articolo di Daniele Vecchi
immagine grafica di Davide Giudici
Che cos’hanno in comune Marilyn Monroe, Ed Sheenan, Bill Walton, Carly Simon, Emily Blunt, Joseph Biden, Noel Gallagher, Samuel L. Jackson e Ron Harper?
La balbuzie.
Di base, una merda. Fonte di discriminazione, dileggio e emarginazione. Ci credo che Kenyon Martin sia diventato manesco e rissoso a causa di coloro che lo prendevano in giro perchè balbettava.
Ci puoi lavorare finchè vuoi, ma se non cominci a farci qualcosa in giovanissima età, ti rimane, per sempre. Puoi migliorare, levigare qualcosa, anche molto, ma se ti sale l’ansia, sei di fronte a qualcuno e devi dire qualcosa, per forza ti incarti. Non c’è via d’uscita.
Certi stronzi ridono, certi cattolici compatiscono, molti ascoltano, magari con pazienza, sentendosi però in imbarazzo per te.
Come reagire? Cosa fare?
Avere la pazienza e l’intelligenza per contenere il problema, limitarlo e ridurlo il più possibile.
Avere fortuna.
E forza, una grande forza interiore.
Riuscire ad accettare questo disagio, non vergognarsene (passo fondamentale ma difficilissimo da fare), e andare oltre. Accettarsi. E riuscire a diventare la migliore persona possibile. Riuscire a diventare sé stessi.
Se poi vai talmente oltre da riuscire a coltivare i tuoi talenti tanto da diventare una famosa attrice, un famoso attore, un famoso cantante, un famoso compositore chitarrista, un immenso campione di basket, un ottimo commentatore televisivo, o il Vice Presidente degli Stati Uniti, allora onore a te e alla tua abnegazione.
Ron Harper, cinque volte Campione NBA con i Chicago Bulls di Michael Jordan e Scottie Pippen e con i Los Angeles Lakers di Shaquille O’Neal e Kobe Bryant, è fortemente balbuziente.
Non ne fa mistero, non si sottrae a interviste, è sempre disponibile e sorridente, e quando le parole faticano ad uscire dalla sua bocca, la sua carismatica aura rimane sempre e comunque intatta. Anche per questo è diventato un testimonial NBA, un ambasciatore della Lega più globale del mondo, dall’alto della sua straordinaria carriera.
Ron Harper è uno di quelli che ama il gioco, che vive di basket, che parlerebbe sempre di basket, insomma un ammalato del gioco come tutti noi, con la sola differenza che lui la storia l’ha scritta per davvero, mentre noi l’abbiamo solo vista e ammirata.
Un figlio di Dayton, Ohio, il north-east americano, quello industriale e sempre in progresso fino dagli anni cinquanta, quello dei quartieri dormitorio dove i più disagiati vivono in condizioni proibitive.
Una storia sentita milioni di volte, quella di Ron Harper. Cresciuto con la madre multitask che per mantenere i 6 figli fa 5 lavori, povertà e dignità, e tanti problemi in infanzia e in adolescenza.
Emarginazione e frustrazione, cose che spesso sfociano in problemi comportamentali, o in disagi, comunicativi, come la balbuzie, appunto.
Ron Harper aveva però il dono del talento cestistico.
E questo dono, combinato alla voglia di rivincita, di affermazione, e la tendenza al sacrificio e al lavoro duro, lo ha premiato.
Harper è stato una star alla Miami University di Oxford, Ohio, miglior marcatore di tutti i tempi con 2377 punti, primo giocatore nella storia della Mid American Conference a fare una tripla doppia, insomma un predestinato per la Lottery.
Ottava Scelta assoluta all’NBA Draft del 1986, scelto dai Cleveland Cavaliers, prima di lui vennero scelti il centro da North Carolina Brad Daugherty, sempre da Cleveland, lo sfortunatissimo Len Bias, deceduto due giorni dopo il Draft per overdose, poi Chris Washburn, Chuck Person, Kenny Walker, William Bedford e Roy Tarpley, dopo di lui altri notable players come John Salley, Dennis Rodman, Arvydas Sabonis, Kevin Duckworth, Nate McMillan, Mark Price, Jeff Hornacek, Drazen Petrovic e anche Augusto Binelli, chiamato alla N.40 dagli Atlanta Hawks.
A Cleveland Ron Harper gioca benissimo, assieme a Brad Daugherty, Larry Nance e Mark Price sotto coach Lenny Wilkens forma un gruppo capace di mettere in difficoltà chiunque nella Eastern Conference.
Anche al massimo livello Harper dimostra di avere grandi qualità atletiche, grande dedizione e grande intelligenza cestistica.
Durante la sua quarta stagione in Ohio, viene ceduto ai Los Angeles Clippers, dove si infortuna gravemente al ginocchio destro, costretto a saltare parte della stagione 1989-90 e parte della stagione 1990-91.
Nelle stagioni successive è il leader dei Clippers di Larry Brown, assieme a Danny Manning, in una squadra che, come spesso è accaduto alle squadre di Brown, rimarrà comunque una incompiuta.
Il 15 settembre 1994 Harper viene chiamato dai Chicago Bulls in ricostruzione dopo il primo ritiro di Michael Jordan, Bulls alla disperata ricerca di una superstar per la successione. Quella superstar arriverà, anzi ritornerà il 19 marzo del 1995, e non sarà Ron Harper, sarà di nuovo Michael Jordan, con il famoso fax che annunciava “I’M BACK”.
Da quel momento la seconda era dei Chicago Bulls ebbe inizio, il Repeat-3-Peat prese forma nelle tre stagioni successive, altri tre Titoli NBA per Chicago, stavolta con Ron Harper come pedina fondamentale di quei Bulls, sempre nello starting five e chiave della Triple Post Offense.
Lo stesso accadde ai Los Angeles Lakers, sempre di Phil Jackson, nelle stagioni 1999-2000 e 2000-2001, dove dietro al Combo Kobe-Shaq, Harper si rivelò ancora una volta fondamentale, contribuendo ai due Titoli dei Giallo-Viola.
Ron Harper pochi giorni fa era a Milano.
I campetti della NBA Fan Zone in Piazza Duomo erano sotto la pioggia, quel sabato mattina, quindi l’incontro con Ron Harper è stato spostato in Corso Vittorio Emanuele alla Tissot Boutique. Ron Harper è arrivato a piedi, senza ombrello e con i pantaloncini corti, vestito da basket, alla faccia di tutti i caretaker di turno, addetti alla sua soddisfazione e alla sua sicurezza, che gli porgevano ombrelli, copricapo e protezione. “Don’t need” ripeteva, infastidito (giustamente) da tanta attenzione dei vari portaborse.
Una volta sistemati nella saletta sopra la Tissot Boutique, è stato lui il primo a mettere a proprio agio i presenti, stemperando la comprensibile tensione degli astanti, accorciando e annullando la distanza tra la leggenda e i poveri mortali.
Un ragazzo gli fa una domanda, Harper vede che sotto la felpa il ragazzo aveva la canotta dei Pacers. Gli dice di fargli vedere la maglia, prima di fare la domanda. Un po’ imbarazzato, il ragazzo gli mostra la Numero 31 di Reggie Miller. Le parole di Harper sono state lapidarie. “Vattene di qua”. E tutti sono scoppiati a ridere.
Un maestro della sdrammatizzazione, Ron Harper, che ha ascoltato la domanda di Reggie Miller, gli ha risposto cortesemente, e alla fine lo ha voluto di fronte a lui con la canotta blu scuro Numero 31 in bella vista, nella foto di gruppo.
Harper è uomo dell’Ohio, e non fa mistero del fatto che considera LeBron James il miglior giocatore della NBA di oggi. Rispondendo alle domande, Ron è molto critico nei confronti di Kyrie Irving e della sua scelta di abbandonare i Cavs per essere il leader dei Celtics, dicendo senza mezzi termini che Irving non vincerà il titolo Nba in una squadra in cui lui è il leader. “Sono le squadre che vincono i titoli, non i giocatori, per quanto forti siano” ha detto.
Cinque Titoli NBA con Phil Jackson, cinque Titoli vinti grazie a difesa, dedizione, talento, disciplina mentale, e anche grazie alla Triple Post Offense, il famoso e famigerato Triangolo, che oggi non trova più troppi estimatori o interpreti nella NBA moderna.
Harper dice: “la nostra interpretazione della Triple Post Offense era di base andare dentro dal centro, che deve essere un buon passatore, per uscirne con un buon tiro. Oggi le squadre tendono prevalentemente ad allargare il campo e a cercare soluzioni per il tiro da tre”.
Alla domanda “meglio il combo MJ-Scottie o Shaq-Kobe”, due combo con cui lui ha vinto parecchio, Harper non ha dubbi: “MJ e Scottie erano i migliori. Scottie è stato sottovalutato, sempre, secondo me è stato tra i Top 3 di sempre nel ruolo di ala piccola”.
Harper ha avuto anche l’occasione di giocare contro Drazen Petrovic, “Petrovic era un combattente, un grandissimo giocatore, un vero giocatore Nba, è stata una tragedia quello che è accaduto, è stata una grande perdita per tutti noi”.
Ron Harper, prima di farsi un paio di calici di vino al rinfresco organizzato dalla Tissot, ha risposto e spiegato situazioni e concetti per quasi 45 minuti a tutti gli astanti, con cordialità, simpatia e saggezza, sempre con il suo modo di parlare, sempre caratterizzato da una marcata balbuzie. Senza vergognarsi, senza cercare di nascondersi, senza cercare scappatoie o escamotage per rifuggire da questo suo status.
Uno dei grandi e molteplici meriti della NBA, è quello di mandare in giro per il mondo degli Ambasciatori del basket, dei giocatori e degli ex giocatori che hanno fatto la storia del gioco e che li rappresentano al meglio, ma anche e soprattutto degli uomini, dei grandi uomini, che non devono per forza essere perfetti o senza macchia.
I giocatori NBA sono uomini, e alcuni di loro sono Grandi Uomini.
Come Ron Harper.