La notizia è arrivata quasi a sorpresa in un caldo pomeriggio di giugno e ha subito attraversato come una scossa elettrica tutto il mondo della pallacanestro italiana. Ai Mondiali di 3×3 tenutisi a Manila, nelle Filippine, la squadra italiana composta da Marcella Filippi, Giulia Ciavarella, Giulia Rulli e Rae Lin d’Alie, ha sconfitto in finale per 16-12 la Russia campione in carica, conquistando così il titolo di campionesse del mondo in una disciplina dove le azzurre non erano mai riuscite a salire sul podio.
Nei giorni successivi giustamente molta attenzione è stata data alla loro impresa: giornali, televisioni, siti specializzati ne hanno parlato. La FIP e il Coni hanno deciso di premiarle e di conferire loro delle onoreficenze al merito sportivo. Alle quattro Azzurre sono arrivate parecchie richieste di interviste.
Le uniche che forse non sono riuscite a godersi appieno quanto è successo sono state proprio loro, che pochi giorni dopo la fine del Mondiale nelle Filippine, e con tutto questo turbinìo di attenzioni attorno, erano già di nuovo in campo dall’altra parte del mondo, ad Andorra, per conquistare la qualificazione all’Europeo che si terrà a Bucarest a metà settembre.
Una volta messo in ghiaccio anche questo traguardo, anche noi abbiamo deciso di sentirle per sapere qualcosa in più di questa loro cavalcata trionfale, un lungo cammino verso qualcosa che fino a poche settimane prima probabilmente riuscivano solamente a sognare.
Abbiamo chiesto a tutte e quattro di raccontarci in breve cosa ha rappresentato questa esperienza per loro, cosa hanno provato nel mettersi al collo un oro mondiale in uno sport dove l’Italia non era mai arrivata così in alto e che tra soli 24 mesi, a Tokyo 2020, diventerà una nuova disciplina olimpica.
Ma non tramite una normale e classica intervista. L’hanno fatto direttamente loro in prima persona, armandosi virtualmente di carta e penna (e materialmente di tastiera e computer, ma carta e penna mantengono intatto il loro fascino perciò continueremo a credere così) per lasciar fluire le loro emozioni e condividerle con La Giornata Tipo e tutti gli appassionati di basket.
Tutte e quattro ci hanno voluto regalare quattro spaccati diversi di questo oro, quattro punti di vista differenti: Marcella Filippi, la più esperta, ci ha voluto raccontare da dove di è partiti per arrivare a questo trionfo, cosa c’è stato prima, da che delusioni è dovuta passare, perché adesso si ritrova ad essere campionessa del mondo ma non sempre è stato facile, anzi. Giulia Ciavarella, la piccolina del gruppo, ci ha raccontato cosa ha provato ad essere convocata quasi a sorpresa in mezzo a giocatrici più grandi e già affermate, quali dubbi ha dovuto attraversare e superare per poter poi diventare un tassello essenziale di una macchina quasi perfetta. Giulia Rulli, la “psicologa” del gruppo, ci ha spiegato le difficoltà nell’approccio alla partita in uno sport molto più diverso dal basket 5vs5 di quanto si pensi, dove puoi giocare anche tre volte nello stesso giorno, con molto meno riscaldamento del solito, ma tanti minuti di snervante attesa e di sfiancante pressione tra un match e l’altro. Infine Rae Lin D’Alie, l’mvp del Mondiale di Manila, ha svelato alcuni dei segreti che hanno portato questo quartetto speciale a compiere quest’impresa, ognuna sacrificando una piccola parte di sé stessa per poter raggiungere un obiettivo più grande, più importante, guadagnandosi anche il tifo di chi ha riconosciuto da fuori questa umiltà e questa abnegazione.
Ma non è il caso di aggiungere altro, anche perché da qui in poi potete leggere tutto ciò direttamente dalle loro parole.
Parlano le campionesse del mondo.
La mia avventura con il 3×3 è iniziata ben prima di questi mondiali, ben prima che diventasse sport olimpico, ma soprattutto ben prima che interessasse a così tante persone!
Ho incontrato l’importatore ufficiale del 3×3 in Italia, David Restelli, per la prima volta a Busto Arsizio. Quando ancora non esistevano ranking e al posto del Gatorade si beveva birra in panchina…
Correva l’anno 2012. Da lì ho iniziato la mia avventura nel 3×3, innamorata pazza di questo sport, passione iniziata per via della mia impossibilita a restare ferma troppo a lungo durante la pausa estiva, ed ovviamente per le emozioni che mi attraversano mentre gioco!
#Telodicebelen. Così si chiamava la nostra prima squadra. Sara Canova e Valentina “Micia” Gatti sono state le compagne con le quali ho iniziato a girare l’Italia in lungo e in largo. 2014 Fiba 3×3 world Championship. Aereoporto di Malpensa, arrivo e conosco la stoica Maria Cristina Curcio, che mi consegna divisa e materiale e mi catapulta in questo bellissimo mondo. Siamo io, Sara Canova, Valentina Baldelli ed Elisa Ercoli, si parte alla volta di Mosca.
Arriviamo e ci sono 40 gradi. Problema: si gioca all’aperto, non come ora dove si gioca tutti sul “main court”. Siamo sotto il sole. Botte… tante botte… Elisa si fa male e rimaniamo a giocare in tre contro il Belgio, la nostra ultima chance di passare i gironi. Non ci riusciamo solamente per via della differenza canestri. Nota positiva, Valentina Baldelli vince l’oro allo skills contest!
Risultato finale: 20esime.
Un po’ di amarezza, tanta delusione, ma ancora più voglia di scoprire questo mondo incredibile. Torniamo in Italia e ci consoliamo vincendo le finali nazionali di Riccione del 2014, sempre con Sara e Micia e con l’inserimento in squadra di Viola Diodati.
Dicembre 2015. iniziano i primi raduni ufficiali della nazionale 3×3, dove ci guida Angela Adamoli. Prima a Udine poi più avanti a Schio. E da lì iniziano i preparativi per le qualificazioni agli Europei e al Mondiale, che sarebbe stato ad ottobre in Cina. Il tempo per prepararsi era poco e le occasioni per giocare insieme erano ancora meno, da lì la scelta obbligata di cambiare la squadra con cui giocavo d’estate. Il team per il Mondiale e per gli Europei diventa: io, Alice Quarta, Alessandra Visconti e Federica Tognalini. A luglio ci qualifichiamo per gli Europei, dove poi arriveremo none a settembre. La stessa posizione che raggiungiamo poi in Cina ad ottobre ai Mondiali (dove ho pure lasciato un dente..). Ci sono stati passi da gigante ma non è bastato a passare i gironi, ancora una volta per colpa della differenza canestri, dopo una partita improbabile in cui la Spagna ha battuto gli USA, passandoci davanti in volata.
2017 Mondiali ed Europei. Grandi novità, pian piano aumentano gli strumenti che abbiamo a disposizione. Abbiamo anche una preparatrice atletica, Federica Tonni, che ha studiato un tipo di allenamento a puntino per noi, ci ha massacrate (in senso buono) e ci ha preparate per questo sport. Le convocate: io, Rae Lin D’Alie, Federica Tognalini e Alice Richter. Al Mondiale a Nantes siamo la squadra rivelazione, tutti ci fanno i complimenti per il gioco e per il ritmo, tutti ci danno tra le favorite. Facciamo un girone impeccabile, Rae ci fa girare perfettamente ed in campo sembriamo delle ballerine sincronizzate che ripetono una coreografia. Invece non è nient’altro che il risultato di tutto il lavoro che abbiamo fatto assieme all’allenatrice e alla preparatrice per arrivare fin lì. Chiudiamo imbattute e prime nel girone, ma ai quarti dopo una partita al cardiopalma perdiamo subito contro l’Ungheria. Ovviamente siamo deluse e sconfortate, ma da lì a poco abbiamo subito la possibilità di rifarci agli Europei.
Però nasce un problema: alle qualificazioni perdiamo Alice Richter, che si scaviglia nell’ultima partita. All’Europeo di Amsterdam quindi viene chiamata al suo posto Bibi (Beatrice) Barberis. Affrontiamo di nuovo tutto il girone della prima fase e giochiamo bene, Bibi che è alla sua prima esperienza in nazionale 3×3 si fa valere e si sacrifica per la squadra. Arriviamo di nuovo ai quarti, questa volta contro la Spagna. Partiamo male. Riusciamo quasi a raddrizzarla, ma non basta…
Ecco. Questo penso sia stato il momento più duro di tutto questo percorso.
Ha buttato giù parecchio ognuna di noi, sapevamo che avremmo potuto fare meglio, sapevamo che ci meritavamo di più. Mi ricordo come fosse ieri Rae che mi si avvicina e mi dice: “Io non voglio più giocare… Non siamo delle vincenti…”. È stata dura davvero, lì abbiamo dovuto imparare la lezione più grande. D’altronde anche i più forti, come ad esempio la Serbia maschile, guarda caso pure loro come noi, hanno perso molte volte prima di riuscire a vincere. In quel momento abbiamo deciso che volevamo vincere, quindi abbiamo iniziato il nostro percorso per arrivare più pronte possibile ai Mondiali 2018 nelle Filippine.
E’ stato duro anche questo processo, ho iniziato un lavoro con un mental coach (Ermanno Traietta) e continue telefonate di confronto con Rae. Poi le sorprese finali: Bea Barberis si infortuna al ginocchio in primavera e successivamente anche Fede Tognalini deve rinunciare al Mondiale per problemi fisici.
Io e Rae a quel punto avevamo una motivazione in più sulle spalle…
Lì è stata brava Angela a trovare gli incastri perfetti, inserendo in squadra Giulia Rulli e Giulia Ciavarella. Sono state fondamentali per la vittoria… e il resto è storia.
E adesso tutte all’Europeo di Bucarest dal 14 al 16 settembre!
Non sono mai stata in squadre di primo livello, ho sempre messo in primo piano lo studio, però ho sempre lavorato col massimo dell’impegno e mi son sempre sacrificata. Rimane il fatto, come dicevo, di non aver mai giocato in squadre considerate forti, non mi sono mai confrontata con giocatrici di prima fascia, le ho sempre viste e seguite solamente su uno schermo. Questo passato lontano dai riflettori è alla base del mio essermi sentita, al momento della convocazione, piccola e inferiore.
Quando sono stata scelta per il Mondiale mi sono sentita catapultata in una nuova dimensione. Mi sentivo inadeguata perché non volevo abbassare il livello delle altre o essere insufficiente, ma sta proprio qui la svolta che ci ha portato all’oro: il loro essere, le loro persone.
Allenamento dopo allenamento, sentivo la fiducia delle mie compagne che hanno gradualmente trasformato la mia percezione di inferiorità nella sensazione di essere necessaria.
D’Alie è una forza della natura, con la sua “picca” alle 22 è irrefrenabile, mi ha insegnato come la gentilezza e la gratitudine verso le altre persone possano farti sentire bene con te stessa. Ciò che vorrei imparare da lei è il suo cambio di velocità con accelerazione, freno e riparto: anche se sai che sta per fare quel movimento, non riesci comunque a marcarla. Allucinante.
Ruls è una persona interessantissima, anche quando scherza usa termini spettacolari, ha un vocabolario di un certo livello. Mi ha fatto pure vedere il suo libro di neuropsicologia, anche se però in realtà l’ha tirato fuori solo per mostrarmelo, non tanto per studiarlo…
Voglio assolutamente rubarle il suo tiro all’indietro, è spettacolare. E voglio assolutamente imparare a fare la sua espressione tipica: riuscire ad aprire prima un occhio e poi l’altro in totale spontaneità dopo aver guardato verso l’alto, troppo buffa.
Poi c’è Marci… Marci, come ho già detto in passato, è sempre stata il mio idolo o punto di riferimento, fin da quando giocavo under 13 nella sua stessa società ed ogni domenica la andavo a vedere giocare. Lei è umile come poche, ha un carattere molto particolare ma mi ha aiutata tantissimo a farmi sentire necessaria nella squadra. Mi diverto da morire a marcarla in allenamento, perché anche se mi straccia a mani basse sento comunque di dare tutto per migliorarmi. Una cosa che voglio imparare da lei è il suo palleggio arresto e tiro, è velocissimo.
Angela (Adamoli, l’allenatrice della nazionale, NDA) devo ringraziarla per avermi dato la possibilità di fare i raduni, per avermi dato fiducia nel convocarmi ai Mondiali ed alle qualificazioni europee. Quando l’ho saputo non ci volevo credere e ora di certo non voglio deluderla: è per questo che sto continuando ad allenarmi, perché ogni volta voglio farmi trovare una giocatrice migliore di quando mi ha vista la volta precedente. Questo è il mio modo per poterla ringraziare ancora e ancora.
C’è una grande differenza tra il 5×5 e il 3×3 e questa è la presa di fiducia verso le altre compagne: per vincere ho capito che in una squadra ognuno deve sentire che tutti sono necessari alla vittoria, nessuno escluso, nemmeno lo staff che a mio avviso è l’elemento più importante.
Riscaldamento. E’ ciò che serve al nostro corpo per entrare in clima partita, per entrare in campo e riuscire a scattare, saltare, difendere al 100% fin da subito, senza rischiare di incorrere in un infortunio. Nelle prime fasi una serie di gesti ripetuti in un ordine quasi scaramantico, che ci tranquillizza. Quell’ordine ci fa sentire di avere la situazione sotto controllo, di solito mi aiuta a concentrarmi sulla partita. Mi ripeto cosa fare in difesa su chi, sento che ci sono. Nella maggior parte dei casi è così.
A Manila invece, quella del riscaldamento, è stata la parte più snervante e difficile del mondiale. Persino più dei quarti di finale con gli Stati Uniti. E non perché gli USA non fossero una potenza, ma perché sin dalla prima partita di quella competizione ogni fibra del mio corpo, durante il riscaldamento, gridava di voler subito entrare in campo.
Se poi in una giornata giochi tre partite (quarti di finale, semifinale e finale) e compi lo stesso riscaldamento per tre volte, queste grida diventano assordanti, al punto che riversare questa energia nel gioco diventi l’unica conseguenza naturalmente possibile.
Poi, finalmente, inizia.
Partita. Due giri di ruota, lancio della monetina.
Chi c’è, c’è. Chi non c’è, di solito parte sotto 4 o 5 a zero. Ed è un parziale pesante, una situazione da cui difficilmente si riesce a recuperare in questo sport.
Apnea. Tiro sbagliato, tiro corto, tiro fuori. Non c’è tempo di pensare agli errori, il gioco è troppo veloce. Respira. Canestro.
Questa è la differenza più grande. Nel 3×3 non hai tempo di rimuginare sugli errori. Su una palla persa o un tiro sbagliato da sotto. In questo sport sono meno importanti di un canestro o di una palla recuperata. Il ritmo è troppo frenetico perché si ci si possa concedere il lusso di spendere del tempo per pensare a ciò che è andato male.
Tutte le energie mentali sono impegnate nel continuare a respirare. Non c’è la transizione difensiva, non c’è quel lasso di tempo in cui torni in difesa e ti fustighi per aver sbagliato un lay-up. C’è solo quello che sta accadendo in quel momento e quello che puoi fare per aiutare la tua squadra a vincere.
Riuscire a capire ciò fa la differenza tra vincere o perdere, insieme ad un altro milione di fattori.
Nel nostro piccolo abbiamo avuto la fortuna, o la bravura, di riuscire a capire questa differenza molto velocemente, ma non da sole. Era il mantra che ci veniva ripetuto ad ogni allenamento da Angela: “Tira! Te lo devi prendere quel tiro! Non fa niente se esce, ma tu tira!”. Sentire questa fiducia qui, un’allenatrice che ti dice di tirare ogni volta che hai spazio e non solo perché c’è una buona probabilità che la palla andrà dentro, ma perché così porti un vantaggio alla tua squadra, crea fiducia. La mette in circolo nel nostro corpo, viene trasmessa alle compagne, la percepisci quando lasci la palla con le dita scoccando il tiro. Magari quello decisivo.
E la fiducia bisogna ripagarla.
Ultimi secondi, finale contro la Russia, +4 per noi, suona la sirena. Oro.
Qualcuno potrebbe chiedersi: come può un gruppo di persone che non ha mai giocato una partita di 3×3 assieme avere solo due settimane di preparazione, andare ad un Mondiale e vincere una medaglia d’oro con tantissima pressione e pochissima esperienza?
Uno dei segreti è questo: gli intangibles.
Gli intangibles sono qualcosa che non si può toccare fisicamente o calcolare in qualche modo, esistono ma non sono valutabili con alcuna unità di misura. A mio parere, questo è stato uno dei fattori più importanti che ci ha permesso di creare un’identita di gruppo e ci ha spinto alla vittoria. Non ci siamo mai risparmiate.
Come squadra negli ultimi due anni abbiamo sempre lavorato per comprendere l’importanza di avere un’identità, essere un gruppo, Per squadra intendo le quattro ragazze che hanno rappresentato l’Italia ai Mondiali 2018 ma anche tutte quelle che ci sono state prima, quelle che hanno difeso la canotta Azzurra nei tornei degli anni passati, quelle che hanno fatto il training camp ma non sono entrate nelle convocazioni finali. Abbiamo parlato tanto di ciò che volevamo essere e quali caratteristiche volevamo che ci rappresentassero. Ovviamente abbiamo posto l’attenzione anche su aspetti tecnici e tattici del gioco, ma prima ancora di pensare a questo volevamo porre delle fondamenta ben precise.
In questi ultimi due anni siamo arrivate a evidenziare alcune parole che crediamo siano essenziali per descrivere chi siamo. Fiducia, comunicazione, sacrificio, supporto, divertimento, umiltà, cuore, desiderio, autorevolezza e resilienza sono alcuni degli esempi. Queste non sono solo parole o slogan che ci hanno motivate e incoraggiate nei momenti difficili, ma erano e sono tuttora delle caratteristiche che sapevamo essere necessarie per noi e che dovevamo sentire e vivere per raggiungere il nostro massimo potenziale come gruppo. Più credevamo nella visione che avevamo di noi stesse come squadra e più rispecchiavamo queste qualità e questi intangibles, più crescevamo. E più crescevamo, più ci credevamo. E’ stato stupendo vedere un gruppo di individui porre la squadra davanti a loro stessi per “credere nel processo” e riuscire ad avere successo.
Vedere una visione, un obiettivo, trasformarsi in realtà, e poterlo vivere da dentro, è una delle esperienze più pazzesche che abbia mai provato in vita mia. Credo che in parte che questo sia ciò che ha spinto tantissimi tifosi filippini a prenderci in simpatia e tifare apertamente per noi, trascinandoci fino alla vittoria. Quando vediamo un gruppo di persone provare sulla propria pelle quello che noi stessi desidereremmo vivere, questo ci ispira e ci spinge ad unirci e schierarci al loro fianco, perciò sono estremamente grata a tutti i tifosi filippini presenti per aver tifato per noi. Non sono sicura che sarò mai capace di capire pienamente ciò che è successo davvero nella testa e nel cuore degli spettatori di casa per scegliere proprio noi come beneficiarie della loro energia e del loro tifo, ma una cosa di cui sono sicura è questa
Quando un gruppo di persone sono unite per un obiettivo comune e abbandonano ogni tipo di egoismo per realizzare qualcosa di più grande, questo dà la possibilità a qualcun altro di esserne ispirato. E dove ci sono l’ispirazione e lo stimolo a compiere qualcosa di più, a spingersi oltre, c’è anche l’opportunità di vivere e sperimentare qualcosa di grandioso, e questa è una cosa a cui ognuno di noi ambisce sicuramente.
Grazie a tutti quelli che hanno tifato per noi e ci hanno supportato. Ci auguriamo che anche per voi, così come è sicuramente stato per noi, ne sia valsa la pena.