “The biggest upset in NBA history”, non era mai successo infatti che la squadra qualificatasi ottava riuscisse a buttare fuori dai playoff la prima in classifica, non era mai successo da quando le serie erano al meglio delle 7, non era mai successo fino al 2007.
Dirk, che quell’anno avrebbe poi vinto il premio di MVP, aveva ben altri programmi che non iniziare le vacanze a inizio maggio e dopo la decisiva gara 6 persa, in preda all’ira e alla delusione, esce dallo spogliatoio e lancia con violenza un cestino per aria. In questo caso quindi non è tanto una palla che esce dalle sua mani e finisce delicatamente all’interno del cesto, ma è più che altro un cesto che viene lanciato per aria dalle sua mani e finisce per colpire qualcos’altro, vogliate o no sempre di “basket” stiamo parlando, e che lo vogliate o no, quando si parla di Dirk e di “basket” ne esce sempre fuori un capolavoro, che lui lo voglia o no…
Per la cronaca, gli Warriors vorrebbero portare nel nuovo Chase Center quel pezzo di muro… Pensavate stessi esagerando quando vi ho detto che stavamo parlando di un’opera d’arte?
Già… Il Chase Center… Siamo passati a vederlo quest’anno ed è davvero megasuperipergalattico, non puoi negarlo… Ma la Oracle Arena… Non lo so…. Sarà che il primo amore non si scorda mai, sarà che l’idea di non poterci più mettere piede per vedere una partita NBA mi fa venire un po’ di malinconia, sarà quel che sarà ma già mi manca. La stoppata di LeBron, la tripla di Irving, i canestri pazzi da metà campo di Curry, Jr che non tira e manda Gara 1 delle Finals 2018 ai supplementari, questo e tanto tanto altro… La prima partita NBA che ho visto dal vivo è stata come vi ho già detto Gara 1 delle Finals 2016, l’ultima partita che ho visto è stata sempre alla Oracle, Gara 6 delle Finals 2019 conclusasi questa volta non con Jr Smith che butta birra su Channing Frye ma con Serge Ibaka che lascia il Larry O’Brien tra le braccia di Sergio Scariolo, un momento diverso, ma sicuramente non meno emozionante, anzi.
Sono un privilegiato, da bambino non avrei mai immaginato che un giorno mi sarei ritrovato in un contesto simile, un contesto per cui mentre sei in videochiamata con la tua ragazza ad un certo punto ti metti a ridere perché noti dalla tua iconcina un signore che sbuca alle tue spalle che è proprio identico a Vince Carter. Poi ti giri e ti accorgi di aver sbagliato: non era un signore simile a Vince Carter, era Vince Carter…
Ovviamente ho chiesto alla mia ragazza di fare uno Screen e mandarmelo.
Vince Carter alla Oracle Arena, vi dice qualcosa? All Star Game 2000: gara delle schiacciate: “It’s over, it’s over ladies and gentlemen!”… non voglio aggiungere altro a riguardo!
Non avrei mai immaginato di potermi godere da pochi passi le prove degli inni nazionali o dello spettacolo dell’intervallo di alcuni cantanti e musicisti che hanno fatto la storia della musica mondiale tipo Lil Pump che in gara 3 di quest’anno ha cantato durante l’intervallo…
Ovviamente sto scherzando, non sapevo neanche chi fosse, scusate l’ignoranza…
Però quando hanno fatto le prove Santana e i Metallica quelli sì, sapevo chi fossero…
Ecco Oracle, magari ti verrò a trovare in occasione di qualche concerto, o magari, chissà, un giorno ti troverò accanto al Palapentassuglia, ti ci troveresti bene in Puglia sai? Non è molto diversa dalla California, tutto sommato…
A presto Oracle, grazie di tutto.
p.s.: non voglio farmi invidiare, però ho anche incontrato Rey Mysterio.
Bellissimo “dietro le quinte”: complimenti.