Molte grandi storie americane iniziano a Des Moines. La piccola e placida capitale dell’Iowa, che, bagnata dall’omonimo fiume e dalla toponomastica contesa tra tribù native, monaci trappisti e vocaboli francesi, è il crocevia storico delle elezioni presidenziali. Molto spesso proprio da qui iniziano le primarie di democratici e repubblicani. Circa un mese fa abbiamo assistito all’ufficiale nascita dell’astro socialista Bernie Sanders tra i primi e il ritorno sulla Terra del barnum Donald Trump tra i secondi. Da Des Moines partono le cavalcate, iniziano le dinastie. Qui un giovane John Fitzgerald Kennedy (febbraio 1959) si presentò come l’uomo in grado di archiviare la stagione Eisenhower e capace di battere il favorito repubblicano Richard Nixon alle elezioni del 1960. Dei Kennedy sentiremo parlare abbastanza negli anni a venire.
Ma qui in Iowa, a Des Moines, è nato anche Darren Daye, che influirà certo meno nella storia dell’umanità. Ma andatelo a raccontare dalle parti di Pesaro.
Darren sbarca in riva all’Adriatico alla fine della stagione 1987-88. Valerio Bianchini ha perso per infortunio Greg Ballard e decide di sostituire sia lui che Aza Petrovic, che un po’ si infortuna spesso ma molto non piace al coach. Piace invece, e molto, al pubblico pesarese, un pubblico non facile per gli allenatori perché capace di un amore incondizionato e viscerale. Saprà amare pure Daye che, insieme a Darwin Cook, pure lui arrivato a ridosso della post season, porterà nelle terre dei Montefeltro il primo scudetto della storia biancorossa. Nelle stesse terre il 5 dicembre 2015 ritorna un altro Daye, Austin, che di Darren è figlio e che è chiamato a salvare la Victoria Libertas, una volta nota come Scavolini, dal baratro della retrocessione in Legadue. Dico ritorna perché Austin a Pesaro ha mosso i primi passi, letteralmente visto che è nato il 5 giugno 1988, pochissimi giorni dopo che papà è diventato campione d’Italia per la prima volta. Ma andiamo con ordine.
Il piccolo Austin sgambetta alla festa per il secondo scudetto di Pesaro
Quando alla fine di febbraio del 1988 Valerio Bianchini sale su un aereo in direzione Stati Uniti alla ricerca di un sostituto per Aza Petrovic, di quella scintilla che faccia girare al meglio il motore di una formazione costruita per vincere il titolo ma che non sta andando bene, nessuno è d’accordo col Vate. Non sono d’accordo i tifosi che ogni volta si stipano in 5mila nel mitico hangar di viale dei Partigiani e che amano alla follia il fratello maggiore del dio del basket europeo. Non sono d’accordo Valter e Delvino Scavolini che nel 1975 acquisiscono la Victoria Libertas, che da quel giorno tutti chiameranno semplicemente Scavo. Non è d’accordo nemmeno Aza che la sera del 28 febbraio gioca la sua migliore partita annientando Livorno con 45 punti.
Scavolini-Allibert finisce 111-99: Petrovic fa 5/8 da due; 8/14 da tre; 11/14 nei liberi; 4 rimbalzi; 4 recuperi, 5 assist e 10 falli subiti
Non basterà. Bianchini è arrivato a Pesaro per vincere e la dirigenza gli ha dato carta bianca, insomma parliamo pur sempre del Vate. Per certi versi ha ragione il telecronista della suddetta prestazione monstre di Aza, infatti il coach dà respiro (anche) a Ballard e porta con sé la nuova guardia Darwin Cook. Ma soprattutto fa conoscere alla pallacanestro nostrana Darren Daye, l’ala piccola gentile e indomita, il cerbiatto (così verrà soprannominato in uno sport che non ha ancora bisogno di nomignoli da codice fiscale e penale) che spazzerà via dal campo Petrovic.
Probabilmente l’ala jugoslava non merita quel trattamento, l’essere accantonato prima a favore di Cook (d’altronde il suo ruolo è quello di play), poi richiamato e di nuovo sostituito da Daye, in ossequio alla regola sugli extracomunitari. Ma il Vate decide e il Vate pensa solo a vincere. Vincerà, ma la società iscriverà tra i campioni d’Italia 1987-88 anche il nome di Aleksandar Petrovic, detto Aza.
FRAGMENTS OF TIME
La Victoria Pesaro nasce ufficialmente il primo luglio 1946, prenderà il nome anche di Libertas nel 1965 grazie alla fusione con un’altra società sportiva cittadina e lo rimarrà ininterrottamente fino al 2005 quando per brutte storie di fallimenti verrà ribattezzata Vuelle, per poi ricongiungersi col suo vecchio appellativo un paio di stagioni dopo. La pallacanestro a Pesaro però arriva nel 1938, quando in città viene affisso il seguente messaggio: «Tutti coloro che intendono praticare lo sport della palla al cesto debbono trovarsi alle ore 18 di mercoledì e venerdì nella Palestra Carducci – Sarà presente un istruttore federale».
Dalla palestra Carducci all’hangar il viaggio è lungo, sempre accompagnato da una passione viscerale dell’intera città per quel gioco che conquisterà l’intera regione marchigiana. L’anno della svolta è il 1975 quando la famiglia Scavolini diventa sponsor (proprietaria dal 1985) inaugurando un sodalizio durato fino al 2013 e una sponsorizzazione da record lunga 38 anni tanto da rendere automatico ancora oggi l’accostamento tra biancorossi e azienda cuciniera. Nel 1978 la Vuelle sale in serie A1 e ci rimane per venti anni consecutivi.
Si tratta dei due decenni più esaltanti nella storia del basket pesarese: dal giorno dello spareggio-salvezza contro la Superga Mestre a Milano, quando l’Inferno biancorosso (neonato nucleo ultras) sarà capace di organizzare 77 pullman, vinto all’ultimo tiro, fino ai due scudetti, le due coppe Italia e la coppa delle coppe. Ma anche la nascita dell’avveniristico Palas da 10mila posti e la retrocessione con annesse polemiche e fughe di campioni “ingrati”.
Gli anni Ottanta si aprono con la creazione dell’ossatura di quella squadra che arriverà a vincere ma con grande fatica. Il poker tutto italiano Zampolini, Costa, Gracis e Magnifico, con i primi due comprati a suon di miliardi e l’ultimo scelto solo come ripiego dopo il rifiuto del carneade romano Marco Ricci. Il tempo sarà galantuomo. Già nel 1981-82 Pesaro sembra pronta per tingersi di tricolore ma, dopo aver dominato la stagione regolare e battuto in semifinale la forte Synudine Bologna, crolla in due partite contro Milano che da quel giorno sarà la sua bestia nera.
Nel 1983 arriva il trionfo in Coppa delle coppe contro Villeurbanne ma la strada non diventa affatto in discesa, infatti nel 1986 e nel 1987 arrivano due sconfitte in finale nella stessa competizione contro Barcellona e Cibona Zagabria (dei fratelli Petrovic). Per contare un altro trofeo bisogna accontentarsi della Coppa Italia ’85 strappata dagli uomini di coach Giancarlo Sacco a Varese. Pesaro è forte e gioca bene, Sacco è il miglior allenatore giovane d’Italia, ma manca qualcosa.
D&D SHOW
Per trovare quel qualcosa la famiglia Scavolini chiama nell’estate 1987 il Vate del basket italiano, Valerio Bianchini, reduce da una non felicissima campagna azzurra ai Mondiali di Spagna e l’anno prima agli Europei di Atene. Bianchini però è l’uomo che ha insegnato a Roma che oltre il calcio c’è di più, semplicemente ha insegnato alla capitale il gioco della palla a a spicchi. Scudetto e Coppa Campioni tra 1983 e 1984 (per lui è la seconda volta perché ha già fatto l’accoppiata, con aggiunta della Coppa Coppe, a Cantù un paio di stagioni prima) e trionfo Intercontinentale. Il tutto proprio mentre piange sul dischetto Ciccio Graziani e NIno Falcao ha paura di tirare un calcio di rigore.
se dici coppa Campioni a Roma tutti pensano a questa
e non a questa
Quel qualcosa è il Darren & Darwin Show che debutta a Pesaro nella quattordicesima giornata del girone di ritorno nella gara contro la Snaidero Caserta e prosegue nei play off eliminando sempre Caserta nei quarti e la Divarese in semifinale. Bianchini decide di rivoltare come un guanto la sua squadra quando a poche gare dalla fine del campionato rischia di giocare un ruolo marginale in post season. Lo fa contro il volere di pubblico e dirigenza e vince. Vince anche contro lo spauracchio Milano con un 3-1 nella serie finale e una grande vittoria nel tripudio di gara-4 all’hangar dopo aver sbancato due volte il PalaTrussardi. In quei giorni viene coniato anche il soprannome che Daye si porterà addosso negli anni successivi. Il cerbiatto attacca il canestro con atletismo e leggerezza.
Quando approda a Pesaro Darren Daye è fresco di taglio ai Boston Celtics dove è riuscito a scendere in campo solo per piccoli spezzoni di gara in un biennio travagliato. I verdi sono nel pieno della loro epica sfida contro i Los Angeles Lakers e sono reduci dal terzo titolo vinto nell’era Bird. A inizio stagione 1986-87 perdono la loro seconda scelta al draft 1986 Len Bias, stroncato da un’overdose di cocaina. Il gruppo comincia ad invecchiare ma per Darren che gioca come guardia e ala piccola lo spazio non c’è.
Dopo tre anni ai Bullets che lo scelsero col numero 57 e una rapida apparizione a Chicago, Darren capisce che la Nba non lo vuole e coglie al volo la chiamata del Vate di Pesaro. Sa di avere talento e fisico, ha giocato da protagonista per quattro stagione di Ncaa A Ucla, nel 1979 è stato anche l’Mvp del McDonald’s all american game: il torneo esibizione che richiama tutti i migliori atleti delle high school Usa. Nelle fila dell’Ovest mette a segno una doppia doppia con 22 punti e 14 rimbalzi, senza però riuscire a portare i suoi alla vittoria.
Con la Vuelle è amore a prima vista. In quella sera del 30 marzo 1988 i due americani sconvolgono l’idea di basket della gente dell’hangar con una prestazione di atletismo stratosferico, ma anche classe e visione di gioco fuori dal comune, soprattutto se si pensa che i due giocano insieme per la prima volta. La gara si chiude sul 120-103, con 31 punti di Daye e 23 di Cook. La Scavo vince anche l’ultima di campionato e strappa il quinto posto dalle mani della Virtus Bologna, il che non risparmia un turno ai biancorossi come succede alle prime quattro, ma per lo meno assegna loro Reggio Emilia. In quegli anni infatti ai play off scudetto partecipano anche le prime due del campionato di A2. Così ai virtussini capita il derby con la Fortitudo che, tra l’altro, elimina i cugini in due partite. A Pesaro ne servono tre invece per avere la meglio della Cantine riunite. Il resto è storia con gli scalpi di Caserta, Varese e Milano strappati vincendo sempre in trasferta e con l’apoteosi di gara-4 in un hangar che scoppia di gioia, braccia e canti.
Pesaro è campione d’Italia. È il 19 maggio del 1988 e la Victoria Libertas ha quarant’anni. Per la prima volta lo scudetto scende sotto il Rubicone in una città che non si chiami Roma. Marino Bartoletti in tv di fronte a Franco Lauro dice: «La vittoria di Pesaro è come quella di Napoli nel calcio». Ario Costa da tre. Canta Gianni De Cleva. Bellissimo. Darren è il trascinatore di quella squadra, con partite di livello altissimo e soprattutto gara-2 contro Milano, dove Pesaro capisce che ce la può fare, chiusa con 36 di valutazione finale, 23, punti, 14 rimbalzi, 15/22 al tiro.
L’anno successivo è scritto che sia quello della consacrazione. Pesaro domina la regular season e si presenta ai play-off da favorita. Con Varese però soffre un po’ più del dovuto ma poi si ripresenta sulla sua strada nuovamente Milano. Stavolta il fattore campo è favore e le cose si sarebbero messe pure bene in gara-1 che per la cronaca porta a casa con una prestazione magistrale di Daye che segna 33 punti con 13/20 al tiro, D’Antoni impazzito per stargli dietro e con 5 falli molto presto. Però durante il primo tempo Dino Meneghin si accascia a terra, dicono, colpito da una monetina e non torna più in campo. Milano ottiene la vittoria a tavolino. Solo anni dopo il totem della palacanestro azzurra dirà che avrebbe potuto giocare. La moneta non verrà mai trovata.
in questo video si spiega tutto con toni pacati
Milano vince la serie immeritatamente e anche sullo scudetto ci sono molti dubbi, con quell’ultimo canestro del livornese Forti in gara-5 che non si è mai capito se è arrivato in tempo oppure no. Il campionato 1988-1989 verrà per sempre ricordato come il più nero della nostra pallacanestro e Livorno non perdonerà mai Milano. Quello che Gianni De Cleva annuncia, nella finale del 1988, come l’inizio di una nuova era del basket italiano tarda ad arrivare.
Nel 1989-1990 Pesaro si riprende quello che le era stato tolto. Vince la regular season e porta a casa lo scudetto in quattro partite contro Varese. Il quintetto è praticamente lo stesso di due anni fa, è tornato pure Darwin Cook dopo una stagione passata tra San Antonio e Utah Jazz. In quel decisivo 29 maggio il milgiore in campo è ancora una volta Darren Daye con i suoi 31 punti, 7 rimbalzi e 3 assist. In panchina Bianchini ha lasciato il posto ad un giovane Sergio Scariolo.
L’ultimo squillo di quel gruppo meraviglioso resta la Coppa Italia 1992 conquistata nella final four di Forlì. Al Palafiera si mostra probabilmente il miglior Darren di tutti i tempi, un week end indimenticabile per tutti i tifosi di Pesaro. Dopo aver eliminato l’odiata Milano nel quarti di finale, nelle due gare del 5 e 6 marzo Daye è immarcabile sia per la Virtus Bologna (spazzata via 90-80) che per la Benetton di Toni Kukoc, con il quale il nostro ha un conto ancora aperto. Il cerbiatto mette le ali e segna 31 punti contro i felsinei, on 13/15 dal campo, 5 rimbalzi e 6 assist. In finale è battaglia vera e Pesaro ha la meglio solo dopo un supplementare (95-92 il risultato), il numero 9 è ancora una volta devastante: 29 punti, 8 falli subiti, 8 rimbalzi. I tifosi lo amano. Sugli spalti uno striscione canta: “Day by Day forever Darren Daye”.
FOREVER DARREN
Contro Treviso Pesaro si gioca anche lo scudetto, ma la sfida sulla serie di cinque partite favorisce gli uomini di Skansi (colui che vinse l’unica coppa internazionale con la Vuelle). La serie è una delle più belle dal punto di vista del gioco che io ricordi e la potete rivedere tutta su youtube se ne avete voglia. Treviso diventa campione d’Italia per la prima volta dando inizio all’epopea dei Celtics italiani. Pesaro ammaina la bandiera, certo c’è ancora la finale scudetto del 1994 ma quella è roba di Carlton contro Sasha e delle strane squalifiche decise in seguito alla scazzottata tra Coldebella e George McCloud. Il play di Bologna accusato di un insulto razzista prende due giornate di squalifica e George tre. Morale della storia Coldebella è in campo per gara-5, McCloud no e Bologna vince. Bologna come Milano cinque anni prima. Ma Darren ormai gioca a Siena.
Resta il rimpianto per non aver vinto quasi niente in Europa: quattro finali perse, due di Korac e due in Coppa Coppe e anche il quarto posto nella final four di Coppa Campioni 1991 (troppo forte la Pop84 di Toni). Darren ne mette giù comunque 29. Quella Pesaro ha comunque insegnato che si partire dalla provincia e andare a guardare dritto negli occhi avversari con le spalle ben più coperte si poteva e mi piace pensare che la bellezza del nostro basket degli anni Novanta sia anche merito della Scavolini e del suo cerbiatto. Se ne sono accorti anche i New York Knicks d’altronde.
ANOTHER DAYE
La memoria, così come il cuore, non segue vie diritte ma si muove per intermittenze. Ce l’ha insegnato Proust: sono quei soprassalti straordinari che nello scorrere di una vita normale ci riportano improvvisamente a eventi, cose o persone del passato rimaste nell’ombra, marginali, e che aprono una prospettiva sfuggente e rivelatrice al di là del fluire irreversibile del tempo. Così accade che la VL Pesaro presenti il 5 dicembre un ragazzo alto e flessuoso (2.11 metri per 93 kg), sulla schiena di quella canotta bianca con le righine rosse che scendono dalle spalle il numero 9 e quel nome: Daye.
Anche il vecchio hangar ha avuto un sussulto quel giorno sebbene i biancorossi giochino ormai da vent’anni nell’stronave a forma di coccinella che chiamano Adriatic Arena anche se si affaccia sull’autostrada. Un palazzo da 10mila posti che riempie solo Jovanotti quando decide di passare da queste parti. Austin Daye veste la maglia e la madeleine fa il resto. Le biografie sanno essereromantiche senza volerlo a volte: “vissuta l’infanzia a Pesaro, Austin è stato una stella a Gonzaga University, tanto da essere chiamato dai Detroit Pistons nel draft 2009, con il numero 15”.
Ricordare che quello è il draft di DeRozan, Griffin, Harden e un certo Stephen Curry.
la miglior prestazione di Austin in Nba, bellissimo come il maestro Duncan
“Tuttavia Daye non si è mai ritagliato un ruolo da stella NBA, e con Detroit, Memphis, Toronto, San Antonio e Atlanta non ha superato i 5.2 punti e 2.6 rimbalzi di media”.
Austin viene chiamato al posto di un DJ Shelton qualunque. Quando mette piede in campo, Pesaro ha un record di 2-7 ed è ultima in classifica. Ora non è che la situazione sia svoltata, nelle successive nove partite sono arrivate quattro vittorie e cinque sconfitte. La Victoria Libertas lotterà fino alla fine per rimanere in Legabasket però qualcosa è cambiato. Sul parquet si aggira un giocatore vero, che aggredisce il ferro come solo un cerbiatto sa fare.
26 a referto contro Venezia
Dalla decima di campionato, gara d’esordio di Austin, è riuscito a calarsi subito nel ruolo di guida della squadra riuscendo a far crescere tutto il gruppo. I suoi numeri parlano chiaro: con 22.8 punti a partita assieme a 9.9 rimbalzi non solo sfiora la doppia-doppia di media ma è anche il miglior realizzatore e rimbalzista del campionato. Non basta? Allora Austin Daye è primo anche nella percentuale da tre punti con il 51.9%, primo per falli subiti con 6.4, e ancora primo per valutazione con 24.6. Insomma giocatore totale, vero go-to-guy di Pesaro che si è caricato sulle spalle la squadra per portarla alla salvezza.
doppia doppia (28 punti e 16 rimbalzi) contro Capo d’Orlando
Assieme a Lydeka, pur essendosi entrambi aggregati a Dicembre, sono gli uomini di esperienza del gruppo a fronte della pattuglia di ragazzi classe ’90 che stanno crescendo via via col campionato. I vari Lacey, Christon e Walker tra gli americani e poi il folto gruppo di italiani: Gazzotti, Candussi, Basile e Ceron stanno imparando ad affrontare il palcoscenico e stanno migliorando le loro prestazioni. Giorno dopo giorno.
(disegno di Darren e Austin Daye a cura di http://fanciullodelghetto.blogspot.it/)