And with the no. 17 pick, in the 2000 Nba Draft, Seattle SuperSonics select: Desmond Mason, from Oklahoma State University.

 

Desmond Mason è uno dei talenti più lucenti della storia del college che ha visto venir fuori John Starks, Tony Allen, Bryant Reeves e poco altro. Un senior con un atletismo vincredibile (non è un refuso) ma una mano tutta da educare. La sera del 28 giugno 2000, il commissioner David Stern stringe per la prima volta quella mano. Chissà che non abbia percepito qualcosa di particolare nella stretta timida e un po’ sudaticcia del Cowboy, come lo chiamano mutuando il nomignolo della squadra della sua università.

Passa qualche mese, Dez fa conoscenza con il mondo dei pro e inizia strabiliare il mondo con i suoi balzi e le sue terrificanti schiacciate. I Sonics vanno così cosi (non approdano ai playoff pur con un record ampiamente sopra il 50% e in squadra gente come un Pat Ewing in fase calante, il talento di Vin Baker e un giovane Rashard Lewis) ma con Gary Payton ad alzarla e Mason a volare quantomeno ci si diverte a Seattle.

Arriva l’inverno e i Sonics sono approdati sulla costa est per un tour di partite. Il Nokia 3310 di Dez squilla. Numero sconosciuto.

Signor Mason, mister David Stern avrebbe piacere di incontrarla nel suo ufficio qui a Manhattan”, dice la voce all’altro capo della cornetta.

Non sa bene cosa aspettarsi questo ragazzone di due metri col tritolo nelle gambe.

Le gambe ok. Ma la mano?

Ah già, la mano.

Figliolo, un po’ di tempo fa ho letto un articolo su Sports Illustrated che parlava di te che all’università studiavi arte oltre a giocare coi Cowboys. C’erano anche alcuni tuoi disegni pubblicati. Quello di Al Pacino ce l’hai ancora? Te lo compro”.

DESMOND MASON

Stern sa che il vero talento di Mason non è nel basket, dove pure se la cava benino (nel 2004/2005 arriverà a mettere 17,2 punti a partita pur tirando un censurabile 12,5% da 3). È a dipingere che fa faville. Gli dà 500 dollari e compra il dipinto che ritrae Al Pacino in Carlito’s Way. “Chi è, un consigliere della famiglia Gambino?”, pensa Mason di Stern uscendo dagli uffici della Nba nel cuore pulsante di New York. È molto orgoglioso dei suoi lavori (“pensavo di essere Picasso all’epoca”, ricorda) ma prima di quel momento non era facile intravedere una strada diversa da quella segnata a suon di schiacciate. Quel giorno Dez capisce che il basket, che pure ama tanto, non sarà la sua vita. Ma il mezzo per raggiungere la sua vera aspirazione: l’arte.

DesmondMason

Desmond ha avuto i pastelli in mano sin da piccolo, da quando aveva più o meno 11 anni. Li usava per tenersi lontano dai guai nella casa di Waxahachie, sobborgo di Dallas non proprio consigliato per andare a prendere il gelato con la fidanzatina di sabato sera. “Crescendo in un quartiere con droga e violenza, l’arte era la mia via di fuga”, dice Dez ricordando i tempi della scuola nei quali studiava ceramica e disegnava usando le buste marroncino che coprivano i libri come tele.

Ma gli altri ragazzi non sono certo amichevoli con lui. Anche all’università, dove continua il suo percorso di studi artistici. “Mi insultavano sempre o, nel migliore dei casi, mi chiedevano di disegnare qualcosa da appendere nei dormitori. Roba tipo “Hey, mi disegni Barry Sanders?”.

Barry Sanders

Oltre ad arricchire il suo portfolio, però, Desmond gioca e pure bene con i Cowboys, che nel suo ultimo anno a Stillwater trascina di peso fino alle Elite Eight del torneo Ncaa. Qui i Gators di Mike Miller, Matt Bonner ed Udonis Haslem, futuri finalisti, lo imbavagliano e ne spezzano i sogni di gloria. Giustificato, ad aiutarlo c’era giusto Brian Montonati…

Sbarcato in Nba, Desmond ha tanto tempo libero da dedicare ai suoi lavori, soprattutto nei tempi morti tra una trasferta e l’altra. E continua imperterrito a disegnare, soprattutto ritratti. Ma tra un disegno e l’altro trova tempo anche di sbeffeggiare Baron Davis, Jonathan Bender, DeShawn Stevenson, Corey Maggette e Stromile Swift allo Slam Dunk Contest dell’anno 1 d.C. (dopo Carter). I suoi 15 minuti di celebrità, parafrasando un’altra delle fonti di ispirazione di Dez: Andy Warhol.

Mason si destreggia bene nella sua doppia dimensione. Dopo essere entrato nel 2° quintetto rookie della stagione, al secondo anno ai Sonics scollina la doppia cifra di media, facendo registrare un incredibile 84% ai tiri liberi, segno di una accresciuta fiducia anche al tiro. Ma la fiducia cresce anche per la propria arte, tanto che sul finire del 2002 decide di mettersi in gioco con la sua prima personale, con sede proprio a Seattle. Le critiche sono positive e Dez sente che sta per farcela. “E’ stato in quei momenti che ho capito che avrei fatto questo per vivere”.

A Seattle resta ancora un anno, poi Howard Schultz, owner dei Sonics e CEO di Starbucks, lo spedisce a Milwaukee insieme a Payton per arrivare a Ray Allen. Con Schultz, Mason ha un rapporto controverso. Una volta, invitato a casa del boss di Starbucks, gli disse che i suoi caffè erano buoni ma la pasticceria molto meno. Ma evidentemente il boss non prese la cosa troppo sul personale: nel 2014, lo stesso Schultz si presenta ad una mostra a Seattle e compra un ritratto fattogli da Mason sborsando 14 mila dollari.

mason

Ai Bucks, intanto, Dez mostra la sua miglior pallacanestro ma ormai il chiodo fisso è la pittura. Nel 2004 dà il via alle “Desmond Mason Art Exhibition”, contest nei quali, una volta all’anno, vende le sue opere per raccogliere fondi da devolvere in beneficienza. E quando nel 2005 finisce a New Orleans con un contratto che, per la stagione, recita 7,3 milioni di dollari, ci sono soldi in abbondanza per comprarsi una bella casetta a Cabo San Lucas dove ritirarsi nei periodi morti a sprigionare una creatività che, negli anni, vira sempre di più verso l’astrattismo.

In Messico ha come vicino di casa il campione di baseball Alex Rodriguex. Ma soprattutto George Clooney. L’attore, dal 2013, produce lì la sua tequila, la Casamigos, insieme a Rande Gerber, marito di Cindy Crawford, e Mike Meldman, uomo d’affari newyorchese. Dez entra in confidenza con l’illustre terzetto e per loro, insieme a Paul Snyder, realizza un quadro che raffigura proprio una bottiglia di Casamigos. Ne fanno tre copie: l’originale se la accaparra Meldman, che stacca un assegnone da 10 mila dollari; Clooney e Gerber si beccano le due copie sganciando 2.500 dollari a testa.

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Mason continua la sua carriera da pro fino al novembre 2009, quando, dopo aver firmato un contratto al minimo salariale con i Kings, viene tagliato dopo sole 5 partite. A 32 anni, il Cowboy fa il grande passo: lasciare il basket (dicendo no a una proposta della Benetton Treviso che lo voleva per sostituire Cartier Martin) e dedicarsi a tempo pieno a tele e pennelli.

I dipinti colorati che ricordano tanto quelle di Basquiat e del suo idolo Jackson Pollock (“vedere il film sulla sua vita ha cambiato il mio modo di concepire l’arte”, ha affermato più volte) sono pezzi dell’animo irrequieto e sognatore di Mason. Un animo che lo ha portato a volare alto sui parquet di tutta America con quella stessa energia che oggi fa sprizzare negli atelier di mezzo mondo. La sua arte è apprezzata ai massimi livelli (l’anno scorso ha pure partecipato all’edizione di Miami di Art Basel, una delle più importanti fiere d’arte del pianeta) e non certo perché è stato un solido giocatore Nba. Ed è proprio questo il grande traguardo che ha raggiunto Mason.

Tutti mi chiedevano perché mi sono ritirato così presto, che avevo ancora tempo per giocare. Ma chi mi conosce veramente sa che il basket non mi ha mai definito davvero, lo sport non mi ha mai definito davvero. Così sono passato ad una nuova sfida. Ora sono arrivato ad un punto dove faccio mostre e la gente paga 5, 6, 7, 8 mila, 9 mila, persino 10 mila dollari per un mio dipinto. E io so che non lo fa perché sono stato un giocatore di basket. Nessuno paga per lungo tempo cifre del genere per qualcosa che semplicemente sia stato dipinto da un giocatore di basket”.

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Marco Pagliariccio

Di Sant'Elpidio a Mare (FM), giornalista col tiro dalla media più mortifero del quartiere in cui abita, sogna di chiedere a Spanoulis perché, seguendo il suo esempio, non si fa una ragione della sua calvizie.

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