Dopo aver vagliato numerose ipotesi, sono giunto alla conclusione che il modo migliore per esordire nel raccontarvi la storia di Giannis Antetokounmpo (Γιάννης Αντετοκούνμπο) sia quello di menzionare uno degli emblematici aneddoti che lo abbiano riguardato dal suo arrivo a Milwaukee.

Game-day (ovvero il giorno della partita), pomeriggio; con il tempo a sua disposizione prima della convocazione al palazzo per la preparazione all’imminente incontro, il diciannovenne Giannis prende un taxi per dirigersi presso una filiale Western Union, dalla quale avrebbe inviato alla sua famiglia a casa, in Grecia, una considerevole somma di denaro. Effettuata la transazione, con la quale, come sempre, ha provveduto ad inviare quanti aiuti economici possibili ai suoi cari, si rende conto di non aver tenuto per se’ neanche qualche dollaro per una corsa taxi al ritorno, per farsi accompagnare all’arena. Poco male, pensa: uno sguardo alla sua sinistra, una torsione del collo in direzione della sua destra, un paio di balzelli di riscaldamento sul posto, e poi via: in men che non si dica, le sue lunghe leve sono gia’ in azione e lo si puo’ ammirare correre verso la sua destinazione (considerevolmente distante stando alle testimonianze) ad una velocita’ fuori dalla norma. Percorre un miglio o poco piu’, prima che qualcuno lo approcci: potete infatti immaginare come, una scena simile, possa passare raramente inosservata (considerando, oltre alla peculiarita’ della situazione in se’ e per se’ ed alle caratteristiche fisiche dell’interessato con un fisico fuori dal comune -vedersi sfrecciare accanto un ragazzo di 2,11m per 98kg a tutta velocita’-, il fatto che indossasse la tuta di rappresentanza della franchigia). Affiancato da una utilitaria, vede il finestrino abbassarsi: “Ma sei il rookie dei Bucks? Sul serio? Salta su che ti portiamo noi!”. Giannis, inizialmente sorpreso dall’esser stato riconosciuto, sale quindi a bordo e sfrutta il passaggio fino all’arena, arrivando cosi in orario per la convocazione.

Questo episodio potrebbe esser servito a darvi un’idea di chi sia “The Greak Freak”: Giannis Antetokounmpo (vi risparmio in questa sede i video in cui persone random cerchino di pronunciare correttamente il suo cognome, quelli potete trovarli da voi…).

E’ nato il 6 Dicembre 1994 a Sepolia (Atene), in Grecia, da genitori nigeriani, e ha due fratelli piu’ grandi (Francis e Thanasis) e due piu’ giovani (Kostas ed Alexis).
Come avrete intuito da voi, la famiglia ricopre un ruolo importantissimo nelle sue priorita’ e nella sua scala dei valori, e la situazione, per lui e per i suoi cari, non e’ mai stata agiata o facile, tutt’altro.

Charles e Veronica, i suoi genitori, arrivarono in Grecia nel 1992 per canali non ufficiali, ovvero clandestinamente, e per mantenersi si arrangiavano con qualsiasi tipo di lavoro: da babysitter a pura manovalanza, includendo spesso e volentieri la vendita da ambulanti, nei quali, non appena possibile, iniziarono ad essere aiutati anche dai figli.
“C’erano sere in cui, se non fossimo riusciti a vendere niente, non avremmo potuto mangiare a cena. Vivevamo con la preoccupazione latente che la polizia potesse fermarci ed espellerci dal Paese. E’ stata dura.”

Per la maggior parte della propria esistenza, Giannis non ha potuto disporre di alcuna cittadinanza: ne’ quella della Nigeria (mai neanche visitata) ne’ tantomeno quella ellenica, ottenuta solo di recente (9 Maggio 2013) per meriti di rappresentanza sportiva, non senza qualche polemica locale a sfondo razziale.

 

Nei confronti di quest’ultimo tema, benche’ da un punto di vista formale, una volta finiti sotto i riflettori, i componenti della famiglia abbiano sempre tenuto a specificare come, pur essendo la zona in cui avessero a lungo vissuto famosa per episodi e tendenze xenofobe, loro non ne fossero mai stati affetti in prima persona in maniera importante, non risulta difficile credere come la situazione non sia stata delle piu’ semplici ed agevoli. Ricollegandosi all’ottenimento della citizenship menzionato poche righe fa, vi basti pensare che dichiarazioni pesanti non siano state risparmiate neanche a celebrità acquisita (Michaloliakos, esponente di Alba Dorata: “If you give a chimpanzee in the zoo a banana and a flag, is he Greek?” ovvero “Se dai ad uno chimpanze allo zoo una banana ed una bandiera, questo lo rende automaticamente Greco?”) , il che lascia presupporre come siano ovviamente esistite anche in precedenza.

Nonostante i tempi duri, e nonostante le avversita’, una cosa a cui sia lui che i suoi fratelli non hanno mai rinunciato, e’ stata la pallacanestro.

 

Giannis e Thanatis (che lo ha proprio di recente raggiunto nella NBA, selezionato alla 51ma chiamata dai New York Knicks all’ultimo draft), giocavano assieme nelle file del Filathlitikos, societa’ militante nella seconda divisione ellenica.
Proprio li, nella stagione 2012-2013, “The Greek Freak” si e’ fatto notare:

 

e da li in poi, le cose sono progredite ad una velocita’ pari a quella delle sue falcate in campo aperto, culminate con la firma su un primo contratto da pro con il Zaragoza in Spagna, senza neanche poi il tempo di onorarlo a causa della chiamata oltreoceano.

L’evento che ha drasticamente cambiato la sua vita e quella dei suoi cari, infatti, e’ stato ovviamente il draft NBA:

In un batter d’occhio, selezionato alla numero 15 dai Milwaukee Bucks, Giannis si e’ ritrovato a vivere il sogno americano, sfornando sorrisi a ripetizione, genuinamente sopreso ed emozionato anche da tutte quelle piccole cose che non aveva mai avuto modo di provare prima e che questa avventura gli sta dando la possibilita’ di vivere, rendendolo il “fratellino piccolo” di tutto lo spogliatoio e di tanti addetti ai lavori.

Innumerevoli gli episodi e gli aneddoti in questo senso.

Quando, ricevuto il suo primo assegno di stipendio, noto’ che meta’ dell’importo veniva detratto in tasse, si rivolse di getto a Zaza Pachulia per chiedere innocentemente: “C’e’ un modo per non pagare le tasse?”.

Oppure le volte in cui, sfruttando a pieno la sua estensione di braccia (2.23m) e le sue lunghe mani (26cm), si fiondava sul players’ lounge, con una foga degna di Schortsanidis all’Eurochocolate di Perugia, per far man bassa di scorte alimentari in modo da poter risparmiare ogni singolo centesimo della sua paga e farlo avere alla famiglia ancora costretta in Grecia ed impossibilitata nel raggiungerlo.

O ancora quando, vedendo il suo compagno di squadra Caron Butler accingersi a buttare un paio di sneakers, non riusci a non intervenire e bloccarlo per apostrofarlo: “Che fai??? Le butti??? Queste sono buone scarpe!”.

Eh gia’, le scarpe… Come quell’unico paio di calzature da basket che per lunghi anni aveva condiviso col fratello Thanasis, o come quelle che vendeva o tentava di vendere nelle strade di Sepolia, contraffazioni di marche che ha potuto ammirare da vicino solo di recente, come quel paio di Gucci ricevuto come regalo di Natale da Larry Sanders e che, dopo averlo riempito di rimproveri perche’ non avrebbe dovuto spendere troppo, custodisce e serba gelosamente per le “grandi occasioni”, andando di tanto in tanto a rimirarle senza riuscire a non sorridere di contentezza.

Cose comunque a sua giudizio frivole e non necessarie, cosi come la sua Playstation 4, inizialmente acquistata per impiegare le ore fuori dal parquet da solo nella fredda Milwaukee e poi immediatamente rivenduta all’assistant coach Nick Van Exel (si, quello col quale facevate faville al vostro pc ad NBA Live 1998 in canotta gialloviola) a causa del senso di colpa per una spesa cosi elevata ed evitabile, assolutamente da non considerare, per lo meno non prima di essere riuscito a  ricongiungersi con i familiari che si trovavano ancora nella dura realta’ ateniese.

Memorabile fu in tal senso anche la prima cena dei fratelli Antetokounmpo (ora entrambi giocatori NBA, con Thanatis che all’epoca dei fatti militava nelle file di Delaware in D-League) in un lussuoso ristorante di Philadelphia. “Ordina quello che vuoi! Qualsiasi cosa!” disse Giannis. Poi il silenzio, ed un attento scrutare dei menu alla carta, per una ventina di minuti. “Una insalata per me” fece Thanatis e a quel punto Giannis non pote’ che convenire: “Lo stesso per me”.

 

Similmente a quello iniziale, questi ulteriori aneddoti vi danno la dimensione della personalita’ di questo ragazzo, che abbiamo visto un mese fa impegnato nei MondialiTipo di Spagna 2014 con la nazionale ellenica, con la cui canotta ci sta presto abituando a galoppate e gesti atletici di questo tipo:

Oltre a Gary Payton come mentore, assunto appositamente dai Bucks per seguirlo da vicino, ed agli esperimenti per provare a farlo giocare da poing guard (sì, avete capito bene!), cosa gli riserva il futuro?

Essendo finalmente riuscito a ricongiungersi con la sua famiglia, un obiettivo ed un desiderio lui ce lo avrebbe pure, e lo ha rivelato in una intervista durante la scorsa stagione NBA.

Vedendosi domandare come stessero andando le lezioni di guida (pratica) con le quali era alle prese, rispose tutto entusiasta: “I got my license already. Yeaaaaah! First try! Come on, man! Talk to me!” ovvero “Ho gia’ attenuto la patente. Yeaaaaah! Al primo tentativo! Dai! Non ti congratuli?”.

L’intervistatore, ridendo, ribatte’ con: “So you got a job, a place to live, a license? What’s left?” ovvero “Quindi hai un lavoro, un posto dove vivere, persino una patente… Che manca?” per sentirsi rispondere: “Nothing. Just get a ring now.” ovvero “Niente. Solo un anello”.

 

Detta cosi, sembra un gioco da ragazzi. Ma se pensate alla strada che questo ragazzo ha fatto, dal fare il venditore ambulante in piazza ad Atene alla ribalta a stelle e strisce, ai complimenti di Kevin Durant ed ai riflettori internazionali, vi sembra poi cosi impossibile?

 

In the Greek Freak we trust.

 

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Valerio D'Angelo

Ingegnere romano malato di palla a spicchi. Lavoro a WhatsApp (ex-Google, ex-Snap, ex-Facebook) e vivo a Dublino, in una nazione senza basket, dal 2011. Per rimediare ho scritto il libro "Basket: I Feel This Game", prefazione del Baso. Ho giocato a calcetto con Pippen e Poz, ho segnato su assist di Manu Ginobili, ho parlato in italiano con Kobe in diretta in una radio americana e mi e' stato chiesto un autografo a Madrid pensando fossi Sergio Rodriguez.

8 comments

  1. Bellissimo l'articolo.
    Avrei piacere che quello di Alba dorata glielo dicesse in faccia. Davanti.. così , guarda questo bel ragazzotto di 2.11 da mezzo metro e glielo ridici…

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