leggi i precedenti episodi di American Portraits
Ciao a tutti, ragazzi. Sono tornato!
Innanzitutto vi devo delle enormi scuse… lo ammetto, sono sparito. L’ultimo articolo risale al 29 dicembre, e mentre vi scrivo siamo al 20 febbraio. Cavolo, quasi due mesi senza aggiornarvi: non si fa. Il problema è che questi due mesi per me è come se fossero stati 6; il tempo qua a New York va molto più veloce e tutto quello che si muove, si muove ad una velocità allucinante; per questo io chiamo questa città “frullatore”, perchè alla fine, se non stai attento, se non ti difendi, finisci tritato.
E io rischio fortemente di diventare una tartare di fotografo, o presunto tale.
Non sono stato bene in questo ultimo periodo, la negatività ha pesantemente preso il sopravvento: mi sarò messo almeno 10 volte giù per bene sulla mia piccola scrivania nella mia piccola cameretta, pronto per scrivere un articolo e raccontarvi quello che succede… ma alla fine non ci riuscivo mai, e per un motivo molto semplice. Avrei scritto solo cose brutte. E non volevo che questo piccolo diario diventasse il cesso dove rovesciare tutta la mia merda (vi piace, detta così in francese?).
Sono profondamente convinto dell’idea che raccontare la sofferenza sia molto più effettivo che raccontare le cose belle, e mi fa realmente piacere condividere con voi questo percorso lancinante che sto facendo, perchè spero che ci sia qualcuno tra voi che leggete, anche solo uno eh, che capisca che se si vuole arrivare da qualche parte bisogna spaccarsi il culo, bisogna soffrire, sbattersi, senza chiedere a qualcuno su Instagram “ma come hai fatto per fare questo o quello?”. Quello non è sbattersi, quello è cercare la scorciatoia: il raccontare le difficoltà però è una cosa, il dire che “fa quasi tutto schifo” (che è stato il mio mood per un bel po’ di giorni purtroppo), è un altro. Ecco il motivo per cui non ho voluto scrivere niente. Non dovevo nessuna spiegazione, ma mi andava di far capire cosa passa nella mia testa. Sì lo so, penso troppo. E’ quello che succede quando hai tempo da buttare.
La mia vita, in questi mesi, è un continuo su e giù, una montagna russa che non finisce mai, dove gli alti sono considerati (da me) botte di culo e i bassi sono considerati (da me) meritati, dove anche la persona più arrogante/sicura di sé vedrebbe scalfita la sua scorza. Figuratevi per uno come me… ma comunque adesso vi racconterò il più possibile di quello che sta succedendo, come sempre senza filtri… poco poco piano piano (ah no quello è Marzullo… vabè).
Avevo pensato all’inizio di scrivere questo pezzo impostandolo come se fosse una lettera a me stesso più giovane di qualche mese, ma poi ho visto che oramai è l’idea più utilizzata/abusata del pianeta dopo i cocktail serviti nel barattolo della passata di pomodoro o le bistecche servite nei piatti di pietra, e quindi ho abbandonato anche questa idea: come vedete ora critico anche chi scrive, mi sono montato la testa. Oramai sono talmente inserito nel business della scrittura che Baricco mi fa una pugn… ehm insomma me spiccia casa. Credibile no?
Sto tergiversando, lo so, questa melina che sto praticando per non iniziare a raccontare sta sfinendo anche me, ma in realtà è che non so da dove iniziare, e siccome questi pezzi sono sempre scritti di getto, fondamentalmente sto aspettando che mi caschi in testa un’ispirazione per partire, e a quel punto non mi fermerà più nessuno, se non qualcuno di voi che mi picchietterà sulla spalla per dirmi “basta, ci hai scartavetrato gli zebedei, posa il computer e vatti a fare una birra. O una vita, a seconda”.
Siccome al momento di farmi una birra non mi sembra il momento (sono le 10 di mattina), di farmi una vita non ce n’è la speranza (sono le 10 di mattina, l’ALBA per me), parto col mio racconto, che comincia dal 14 febbraio, San Valentino, la festa degli innamorati. E io, da buon innamorato della pallalcesto, ho festeggiato nel migliore dei modi: fotografando una partita NBA, la ventesima stagionale. Ma questa non era come tutte le altre, perchè per una serie di coincidenze astrali/botte di culo/contemporaneità/
Inoltre, un altro grande aspetto di questa cosa, che capiranno solo i fotografi ed esperti del settore, è stato che finalmente potevo scattare con i mitologici flash della NBA, un sogno per chi come me è cresciuto guardando le foto che i grandi fotografi della Lega d’oltreoceano producevano giorno dopo giorno, usando una tecnica che in Italia abbiamo smesso di usare almeno 5-6 anni fa, perchè troppo costosa.
Una tecnica che però ti fa imparare davvero come si scatta, perchè avendo i flash montati sul “tetto” del palazzo collegati alla tua camera, hai una sola possibilità per azione per fare la foto buona, non hai la sequenza a disposizione come le macchine fotografiche attuali permetterebbero; in cambio, però, hai una qualità delle immagini assolutamente inarrivabile. Insomma… ero finalmente nel mio elemento, ed infatti è stata una giornata bellissima!
Grazie al cielo io, assieme a tanti altri ragazzi bravissimi, provengo da una scuola molto dura , la Ciamillo-Castoria, che però mi ha formato in tutto e per tutto, e che mi ha dato negli anni la possibilità di lavorare in quel modo, praticamente come facevano gli americani. E adesso tutta quella pratica paga… altrochè!
La partita ovviamente non è che fosse proprio una prima scelta (Nets-Pacers), ma per me è stato come se stessi scattando una finale NBA; la consideravo allo stesso modo, e infatti mi sono presentato al Barclays Center con un anticipo spaventoso (era tipo attorno a mezzogiorno, con palla a due prevista per le 19.30), nonostante il tragitto casa-palazzo fosse di tipo mezzoretta scarsa, che per NY vuol dire praticamente come abitarci sopra. Sono partito così presto da casa perchè temevo la mia solita e proverbiale sfiga, quindi volevo tenermi al riparo da eventuali incidenti con l’autobus, eventuali tsunami-terremoti-disastri naturali che avrebbero messo a rischio la mia performance fotografica (oddio ho appena usato la parola “performance”, si vede che vivo in Ammmmmmerica eh….un minuto di silenzio per me).
Comunque, incredibilmente e clamorosamente, non è successo niente a livello sfighe: la partita è filata via senza particolari problemi, le foto sono uscite in maniera decente (ero un po’ fuori allenamento ad usare i flash, ma mi sono preparato bene nel prepartita) e mi sono beccato anche una più che discreta prestazione di Oladipo, giocatore che nella mia scala di gradimento è piuttosto in alto, anche e soprattutto perchè sorride sempre ed è gentile e disponibile con tutti.
Per la cronaca devo aggiungere che me la sono vista brutta quando Dante Cunningham dei Nets mi è quasi caduto addosso e mi ha praticamente ribaltato sulla sedia dove ero seduto. Niente di che (ricordo che alle Olimpiadi di Rio mi era venuto addosso il treno Campazzo e sono ancora qui a raccontarlo… dopo quello non mi ammazza più niente), ma tra il mio equilibrio precario e le macchine fotografiche in mano, mi sono ritrovato a piedi in alto senza possibilità di muovermi; insomma mi sentivo come quelle tartarughe a pancia all’aria che non sanno come rimettersi in piedi. Devo ringraziare la signora seduta dietro di me, nella fila da ventimila dollari a chiappa, che ha capito la situazione di potenziale pericolo e mi ha spinto da dietro, cercando di raddrizzarmi. Il resto lo hanno fatto i miei addominali da body builder *.
A parte questo piccolo contrattempo, tutto è filato liscio: all’uscita del palazzo ero talmente in pace con me stesso che invece di prendere l’autobus per tornare a casa mi sono concesso addirittura il lusso sfrenato di scialacquare ben 18 dollari per un Uber per tornare a casa. Lo so ragazzi, forse mi sono lasciato un po’ andare, giuro che non lo faccio più.
Ecco, vi ho appena raccontato una bella, bellissima giornata americana. Il problema grosso è che oramai sono qua da giorni 132, e vi posso assicurare che le giornate così si possono contare sulle dita di una mano.
Vivere qua è complesso e cercare di entrare nel mood americano fatto di sorrisi finti, paroloni usati inutilmente (se venite qui preparatevi a sfilze di AMAAAAAAAZING, AWESOMEEEEEEE, OMG I LOVE YOUR WORK, YOU ARE SOOOO GOOOOOOD), per un europeo, o perlomeno per me, è abbastanza difficile. La differenza nei rapporti umani è veramente abissale, e non parlo di ragazze o cose del genere, parlo della vita di tutti i giorni; parlo di gente che ti scrive su Instagram che le tue foto sono bellissime e che il giorno dopo incontri ma non ti saluta, come se non vi foste mai parlati. Gente che ti da grandi pacche sulle spalle, ti dice “sei fortissimo, ti chiamo domattina” e poi si trasformano nel silenzio più totale. Tanti “ti scrivo in settimana” che si rivelano promesse senza alcun seguito, eccetera eccetera eccetera.
E poi c’è anche la mancanza totale di feedback su quello che fai: specialmente nel mio mestiere, capire se quello che ti paga è soddisfatto o no di quello che stai producendo è (vivaddio) fondamentale no? Ecco, scordatevelo: nessuno qui ti dice qualcosa, e se ti dice qualcosa, allora sono brutte notizie.
Sono io che sono fatto male?
Il problema dell’adattamento al modo di vivere americano, comunque, al momento è secondario: al primo posto della classifica delle preoccupazioni abbiamo “trovare una maniera di pagare l’affitto senza dover concedere per denaro parti del proprio corpo a sconosciuti”.
Gennaio è stato veramente un disastro, con lavoro quasi zero e infatti sono sprofondato nella tristezza più totale: sembravo Fantozzi quando scopre di essere in andropausa, con l’unica differenza che il cartello “chiuso per lutto” andava messo sul mio cervello invece che sulle mutande.
Credo di essere stato una settimana in casa, con voglia di socializzare pari a zero.
Poi un giorno è suonato il telefono, ed era un numero sconosciuto. Ho pensato: “daje, che è la svolta!”
E infatti avevano sbagliato numero.
“Joshua??? Sei tu???”
“Ma vaffanculo va!” è stata la mia cordiale risposta. Tu tu tu tu tu tu
Comunque febbraio è stato (ed al momento è) il primo mese dove riesco a guadagnare di più di quello che devo spendere; record mondiale. Ho il forte sospetto che sia per una serie di coincidenze… ma solo marzo ci aiuterà a capire qual è la verita.
A dire il vero tante cose sono venute per caso: tramite social ho scoperto una iniziativa di beneficienza, coordinata da una grandissima fotografa di sport, Jennifer Pottheiser, che si chiama “Cycle for Survival”, una specie di gara di spinning dove persone abbienti pedalano e pedalano per raccogliere denaro per la ricerca sul cancro. Ma io mi ero iscritto pensando che il mio compenso sarebbe stato devoluto insieme al resto! E invece… un giorno mi chiedono le coordinate bancarie e io stavo per rispondere come a Joshua poco sopra…
Bene, qualche giorno fa ho fatto questo lavoro e mi sono pure divertito… e ne farò un altro a marzo! Stare 5 ore in mezzo a gente sudatissima che urla e fa casino a volte fa bene alla salute e al corpo, e sapere di contribuire a una giusta causa aiuta ancora di più!
Un altro imprevisto positivo che mi è capitato è stato quando Getty Images mi ha chiesto di partecipare alla Fashion Week che si è svolta in città dal 7 al 14 febbraio: l’entusiasmo iniziale è andato subito a donne di facili costumi, quando mi è stato comunicato che non avrei fatto foto, ma semplicemente sistemato/photoshoppato foto fatte da altri. In poche parole… avrei fatto l’EDITOR.
Ho pensato: non ho di meglio da fare, lavoro 5 giorni di fila , mi pagano… perchè no????
Anche se sono ricco di famiglia* qualche soldo in più per pagare il famigerato affitto ci può stare no???????
La mia giornata tipo (hmmmm, dove ho già sentito queste parole…) consisteva nel presentarmi al mattino presto in una delle location dove si svolgevano le sfilate, chiudermi in una stanza nel backstage con altre 7 persone e guardare le foto che arrivavano dalle varie passerelle. Devo ammettere che sullo schermo del mio computer sono passate fighe/fighi atomici, ma alla fine non ci fai neanche più caso. Le cose più divertenti che mi porto via da quella esperienza sono i furti di acqua Evian che era gratis in bottiglie di vetro nei vari frigo sparsi in giro (ho messo a dura prova la resistenza del mio zaino… record personale 11 bottiglie, valore commerciale 66 dollari), le urla tipo Kapò delle malefiche donne con le cuffiette che comandavano le modelle come fossero capre verso la passerella, ma soprattutto il Circo Medrano dello streetstyle fuori dagli ingressi delle sfilate, dove improvvisati fotografi facevano letteralmente a botte per fotografare signorine/ini vestiti in maniera che non è possiibile descrivere senza essere denunciati alle autorità. Menzione d’onore a colei che si è messa a posare per suddetti operatori di ripresa con addosso un costume intero da bagno e un paio di jeans a vita bassisssssima: il tutto con zero gradi. Stima.
Dopo questa parentesi extracestistica torno a bomba sulla pallacanestro, che sennò vi annoiate: oramai la percentuale di follower maschi sta crescendo vertiginosamente (siamo all’82 percento, uno studio dell’Università del Massachussetts ha rivelato che entro il 2024 il mio profilo sarà interamente gnocca-free) e quindi la smetto di parlare di cose che non abbiano a che fare con il basket. Anzi, chiedo pure scusa.
In questo periodo sono riuscito a farmi accreditare in varie partite, e alcune di queste si sono rivelate parecchio interessanti. A inizio febbraio, nel giro di 5 giorni ho fatto la maratona di Brooklyn, dove al Barclays Center sono passati i Lakers, i Bucks e gli Houston Rockets.
Provo una onesta simpatia nei confronti dei Nets, quasi sempre vittime sacrificali della squadra avversaria di turno, ma che comunque giocano una pallacanestro più che piacevole, ma ai quali purtroppo succede sempre qualcosa: Dinwiddie sta facendo la stagione della vita, ma Russell sta facendo fatica e soprattutto Okafor non ce la fa proprio… poveroni!
In una di queste partite ho avuto finalmente il piacere di assistere a una partita in cui il nostro Danilo nazionale era vestito in canotta e calzoncini, e nella (ovvia) vittoria dei suoi Clippers contro i poveri Nets il Gallo ha piazzato una super partita, molto solida e che sta dimostrando che la sua squadra, al momento, non sta assolutamente soffrendo della partenza della stella Griffin. Ho avuto anche l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con lui prima della partita (non ci conoscevamo prima della mia venuta negli States), ed è stato molto carino ad interessarsi della mia vicenda. Ancora più carina è stata la sua mamma Marilisa, che da Detroit dove sta seguendo l’altro figlio Federico ha scoperto della mia esistenza e si è offerta di farmi da Mamma-2 in questo difficile percorso; mi ha fatto davvero piacere parlare con qualcuno che, anche se a livelli diversi, ha affrontato la stessa strada.
A proposito: Mamma-1, cioè la titolare, arriva il mese prossimo… riuscirà a nascondere i tortellini nella valigia?????
Mentre per i Lakers (senza Lonzo) mi sono entusiasmato nell’ammirare Kuzma e Ingram (i gialloviola sono davvero la squadra del futuro… con loro ci si diverte sempre), per i Rockets sono stato testimone della solita prestazione spaziale del Barba e di Chris Paul che l’hanno spiegata ad avversari, pubblico e anche ai magazzinieri, probabilmente. Forse l’hanno anche spiegata un po’ troppo… ho avuto come la sensazione che stessero proprio facendo i fenomeni; occhio perchè poi quando cominciano i playoff è un attimo, eh. Chi ha giocato a basket a qualsiasi livello, sa bene che fine fanno le squadre che fanno così.
Ma la menzione totale che voglio fare e con cui voglio chiudere, è per i Bucks.
E’ per LUI.
Giannino.
Ho un solo commento: MA SCHERZIAMO???????
Allora, qua parto da lontano.
2013, Estonia, Europei Under 20, quelli dove l’Italia con tali Della Valle, Abass, Laganà, Chillo ecc ecc vinse la competizione: io c’ero… e in una Grecia piuttosto scarsa c’era questo scherzo della natura, che già tutti seguivano con attenzione. Sto greco col nome impronunciabile e che tutti chiamavano Giannis si vedeva che sarebbe diventato qualcuno, ma era veramente un grissino, e pure acerbo (i famosi grissini acerbi che crescono sugli alberi). Bene, il suddetto ho avuto occasione di rivederlo a Eurobasket 2015 ed effettivamente, oltre ad essere migliorato dal punto di vista tecnico, si era un po’ ingrossato.
Poi l’ho visto due settimane fa. Febbraio 2018. E credo di essere rimasto con la bocca aperta per 5 minuti. Ho assistito al suo riscaldamento, agli esercizi di tecnica. L’ho visto muoversi in velocità.
E ho capito il perchè di tutta questa madness che c’è verso di lui. Ragazzi, dalla tv rende forse un terzo di quello che è dal vivo. Consiglio personale: se dovete andare a vedere una partita… andate a vedere lui. Vale ogni dollaro del biglietto.
Pensate che a inizio gennaio ero andato apposta per lui a Philadelphia (due ore di autobus ad andare e due a tornare, mica pizza&fichi), e appena passato il casello di New York Sud mi era arrivata la simpatica notifica che mi avvertiva del fatto che nel Bucks-Sixers di cui sopra il greco non avrebbe giocato; dopo un ictus causato dalle bestemmie a profusione, ho deciso comunque di proseguire il viaggio per godermi il Wells Fargo Center e vedere qualcosa di diverso.
Il 2 marzo tornerò su quel luogo del delitto per fotografare un certo italiano che gioca con la 18… ma prima mi aspetta una trasferta in California.
Grazie a Fiba seguirò le finestre di qualificazione al mondiale 2019, e seguirò la nazionale USA, che giocherà vicino a San Francisco 2 partite nel giro di 5 giorni.
E’ la mia prima volta sulla West Coast e sono molto contento, ma ho anche il forte sospetto che il tempo per fare altro che non sia lavorare, non ci sarà.
Poco male… son poi qui per questo, mica per godermi la vita!
Aspetto i vostri messaggi come sempre… scrivete numerosi, non vi capita tutti i giorni di avere a che fare con un sex symbol* come me!!!!
Eternamente vostro,
Matteo
P.S. è mia intenzione fare al più presto, magari entro i primi di marzo, una bella diretta Facebook sulla pagina de La Giornata Tipo dove posso raccontarvi un qualcosa di più, rispondere ad eventuali vostre domande, ricevere le vostre proposte di matrimonio… insomma un po’ quello che vi pare. Vi faremo sapere data e ora al più presto. Preparate le domande!!!
Domande vietate:
“Mi mandi la foto di questo/quello/quell’altro?”
“Come hai fatto ad arrivare fin li?” (che poi dove sarei arrivato?)
“Quanto ce l’hai lungo?”
“Esci con me?”
LEGENDA: * Scherzavo, non è vero. Perchè, ci avevate creduto?