“Ehi Beli, cosa facciamo questa stagione?” “Quello che facciamo tutte le sere: tentare di conquistare il mondo”. Me la immagino più o meno così, nello stile degli idolissimi (infanzia triste la mia, eh?) Mignolo col Prof, una conversazione tra chicchessia e Marco Belinelli ogni anno, verso fine ottobre. A differenza di quello del Prof, però, il piano di Marco alla fine ha funzionato. Il mondo l’ha conquistato davvero. Al momento, sono in quattro gli azzurri che ogni sera progettano come conquistare l’Nba. Ma in parecchi prima di loro ci hanno provato e altri sognano di provarci.
Molti non sanno che il primo non americano a giocare tra i pro fu un italiano. Trattasi di tale Hank Biasatti. Nato a Beano, in provincia di Udine, emigrò da giovane in Canada con la famiglia e per questo prese poi la cittadinanza canadese, sparendo dai radar quando si parla di italiani in America. La sua carriera sportiva fu nel segno del baseball, che praticò anche a livello professionistico, ma nel 1946 fu invitato ad un training camp tenuto dai Toronto Huskies in preparazione per la prima stagione della Baa, la lega che sarebbe poi diventata la Nba. Biasatti giocò 6 partite con gli Huskies diventando il primo giocatore straniero nella storia della Lega. Successivamente fu chiamato dai Boston Celtics ma non vi giocò mai. Dal 1947 ritornò al baseball, fino alla fine della sua carriera professionistica.
Solo un ventennio dopo Dino Meneghin assaggiò la possibilità di sbarcare oltreoceano. Nel 1970, in tempi in cui anche solo immaginare un giocatore europeo oltreoceano era visionario quanto un tiro da tre di Marco Van Velsen, fu il primo giocatore del Vecchio Continente a entrare in un draft. E pazienza se fu scelto all’11° giro con la numero 182 degli Atlanta Hawks. Penserete: vabbè, alla 182 oggi non chiamerebbero nemmeno Marty Conlon. E invece all’epoca Dino finì comunque davanti ad un futuro All Star come Randy Smith, che lo stesso anno dovette accontentarsi della 202° scelta. Meneghin non varcò mai l’oceano, preferendo vincere tutte le coppe, gli scudetti e i trofei di briscola per i quali ha gareggiato.
Ma era stato infranto un tabù. Nel 1986, invece, grazie al pioniere Petur il Grande (…), il tabù era stato infranto e anche l’Italia sembrava pronta per avere un suo rappresentante in Nba. Gli Hawks hanno evidentemente un debole per l’Italia e alla numero 40 del draft chiamano un lungagnone che ha studiato alla Lutheran High School di Long Island: Augusto Binelli. Ora, non chiedetemi perché quell’anno sia stato scelto prima di Jeff Hornacek (alla 46) e Drazen Petrovic (alla 60), ma tant’è. Atlanta credeva in lui e voleva portarlo in America, tanto che svolse tutto il training camp fianco a fianco con Doc Rivers e Dominique Wilkins (che poi rincontrerà tempo dopo: tiro da quattro di Danilovic vi dice qualcosa?). Ma c’era un inghippo: se avesse accettato un contratto da professionista al suo ritorno in Europa sarebbe stato considerato a tutti gli effetti come uno straniero. E per un contratto annuale non ne valeva la pena, vista la scarsa considerazione per gli europei all’epoca. Gli Hawks ci riprovarono nell’estate 1988. Stesso copione.
Per vedere in tv due italiani in Nba (vabbè, commentati da Bagatta, ma mica si può avere tutto) dovemmo aspettare ancora qualche anno. È l’estate 1995, si avvia ad iniziare la seconda stagione del post-Jordan e benché l’Nba sembra aver trovato un degno reggente in Hakeem The Dream, i tifosi italiani sono ancora spaesati. Ci penseranno due ragazzoni, in un colpo solo, ad accendere l’entusiasmo: Stefano Rusconi e Vincenzo Esposito.
Rusconi viene selezionato al draft 1990 con la chiamata numero 52 dai Cleveland Cavaliers, che la girano subito ai Phoenix Suns. Stefano, però, vuole aspettare la definitiva maturazione e solo cinque anni dopo decide di sbarcare in Arizona. Con lui c’è Stefano Michelini a dargli una mano nella preparazione di un’avventura che, però, sarà praticamente anonima. Rusconi fa fatica ad ambientarsi ma è il primo italiano a mettere piede in campo in una partita Nba (Biasatti lo fece nella vecchia Baa) il 12 novembre 1995 giocando 1’ nella vittoria dei Suns sugli Warriors. Giocherà solo altre 6 partite, con un totale di 8 punti segnati (7 il suo high nella vittoria sui Vancouver Grizzlies)
Il primo ad andare a referto, invece, sarà Esposito. “El Diablo” non passa dal draft, ma viene visionato dagli emergenti Raptors in seguito alla strepitosa stagione ’94-’95 in maglia Fortitudo. Un infortunio lo frena a inizio stagione, così è costretto a rimandare al 15 novembre (3 giorni dopo Rusconi) il suo esordio. Lo fa contro i Rockets campioni in carica, mandando a bersaglio un tiro libero. In una squadra più brutta di un gancio cielo di Tony Massenburg come quella Toronto, Vincenzino fatica nei primi mesi, ma pian piano trova i suoi spazi, andando per la prima volta in doppia cifra l’8 marzo contro gli Heat (12 punti) e scatenando una vera Esposito-mania dalla Little Italy allo Stivale quando ne rifila 18 ai Knicks nella sconfitta dei suoi al Madison Square Garden.
Esposito chiude l’anno a 3,9 punti di media in meno di 10’, sembra essersi guadagnato una sua credibilità e in Italia le sue canotte replica Champion si vendono più dei Vhs di Cicciolina. Ma tanto per lui quanto per Rusconi le sirene italiane sono più forti. Così entrambi tornano in Italia dopo solo un anno, rispettivamente a Pesaro e Treviso.
Passerà un decennio prima che tocchi a Bargnani rinverdire i fasti di Esposito a Toronto. Nel frattempo, tanti abboccamenti ma nulla più negli anni nei quali esplode la moda dei giocatori europei e nei quali l’Italia sforna campioni e vince medaglie. Non ci provò mai Carlton Myers, che fu l’emblema di quella generazione di fenomeni, ci flirtò Andrea Meneghin (che fece la Summer League 2002 nello Utah in maglia Suns senza però convincere l’allora coach Mike D’Antoni) ma anche Gregor Fucka (che trattò direttamente con Clippers e Pacers nella stessa estate) e Denis Marconato (alle Summer League del 2003 con gli Washington Wizards) ma nulla più.
Prima di loro, però, ci era andato vicino Gianmarco Pozzecco, della cui esperienza americana si raccontano leggende pazzesche. Anno del Signore 2001, il Poz dopo i complimenti ricevuti da Sua Maestà il Basket Tim Duncan dopo il McDonald’s Open di due anni prima (“Quel ragazzo coi capelli rossi mi ha impressionato”, disse Duncan con espressione pozzettiana), sbarca alla Summer League. In un training che precede la stagione, il Poz ha il piacere di giocare a Chicago contro Jordan e pare sia riuscito anche a rubargli un pallone. Leggenda narra che, in realtà, la palla stesse uscendo e Jordan si fosse tuffato oltre la linea per rimetterla in campo, dove, proprio in quel momento, la ricevette il play italiano che partì in contropiede. Poco importa, per gli amanti delle statistiche, il tabellino del Poz segna 1 alla voce “stolen”, diventando l’unico italiano di sempre ad aver “rubato” palla a His Airness. Altra leggenda vuole che Il Poz si fosse lamentato vivacemente per un fallo non ravvisato. Il tecnico della panchina avversaria, gli si avvicina con presunzione e gli dice “Taci! Questa è la Nba!”. Passano pochi secondi, il Poz conquista palla, fa un arresto e tiro da 8 metri e nella palestra risuona un sibilo inconfondibile: ciuff. Il pubblico applaude la prodezza, Poz si avvicina di nuovo al tecnico e muovendo tre dita gli risponde “Ma guarda un po’, questa vale tre punti anche qui?”. Il pubblico raddoppia l’applauso e l’uomo bianco di Trieste diventa il nuovo idolo del far west americano. Pozzecco impressiona col suo basket iversoniano (se ne accorgerà Iverson stesso di lì a qualche anno…), ne mette 21 in una amichevole contro gli Spurs ma il suo caratterino non gli favorisce lo sbarco oltreoceano.
Il resto è storia recente. Andrea Bargnani nel 2006 è il primo e finora unico azzurro ad essere scelto con la numero 1 al draft e un anno dopo è il primo a giocare i playoff, uscendo al primo turno con i suoi Raptors contro i Nets. Dopo di lui Gallinari, Belinelli e Datome, ma anche Melli (che la scorsa estate ha svolto diversi workout in America). L’estate in arrivo sembra sarà quella di Alessandro Gentile, uno che di sicuro ha tra i suoi piani quello di conquistare il mondo. Ma visto che l’ha già fatto Beli, perché non puntare all’universo?
Zanus Fortes appoggia sopra la testa di Duncan. Ripeto, Zanus Fortes appoggia sopra la testa di Duncan.
E Mancinelli? 😉
Da Varesino… credo che la citazione di Marco Van Velsen sia il top!!! Grande!
la pronuncia spagnola dei nomi inglesi è sempre qualcosa di inimitabile (in negativo)