Dopo una stagione esaltante, condita da vittorie incredibili, riuscendo a far impazzire i propri tifosi – me compreso – senza peraltro portarli al palazzo, in estate i Phoenix Suns avevano solo una cosa da fare. Cedere il mercenario Bledsoe per provare a prendere un 4/5 di livello (Monroe?), in modo tale da accomodare in panca l’acerbissimo Len e un Myles Plumlee, nei suoi limiti, comunque commovente.
E-Bled, che aveva chiesto un umile massimo salariale pur di non vedere più il sole dell’Arizona, ha cenato più o meno con tutti i GM dell’NBA, ma solo i Minnesota Timberwolves sembravano veramente interessati a lui. La prima mossa dei Suns è stata quella di prendere Isaiah Thomas: l’ultima, rifirmare Bledsoe per 5 anni, a 70 milioni. Quel lungo non è mai arrivato, la squadra è in una situazione di record negativo per la prima volta da quando si trova sotto la guida tecnica di Jeff Hornacek. Perdere 3 volte allo scadere negli ultimi dieci giorni fa malissimo, ma sono scene già viste (il karma del fan di Phoenix è spettacolare). Riuscire a rimpiangere Channing Frye non è da tutti, prendere 30-40 punti da tutti i centri avversari è diventato l’ordine del giorno. Per riportare l’acqua nel deserto dell’ovest servirà un miracolo. Uno che sappia fare un semi-gancio.
Nel basket moderno si è sviluppato un concetto base: “aprire il gioco”. Ritroviamo spesso nozioni come “run & gun” o “7 seven seconds or less”, che promuovono aspetti come la velocità e il contropiede e dove il peso delle azioni offensive è concentrato nelle capacità degli esterni. Fino a qualche tempo fa, l’ala grande e il centro erano giocatori con caratteristiche diverse, ma classificati come interni da un punto di vista tattico. Oggi i ‘5’ sono merce rara, spesso usati solo per bloccare e proteggere l’area, mentre i cosiddetti ’4’ hanno subìto un processo evolutivo che li ha portati ad allontanarsi sempre più dal canestro.
Dove può arrivare una squadra senza un gioco interno? Proprio i Suns del duo Nash-Stoudemire erano stati l’esempio di questa nuova idea: si faceva giusto del pick & roll, per il resto era vietato mettere il piede nell’area dei 3 secondi. Per quanto quella versione di Phoenix fosse emozionante, Steve & co. riuscirono solo a raggiungere le finali di Conference. In Italia la tesi del “run & gun” è stata importata da Meo Sacchetti, prima a Capo D’Orlando e poi a Sassari. Il Coach pugliese si è sempre servito di lunghi atletici (Howell, Easley, Lawal, Cusin… ah no, scusate) che sapessero correre il campo e saltare più in alto degli altri. Il 2014 è stato l’anno d’oro dei sardi, culminato con la vittoria della Coppa Italia e la prima, storica, partecipazione all’Eurolega. In molti pensano che quello stile di gioco possa farti vincere una singola partita, non una serie di play-off: si vive e si muore delle proprie percentuali da fuori, per Sassari quello dello scudetto rimase, e rimane un sogno. Centododici punti presi in casa da Milano, la figuraccia nel 2° tempo di Trento: ritmi alti e tiro da 3 hanno le loro controindicazioni.
Torniamo all’NBA, però. Ci sono quattro squadre che hanno incominciato la stagione impressionando: i Golden State Warriors degli Splash Brothers, i Sacramento Kings (prima di tornare quelli di sempre), i Toronto Raptors e i Memphis Grizzlies.
I Warriors hanno la coppia di esterni più forte della lega, ad oggi Steph Curry meriterebbe certamente il titolo di MVP. La lunghezza della panchina è notevole, se si pensa che le 16 vittorie consecutive ottenute fra Novembre e Dicembre sono arrivate senza David Lee, mentre lo stesso Bogut è fuori da 4/5 partite. Già, appunto: cosa succederà quando rientreranno? Green e Speights stanno dando un contributo ineccepibile, ma il 21-3 di Golden State è avvenuto senza aver mai potuto contare sui lunghi titolari in campo. Se Steve Kerr riuscirà a rimetterli a posto nel suo ingranaggio, i californiani si candidano per un posto nel teleschermo nelle notti di Giugno.
Le cose parevano mettersi bene anche nell’altra California, quella alta, dove la città lascia il posto alla campagna e il culto della vittoria non è mai andato di moda. I Kings hanno iniziato la stagione 6-1, vincendo a Los Angeles sponda Clippers in diretta Sky, miglior partenza dai mitici tempi dei FabFive (Bibby – Christie – Stojakovic – Webber – Divac). Sulla guida NBA scrissi che Sacramento sarebbe potuta essere una potenziale mina vagante dell’ovest, perché DeMarcus Cousins aveva dato segnali di una definitiva maturità e sotto, i Kings, fanno davvero paura (sia per la quantità di rimbalzisti, ma anche perché c’è Reggie Evans). Tanto per cambiare, mai una gioia: DMC è stato vittima di una meningite virale, nel frattempo Vivek Ranadivé, vulcanico proprietario indiano, ha licenziato Coach Malone per divergenze sul mercato. Sacramento si trova ora sotto il 50%: nulla di compromesso per i play-off, ma la principale attrattiva invernale torna ad essere la corsa con lo slittino.
Su Memphis, Z-Bo e Gasol abbiamo scritto tanto, troppo, tutto. Unica squadra dove il controllo della palla viene gestito dai lunghi, gli ultimi scalpi di Warriors (ricordate le 16 W?) e Spurs (in triplo OT) non sono certo casuali, confermano le ambizioni degli orsi del Tennessee. A questo punto facciamo un salto anche nella Eastern Conference, dove nessuno avrebbe messo la moneta sul 1° posto dei Toronto Raptors. Perché, in fondo? La squadra di Coach Casey è composta da tanti giocatori sottovalutati – Kyle Lowry su tutti, esploso dopo aver lasciato Houston -, dove il talento di Ross e DeRozan è bilanciato dalla presenza di Jonas Valanciunas, già 5° scelta al Draft del 2011 e chiaramente uno dei giovani più interessanti, assieme ad Antetokoumpo, della nuova ondata europea. Lituano, classe ‘92, Valanciunas impressiona per il modo in cui riesce a stare sul parquet a dispetto del ruolo e della giovane età. Al momento gira a 12 e 9 rimbalzi di media, tirando benissimo sia dal campo (55%) che dalla lunetta (81%). Il pivot è uno dei punti di forza della nazionale e dei canadesi, che sperano di mettere i bastoni fra le ruote di Bulls e Cavaliers anche quando si comincerà a fare sul serio.
Insomma, per concludere: se l’asse play-pivot appartiene a una cultura del basket vecchia e superata, è sempre fondamentale riuscire ad alternare la pericolosità fra esterni e interni. Non solo nell’NBA, ma in tutti i contesti: dall’eurolega alle serie minori, nel femminile come nelle giovanili. Il Maccabi di David Blatt giocava in modo totalmente diverso, a seconda della presenza in campo o meno di Schortsianitis. Uno dei fattori che hanno portato Milano alla conquista dello scudetto è stata la crescita di Samardo Samuels nel corso dei mesi. Se Raffaele Ferraro quest’anno riuscirà ad andare ai play-off in Serie D Regionale, sarà anche perché gli hanno trovato un mezzo lungo da 10 punti a partita. E i Suns?
… No, non preoccupatevi. I Suns continueranno a prendere degli schiaffi allo scadere da Griffin o Middleton, e dei trentelli da Jefferson e Chris Bosh. Ci siamo abituati, garantisco. Si vede che ci piace così.
Fratello supporter dei Suns, io sono con te.