Maggio, 20:30.
Fuori piove, fa un freddo porco. Hai stranamente avuto la classica giornata di merda. Sali in macchina, accendi la musica, pensi “vabbé, mi sfogo appena entro in palestra”, senza realizzare che è un Martedì, ti attende la seduta di atletica, ci sarà pure il discorso del Coach, che vi dirà quanto abbiate fatto schifo questo weekend. Parcheggi, cerchi un ombrello che non c’è. Chiudi la porta dell’auto, apri quella del palazzetto. Sei bagnato, giù di morale, ti fa schifo tutto.
“Ciao!”
“Ciao.”
percorri il corridoio, ci sono i tuoi compagni che ti vengono incontro, ti abbracciano e ti chiedono come stai, sei contentissimo. Avevi già sorriso.
Sì, perché avrai avuto la tua bella giornata.
Ma il custode ha avuto la sua.
Il custode non è un personaggio, è una istituzione: è il primo che vedi quando sbatti l’uscio e l’ultimo che saluti, se ne hai voglia, quando devi andar via. Trattasi di vecchio canuto over 60, totalmente dilaniato dalla vita, vestito addosso per un totale di venti euro, solitamente estremista politico così come estremista è il suo modo di porsi: pacato e deluso, o incazzato come una jena. Sempre ansioso di farti sapere che “ha una famiglia” – è la prima cosa che ti dice quando comincia a conoscerti meglio -, millanta una gioventù disinibita e luccicante, dalla quale ti tira sempre fuori le solite perle: la morte di Kennedy, lo sbarco sulla Luna o i suoi 3 giorni a Woodstock, come fece pure Giorgio Faletti in un famoso film.
Che ci crediate o meno, il ruolo del custode è chiarissimo: non si comprende la sua effettiva utilità all’interno della società, ma senza di lui la palestra rimane chiusa. Il custode è pagato per fare altre due/tre cose essenziali, come la gestione dell’impianto elettrico, il mantenimento dell’ordine negli spogliatoi (per cui tutti i giocatori sono visti come delle potenziali minacce), soprattutto la regolazione del riscaldamento: ad esempio, verso Gennaio/Febbraio, quei 5′ di aria calda durante l’attivazione sarebbero cosa buona e giusta, ma “la società ha detto di no” e il giorno dopo siete dentro un letto, modalità Marylin. Il suo ruolo non si deve confondere con quello del dirigente accompagnatore, nonostante abbiano in comune una cosa fondamentale: nessuno dei due capisce un cazzo di pallacanestro.
Al custode il basket fa schifo, e la cosa è reciproca. Lo trovi lì, nel suo gabbiotto, mentre sta ascoltando una videocassetta dei Rolling Stones, o guardando la tv su un Telefunken, esultando per un Milan – Steaua Bucarest del 1989. Quando passa con la scopa avanti e indietro sembra quasi un pastore con le sue pecore. A vedere un po’ di gioco ci prova, eh, in fondo deve stare lì per sei, otto, dodici ore. Ma preferirebbe leggere un bel libro, almeno credo. Peccato per il suo analfabetismo.
Nonostante tutto questo, il custode ha delle qualità morali che gli devono essere riconosciute. Lui è così, come lo si vede: la sua presenza genuina è merce rara in un mondo dominato da squallide apparenze.
Fedele servitore, simbolo di un passato glorioso, in cerca costante di un’anima pia con la quale aprir bocca. Sarà pure l’ultima ruota del carro, ma senza di quella non si può andare avanti.
Non si può volergli male, non si deve. Perché a mezzanotte, quando sei l’ultimo rimasto sotto la doccia, lui è in piedi dalle 7, in palestra dalle 10, ha pranzato con uno sfilatino orrendo cotto/formaggio delle macchinette, si è sorbito il rumore dei ferri per tutto il pomeriggio, e tutta la sera. Vorrebbe darti dei cazzotti e portarti a casa a calci. Non lo farà mai.
“Ciao eh, scusami. Buonanotte!”
“Ciao, ‘notte.”
Lode e gloria al custode. Sempre.