“Non ci interessava chi veniva ucciso. Non era importante chi fosse. E tutti la facevano franca”.
Stagione 1982-83, una squadra neo promossa come la Mangiaebevi Ferrara, con nessun giocatore con esperienza in Serie A (con la sola eccezione di Charles Jordan, che arrivava dalla Fortitudo Bologna), affrontava uno dei migliori giocatori di categoria, il miglior realizzatore della Serie A2 Roscoe Pondexter, dalla Long Beach State di Jerry Tarkanian, in forza alla Cover Jeans Roseto.
Le carceri negli Stati Uniti sono un grande business, specialmente in California.
Verso la fine degli anni ottanta, dal 1982 al 1988, la popolazione carceraria americana è quadruplicata. Nella sola California c’erano a quel tempo 160.000 detenuti, più di quanti detenuti avessero Germania, Francia, Gran Bretagna, Olanda, Giappone e Singapore messi insieme.
La San Joaquin Valley (regione della California prevalentemente rurale e agricola, ricca di vigneti), fu uno dei luoghi designati per la costruzione di grandi opere carcerarie, come la Corcoran State Prison, il prototipo di carcere dell’era moderna.
Coach Marco Calamai della Mangiaebevi di quegli anni, ricorda così le sfide contro Pondexter: “Roscoe era un realizzatore terrificante. Poteva segnare in arresto e tiro, in penetrazione, da fuori, era una bestia in post basso, bisognava solo cercare di contenerlo. Nella prima gara a Roseto riuscimmo a ingabbiarlo con una Box and One, con il nostro playmaker, Marco Sanguettoli, che non lo mollava un secondo. Riuscimmo praticamente ad annullarlo e vincemmo quella partita. Loro poi vinsero la ultima partita a Ferrara e guadagnarono lo spareggio contro di noi a Livorno, che poi però vincemmo noi con una grande prova di squadra”.
A Corcoran lo chiamavano “Bonecrusher”, il frantumaossa, anche se la sua specialità era una presa da strangolamento, da lui stesso chiamata “Deep-Sixing”.
John Ebeling, anche lui quell’anno alla sua stagione da rookie con la Mangiaebevi, ricorda così Pondexter: “Ti dominava, sul campo, sempre senza dire una parola. Era un duro, aveva mani straordinariamente forti, potevi fargli un fallo durissimo, ma lui andava a segnare lo stesso”.
Una bestia sul campo. Una bestia rispettosa, del gioco e degli avversari.
Roscoe Pondexter.
Una bestia anche in altre situazioni.
Cresciuto nella periferia di Fresno, central California, Roscoe (assieme a suo fratello più giovane Clifton anche lui visto in Italia a Brindisi e a Pesaro, con all’attivo circa 200 partite giocate nella NBA con la maglia dei Chicago Bulls), dominò alla San Joaquin Memorial High School, di cui detiene ancora il record di punti segnati, 2228, per poi diventare un All American, segnalandosi ai radar universitari della costa ovest.
Fu il coach dei reietti, Jerry Tarkanian, a reclutarlo a Long Beach State al suo anno da junior, dopo due anni al Fresno City College. In maglia 49ers Pondexter viaggiò su ottime cifre, 15 punti e 8.3 rimbalzi di media a partita, che gli valsero la chiamata dei Boston Celtics alla numero 53 del terzo giro del Draft 1974, ma non trovò mai spazio nella Nba, scegliendo una carriera in Sudamerica e in Europa.
Arrivò in Italia, a Gorizia, nel 1978, rimanendovi per tre stagioni, segnando 2572 punti in 84 partite. Nella stagione 1982/83 Pondexter giocò a Roseto con la già citata Cover Jeans, 953 punti in 31 partite per lui, e nella stagione successiva giocò in maglia Reyer con la Carrera Venezia.
Nelle quattro stagioni tra Gorizia e Roseto, la media punti di Pondexter fu di 30.9 punti a partita, cosa che rende vagamente l’idea di quale pazzesco realizzatore fosse, in una Serie A2 che vedeva tra le proprie fila giocatori del calibro di Jim Chones, Mike Bantom, Chuck Jura, C.J. Kupec, Oscar Schmidt, Rudy Hackett, Roosevelt Bouie e molti altri.
Roscoe terminata la carriera di giocatore professionista in Europa, verso la fine degli anni ottanta, se ne tornò nella sua San Joaquin Valley, nella sua Fresno, alla ricerca di un lavoro. Ritornò lì con la moglie Doris e i suoi tre figli, il più grande dei quali, Quincy, è ora un ottimo giocatore Nba nei Chicago Bulls.
Tramite un amico che lavorava nell’ufficio dello Sceriffo, trovò lavoro come guardia al Fresno County Jail, per poi passare alla Correction Training Facility di Soledad, una casa circondariale di media sicurezza, dove Roscoe si trovò sempre bene, senza mai avere problemi, senza mai usare la forza, un lavoro di routine senza troppi alti né troppi bassi.
Poi arrivò la chiamata dalla nuovissima Corcoran State Prison, il nuovo gioiello a solo un’ora di macchina da Fresno.
Pondexter accettò.
Appena arrivato a Corcoran, Roscoe dovette dimostrare alla posse di colleghi secondini di che pasta era fatto.
E non esitò nemmeno per un secondo.
Lui, due metri, ineccepibile forma alla soglia dei 40 anni, una voce da intimidatore nato, due gigantesche mani da riversare sui detenuti. Pondexter divenne immediatamente un profilo interessante per i colleghi.
La “elite” delle guardie a Corcoran si era autoribattezzata “The Sharks”, gli squali, perché colpivano velocemente e senza preavviso, una elite di guardie prevalentemente bianca, tatuata come i peggio gangster di strada, una elite in cui Pondexter, gigante d’ebano per antonomasia, era la punta di diamante, il pezzo forte.
Gergalmente, fare parte degli Sharks era “avere un posto in macchina”, “a seat in the car”, la macchina che dirigeva e faceva il bello e il cattivo tempo a Corcoran.
Gli Sharks dominavano, tra le guardie.
Decidevano chi faceva le ferie e quando, chi faceva i turni migliori e chi poteva usufruire degli straordinari, sempre spalleggiati da “colui che guida la macchina”, “the car driver”, il direttore esecutivo, Bruce Farris, con ottimi agganci politici e istituzionali, un direttore che ammetteva e incoraggiava i soprusi e le violenze.
E Bonecrusher era la manovalanza specializzata di queste attività.
Era lui infatti quello scelto come “cerimoniere ufficiale” per il comitato di benvenuto ai detenuti che arrivavano a Corcoran dopo aver creato problemi in altri istituti, “greet the bus” era chiamato quel rituale dagli Sharks.
Appena sceso dal bus, ammanettato alle mani e con le catene ai piedi, il detenuto doveva passare in mezzo a un corridoio formato da guardie in assetto anti-sommossa e con le piastrine identificative coperte, che lo colpivano ripetutamente con pugni al volto e sulla testa e con manganellate nelle gambe.
Fin qui ordinaria amministrazione (chi non è mai passato dentro a un corridoio di guardie venendo picchiato e manganellato?), routine di centinaia di case carcerarie americana e mondiali, la ciliegina sulla torta era alla fine del corridoio, quando il detenuto malmenato incontrava Roscoe Pondexter. Bonecrusher.
Voce profonda e baritonale, calda e penetrante da sembrare lo spirito di un Re Africano, e soprattutto una soffocante presa da strangolo.
Dall’alto dei suoi due metri e del suo fisico imponente, prendeva i nuovi detenuti per il collo, e il più delle volte li sollevava.
“LOOK SKYWARD! WELCOME TO CORCORAN SHU! THIS IS A HANDS-ON INSTITUTION!”
Letteralmente “hands-on” è “alzare le mani”, nel senso che a Corcoran i secondini potevano picchiare i detenuti ogni volta che gli girava, senza dover per forza fare rapporto o compilare scartoffie.
E come Samuel L. Jackson in Pulp Fiction, anche Bonecrusher aveva la sua frase ad effetto ogni volta che arrivava il bus, frase che scandiva con epicità e durezza, con la sua voce potente e baritonale:
“WHATEVER YOUR LIFE IN PRISON WAS BEFORE, IT’S OVER! WELCOME TO HELL!”
Il detenuto in questione solitamente sveniva in pre-soffocamento, e per un paio di settimane non riusciva nemmeno a parlare, a causa della pressione sulla laringe e sulla trachea inferta dalle enormi mani di Pondexter con il suo Deep-Sixing.
Impressionante, ma è solo l’inizio.
Questa era solo la routine del lavoro di Pondexter, intimidire, punire e picchiare detenuti ritenuti problematici nei cinque bracci di Corcoran, lui, il suo Deep-Sixing e la sua “Terapia del Dolore” (come lui chiamava il trattamento che riservava ai suoi assistiti) in poco tempo diventarono famigerati..
Un po’ come nel film “I Soliti Sospetti”, “Fai il bravo, perché sennò arriva Keyser Soze” raccontavano i genitori malviventi alla propria prole.
Bonecrusher era la minaccia principale, tra i detenuti di Corcoran, se sgarravi troppo, arrivava la Terapia del Dolore.
Gli Sharks però avevano anche altre attività. Organizzavano veri e propri match in un cortile della prigione, dalla cui torretta di guardia tutti (compreso Pondexter) assistevano, con due Rifle 9mm puntati verso il cortile, nel caso in cui, dice il regolamento “dopo un richiamo verbale e un richiamo con uno sparo in aria, i combattenti non smettessero o nel caso in cui uno fosse in pericolo di vita”. In questo caso estremo, i fucili potevano essere usati per sedare il combattimento.
Nel più classico e reiterato degli abusi di potere però, gli Sharks non solo organizzavano loro stessi gli incontri, mettendo di fronte membri di gangs rivali, ma all’occorrenza e in base all’umore e alla futile necessità, sparavano a uno dei due.
Tanto? Cazzo gliene frega? Just another punk ass dead. Who cares?
Centinaia di colpi sparati da quella torretta, 7 detenuti uccisi e 43 gravemente feriti, alcuni di loro paralizzati a vita, dal 1989 al 1994.
Il dominio degli Sharks a Corcoran, come una banda che ha il monopolio dello spaccio nella città, finì solamente grazie a una guardia carceraria di nome Steve Rigg, che dopo la ennesima uccisione di un carcerato con le stesse modalità, cominciò ad indagare, fino a portare alla luce del sole l’intero movimento, riuscendo a coinvolgere l’FBI.
Va detto che questo rompere l’omertoso silenzio sulle pratiche degli Sharks costò il posto di lavoro, la salute e la reputazione a Rigg, bollato come spione da tutto il movimento delle guardie carcerarie, un infame con un topo in bocca come Jimmy Altieri nei Sopranos.
Grazie ai maggiori controlli sulle guardie svolti dall’FBI e da una commissione apposita, a Corcoran le misure di controllo sul comportamento delle guardie vennero immediatamente decuplicate, ovviamente i combattimenti non avvennero più, e Roscoe Pondexter venne licenziato, non per tutto quello che aveva fatto prima o per quello a cui aveva assistito e che aveva avvallato, ma per aver ammesso di aver schiaffeggiato un detenuto.
La cosa gli arrivò come un fulmine a ciel sereno.
“Ma come??? L’ho fatto centinaia di volte!” disse e si disse stupito.
Per un po’ di tempo Bonecrusher covò rancore nei confronti della Istituzione, nella sua logica personale lui era la vera vittima, aveva sempre fatto il suo lavoro, e i suoi superiori erano sempre stati fieri di lui.
Poi ad un certo punto arrivò la consapevolezza.
La consapevolezza che quello che aveva fatto, reiterato negli anni, era stato comunque enormemente sbagliato.
O forse semplicemente si rese conto che stava per essere beccato anche lui insieme agli altri Sharks, e decise di parlare, spifferare, di diventare il peggior paria, un whistler-blower come Rigg.
Si recò al Gran Jury e confessò tutto quello che sapeva e che aveva visto, sempre precisando che lui faceva solo il suo lavoro. Era quello che il suo ruolo richiedeva. E ricevette l’immunità per tutti gli eventuali reati commessi in precedenza a Corcoran.
Non aveva mai sparato a nessuno dei combattenti dalla torretta, ma sapeva benissimo come funzionava e cosa succedeva, e di base non gliene fregava niente di reietti umani che venivano uccisi per sport. Anche lui aveva una seat in the car, anche lui era uno degli Sharks, quindi non era molto meno colpevole di chi premeva il grilletto.
E la giustizia non c’entra niente.
E’ tutto un mix impazzito di impunità e potere, l’eterna ed impari lotta del forte contro il debole. Il forte abusa del debole sempre e comunque, anche per futili motivi, anche per gioco.
I “Dipartimenti Correzionali” cambiano nomi e sembianze, sono luoghi sempre più sicuri, nuovi e sofisticati, sempre più all’avanguardia nelle tecniche di controllo e di contenimento, ma il giochino alla fine è sempre quello, il succo rimane sempre lo stesso dalla notte dei tempi.
La guardia è la guardia e il detenuto è il detenuto.
La guardia vince sempre e il detenuto perde sempre, a meno che il detenuto non sia Steve McQueen, Clint Eastwood o Robert Redford in un kolossal di Hollywood.
Nella quasi totalità gli Sharks vennero arrestati, e il capo Bruce Farris, il Direttore Esecutivo di Corcoran (“the car driver”) venne licenziato, onde rispuntare qualche mese dopo a capo della State Prison di Susanville, California, infatti lui era quello con gli ottimi agganci politici e istituzionali.
Nel carcere di Corcoran vi erano detenuti importanti, ad esempio Charles Manson o Juan Corona, pluri omicidi e personaggi riprovevoli assoluti, reietti umani colpevoli delle peggiori nefandezze, eppure nessuno di questi Sharks si è mai preso la briga di giocare al secondino con loro.
Per gli Sharks invece era molto più facile terrorizzare picchiare seviziare e uccidere sfigati analfabeti di quartiere colpevoli di rissa, spaccio o rapina.
Questa fu la vera infamità. Gli Sharks comodi e impuniti nella loro torretta.
Dopo tutti questi tristi accadimenti, una cosa rimane indelebilmente scolpita nella storia. Jerry Tarkanian aveva un fiuto eccezionale per i giocatori di talento, soprattutto per quelli problematici.
Come Roscoe Pondexter.
Ma purtroppo per lui e per quelli che lo hanno conosciuto con indosso una divisa da secondino, Roscoe Pondexter non rimarrà un grande giocatore di basket, ma rimarrà sempre Bonecrusher.