articolo di Davide Romeo
immagine di copertina di Mattia Iurlano
grafici di Fabio Fantoni
Boston, Boston, Boston;
Più martellante di uno slogan pubblicitario, più onnipresente del prezzemolo, più chiacchierata dell’ultimo tweet di Donald Trump: in questo inizio di stagione risulta veramente difficile non parlare della franchigia del Massachussets, che al momento siede in cima alla classifica con diciannove vittorie in saccoccia.
D’altro canto non potrebbe essere altrimenti, visto che i Celtics sono stati una vera e propria ventata d’aria fresca nella lega – e un vero uragano nella Eastern Conference.
Il progetto del general manager Danny Ainge e dell’allenatore Brad Stevens sembra infatti aver dato una bella spallata al regno di terrore di LeBron James, quasi sempre dominatore incontrastato dell’Est durante la regular season.
Tuttavia, la stagione dei Celtics è iniziata in maniera tutt’altro che positiva. L’infortunio di Gordon Hayward è stato una brutta tegola, che potenzialmente avrebbe potuto minare le potenzialità della squadra.
Eppure, dopo che il free agent più discusso dell’estate ha terminato la sua stagione a pochi minuti dall’inizio della suddetta, i Celtics hanno reagito, arrivando a giocarsela alla pari con i Cavs nella opening night e poi a trovare la chimica giusta per realizzare l’attuale serie di risultati positivi.
Va certamente ascritto grande merito a Stevens per il suo genio tattico, a Kyrie Irving che si è dimostrato un vero leader e ad Al Horford che è ormai una garanzia di qualità. Però l’assenza di Hayward è stata colmata in larga parte da Jaylen Brown, un ’96 al suo secondo anno nella lega che si è fatto trovare pronto quando è arrivato il suo momento: dopo una prestazione fenomenale nella gara più difficile (25 punti, 6 rimbalzi, 2 rubate contro i Cavs), il ragazzo non si è più fermato ed è ad oggi una grande certezza per la sua squadra.
Al suo arrivo nella lega l’unico punto fermo era il suo grandissimo potenziale. La sua carriera giovanile è stata sicuramente un ottimo biglietto da visita, visto che già agli anni del liceo aveva attirato l’attenzione degli scout, facendo registrare 28 punti e 12 rimbalzi di media ed ottenendo anche la qualificazione per il McDonald’s All American. Nei ranking nazionali aveva davanti solo gente davvero irreale durante la high school: Ben Simmons, Brandon Ingram, Skal Labissiere.
L’anno trascorso all’università di Berkeley, in California, ha confermato gli exploit liceali, concludendosi con la nomina a Freshman Of The Year all’interno della sua Conference.
Quello che ha più colpito il GM Ainge è stata però la personalità del ragazzo, dotato di grande ambizione e ferrea determinazione. Il suo obiettivo è migliorare il più possibile le proprie abilità, e possiede una grande etica del lavoro – che in uno sportivo della sua età è sempre un gran segnale. A quanto pare capita spesso di trovarlo in palestra alle cinque del mattino, a-la-Kobe, per poter lavorare sui difetti del proprio gioco e per togliersi la soddisfazione di parcheggiare nel posto riservato a Coach Stevens, approfittando del fatto che a quell’ora la palestra è deserta. O quasi, visto che spesso c’è il compagno di squadra Terry Rozier a fargli compagnia.
Dopo essere stato scelto al draft da Boston, c’era il (legittimo) timore che fosse un po’ grezzo per poter contribuire da subito, ma ha ben presto sorpreso anche i più critici. Le sue doti difensive non sono mai state messe in discussione, ma ha trovato presto anche una piccola zona di comfort nell’attacco a difesa schierata, dimostrandosi in grado di sfruttare i mismatch e giocarsela efficacemente spalle a canestro. Ha lavorato molto sulle letture delle situazioni di gioco, ed è diventato molto efficace nei movimenti off the ball: ma il punto più forte del suo repertorio è senza dubbio l’attacco in transizione, da cui proviene una bella fetta dei suoi canestri. Per l’esattezza, il 15% dei suoi canestri proviene da queste situazioni di fast break, mentre il 19% dopo un turnover avversario.
Le statistiche del suo primo anno non sono state in realtà particolarmente esaltanti, complice anche una rotazione molto affollata, ma la prima stagione di Brown è stata decisamente positiva, con un contributo in crescendo che ha raggiunto l’apice durante i playoff, in cui ha realizzato alcune giocate davvero pesanti.
Durante le Finali di Conference, la sua solidissima prestazione difensiva sul miglior giocatore del mondo, Lebron James, gli ha permesso di conquistarsi sul campo il titolo di lockdown defender. E non è comune tra i rookie riuscire ad alzare il livello di gioco in postseason.
La partenza di Crowder e Bradley durante l’ultima estate (in cui Jaylen si è dilettato ad organizzare eventi di benvenuto per le nuove matricole) gli ha fornito l’opportunità di ricevere un minutaggio più cospicuo e un ruolo più centrale all’interno della franchigia, ma l’infortunio di Hayward lo ha catapultato in un ruolo di responsabilità che probabilmente nessuno si aspettava raggiungesse in tempi brevi.
Una situazione del genere non è semplice da gestire per un ragazzo di vent’anni, e nel worst case scenario può rovinare carriere.
Finora però Jaylen non solo ha retto la pressione, ma ha dimostrato di poter rendere addirittura meglio rispetto allo scorso anno.
A fronte di un numero maggiore di possessi gestiti mentre è sul parquet (il 21% contro il 18% dello scorso anno) e di un minutaggio quasi raddoppiato rispetto alla sua stagione da rookie, Brown ha diminuito la percentuale di turnover commessi (stimata sui cento possessi), che ad oggi rimane il punto più debole del suo gioco.
Pur avendo raddoppiato le sue medie di punti, rimbalzi e rubate, la scarsa abilità di palleggio con la mano sinistra rimane il suo più grande difetto: oltre a causargli spesso delle palle perse, è un grosso limite per il suo playmaking e alla sua pericolosità quando attacca off the dribble.
Il padre di Jaylen è Marselles Brown un gigantesco boxer di oltre due metri e dieci che si è sempre premurato di mettere in guardia i figli (Quenton, il primogenito, è un giocatore di football) dai pericoli e dalle difficoltà dello sport professionistico.
Allo stesso tempo, tuttavia, ha deciso di rimettersi in gioco a 46 anni per vincere il titolo WBU – e ci è riuscito – per insegnare alla sua prole che bisogna sempre credere nei propri mezzi.
Jaylen pare aver appreso entrambe le lezioni del padre: nonostante la crescente notorietà, la fama, il contrattone con adidas, i flash dei fotografi e gli applausi, ha tutte le intenzioni di “essere sé stesso”.
Ha diversi interessi che coltiva con passione: è un ottimo giocatore di scacchi, avendo imparato dal nonno quand’era ancora fanciullo; suona discretamente bene chitarra e pianoforte, anche se la sua versione di Still D.R.E. non è forse ancora pronta per essere rilasciata come un singolo di successo; presta grande attenzione al suo stile di abbigliamento, e si è preso qualche presa in giro per la sua preferenza per pantaloni da basket corti in stile vintage (“sono più comodi!” protesta vigorosamente lui);
Da alcune delle sue affermazioni e delle sue scelte si deduce che si tratti di un ragazzo molto intelligente, al punto che il cantante dei Counting Crows Adam Duritz, che lo ha conosciuto durante l’anno collegiale a Berkeley, si augura di vederlo presto Senatore. Anche se è leggermente troppo giovane per esserlo, visto che l’età minima per essere eletti è di trent’anni.
Qualcun altro invece gli ha detto di essere “troppo intelligente per essere un giocatore di basket”, lasciando forse trasparire involontariamente una grossa mancanza della qualità attribuita al giocatore dei Celtics.
Un indizio dell’acutezza di Jaylen è anche la scelta di non affidarsi alla classica figura del procuratore sportivo o ad un agente, perché vuole gestire personalmente un aspetto così importante della sua vita come la negoziazione di contratti.
La sua famiglia quindi lo aiuta a scegliere degli esperti di settore che lo aiutano a gestire le varie trattative (Aaron Goodwin, agente “veterano” NBA, lo ha coadiuvato a siglare il contratto di sponsorizzazione con adidas) in modo tale che lui possa imparare pian piano a occuparsi da sé di tutte le faccende che ruotano intorno alla pallacanestro. Una bella differenza con i nostri giovani sportivi, spesso dominati e smerciati a piacimento da procuratori onnipotenti.
Nel suo canale su Youtube, FCHWPO (acronimo per Faith, Consistency, Hard Work Pay Off, nel caso servisse ancora qualche dubbio se abbia la testa sulle spalle o no) pubblica video molto interessanti in cui mostra la sua routine quotidiana come giocatore NBA e in cui parla di sé e dei suoi pensieri. In alcuni di questi video appare Trevin Steede, il suo migliore amico, talvolta immortalato mentre si becca qualche sonora ripassata in uno contro uno.
I due sono diventati amici al liceo, quando Jaylen era il classico nuovo arrivato sempre sulle sue, che in mensa pranzava da solo con le auricolari nelle orecchie e guardava male tutti. Trevin gli si era avvicinato dopo qualche giorno, chiedendogli se poteva pranzare con lui. Anche se il “nuovo arrivato” gli aveva appena soffiato il posto in squadra e aveva sempre l’aria un po’ snob, i due presto sono diventati inseparabili: il carattere introverso e riflessivo di Jaylen poteva dirsi complementare a quello estroverso e solare di Trevin.
Qualche settimana fa, prima della partita con i Warriors, a Jaylen giunge la notizia della morte improvvisa del suo migliore amico.
Lo spogliatoio gli si stringe attorno, in particolare Irving che ha perso la madre in tenera età e coach Stevens che ha gestito una situazione simile pochi mesi fa quando è venuta a mancare la sorella di Isaiah Thomas.
Il giocatore viene lasciato libero di scegliere se disputare la partita o meno, e inizialmente Jaylen è troppo abbattuto persino per uscire dalla sua camera. Poi però gli squilla il telefono, è la madre di Trevin. Non è dato sapere cosa si siano detti.
Sappiamo solo che cambia idea, e decide di scendere in campo.
Realizza la miglior prestazione della sua giovane carriera, come fanno i grandi campioni quando soffrono: 22 punti, 7 rimbalzi, 2 rubate, ma ha impressionato soprattutto il ruolo da leader assunto nella prima parte di gara, quando Boston faceva fatica a tenere il ritmo dei Warriors. Inutile dire che alla fine hanno avuto la meglio i Celtics, quando Irving si è svegliato nell’ultimo quarto.
Subito dopo avrebbe dovuto saltare una partita per recarsi in Georgia per presenziare al funerale dell’amico, ma il caso ha voluto che la seguente partita dei Celtics fosse proprio contro gli Atlanta Hawks, ai quali ha rifilato un career-high di 27 punti come ulteriore regalo d’addio all’amico di una vita.
Solo il tempo saprà dirci se Jaylen Brown riuscirà a diventare una superstar. Di certo pare sulla buona strada per diventare la prossima grande ala “two-way”.
Si tratta di un tipo di giocatore relativamente moderno. Un esterno in grado di avere un impatto determinante sia in fase offensiva che in fase difensiva, in pratica uno specialista difensivo che ha sviluppato grandi doti realizzative: la naturale evoluzione del vecchio “3 and D” che ha fatto le fortune di tante squadre da titolo.
Interpreti illustri di questo ruolo sono Paul George, Jimmy Butler, Kawhi Leonard. Sono ormai degli scorer affermati, che dalla loro quinta stagione hanno sempre messo a segno almeno 20 punti a nottata con il 50% di True Shooting, ossia la percentuale che comprende tiri da 2 punti, da 3 punti e tiri liberi. Statistiche del genere sono generalmente segnale di una grande incisività in attacco.
Si può anche osservare che hanno spesso concluso la stagione con un punteggio inferiore a 100 nel Defensive Rating, che indica una stima dei punti concessi all’avversario sui 100 possessi: questa cifra è tipica dei grandi difensori, e solo Drummond, Gobert, D.Green e Whiteside hanno avuto un rating inferiore a 100 durante la scorsa stagione.
Ecco come si colloca Jaylen Brown per True Shooting e Defensive Rating rispetto ai giocatori nella lega durante lo scorso anno: verso destra ci sono i migliori difensori, verso l’alto i realizzatori più precisi.
Al momento Brown sta facendo registrare 15 punti di media con il 55% di True Shooting e un Defensive Rating di 100 punti esatti, cifre molto simili a quelle di Paul George alla sua seconda stagione. Si nota anche il miglioramento nello scoring dalla prima alla seconda stagione, ben più evidente rispetto agli altri tre giocatori presi in considerazione, che sono poi diventati delle stelle affermate.
Le statistiche non vanno prese come la verità assoluta, a maggior ragione visto che potrebbero calare nel corso della stagione, tuttavia costituiscono un solido indizio sulla qualità di Jaylen.
Se oltre alle cifre si considerano la sua intelligenza (in campo e fuori), il grande cuore e l’attitudine a spendere ore in palestra per lavorare sul proprio gioco, si potrebbe dire senza troppe remore che il futuro sembra roseo per il ragazzo della Georgia.
O forse, più che roseo, verde (speranza) come la canotta dei Celtics.
Complimenti Davide. Scrivo sulla pagina FB di I am a Celtic e quindi sono un die hard fan dei Celtics, e ho davvero apprezzato il tuo pezzo. Ma tifi Boston?