In questi giorni ognuno di voi avrà avuto la propria home page di Facebook invasa da una serie di post preconfezionati che in una scala di fastidio che va da 1 a pop-up di Livejasmin si piazzavano molto in alto. In questo post si ripercorreva il 2014 dei vari utenti in base alle foto pubblicate nel corso dell’anno, chiosando con la sentenza “è stato un anno meraviglioso” nonostante il titolare di tale profilo avesse infamato tre quarti dei santi del calendario fino al giorno prima.
Anche noi, in quanto gente che conosce bene i pop-up di Livejasmin e la seccatura che possono provocare, abbiamo deciso di renderci altrettanto fastidiosi e di ripercorrere in breve il nostro 2014 del basket. Perché un anno di basket, a prescindere da tutto il resto, non può che essere un anno meraviglioso.
E’ stato l’anno del primo cestista italiano campione NBA e di tutti noi che abbiamo fatto le ore piccole e passato le notti in bianco per seguirlo e spingerlo verso quel traguardo. Il giorno dopo al lavoro ci siamo addormentati sulla tastiera e all’esame di contabilità e bilancio non sapevamo fare neanche 4+4, però in compenso di notte abbiamo saltato nel nostro salotto fino a farci venire i crampi come LeBron in gara1 per poi commuoverci di fronte a quella bandiera italiana sul parquet della American Airlines Arena e alle lacrime del Beli. E anche un po’ davanti a una squadra che, guidata da tre vecchietti terribili, qualche giovane di bella speranza e un “panzone” (cit.) giocava come raramente avevamo visto prima. Se c’è una persona che dobbiamo ringraziare in questo 2014 è coach Popovich (assieme ad RC Buford e tutto lo staff tecnico e dirigenziale) per averci regalato questi meravigliosi San Antonio Spurs.
E’ stato l’anno del ritorno alla vittoria dell’Olimpia Milano, dopo 18 lunghe stagioni di digiuno, passando per rischi di fallimento, giocatori come Kantrall Horton e sponsor come la Pippo, partite come quella contro Imola sbagliando i liberi apposta per non retrocedere o quella dello scudetto all’instant replay di Ruben Douglas, fino ad arrivare ai soldi spesi a nastro da Armani -e si parla di cifre pari al pil del Nicaragua- senza riuscire a vincere nulla. Alla fine Milano è tornata sul tetto d’Italia e per questo deve dire grazie a Luca Banchi ma soprattutto allo stesso Giorgio Armani, a cui peraltro dovremmo dire tutti grazie, perché se ci fossero più personaggi del suo calibro disposti ad investire in questa maniera e con questa passione nel basket italiano, il nostro sarebbe un movimento sicuramente meno boccheggiante e in tutti i palazzetti ci sarebbe la stessa quantità di figa che si aggira per il Forum.
E’ stato l’anno delle Final Four di Eurolega in Italia, sorprendenti per l’epilogo finale e meravigliose per come si sono concluse. Le Final Four dei 7mila coloratissimi (e rumorosissimi) tifosi israeliani, che hanno invaso pacificamente Milano per supportare una squadra su cui nessuno avrebbe puntato un euro, quel Maccabi che ha superato in maniera incredibile il CSKA in semifinale e in maniera ancora più incredibile il Real nella finalissima, dopo che gli strafavoritissimi spagnoli avevano umiliato il Barcellona nel “Clasico” dell’altra semifinale. L’improbabile favola del folletto del destino Tyrese Rice, di un giocatore che si era già ritirato come David Blu, di parecchi ex giocatori della nostra Serie A e di un grande allenatore come Blatt, alla sua ultima impresa europea prima di volare di là ad allenare il più forte del mondo. Questa Final Four è una di quelle che vi ricorderete ancora tra parecchi anni, tanto più se eravate tra i fortunati che se la sono gustata dal vivo.
E’ stato l’anno dei Mondiali in Spagna, dove la maggior parte degli esperti dava per favorita proprio la Spagna. Una delle pochissime volte in cui gli USA, dopo aver aperto ai professionisti della NBA, arrivavano ad una manifestazione internazionale senza essere la numero 1 dei pronostici. E dove invece hanno dominato, alzando al cielo di Madrid il più meritato dei trofei davanti agli occhi di una sorprendente Serbia, mentre i padroni di casa avevano pianto tutte le loro lacrime ai quarti di finale, beffati dalla stessa Francia che li aveva giustiziati già l’anno prima agli Europei in Slovenia, senza però il condottiero Parker ma con un Boris Diaw che ha fatto vacillare l’ateismo e l’agnosticismo di tanti.
E’ stato anche l’anno del basket in tv, mai tanto quanto ne vorremmo ma comunque più di quello a cui fossimo abituati. Su Sportitalia ci siamo fatti un’overdose di basket ai Mondiali, abbiamo esultato per le imprese del Senegal, ci siamo innamorati di Jimmy Alapag e delle Filippine, abbiamo guardato con simpatia alla Corea, siamo rimasti affascinati da Messico e Repubblica Dominicana, abbiamo provato imbarazzo nel guardare l’Egitto e abbiamo smadonnato nel vedere lì Finlandia e Ucraina invece degli Azzurri, oltre a poter vedere finalmente ogni domenica sera le immagini di tutte le partite di campionato, una cosa che fin da ragazzini desideravamo al pari di un film hard con l’attrice di Xena. Abbiamo coronato il sogno di vedere una gara7 di finale scudetto su un canale generalista (superando il milione di spettatori su Rai3…) e nella nuova stagione possiamo finalmente vedere una partita in più di campionato. Su Sky possiamo gustarci la NBA con una qualità altissima, perdiamo volentieri sonno e vita sociale in quei due mesi che vanno da aprile a giugno e a Natale riusciamo a evitare il Mercante in fiera con la zia che ci spenna tutti gli anni, e adesso già pregustiamo le partite di A2 e tutti i match degli Europei maschili e femminili che arriveranno nel 2015. Su Gazzetta.it e nelle tv locali abbiamo speso un terzo della nostra busta paga tra oculisti e ottici, ma il basket è una passione e neanche i pixel grossi come un mandarino possono fermarla.
E’ stato l’anno di una della March Madness più folli di sempre, caratterizzata da ben cinque partite finite al supplementare nel solo primo turno, da finali di partita ai limiti dell’irreale come quello di VCU-Stephen F. Austin, da upset clamorosi come quelli di Mercer contro Duke, di North Dakota State su Oklahoma, di Harvard su Cincinnati, di Dayton (arrivata fino alle Elite 8!) contro Syracuse, dalla sconfitta di Wichita State che arrivava al Torneo ancora da imbattuta, cosa che non accadeva dal 1991 quando a farlo fu UNLV, e infine dalla impronosticabile finale tra Connecticut e Kentucky, seed numero 7 e numero 8 nei rispettivi tabelloni dei regional, la prima volta di sempre in cui in una finale NCAA non arrivava neanche una squadra partita con il seed 1, 2 o 3. Se tutti gli anni la March Madness fosse così, i cestofili di tutto il mondo inizierebbero a prendere con regolarità le ferie ad ogni seconda metà di marzo invece che ad agosto.
E’ stato l’anno dei primi trofei di Sassari e dello sbarco in Eurolega della sua magnifica società, la Dinamo, un incrocio tra la Zemanlandia calcistica e l’Isola che non c’è di Peter Pan. Il clamoroso secondo tempo della sfida di coppa Italia al Forum contro Milano, con relativa grandinata di triple, rimarrà uno dei momenti più incredibili di questo 2014 sia per il basket che per la Sardegna in generale. La coppa alzata due giorni dopo e la Supercoppa con cui hanno bissato qualche mese più tardi in casa sono i primi due trofei di una striscia che a Sassari si augurano possa essere molto lunga. Poi una società come questa, gestita da persone appassionate e creative, con basi solide alle spalle ed un pubblico sempre caldo e numeroso, è quel che serve per provare a rilanciare il nostro basket assieme alla solita Milano. Pazienza per questo inizio di stagione altalenante tra campionato ed Eurolega, a Sassari il 2014 se lo ricorderanno per un pezzo.
E’ stato l’anno di numerosi personaggi fuori dal campo, da Phil Jackson tornato in pista da dirigente per provare a raddrizzare le sorti dei New York Knicks (per come è la situazione attualmente, è più facile che Papa Francesco improvvisi un concerto death metal dal balcone di San Pietro), ad Ettore Messina che con gli Spurs è diventato il primo coach europeo ad allenare una squadra NBA in una partita ufficiale, a Becky Hammon che sulla stessa panchina è diventata la prima assistente allenatrice donna della Lega, a Donald Sterling che è stato costretto a vendere i suoi Los Angeles Clippers per le frasi razziste registrate e rese pubbliche dalla sua ex fidanzata, a Steve Kerr che al debutto da capo allenatore sta disintegrando tutti i record per un coach alla sua stagione d’esordio, fino ad arrivare nel nostro paese al ritorno di Pozzecco a Varese da allenatore, che ha dato delle scosse di adrenalina (talvolta pure eccessive e fuori luogo, ma nella maggior parte dei casi condivisibili e utili come l’ossigeno) al nostro basket dall’encefalogramma ridotto al minimo.
E’ stato l’anno dell’addio al basket di Federico Buffa, il cantore e aedo che per anni ci ha narrato ogni storia dei nostri idoli della NBA, facendoci pendere dalle sue labbra e facendoci pensare alcune volte, con smisurata ammirazione, “ma questa come cazzo fa a saperla?”. La separazione è stata meno traumatica del previsto, perché i suoi speciali sul calcio (straordinari quelli su Maradona e Arpad Weisz) e le storie mondiali erano di una qualità talmente alta e di una magia talmente profonda che proprio non ci si riusciva a dispiacersi di aver avuto la chance di poter vedere delle perle del genere. Però poi basta riguardare qualche video su Youtube, come i racconti su Pete Maravich o Wilt Chamberlain, o uno a caso dei numerosi stralci di telecronaca assieme al suo compare di sempre Flavio Tranquillo, per ripiombare nella nostalgia. Ci manchi Avvocato.
E’ stato l’anno, purtroppo, anche di alcune sparizioni importanti, come ormai siamo abituati da tempo. In Serie A sono venute a mancare Montegranaro e la Mens Sana Siena, che si è congedata dalla massima serie giocando dei playoff commoventi, già sapendo di essere destinati alla retrocessione d’ufficio, e nonostante questo è andata a un passo dal conquistare l’ennesimo scudetto consecutivo, il più incredibile ed inaspettato di tutti, se solo Curtis Jerrells non si fosse messo di mezzo. Ma oltre a Montegranaro e Siena sono sparite tante altre società, alcune a stagione in corso come Lucca nella scorsa Silver e come Forlì (E Veroli? E Napoli?) rischia di fare nella Gold attuale. Fortunatamente abbiamo ritrovato squadre come Treviso, risalita in A2 a macinare affluenze da record, ma in tutta Italia sono tantissime le squadre che hanno chiuso baracca e burattini, dal maschile fino al femminile, come le storiche Priolo e Udine. Queste sono cose del 2014 che ci piacerebbe dimenticare, ma che invece dobbiamo tenere a mente perché non accadano più.
E’ stato l’anno della commozione in NBA, partendo dall’elezione di Durant come mvp della Lega e del suo commovente discorso al momento della premiazione, che ci ha fatto piangere come non piangevamo dall’ultima volta che abbiamo visto la morte della mamma di Bambi in videocassetta a 10 anni, passando per il ritorno di LeBron nella “sua” Cleveland, prima tradita quattro anni fa (i tifosi non la presero per nulla bene) e ora riabbracciata la scorsa estate, con tanto di discorso da padre della patria e accoglienza da figliol prodigo dei suoi ex supporters, per poi finire coi numerosi ritiri eccellenti, in campo e non solo (David Stern e Dick Bavetta vi dicono qualcosa?).
E’ stato l’anno di un esperimento particolare e perfettamente riuscito del basket italiano, quello delle finali di Coppa Italia di LNP organizzate in contemporanea non in un comune palazzetto, ma nel mezzo della fiera di Rimini, tra attività collaterali, stand, giochi, tornei di 3vs3, degustazioni di cibi di varie parti d’italia, concerti hip hop, l’All Star Game femminile e chi più ne ha più ne metta. Una manifestazione innovativa ma organizzata alla grande, a cui hanno assistito migliaia di persone che potevano passare da un campo all’altro nelle due arene montate da zero nel polo fieristico, e che ha visto Biella, Latina e la Luiss Roma alzare i rispettivi tornei, ma la LNP vincere il premio più importante, ovvero quello di dimostrare che si può organizzare qualcosa di apprezzabile e di fresco anche in un panorama vecchio, polveroso e povero di idee brillanti come quello del nostro basket. Che non gode “di ottima salute” come afferma qualcuno, ma che comunque ha qualche piccola eccellenza di cui andare fieri.
E’ stato però anche l’anno del Teddy Bear Toss, e questa è una delle memorie più fresche e che ci farebbe più piacere ricordare. Noi abbiamo semplicemente fatto rotolare una palla di neve giù dal fianco della montagna e grazie a voi -tifosi, appassionati, giocatori, società, addetti ai lavori- questa palla di neve è potuta diventare sempre più grossa fino a diventare una valanga di solidarietà che ha travolto tutto il paese e tutto il basket italiano. Spesso lo sport ci mostra brutte immagini e ci racconta pessime storie, ma tutti assieme abbiamo dimostrato che in realtà si può anche fare del gran bene. Con un piccolo sforzo ognuno di noi ha contribuito a migliorare il Natale di tanti bambini malati che non avrebbero avuto una festa degna di questo nome.
Alla fine ci piace quindi pensare che sì, come dicono quei fastidiosi post di Facebook, sia stato un anno degno di essere ricordato. Come ogni anno dal 1891, quando James Naismith ha deciso di migliorare la sua e le nostre vite inventando la pallacanestro.
Allora adesso possiamo dirlo.
“E’ stato un anno meraviglioso! Grazie di aver contribuito a renderlo tale.”
Lo ricorderei anche come l'anno della vittoria dell'Eurochallenge della Pallacanestro Reggiana.