Inutile darli per morti anche quando hanno perso sei partite di seguito, perché son capaci di imprese come quelle di ieri sera. Guai a trovarli sulla propria strada nelle partite decisive, perché le facce spensierate della mina vagante e l’animo vincente costruito nelle minors l’hanno conservato anche in campo internazionale e sono un mix letale, che chi c’era ha trasmesso anche ai nuovi arrivati. Così adesso anche l’Europa, che fino allo scorso anno guardavano in tv, li ha imparati a conoscere e rispettare, come loro rispettano ogni loro avversario, ma intanto lo eliminano e sono in semifinale di Eurocup. Dopo il +10 dell’andata, Trento ha compiuto e completato l’impresa andando ad espugnare anche il Mediolanum Forum.
Ma forse non tutti sanno che questo guanto di sfida, queste facce rispettose ma convinte, questo voler andare sempre in fondo, questa consapevolezza di volerci provare ogni volta di più nasce da lontano, da due campionati vinti in quattro anni, da un playoff di Serie A centrato al primo turno con annessa qualificazione europea, ma anche e soprattutto ….da una retrocessione!…
E’ la stagione 2010-2011, Trento è in Serie A dilettanti, all’epoca il terzo campionato nazionale, e disputa una buona stagione, condita da una finale di Coppa Italia persa contro una giovanissima Virtus Siena, ma deve fare i conti con una formula tagliente come una ghigliottina: ai playoff vanno in quattro per girone, quinta e sesta si salvano, dalla settima alla decima fanno i playout, dall’undicesima in poi, neanche a dirlo, si scende dritti in Serie B. La seconda parte di campionato, però, non è buona come l’inizio, Trento chiude settima (ma a sei punti dalla seconda), ad un tiro libero o un fallo dal quinto posto “che avrebbe cambiato mille valutazioni in realtà”, dirà il coach, (sconfitta di uno a Treviglio alla penultima) che sarebbe significato salvezza diretta, ed è costretta ad una serie playout senza ritorno contro Latina, decima nel girone sud. Ma già la prima delle due sfide ha poca storia a favore dei pontini (60-74) che poi bissano di misura (72-70) ed ottengono la salvezza, a discapito della Bitumcalor che ha già come presidente Luigi Longhi, come GM ha Salvatore Trainotti, in panchina Maurizio Buscaglia e come playmaker, da metà campionato in poi, un giocatore che ha preso il posto di Simone Ferrarese, che, approdato poi a Latina, ha da poco consumato la più classica vendetta dell’ex: l’attuale capitano Toto Forray. Gli stessi che, a meno di cinque anni di distanza, hanno appena conquistato una semifinale di Eurocup. Così, nonostante una stagione da 22 vittorie e 12 sconfitte, i bianconeri retrocedono, “ma non se ricorderà subito più nessuno, ed è già un segnale positivo”, aggiunge il team manager Michael Robinson, ma quel campionato di B non lo giocheranno mai, perché evidentemente un’organizzazione societaria già solida economicamente ed all’avanguardia, oltre che una stagione comunque largamente positiva e non inficiabile da sole due sconfitte seppur decisive, spingono la Federazione a concedere alla società una delle quattro wild card (insieme a Bari, Napoli e Firenze…. tutte poi scomparse) in vista del nuovo ed avveniristico campionato di DNA a 32 squadre e 4 conference della stagione successiva.
Seguono giorni di silenzio e riflessioni, senza valutazioni affrettate o a caldo, al termine dei quali, nonostante qualcuno probabilmente incapace di un’analisi profonda di quanto il campo ed il lavoro quotidiano avessero espresso, storca il naso, la società prosegue compatta e sceglie di confermare, nonostante la retrocessione, coach Buscaglia, “Confermare lo stesso allenatore e lo stesso gruppo di ragazzi è stato un segnale molto importante e concreto anche all’esterno, di come il progetto non fosse casuale, e noi ci fidassimo di quello senza essere per forza schiavi del risultato” conferma il team manager Michael Robinson, altro punto cardine e di continuità di un progetto pluriennale.
Il trainer bianconero è convinto e più che motivato a ricominciare, in più porta con sé la prima di una lunga serie di ottime intuizioni, portare a Trento Davide Pascolo, “un giocatore che non era considerato da nessuno”, aggiunge Trainotti. “Al di là dell’esito finale, fu l’inizio del percorso che avremmo voluto fare, grazie ad un’organizzazione già molto avanzata ed alla consapevolezza che stessimo inserendo molti tasselli al punto giusto – esordisce il coach dell’anno del 2015- acquisendo quella serenità d’analisi, anche quando avevamo perso più di qualche partita, nel capire cosa avessimo fatto di positivo e la bravura, la forza e la capacità del club di voler andare avanti in vista del bel campionato che sarebbe seguito”.
La stagione inizia non per forza con l’idea di dover lottare per un campionato di vertice, “ma la testa è già di quelle forti, pronta per far bene e risolvere i problemi e non crearli, attraverso la crescita tecnica e mentale di società e squadre”, aggiunge il coach che era già stato a Trento fino al 2007 centrando la promozione in B2, ma sempre all’insegna di quella continuità che sarà il leit motiv del ciclo di cui ora tutti parlano: pochi giocatori esperti che favoriscano ed accompagnino la crescita dei giovani. Secondo le nuove regole ci vorrebbero cinque under, ma Trento ne porta a referto già sei, tra questi, oltre a Dada, anche Matteo Negri, Simone Fiorito e Marco Spanghero, insieme all’esperienza di Marco Pazzi, Walter Santarossa e Luca Conte, sempre pronti a dire (e fare) la cosa giusta al momento giusto, oltre, ovviamente, al capitano in cabina di regia.
Nonostante un campionato d’avanguardia (secondo posto con 46 punti alle spalle di Trieste nella divisione Nord Est), il pubblico, però, resta tiepidino e tende ad infiammarsi solo per la squadra di pallavolo maschile, che va in finale scudetto un anno si e l’altro pure e nel frattempo ha già vinto anche Coppa Europea e Mondiale per Club, e poi Omegna (30 vinte e 4 perse) e Napoli (27/7) paiono realmente le favorite designate di questo campionato. Ma la Paffoni, pagando la lunga sosta dovuta alla qualificazione già in semifinale, viene spazzata via in due gare da Ferentino (una delle tre promosse) e Napoli deve fare i conti proprio con una Bitumcalor già rodata dalle due difficili gare del primo turno vinte contro Casalpusterlengo.
La gara 1 del PalaBarbuto è quella unanimemente indicata come la svolta stagionale un po’ da tutti, ma per la verità non inizia assolutamente nel migliore dei modi. Trento va sotto 21-4, ma ha la forza di rientrare già prima dell’intervallo, chiuso a -7. “Le facce lasciavano chiaramente intendere che quella partita l’avremmo vinta noi”, racconta, ancora adesso, il coach della Dolomiti Energia, che si rivelerà, infatti, ottimo profeta: la sua truppa sbanca il PalaBarbuto 70-65, inizia a guadagnarsi rispetto, ed ha in casa il match-point per l’accesso alla finale.
E’ il primo step, la prima bandierina da impiantare nella giovane storia bianconera, oltre che la partita che cambia il volto alla stagione e dà consapevolezza ad una squadra ora conscia delle sue possibilità, rafforzata nell’animo e nel carattere da un’impresa su un campo che fino a qualche stagione prima profumava di Eurolega. Tanto che anche il secondo atto è senza storia: 87-61 per Forray e compagni, che volano in finale a sfidare la sorprendente Chieti di Domenico Sorgentone.
Nel frattempo il PalaTrento inizia a scaldarsi anche senza il bisogno di una rete in mezzo al campo.
Come spesso succede quando ci sono le prime due partite della serie da giocare in casa e la prima è a senso unico (85-60), la seconda può diventare la classica buccia di banana sulla quale scivolare, ma Trento si impone soffrendo, 66-64, e viaggia alla volta dell’Abruzzo con due chance per volare in A2.
L’equilibrio regna sovrano già nel primo dei due atti, con le squadre che arrivano appaiate in perfetta parità all’ultimo minuto, dopo che gli ospiti hanno condotto con margini in doppia cifra fino a cinque minuti dal termine.
A 5’’ dal termine, come il video testimonia, Rossi segna il tap-in che opera il sorpasso, mentre dalla panchina chiamano un timeout di cui si accorgono solo gli ufficiali di campo e gli arbitri, ma non i giocatori, per il grande trambusto sul parquet, tanto che Luca Conte si inventa da otto metri quella che sarebbe la bomba della Serie A, giustamente annullata per la precedente richiesta di sospensione della stessa panchina trentina: 1-2, si torna in campo dopo due giorni, con l’aiuto dell’esperienza fondamentale dei suoi senatori.
Stavolta la Bitumcalor non si scompone, e sul +1 a meno di trenta secondi dalla fine, ci pensa Marco Pazzi, con un gioco da tre punti, a scatenare la festa di una società passata dall’Inferno al Paradiso in meno di dodici mesi. Il +33 dell’andata con Ferentino, tra l’altro, mette già al sicuro anche il simbolico titolo di Campione d’Italia dilettanti.
Neanche il primo anno di A2 scalfisce più di tanto le preoccupazioni del management e dello staff bianconero (“se non gioca il campionato superiore chi l’ha vinto sul campo, chi dovrebbe farlo?”, ripete con convinzione Buscaglia), che aggiunge due stranieri dai profili conosciuti, europeizzati ed esperti, ricercati con estrema attenzione come Michael Umeh e Bj Elder, quest’ultimo già forte di una lunga esperienza italiana con la maglia di Biella, un biglietto da visita in termini di credibilità e struttura societaria da poter mostrare con sicurezza anche in futuro.
Così, in mezzo alla stagione, nonostante una striscia di 6 sconfitte consecutive – la più lunga insieme a quella attuale in campionato – a rafforzare ulteriormente le certezze di un gruppo che si fa sempre più solido e granitico, arriva la vittoria nell’ultima Coppa Italia di categoria col vecchio format, quello del round robin andato in pensione prima della “riforma riminese” delle prime classificate alla fine del girone d’andata, basato sul classico sistema della qualificazione. “Del resto abbiamo sempre valutato prima dei risultati come stessimo giocando, e lavorando in settimana, consapevoli però della necessità di dover fare ancora un passo in avanti in più”, ricorda Buscaglia, a proposito del momentaneo mese e mezzo trascorso senza vittorie.
Trento elimina prima la Biancoblu Bologna e poi Barcellona, di cui sarà la clamorosa bestia nera in stagione, vincendo tutte e quattro le gare di andata e ritorno, si qualifica per la Final Four che decide di ospitare in casa, “un altro passo in avanti decisivo per la crescita dell’organizzazione societaria”:
Dopo Casale (96-85) in semifinale, la Bitumcalor batte anche Pistoia, poi promossa (c’è ancora qualcuno che crede che vincere la Coppa Italia porti bene?) con 17 punti di Davide Pascolo e si aggiudica l’edizione 2013 della Coppa Italia di Legadue
La volata playoff, però, è ricca di ostacoli, ma la famosa corazza permeata ormai sotto la pelle che la squadra si è costruita, le permette di tirare la migliore delle volate ciclistiche. “Tra tutte le combinazioni possibili tra il settimo ed il decimo posto, ce ne eravamo dimenticata una e cioè che vincendone tre saremmo stati sicuramente ottavi”, sorride ancora oggi il coach quarantasettenne. Detto, fatto: con tre vittorie “toniche” sempre secondo il suo coach, nelle ultime quattro gare Trento centra l’ottavo posto in extremis che vale l’abbinamento al primo turno con quella Barcellona di Callahan, Hardy, Cittadini, Thomas e dello “Sceriffo” Perdichizzi, battuta già due volte in Coppa Italia e forte di un campo quasi inespugnabile come il fortino del PalAlberti.
Gara 1? Un massacro, neanche a dirlo: trascinata da 25 punti di Luca Garri Trento fa l’impresa e si impone addirittura 106-84…
La seconda è, come prevedibile, d’andamento opposto rispetto alla prima, ma non impedisce a Trento di concedere un clamoroso bis, stavolta dopo un supplementare, e tornare dalla Sicilia con un 2-0 che neanche il più ottimista dei tifosi avrebbe mai sognato.
“Un campo apparentemente impossibile da sbancare, sul quale abbiamo giocato due partite di incredibile tecnica e solidità, che, al di là del passaggio del turno – ricorda il GM bianconero – ci hanno fatto crescere l’istinto della vittoria e dato l’esperienza e la convinzione che abbiamo conservato anche in futuro di poter andare a vincere altrove, noncuranti di arbitri ed avversari”.
Presa per mano, stavolta, dai suoi due americani (45 punti in coppia), ben supportati da Pascolo e Garri, la Bitumcalor torna autoritaria e con un perentorio 88-73 sul parquet del PalaTrento spezza definitivamente i sogni di gloria (e gli ingenti investimenti) del patron Bonina, volando in una semifinale contro Brescia che si imporrà per 3-1, ma senza nulla togliere e cancellare alla meravigliosa stagione della matricola trentina.
Fatte le prove generali e prese le misure alla categoria, c’è qualche cambio solo per ovvie esigenze tecniche e nello specifico di ringiovanimento della squadra: arriva Brandon Triche da Syracuse, profilo diverso dai precedenti ma reduce da una Final Four NCAA e dall’aver sfiorato una chiamata al draft, al posto di Umeh, ad esempio, ma i soliti noti restano tutti al loro posto. La conquista della post-season stavolta è d’obbligo in una stagione trascorsa tutta davanti e chiusa col primo posto in stagione regolare, dopo aver perso la Finale di Coppa Italia a Rimini contro Biella: scoprendo come finirà l’annata capirete perché anche a coach Buscaglia piacciano tanto i corsi e ricorsi e la Coppa continui a non portare così bene..
Ma il gruppo adesso è solido e reso più esperto dalla stagione del matricolato chiusa con un’inaspettata semifinale ed anche qui, quando servono le sfide decisive per definire la posizione in griglia, nessuno fallisce l’appuntamento: “Sapevamo che ci sarebbero servite 2-3 vittorie per essere sicuri del primo posto per avere sempre il fattore campo, e siamo stati solidissimi ed impeccabili”, conferma Buscaglia, fino a quella famosa “partita di Trapani” al penultimo turno che Trento vince 81-79 in trasferta, prima di chiudere bene in casa contro Biella, ma perdendo di fatto BJ Elder.
Il primo turno contro Agrigento è un 3-0 meno comodo di quanto sembri, con una gara 2 insidiosa e temibile in casa (69-61) quando hai vinto facilmente la prima, che si rivelerà decisiva ed importante per un prosieguo che non sarà senza difficoltà, visto che in gara 1 di semifinale la favoritissima Manital Torino spazza via Trento sul suo parquet 60-42.
Se un po’ abbiamo imparato a conoscere il carattere dei protagonisti di questa storia, però, non possiamo non attenderci reazioni e allora l’1-1 è subito servito, ma nel primo atto del Ruffini Torino mantiene saldamente il fattore campo.
Spalle al muro ed a 40’ dal vedere crollare così prematuramente tutti i suoi sogni, una volta di più Trento tiene fede alla sua incrollabile solidità, espugnando il Ruffini 85-82 con le triple di Baldi e Spanghero, prima della preghiera di Mancinelli infrantasi sul ferro: 2-2, per decidere chi andrà in finale a sfidare Capo d’Orlando servirà la finalissima. “Sapevamo che, pur senza un americano, avevamo una grande occasione e non potevamo non sfruttarla – riprende l’ex tecnico di Perugia – e da questo punto di vista il finale punto a punto di gara 4, spalle al muro e senza alternative, è stato un altro evento di grande importanza psicologica in vista, poi, della decisiva gara 5”.
Ma evidentemente ai nostri eroi le cose facili non sono mai piaciute, perché il cronometro recita meno di nove minuti alla fine della gara e Torino, avanti di 15, sembra, attenzione, sembra, ad un passo dalla finale…
Con il suo grande cuore e l’enorme forza delle sue motivazioni, leggasi rivalsa di Baldi Rossi, non confermato proprio da Torino dopo la promozione, ma soprattutto dei suoi italiani, quelli da sempre bistrattati e ritenuti probabilmente incapaci di poter reggere il livello superiore, Trento vola in finale, come ogni volta, già al suo secondo anno.
“I quaranta minuti contro Torino sono stati bestiali, ma continuo a credere che ci sia sempre servita molto l’esperienza dei playoff degli anni passati – spiega Buscaglia – nell’acquisire una calma dura, una tranquilla serenità nell’affrontare le situazioni più difficili”.
In finale, invece, si soffre poco, Trento vola in Sicilia sulle ali del 2-0 costruito sul parquet amico e nell’ultimo capitolo della saga ci pensa Brandon Triche, con 43 punti: Trento è in Serie A!!!
Il resto è storia quasi recente, dopo un anno e mezzo di Serie A che ha confermato, casomai ce ne fosse ancora bisogno, la grande coerenza d’idee e delle linee guida che Trento si è data, per nulla spaventata dall’altro grande passo da compiere: l’approccio alla massima serie.
“I due anni a contatto con gli americani avevano dimostrato all’esterno che fossimo comunque in grado di prenderli, rookie o veterani dell’Europa che fossero – racconta Trainotti – avendo sempre cercato di dare grande attenzione allo scouting, grazie anche a Jared Ralsky, teoricamente mio assistente, ma di fatto un vero e proprio direttore sportivo che negli ultimi anni aveva lavorato prima a New Orleans e poi a San Antonio”.
Michael Robinson, per le origini e per il ruolo rivestito, è allora il primo contatto con loro, dalla firma del contratto fino al loro arrivo: “Con gli arrivi di Umeh, Elder e Triche abbiamo sviluppato un’esperienza utile e di grande collaborazione biunivoca anche con la città, soprattutto per le faccende burocratiche: alcune dinamiche le ho fatte scoprire io alla questura, che non le aveva vissute neanche con la squadra di pallavolo, ed è stato un momento di crescita soprattutto per la città”.
Che, non troppo grande né abituata a questi personaggi “nuovi” era tutta da scoprire per i diversi profili americani appena giunti: “Triche, ad esempio, non era mai uscito dalla città ed allora in certi casi ci passi insieme quotidianamente 2-3 mesi, che li aiutino nelle faccende più usuali come andare a mangiare, guidare o andare dal barbiere – riprende Robinson – oltre che metterli a contatto con gli sponsor, le associazioni ed i tifosi, che sono tutti contenti di vederli”.
Ma, prima di ogni altro aspetto, la loro scelta deve rispondere sempre al criterio principale: aiutare i giocatori italiani nel loro percorso di crescita, che in qualche caso assomiglia tanto alla definitiva esplosione.
“Volevamo mantenere l’anima italiana e proteggerla nel loro primo anno di Serie A, sapendo che potessero essere giocatori competitivi e protagonisti fin da subito anche a questi livelli, ma con grande sicurezza e fiducia in quello che avrebbero potuto fare ma sulla sica di quanto già dimostrato– rispondono in coro coach e GM – cercando quelli che fossero compatibili col nostro sistema tecnico, che ci sembrava giusto ripresentare anche ad un livello più alto vista l’efficacia dei risultati, per valorizzarlo e farlo crescere ulteriormente”. Il sistema di Buscaglia prima di tutto, quindi, e non potrebbe essere altrimenti visti i risultati ottenuti con successo ad ogni livello: “E’ stato sempre molto bravo ad adattarsi alla categoria successiva senza mai alcun tipo di scorciatoie – spiega il GM trentino – continuando ad oliare il suo meccanismo, lo stesso anche di quando abbiamo perso nella vecchia DNA, senza mai pensare che servisse cambiare qualcosa per il semplice fatto di aver raggiunto un livello superiore: è stato questo il suo più grande merito, oltre a quello di aver gestito personalità importanti come Mitchell e Wright, qualcosa che nella quotidianità non è mai facile come può sembrare invece in apparenza”.
Arrivano americani dai profili “precisi”, come Sanders, Mitchell e Owens, secondo un concetto da subito molto chiaro di quello che dovrà essere anche il loro ruolo fuori dal parquet: “Abbiamo subito puntato sul valore del contatto con la realtà e del radicamento sul territorio, spingendoli a non giocare solo per lo stipendio, la carriera e le loro ambizioni – argomenta ancora Trainotti – ma anche per la motivazione di radicarsi ed inserirsi nella città, aiutando se stessi e gli altri. Ci sono 15 associazioni sul territorio che legano giocatori, società e scuole su tutta la regione, attraverso anche una serie di iniziative legate al no-profit”, così, ad un giovane studente, può anche capitare all’improvviso di trascorrere un’assemblea d’istituto con Forray o Michael Umeh, parlando, rigorosamente in spagnolo o americano, di argomenti all’ordine del giorno: un modo per presentarsi in maniera diversa e raccontare la propria storia.
O di trascorrere la festa del minibasket insieme a Tony Mitchell, nonostante sia sabato e subito dopo ci sia l’allenamento in vista di una partita molto importante, e gli altri giocatori, una volta ospiti delle associazioni collegate, chiedono di tornare o lo fanno in maniera del tutto autonoma. Il radicamento sul territorio ed il renderli parte della comunità prima di tutto, insomma, anche per sopperire all’assenza di una comunità americana vera e propria.
Ma, ovviamente, restano anche gli italiani ed accanto agli Spanghero e Pascolo, c’è Baldi Rossi, ma soprattutto arriva Diego Flaccadori, in un primo momento destinato a Varese.
“E’ un ragazzo dotato di grande cultura del lavoro, promettente ma senza che queste qualità l’abbiano mai distolto dal lavorare seriamente anche con i nostri assistenti, con i quali condivide grande propensione all’allenamento. Crediamo sia stato ulteriormente aiutato dall’entrare in uno spogliatoio come il nostro dove avrebbe potuto imparare tanto dai compagni più esperti – lo descrivono Robinson e Trainotti – a patto di avere personalità, altrimenti è difficile “arrivare”. Speriamo che possa crescere con noi ed arrivare al massimo livello possibile, molto dipende da quanto vorrà lavorare sui dettagli”.
Ed il playmaker titolare resta “Toto” Forray: “Ogni volta che mi sono presentato in sala stampa per annunciare il rinnovo contrattuale di Forray per la stagione successiva, qualcuno è sempre stato scettico – sorride Trainotti – ma l’etica del lavoro, il sacrificio e le ambizioni hanno dimostrato che davvero ogni anno si può crescere e migliorare, ed arrivare anche in Serie A, facendo della coesistenza col suo pariruolo sempre un grande stimolo e punto di forza”. Ieri Spanghero, oggi Peppe Poeta, un altro campano anni dopo Vincenzino Esposito, coach nel primo anno di A dilettanti, che a dispetto di qualche parcheggio un po’ fuori le righe, un clima a volte rigido più per il severo rispetto delle regole che per il freddo, è entrato di fatto nel cuore dei trentini, col solito sorriso anche qualcuno gli ha rovinato il naso
“Non solo una scelta di riconoscenza, ma anche e soprattutto tecnica”, aggiunge Robinson a proposito di Forray, un professionista che ha messo l’interesse della squadra sempre davanti a quello personale, felice di condividere la responsabilità della cabina di regia ed essere l’altra metà del ruolo del suo sparring partner.
“Cambiare categoria è durissima, perché i parametri sono diversi, ma noi abbiamo sempre seguito l’esperienza vissuta sul campo e l’aver imparato a vincere negli anni precedenti, anche dalla C in poi, ci ha aiutato tantissimo nel primo anno di serie A – riprende Buscaglia, uno che i campionati li ha vinti tutti, uno alla volta– perché l’avvicinamento e la preparazione ad una vittoria sono sempre le stesse e ci hanno aiutato a saper giocare e vincere anche in Serie A su campi difficili, con un altro livello di clima, atmosfera e giocatori, che siamo sempre stati capaci, però, di interpretare benissimo”.
Ed è così che, dopo un girone d’andata con bilancio positivo (9-7) Trento si qualifica già al primo tentativo per la Final Eight di Coppa Italia, ma viene eliminata da Reggio Emilia 80-77 e si rituffa nella volata playoff.
Corsi e ricorsi, perché la Dolomiti Energia non si accontenta e sa che arrivare quarta significherebbe la certezza dell’Europa, “qualcosa cui fino ad un paio di mesi prima neanche pensavamo”, ricorda Trainotti.
“E’ stata una volata a pugni stretti, memori del finale di campionato di A2 in cui volevamo arrivare primi, una mentalità che i confermati già avevano – spiega Buscaglia – e sono stati capaci di trasmettere agli altri. Volevamo quel “qualcosa in più” che sarebbe significato Europa a prescindere dalla posizione, un risultato impensabile per una squadra fino all’anno precedente in A2”.
Sassari schiantata in casa (104-82) e il colpo di Roma (68-75) valgono proprio il quarto posto e l’abbinamento con la Dinamo poi scudettata, che però prima cede gara 1 (81-70) e poi allunga solo nel finale della seconda, per incanalare la serie sui giusti binari.
“Non abbiamo mai avuto la forza mentale necessaria in tutta la serie per battere Sassari, ma se avessimo segnato il canestro del +3 in gara 2 davvero il discorso sarebbe potuto essere diverso”, ricorda con sincerità il coach della Dolomiti, che uscirà a testa altissima in gara 4 (84-80) sul parquet del PalaSerradimigni.
I cambi sono pochi ed in corso d’opera si aggiunge Bergreen ma solo per sopperire agli infortuni : “abbiamo cambiato storicamente sempre molto poco a stagione in corso, appena due-tre volte in sei anni per ovviare a dei contrattempi successi”, conferma Buscaglia, a testimonianza dell’armonia e delle ottimali condizioni di lavoro che, al contrario, alcune superstar- basti vedere ai successivi problemi di Triche e Mitchell – non hanno poi ritrovato nelle successive esperienze italiane.
Arrivano, tra gli altri, Julian Wright, oltre duecento partite in NBA, e, come detto, Peppe Poeta, mentre gli altri, col duro lavoro quotidiano e la voglia di aggiungere un altro step alla propria carriera, si cimentano per la prima volta anche in Europa, un’esperienza che tutti giudicano impareggiabile in termini di crescita e sviluppo, anche a costo di perdere qualche partita in più, tra questi Luca Lechtaler, rilanciatosi nuovamente nella seconda esperienza a Trento decisivo nel ritorno di Eurocup a Milano e, ovviamente, Davide Pascolo, che ha fatto ormai fatto di Trento la sua seconda casa, adottato, i primi tempi – si trattava della sua prima esperienza fuori di casa – dal suo compagno Luca Conte “Qualcuno nutriva dubbi anche già sulla sola possibilità che facesse sport, ma la sua grande attitudine al lavoro confermata tutt’ora gli ha permesso di raggiungere questi livelli”, svela il suo team manager, nonostante un approccio sempre “last-minute” per ogni appuntamento, “ma quando è in palestra bisogna cacciarlo, perché ogni qualvolta il campo sia libero è un’occasione buona per allenarsi, anche in trasferta il giorno della gara, e stare a provare allo sfinimento quei tiri che prenderebbe poi in partita”. Nonostante una meccanica non impeccabile di cui lui stesso, però, è assolutamente consapevole
Dopo aver centrato la Final Eight di Coppa Italia ed aver vinto con Pistoia al primo turno migliorando il risultato precedente, Trento viene eliminata solo in semifinale dai liberi di Cervi a pochi secondi dal termine, ma ora fa i conti con un’altra volata playoff e convive con una striscia di sei sconfitte consecutive – eguagliata la più lunga della storia recente – in campionato, senza perdere la fiducia e porsi il problema di dover scegliere tra una competizione e l’altra: “Alcune squadre dopo l’eliminazione dalla Coppa hanno avuto un percorso diverso, ma non esiste proprio “scegliere” – risponde Buscaglia – perché le partite ravvicinate avranno sì cambiato il nostro modo di organizzare la settimana, vivere e mangiare, ma l’Europa ci sta dando uno spessore, una dimensione ed un’esperienza in più che ci saranno più utili in avanti, anche se adesso stiamo indubbiamente pagando qualcosa”. In perfetta sintonia, e non c’è da meravigliarsene, anche Trainotti, che “rincara” la dose: “Il doppio impegno è pesante, ma le vittorie l’hanno resa una favola, permettendo al club ed alla squadra stessa di crescere ed organizzarsi, allenandosi poco, ma giocando tanto contro squadre di altissimo livello, accrescendone la qualità tra una partita e l’altra”, anche a costo di qualche infortunio e/o sconfitta, che non cambia di una virgola il pensiero del management bianconero:” Qualcosa nell’ultimo mese si è pagata, ma nel medio-lungo periodo non condivido la scelta di una competizione piuttosto che l’altra, perché cresci e migliori e mal che vada i risultati si vedranno l’anno dopo”. Del resto quella contro Milano è stata la partita numero 44 in cinque mesi e mezzo, ma anche l’analisi tecnica non si sposta mai su dei fattori esterni ed avulsi dal proprio lavoro: “non siamo stati noi in grado di vincere un paio di partite in più che ci avrebbero dato una posizione di classifica sicuramente diversa– riprende il coach – ma lotteremo fino in fondo forti delle mille esperienze diverse che stiamo affrontando, dovendo sfruttare ogni momento di una competizione incredibile e dall’impatto clamoroso”, che l’ha vista battere già due volte Milano, a partire dall’andata, che l’EA7 aveva dato più volte di poter ribaltare a proprio piacimento da un momento all’altro, ma che alla fine, hanno vinto i soliti noti.
20 di Peppe Poeta e 19 di Pascolo, “quello un po’ sgraziato che non avrebbe dovuto giocare neanche in A2”, e che invece, un giorno alla volta, ha saputo crearsi una dimensione anche a livello europeo, impreziosita dall’impresa completata al Forum ed in attesa di una semifinale difficilmente pronosticabile, ma mai frutto del caso e dell’improvvisazione, per chi continua a studiare, chiedere ed osservare, non dimenticando mai le origini di una carriera partita dal basso e costruita un gradino alla volta, vincendo, “senza mai, neanche da assistente, il profumo della Serie A”: Quel block notes su cui ho sempre appuntato e scritto tutto quello che ero solito chiedere per soddisfare le mie curiosità ora è diventato alto sei metri”; scherza Buscaglia, che auspica e chiede un ulteriore sforzo al gruppo, per raggiungere anche i playoff: “dobbiamo essere sempre pronti a giocare tutte le partite, scovando in quel bagaglio che ci siamo costruiti anche a livelli più bassi perché il clima delle partite importanti resta simile;” facendo sempre dell’ “una alla volta” il motto principale.
Così, senza guardare il tabellone, “ma con una partita di grande intelligenza”, Trento ha sbancato anche il Forum nonostante il prematuro quarto fallo di Julian Wright, egregiamente sostituito da Luca Lechtaler, l’interprete di un concetto espresso dal “Vate” Bianchini nel dopo-gara a proposito di una squadra in cui “la differenza tra italiani ed americani neanche si nota”.
Ma, mentre nello spogliatoio impazza giustamente la festa ed a guidarla è il più piccolo di tutti, i più esperti guardano già avanti, alla partita di sabato contro Sassari, decisiva per riprendere la corsa playoff anche in campionato.
Del resto Trento non ha mai voluto scegliere, ed ora è pronta a scrivere la sua pagina più bella con due gradini ancora da scalare. Ma sempre con la stessa voglia di vincere di quando è partita da lontano.
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