CHICAGO BULLS
di Marco Munno
Non il punto di svolta, ma un deciso passo verso un buon futuro. Questo è quanto ci si aspetta in questa annata dalla franchigia della Windy City, speranzosa di migliorare le sole 22 vittorie ottenute nella passata stagione.
Nonostante la cacciata di coach Hoiberg e la promozione di Jim Boylen nel ruolo di capo allenatore, l’attacco della squadra è risultato deficitario, fra i peggiori della Lega in varie delle principali voci statistiche: quart’ultimo per punti realizzati, penultimo per rating offensivo, terzultimo per percentuale di tiro effettivo, ultimo per triple segnate. Il tutto, restando fra le peggiori a livello difensivo, ventesima per punti subiti e venticinquesima per rating difensivo, quart’ultima per percentuale di tiro concessa agli avversari.
Per tentare di porre rimedio, per la prima problematica è stato aggiunto allo staff tecnico Chris Fleming, diventato assistente dopo i 4 scudetti consecutivi vinti al Bamberg un assistente rinomato per la fase offensiva, migliorata ai Nuggets prima e ai Nets di questi anni poi. Il primo focus è quello sull’ottimizzazione della produzione di LaVine (al quale è stato chiesto di ridurre le conclusioni dal midrange), con Zach proveniente da una stagione come sedicesimo assoluto per punti segnati (23.7 ad allacciata di scarpe) tirando con una percentuale da 3 punti (37.4%) superiore a quelle di Devin Booker e Donovan Mitchell e una percentuale di tiro effettiva (52%) migliore di quelle di star come Russell Westbrook, Kemba Walker, Joel Embiid o D’Angelo Russell.
Insieme a lui, la priorità è quella dello sviluppo di Lauri Markkanen, finalmente disponibile da inizio torneo dopo aver saltato i primi 23 match e gli ultimi 7 dello scorso campionato, riprendendo il percorso per tentare di farne un Nowitzki 2.0 ripartendo dai 18.7 punti, 9 rimbalzi e 36.1% da tre punti della passata annata.
Peggiore invece è la posizione della terza contropartita arrivata dall’affare Butler, quel Kris Dunn che dalla posizione di playmaker titolare della scorsa annata (quando disponibile) sta scivolando a terza scelta nel ruolo. Point guard titolare sarà Tomáš Satoranský, che cercherà di restare nella scia delle ottime prestazioni nella Coppa del Mondo e dell’ultimo periodo ai Wizards. Alle sue spalle sono in ascesa le quotazioni di Coby White, terza scelta numero 7 consecutiva per i Bulls negli ultimi draft, che si augura di avere lo stesso buon impatto dei due predecessori Lauri Markkanen (nel 2017) e Wendell Carter Jr. (nel 2018).
Per quanto riguarda l’aspetto difensivo, invece, all’arrivo di Otto Porter nel corso della passata stagione si è aggiunta la firma di Thaddeus Young, chiamato a mettere a disposizione da subito esperienza e versatilità nel reparto lunghi soprattutto finchè Wendell Carter non sarà in grado di gestire la situazione falli personale (3.5 a gara nello scorso torneo, sesto fra i lunghi e ottavo in assoluto).
A corredo, per allungare le rotazioni di un roster falcidiato dagli infortuni nell’ultima annata (solo Arcidiacono, Robin Lopez e Harrison hanno superato il tetto delle 70 gare giocate nel 18/19) nel reparto lunghi è stato firmato il tiratore Luke Kornet, oltre alla scelta al draft di Daniel Gafford.
Se il raggiungimento dei playoffs per una squadra dal quintetto titolare altissimo (2 metri e 4 centimetri di media) sembra ancora prematuro, l’aspettativa resta quella di non trascorrere un’altra stagione ad inventare motivazioni e cercare curiosità nel massiccio ricorso a rookies e giocatori di G League, ingannando l’attesa di una scelta in lotteria al draft estivo.
CLEVELAND CAVALIERS
di Marco Munno
Così come la chiusura della decima stagione di Fortnite, la conclusione del matrimonio con LeBron lascia i Cavaliers sprofondare in un buco nero. Accadde nel 2010, dopo la prima dipartita di James e allo stesso modo nella passata stagione: in entrambi i casi, curiosamente, il record recitò un 19-63 primo step di una difficile rebuilding. Nella scorsa occasione la riorganizzazione non ebbe granchè successo fino al ritorno del Re e l’andazzo cui la franchigia sembra avviata non pare diverso, con un roster che presenta un disarmonico mix fra gioventù e veterani.
Per la prima voce, le speranze sono principalmente legate al successo della coppia delle prime scelte in lottery negli ultimi due draft: Collin Sexton in quello nel 2018 e Darius Garland in quello del 2019. Due giocatori dallo stesso archetipo, playmakers realizzatori dal fisico minuto; in uscita da due stagioni differenti (il primo con abbondanti spazio e responsabilità già nella scorsa annata, il secondo con sole 5 partite giocate a Vanderbilt nell’unico anno di NCAA) dovranno farsi forti delle diversità nel loro gioco, con il primo più penetratore e il secondo più tiratore per coesistere senza sovrapporsi, in un modello alla Lillard-McCollum.
A proposito di rookies, Kevin Porter Jr. potrebbe rappresentare una sorpresa, a patto che sia in grado di gestire quei pessimi comportamenti che gli erano costati nello scorso gennaio la sospensione a USC e la conseguente discesa nella scelta al draft, pronosticata in lottery e arrivata alla trentesima; cercherà minuti nel backcourt così come lo sparatutto dalla panchina Jordan Clarkson, l’agonista Matt Dellavedova e il Brandon Knight in cerca di ripresa dai guai fisici.
In ala si punta al consolidamento del ventiquattrenne Cedi Osman, che dopo la discreta passata stagione (comprensiva dei Mondiali nei quali con la sua Turchia stava per infliggere la prima sconfitta proprio a Team USA) è atteso alla conquista di un ruolo sempre più preponderante nell’economia della franchigia. Alle sue spalle Dylan Windler, tiratore proveniente dall’ultimo draft e il francese Timothé Luwawu-Cabarrot.
Nel reparto lunghi, invece, i giocatori dal maggiore impiego sulla carta saranno i veterani: Tristan Thompson all’ultimo anno del contrattone firmato dopo le Finals del 2015, Larry Nance Jr. con la sua verticalità e, osservato principale, Kevin Love. Il nipote del Beach Boy Mike viene da una stagione dalle sole 22 presenze sul parquet, il che sommato alle 31 primavere e un contratto in scadenza nel 2023 per una franchigia in ricostruzione equivale molto più ad una trade da finalizzare che ad un profilo da mettere al centro del progetto. Con l’ondata di firme di questa estate e di conseguenza l’impossibilità di gran parte dei giocatori della Lega di essere scambiati fino a metà dicembre, il suo futuro e gli impatti sulla franchigia saranno sospesi per un pò di tempo, quello per rivalutarsi dimostrando di essere ancora un giocatore dalla doppia doppia fissa per nottata.
Un quadro complessivamente non proprio positivo: a coach John Beilein, anch’egli un’incognita in NBA dove esordisce a 66 anni dopo 37 stagioni in NCAA con un record vincente di 754-425, il compito di farvi ordine. Oltre a tener fede alla fama di guru offensivo, con un sistema dalla doppia point guard che sembra tagliato per il duo Sexton-Garland, dovrà mettere a posto la difesa della squadra che ha concesso le maggiori percentuali al tiro dal campo agli avversari nella scorsa stagione, con un quintetto base non esattamente portato all’applicazione nella propria metà campo. Insomma, evitare un’annata simile alla precedente sarà davvero complicato…
DETROIT PISTONS
Nella sua prima stagione alla guida dei Pistons, coach Dwane Casey ha riportato la post-season in Michigan, pur con un miglioramento di sole due vittorie rispetto alla stagione precedente, da 39 a 41. Alla sua seconda, la città e la franchigia chiedono ovviamente di migliorarsi, impresa non impossibile visto che anche solo una singola vittoria in una partita di post-season manca dai playoff del 2008. Ma resta comunque difficile ipotizzare per Blake Griffin e soci qualcosa che vada oltre questo obiettivo.
Le aggiunte al roster di Tony Snell e (sospirone) di Derrick Rose, oltre a Markieff Morris, non sono certo di quelle che spostano, il tutto dovuto ad una situazione salariale che non permetteva chissà quali margini di manovra. E allora anche quest’anno si parte dalla coppia di lunghi, senza dubbio una delle più consistenti della Lega. Blake Griffin ha dimostrato di essere un grandissimo lavoratore, arrivando a costruirsi un tiro da oltre l’arco da 36% di realizzazioni, che lo ha portato lo scorso anno ad avere la sua media punti più alta in carriera (24.5 a gara, dodicesimo di tutta la NBA), Andre Drummond riparte da una stagione in cui ha catturato 200 rimbalzi in più rispetto a qualsiasi altro giocatore NBA, e in cui è stato il primo giocatore a mettere insieme due stagioni consecutive ad oltre 15 rimbalzi a partita dai tempi di Dennis Rodman ai Bulls. Nelle ultime due stagioni, peraltro, ha anche tenuto un 60% ai liberi che rende meno conveniente l’investimento che in passato veniva fatto su di lui per mandarlo in lunetta. In totale fanno 42 punti e 23 rimbalzi a gara, non male come base di partenza. Il problema casomai è il resto.
Detroit è una delle squadre che passa peggio la palla in tutta la NBA (22.5 assist totali a gara, 26esima su 30) e conseguentemente tira peggio dal campo (44%, peggio di loro solo i Knicks): su questo dovranno lavorare sodo, talento o non talento. Reggie Jackson è reduce da una buona stagione ma sembra aver perso un po’ dello smalto del suo primo anno a Detroit, Bruce Brown e Tony Snell, dati come probabili titolari negli spot 2 e 3, non sono certo due fulmini di guerra (eufemismo) a livello offensivo, così come Thon Maker non è esattamente il backup dei sogni (grossissimo eufemismo) di un allenatore. La squadra che si trova in mano coach Casey è una squadra che potrà far bene se le scommesse pagheranno, e cioè se D-Rose potrà fornire dalla panchina quei punti dal perimetro che ai Pistons ad oggi sembrano mancare. Anche la scelta al draft di puntare su Sekou Doumbouya (scelta assolutamente di lungo periodo, se si considera che l’ex Limoges non era neanche nei 12 dei mondiali per la nazionale francese) sembra un po’ un azzardo, ma si sa, quando una squadra è stata capace di chiamare Darko Milicic alla 2, tutto il resto sembra un azzardo relativo.
INDIANA PACERS
Il 48-34 con cui hanno chiuso la stagione scorsa, nonostante l’infortunio della stella Victor Oladipo a fine gennaio, è stato un meraviglioso team effort ma non può e non deve illuderci su cosa siano realmente gli Indiana Pacers. Certo, il record ha pareggiato quello dell’anno precedente, ma nelle partite post-infortunio del numero 4, la banda di Nate McMillan ha messo insieme un record di 16 vinte e 19 perse, finendo poi eliminata ai playoff con un secco 4-0 per mano dei Boston Celtics. Certo, la squadra che si presenta al via quest’anno ha avuto diversi cambiamenti rispetto a quella della passata stagione. Dopo l’addio del play titolare Collison, folgorato (letteralmente) sulla via di Damasco della fede religiosa e sostituito da un giocatore d’esperienza come Malcolm Brogdon, i Pacers hanno visto partire anche Thaddeus Young, accasatosi ai Chicago Bulls, Wesley Matthews, destinazione Milwaukee, e uno dei migliori giocatori della scorsa stagione, Bojan Bogdanovic, che ha firmato per gli Utah Jazz, tutti e tre da free agent. E allora a partire titolari insieme a Brogdon e a un (si spera) ritrovato Oladipo ci saranno i due lunghi Myles Turner e Domantas Sabonis, entrambi molto giovani ma già affidabili, e uno tra Jeremy Lamb, chiamato a confermare quanto di buono fatto vedere a Charlotte nelle ultime due stagioni, e T.J. Warren, che rispetto a Lamb ha più centimetri per giocare da ala piccola ma che non gode di una salute di ferro.
Particolare abbastanza curioso, Warren è uno dei tre T.J. in rosa ai Pacers (gli altri due sono l’ala forte T.J. Leaf e il play ex Phila T.J. McConnell): se avete visto “Balle Spaziali” state pensando alla stessa scena a cui sto pensando io.
Come cambio dei lunghi avrà probabilmente minuti anche il rookie georgiano Goga Bitadze, che arriva negli USA un po’ a fari spenti ma che in Eurolega lo scorso anno ha fatto benissimo con la maglia del Buducnost (chiedete ai tifosi dell’Olimpia Milano per ulteriori delucidazioni) e che potrebbe far dimenticare ai tifosi georgiani l’addio al basket di Zaza Pachulia. Come cambio per il backcourt, al netto dei minuti in cui Lamb giocherà da 2 e Warren da 3, servirà un contributo anche da Aaron Holiday, che aveva lasciato intravedere delle buone cose nel finale della scorsa regular season salvo poi ritornare una comparsa nei playoff. Con Tyreke Evans squalificato per due anni, e Monta Ellis ancora a libro paga, i Pacers hanno come obiettivo primario quello di mostrarsi meno “Oladipo-dipendenti”, ma ancor più importante per loro sarebbe poter tornare a vincere almeno una serie di playoff, visto che l’ultima era ancora griffata Paul George, anche per liberarsi dell’ingombrante presenza di Larry Bird…
MILWAUKEE BUCKS
Giannis Antetokounmpo è il cestista ventiquattrenne più forte dell’intero pianeta. Anzi, facciamo che è il più forte, punto. Senza distinzione di età. Almeno così potrebbe far pensare il fresco titolo di MVP che fa bella mostra sul suo comodino, conquistato dopo aver letteralmente spazzato via la concorrenza a suon di roboanti schiacciate e coast-to-coast in tre falcate.
Questo significa che Giannis sia perfetto e senza difetti? Certo che no, ma questo non fa altro che rendere ancora più entusiasmante il suo potenziale sviluppo futuro. I progressi al tiro ci sono stati, ma sono ancora insufficienti (25.6% da tre nella passata stagione) e sia nella serie di finale ad Est contro i Toronto Raptors che agli scorsi mondiali cinesi si sono visti tutti gli attuali limiti del suo gioco, devastante quando sviluppato in transizione ma decisamente più arginabile a difesa schierata. Considerando l’etica del lavoro del greco e la sua ossessione per un miglioramento continuo in stile kaizen, è probabile che quest’anno vedremo un’ulteriore passo in avanti, anche perché proprio Giannis ha recentemente dichiarato di essere ancora al 60% del suo potenziale. Auguri agli avversari.
La cabina di regia i Bucks presenteranno nuovamente al timone Eric Bledsoe, fresco di estensione contrattuale da 70 milioni di dollari in 4 anni. Bledsoe ha pregi e difetti, ma nell’ultima annata ha reso oltre le aspettative ed è migliorato in difesa, anche se la selezione dei tiri non è il suo forte e probabilmente non lo sarà mai. Nello spot di guardia tiratrice Wesley Matthews proverà a non far rimpiangere troppo Malcom Brogdon, a cui i Bucks hanno a malincuore dovuto rinunciare per motivi finanziari. Il trentatreenne da Marquette ha decisamente perso un passo, sia in attacco che in difesa, rispetto ai suoi giorni migliori ma ha un ottimo tiro da fuori (oltre il 38% in carriera) che sarà funzionale al gioco aperto predicato da coach Budenholzer.
In ala spetterà a Kris Middleton fare quell’ulteriore passo in più necessario per diventare il vero e proprio secondo violino nell’orchestra di Giannis. Il nativo di Charleston è comunque uno dei giocatori più sottovalutati dell’intera NBA: non sono in molti infatti a poter flirtare attorno ai 20+5+5 con la sua continuità, anche se nella passata stagione è parso a tratti infastidito e un po’ avulso dal gioco dei suoi.
A chiudere il quintetto sarà ancora Brook Lopez, rivitalizzato e trasformato dal suo arrivo in Wisconsin in una versione ultra-estremizzata del centro offensivo moderno, pericoloso già a otto metri dal canestro e in grado di battere in penetrazione i difensori che dovessero farsi troppo aggressivi.
Se il quintetto è di alto livello, in panchina c’è invece pochino. C’è George Hill, sempre utile quando riesce a rimanere integro per più di tre partite consecutive. Ci sono Pat Connaughton, Sterling Brown e DJ Wilson, che si sbattono in difesa e si arrangiano dall’altra parte. C’è il veteranissimo Kyle Korver, che gioca ormai praticamente da fermo ma dai 7.25 potrebbe metterla anche nel sonno. C’è Dragan Bender, all’ultima chiamata per dimostrare il talento che gli valse la quarta chiamata assoluta al draft di qualche anno fa. E infine c’è mister utilità Ersan Ilyasova, che viene sempre buono in caso ci siano da dare un paio di mazzate in mezzo all’area. Insomma, niente per cui valga la pena spellarsi le mani in applausi.
A condire il tutto, la dirigenza dei Bucks ha voluto allietare le serate a casa Antetokounmpo e Lopez portando in città i fratellini Thanasis e Robin. Scelta tecnica o (soprattutto in uno dei due casi) desiderio di far felici le proprie star?
Si vedrà, di certo i Bucks sono di fronte ad un bivio importante. Dopo essere arrivati in finale di conference e a sole sei vittorie dal titolo nella passata stagione, quest’anno le NBA Finals sono quantomeno l’obiettivo minimo. Ma non sarà facile. Come hanno dimostrato i Raptors, aggrapparsi all’enorme talento di Giannis non sarà sufficiente e i Celtics, i Pacers ma soprattutto i Sixers saranno pronti ad approfittare di ogni passo falso.