Al netto di infortuni, la Nazionale che il prossimo luglio si giocherà l’accesso alle Olimpiadi sarà per la prima volta composta per metà da giocatori provenienti da stagioni disputate lontano dall’Italia. Se però gli NBA (considero anche Bargnani in questa categoria visto che comunque lì era fino a qualche settimana fa) sono praticamente sempre sotto i riflettori, dello strano trio che si è composto questa estate e che tanto bene sta facendo in Eurolega non sempre si è parlato a dovere. Ed ecco perché facciamo il punto sulla stagione che stanno disputando Gigi Datome, Daniel Hackett e Nicolò Melli. Enjoy!
IL MESSIA A COSTANTINOPOLI
Un carico di aspettative ma anche di punti interrogativi era sbarcato sul Bosforo a fine estate insieme a Gigi Datome. Il Messia azzurro veniva da un Europeo finito troppo presto (la partita sottotono contro la Turchia all’esordio, l’infortunio muscolare contro l’Islanda il giorno dopo a mettere la parola fine) e da un biennio in NBA ricordato più per la devozione di Andre Drummond che per gli squilli (rari) sul rettangolo di gioco.
“La NBA di sicuro mi ha fatto diventare un giocatore più fisico e più veloce in certe esecuzioni del gioco – dice Gigi ricordando il biennio americano in un’intervista a Panorama – e dal punto di vista mentale non do più per scontato il fatto di giocare a basket: ricordandomi la nostalgia per il campo che ho provato tutte le volte che rimanevo fuori, oggi la prendo in un modo diverso, mi godo ogni minuto in campo. La D-League è stato un momento molto brutto: una cosa che ho dovuto fare per forza e per la quale mi sono ritrovato in un contesto di pallacanestro davvero osceno rispetto a quella bellissima che giochiamo in Europa”.
Per questo il contratto da 1,7 milioni di euro firmato con l’ambizioso Fenerbahce di Zelijko Obradovic rappresentava sì una robusta iniezione di fiducia, ma anche un ulteriore elemento di pressione in un momento di svolta nella carriera del sardo di Montebelluna (lo so che Montebelluna è in Veneto). Nel quartiere greco dell’antica Bisanzio il diktat era (ed è) chiaro, nonostante l’addio dello storico sponsor Ulker: quest’anno bisogna vincere.
Il più possibile.
Tutto.
L’Eurolega, dopo l’assaggino di Final Four di 10 mesi fa, è il bersaglio grosso. Ma non è che si schifino scudetto e coppa di lega, visto che l’ultima stagione, a conti fatti, è finita con uno zero bello grosso alla voce trofei vinti.
Il Gigione nazionale viene da due anni di semi-inutilizzo e al massimo livello europeo, a conti fatti, non ha mai davvero giocato. Ha assaggiato le Top 16 sia a Siena che a Roma, ma l’ultima apparizione europea è datata 3 marzo 2011 ed è il successo col quale la Lottomatica saluta l’Eurolega firmando un inutile scherzetto ai futuri finalisti del Maccabi.
Insomma, Datome ha tutto da dimostrare e partire con la zavorra dell’infortunio da smaltire non aiuta di certo. Obradovic lo sa e lo inserisce passo dopo passo, togliendogli pressione facendogli iniziare la stagione alle spalle di Nikola Kalinic. Gigi parte ad alti e bassi, ha voglia di spaccare il mondo (il 4/15 dal campo all’esordio in Eurolega contro il Bayern ne è il riflesso) come il Fenerbahce peraltro, che però è capace tanto di perdere contro Strasburgo in coppa e Konyaspor in campionato quanto di travolgere il Real in Europa. Con Kalinic in campo i turchi hanno solidità in difesa ma la capacità di Datome di fare sempre la cosa giusta, la sua pericolosità offensiva e la possibilità di giocare in più ruoli danno un’altra marcia ai gialloblu.
La svolta arriva a novembre. Reduce da due ko in fila in campionato, Obradovic lancia Datome in quintetto al posto dello slavo. Sarà un caso, ma se fino all’8 novembre il Fener ha perso tre partite, per perderne altre tre i turchi ci mettono altri tre mesi e mezzo. Il sardo sale mano a mano di giri, ne stampa 19 al Khimki (anche se nel finale…), non fa una piega anche quando Zeke lo usa da 4 tattico e fa vedere i sorci verdi al Real Madrid, mettendo su un bel poster anche un certo Gustavo Ayon:
Col nuovo anno, il Fener è ormai una macchina da guerra e Datome ne è diventato una delle armi più affilate. L’inizio di Top 16 dell’ex Pistons e Celtics è semplicemente da favola. Nelle prime cinque gare della seconda fase viaggia a 17,0 punti col 64,5% da 2 e il 58,8% da 3 e la squadra alimenta una striscia positiva che in Europa tocca le 9 vittorie in fila.
Nel frattempo è pure arrivato il primo trofeo: la coppa di Turchia. Datome trascina il Fener in finale con 5 triple e 21 punti in faccia al Pinar, poi lascia la scena a Bogdanovic per l’atto conclusivo.
Misson 1 of 3: accomplished.
HACKETT, AL PIREO IN… FORD
Pireo-Pesaro, Pesaro-Pireo. Sull’orme del suo idolo di sempre, Alphonso Ford, Daniel Hackett la scorsa estate aveva scelto il porto di Atene. Una scelta tecnica, ma anche di cuore. “Dopo aver giocato per Pesaro ed essere ora all’Olympiacos, ho capito che il rosso è il colore della mia vita – ha confessato il figlio di Rudy in un’intervista di qualche mese fa – è anche il colore che ha tradito Alphonso. Sangue, il suo sangue”.
Eppure sembrava destinato ad essere un “tristo esiglio” quello di Daniel nella Grecia biancorossa. Le scorie di un’annata nata male e finita peggio in quella Milano in cui era stato pedina fondamentale per lo storico scudetto del 2014 e un’estate azzurra passata in silenzio, all’ombra delle più ingombranti figure provenienti d’oltreoceano, avevano sbiadito l’immagine del pesarese con la fascetta. Dopo i flirt poco convinti con la NBA, la scelta dell’Olympiacos poteva essere un’arma a doppio taglio. Da un lato il salto in avanti verso una delle squadre più costanti ad alto livello in Europa negli ultimi anni. Dall’altro il rischio che la pressione della piazza e l’ombra di Spanoulis lo potessero schiacciare. Ci vogliono spalle larghe e quelle non hanno mai fatto difetto al pesarese, sin da quando incassava i pugni di OJ Mayo a USC. Ma anche un sostenitore d’eccezione aiuta. “La prima volta che ho incontrato Vassilis mi ha spiegato che era il mio momento per decollare, per fare il salto di qualità, crescere, maturare, diventare uomo. Mi ha preso sotto la sua ala”. E che ala.
Hackett ha un ruolo chiaro quando arriva al Pireo: occupa la casella di vice di V-Span, quella lasciata vuota da Sloukas, emigrato a fare compagnia a Datome sul Bosforo. Una veste da soldato semplice che non è semplice da immaginare per un giocatore con la sua personalità. Il pubblico biancorosso lo accoglie con diffidenza, Applausi e fischi si mescolano al Forum nella terza giornata di Eurolega che, ironia della sorte, ha voluto il suo Olympiacos proprio contro il suo recente passato, l’Olimpia targata EA7. Daniel è impassibile, gusta il successo ma aspetta il suo momento. Che arriva pochi giorni dopo.
Contro il Paok l’Oly soffre le pene dell’inferno, le truppe di Salonicco sono vicinissime al colpaccio, ma non fanno i conti con Hackett, che a 9 decimi dalla sirena firma il pareggio con un canestro da cineteca (lo trovata in coda il video qui sotto). In overtime passano i Reds, con DaniBoy a perfezionare una doppia-doppia da 19 punti e 10 rimbalzi.
Fiducia, ecco cosa cambia nella stagione di Hackett.
Passano dieci giorni, è il 12 novembre. Efes-Olympiacos è già fondamentale per la corsa al primo posto. I turchi entrano nell’ultimo periodo avanti di 11, i greci tornano sotto, ma con 30” da giocare il vantaggio dei birrai è ancora di cinque punti. Penetrazione di Printezis, il prodotto di USC abbandonato da solo sull’arco dei tre punti: kaboom, -2 a 19” dalla sirena. E l’overtime, anche stavolta, è dolce per il team del Pireo, che ha scoperto uno dei suoi nuovi idoli.
Proprio il tiro da tre è una delle armi che sta ritrovando Hackett al Pireo. Daniel non è un tiratore così pessimo, ma un giocatore che ha bisogno di sentirsi in fiducia per prendersi e mettere certi tiri. Non è un caso che nella prima metà di quella che doveva essere la sua seconda stagione senese stesse viaggiando al 44% (12/27) da 3 in campionato e al 40% (9/22) da 3 in Eurolega. E infatti anche nella prima parte di questa stagione, come negli anni milanesi, ha usato il tiro pesante col contagocce (6/19, 31,6%). Quando la palla ha iniziato a entrare ecco la svolta: nelle Top 16 Hackett al momento è il 2° miglior tiratore dall’arco tra coloro che ne hanno tentate almeno una (il 1° è Datome) con un irreale 59,1% (13/22) e l’ultimo errore dall’arco che risale al match di Madrid del 28 gennaio scorso, nel corso del quale, peraltro, ne ha mandate a referto addirittura tre.
Fiducia, dicevamo. Fiducia che ormai lo circonda in toto. E come la ricambia Daniel? Con un’altra giocata che salva capra e cavoli. Il 21 dicembre l’Oly sta rischiando oltre il lecito contro il Nea Kifisia. E allora Hackett prende in mano la situazione. D’autorità, a 30” dalla sirena.
Fiducia. Quella di Vassilis. Quella di Alphonso. Quella del Pireo.
KAISER MELLI
“Sono arrivato a Milano da bimbo, me ne vado da adulto felice”.
Con queste parole su Instagram, la scorsa estate, Nicolò Melli aveva chiuso senza rimpianti la sua lunga parentesi milanese. Una parentesi della quale quella frase sottolinea l’aspetto biologico ma non in pieno quello tecnico. Quando a 19 anni l’Olimpia lo prelevò dalla natia Reggio Emilia le aspettative sul biondo lungagnone erano molto alte. Cinque anni di Milano dopo (con mezza stagione in prestito a Pesaro insieme, guarda un po’, a Daniel Hackett), l’investimento non sembrava però aver dato in pieno i frutti attesi. Il reggiano cresce, guadagna spazio fino a ricavarsi spazi importanti nella cavalcata dello scudetto 2014 (21,2 minuti, 6,9 punti e 4,9 rimbalzi a partita con 32 partenze in quintetto su 48 partite di campionato). La stagione passata, però, qualcosa si inceppa, anche perché è tutta l’EA7 a incepparsi.
Ma Nicolò sente che può essere qualcosa di più, qualcosa di meglio di uno specialista difensivo, di un tiratore da tre sugli scarichi, di uno insomma che fa il lavoro sporco o più. Così in estate la scelta di chiudere la porta ed emigrare sulle orme di Crosariol (sì, a Oldenburg si era fatto rispettare!): Bundesliga, Baviera, Bamberg.
“I presupposti che cinque anni fa mi hanno portato a Milano sono molto diversi da quelli che quest’estate mi hanno fatto approdare al Bamberg. Qui, insieme ad altri due-tre giocatori, sono al centro del progetto e questo mi riempie di fiducia e motivazione”.
Fiducia e motivazione.
La motivazione la trovi dentro di te, ma la fiducia devi sapertela conquistare. E in questo il Melli teutonico è stato un’arpia.
Prima gara ufficiale della stagione in canotta Brose, Supercoppa di Germania, 27 settembre 2015. L’ala azzurra è a Bamberg da meno di 10 giorni (Italia-Repubblica Ceca si è giocata il 17 settembre), coach Trinchieri lo sa e comprensibilmente fa partire Melli dalla panchina nella partita contro Oldenburg. Gioca 16’ in tutto l’incontro, stravinto dai suoi per 87-66. Con 17 punti, 9 rimbalzi, 5 assist e 2 stoppate.
Ci mette un paio di settimane a prendersi sì il quintetto, ma soprattutto quella fiducia che lo fa sbocciare nel giocatore che tutti avevano intravisto in gioventù ma che ancora non si era palesato. Sembra un Bjelica dai riccioli d’oro il Melli teutonico: smista gioco dalla punta come una vera “point forward” e prende iniziativa con disinvoltura ma senza forzature in una squadra piena di giovani di talento ma con gerarchie non così definite come quella di coach Trinchieri. Un’arma totale.
Il capolavoro arriva nel mese di novembre, quello in cui il Brose costruisce la sua qualificazione alle Top 16 di Eurolega con quattro vittorie su altrettanti incontri. Con Nicolò miglior giocatore del mese. Contro il Maccabi flirta con la tripla-doppia (9 punti, 6 rimbalzi e addirittura 10 assist), a Sassari stampa il suo career-high europeo con 26 punti con 10/13 dal campo, 8 rimbalzi e 4 assist. A Malaga si ferma a 6 punti e 8 rimbalzi, ma a Darussafaka chiude un mese dorato con 7 punti, 12 rimbalzi e 4 stoppate.
La metamorfosi melliana è evidente anche nelle cifre dell’efficienza offensiva e difensiva della squadra con lui o senza. In Eurolega, l’offensive rating (punti su 100 possessi) di Milano lo scorso anno non variava sostanzialmente con Melli in campo o fuori (107,85 con il reggiano in campo, 107,44 in panca) ma il defensive rating (punti concessi su 100 possessi) saliva da un già brutto 111,43 a un terribile 118,47. Segno che con la casacca dell’EA7 quella era la dimensione del suo gioco. A Bamberg le cose sono cambiate eccome: l’assenza di Melli si sente più in attacco (dove l’offensive rating è di 113,14 con lui in campo e di 104,21 quando è seduto, solo Strelnieks ha un impatto offensivo maggiore sulla squadra) che in difesa (con il defensive rating a scendere ma non di molto: da 104,13 a 101,65). La sterzata è arrivata nel tiro pesante: a Milano lo scorso anno il nuovo imperatore di Baviera tirava col 33% da 3 in Eurolega e poco sopra il 31% in campionato. Quest’anno siamo al 38% in Bundesliga e a un fantastico 50% in coppa.
In tutto ciò, al momento di scrivere questo pezzo, il Brose comanda in patria con appena due sconfitte raccolte in 23 partite e nelle Top 16 di Eurolega le tre vittorie (le prime della storia della società nella seconda fase della massima competizione continentale dopo 21 ko in fila) su otto partite disputate tengono aperta la porta al miraggio: i quarti di finale. Nominare Berlino sembrerebbe eretico, ma con “Kaiser” Melli…