“Qualche tempo fa, mio padre andò a vedere per semplice curiosità una partita dei temibili ‘Leoni‘, la squadra di calcio di Biella composta interamente da giocatori maliani. Mi disse di aver visto tra il pubblico un ragazzo altissimo, un gigante sopra i due metri con la faccia gentile, ma che non parlava italiano: l’unica parola che papà riuscì a capire fu “basket“. Raccontandomi la vicenda, fui spinto a cercarlo in giro per la città. Fu così che conobbi Ali Gassama, cestista di 2.08, magro come un chiodo e con una storia personale drammatica alle spalle.

Ali aveva sempre giocato a basket nelle giovanili della Real Bamako, la squadra della capitale del Mali. Sebbene fosse stato convocato anche nella under 19 del suo paese, non riuscì mai a vestirne la maglia per via di un infortunio al pollice. All’età di 16 anni, in una notte estiva, decise di andare a trovare la sua famiglia nel vicino villaggio. Nel tragitto fu rapito e catturato da un gruppo di Touareg, storicamente in guerra con il popolo maliano.

Non si è mai capito veramente il perché del suo rapimento: scappò una sera, sfruttando un momento di disattenzione delle guardie, e per paura di essere ritrovato in Mali decise di fuggire verso la Mauritania. Da quel giorno iniziò a girare a piedi per il nord dell’Africa, spesso veniva fermato dalla polizia e per via dell’assenza dei documenti, rubatigli dai rapitori, finì per essere espulso da tutti gli stati in cui provava ad entrare per cercare aiuto. Il suo cammino lo portò in Libia, dove venne nuovamente arrestato per assenza dei documenti e reato di clandestinità. Fece 2 mesi di carcere fino a che, una notte, alcune guardie lo caricarono su un furgone. Era convinto di essere nuovamente espulso, e spinto al confine verso il Mali: invece, per sua sorpresa, le guardie lo portarono verso il mare e lo misero su una barca, senza soldi, senza vestiti, senza niente.

Il viaggio in mare fu una vera e propria odissea. Tantissimi morti, vicino alla riva italiana la nave iniziò a imbarcare acqua: i superstiti furono gettati a mare, recuperati delle navette dell’esercito e della polizia italiana, che li portarono a Lampedusa. Cominciò l’opera di smistamento nei vari centri di accoglienza, per cui Alì venne sistemato a Biella. Quello che ho provato ascoltando la sua storia, sulle panchine del campetto di Cossila, è stato uno dei momenti più toccanti che abbia mai provato dentro di me.

Finito il racconto, ci ritroviamo con la palla in mano. Abbiamo iniziato a giocare, anche se l’unica scarpa che aveva era un infradito rotta… Insomma. In poco tempo tutti hanno incominciato a parlare del gigante maliano che giocava a basket. Ciascuno di noi gli portava una canotta, un pantaloncino e, piano piano, siamo riusciti a dargli tutto l’occorrente per farlo giocare. Dopo qualche tempo, siamo riusciti anche a rimediare un paio di scarpe: porta un 49 e mezzo! Fortunatamente, nella squadra dell’Angelico c’è qualcuno con un piede come il suo…

Alì ritrovò il sorriso, una famiglia e la voglia di vivere, grazie al basket. Si parlò di lui ovunque, anche sui giornali locali. Sembrava il ragazzo più felice del mondo. Quando io e altri due miei amici vincemmo il torneo 3vs3 locale, il 1° premio fu una coppetta e una medaglia che decidemmo di regalargli. Quella coppa valeva 5 euro? Forse meno. Ma valeva come la coppa Rimet, la faceva vedere anche a chi non conosceva, raccontava a chiunque del torneo vinto con la felicità che, in tutti quegli anni, non aveva mai avuto.

Alì era richiedente di asilo politico. In attesa del giudizio aveva iniziato ad allenarsi con noi, il Basket Biella, una piccola squadra di promozione. Dopo molti mesi che si allenava e veniva come primo tifoso a ogni nostra partita amichevole di precampionato, arrivò la notizia che la sua richiesta fu accettata. La questura decise di rilasciare ad Alì un permesso umanitario proprio perché il questore, analizzando la sua storia, aveva visto che lui si era ben integrato grazie alla pallacanestro. Dopo qualche settimana dalla concessione, mi mandò con gioia infinita le foto del suo documento. Finalmente aveva codice fiscale e permesso di soggiorno: ora mancava solo la residenza, e poi poteva giocare.

Tutto benissimo, tutto perfetto, finché non arrivò la notizia. La notizia che Alì era entrato nel progetto SPRAR, che punta a rendere indipendenti questi ragazzi e dare a loro una reale possibilità di integrazione. Alì era stato assegnato a Cagliari.

Mi scrisse quel giorno, non voleva festeggiare, era triste. Sapeva che ci avrebbe perso completamente. A questo punto, l’unica cosa da fare era salutarlo con una degna festa.

Stasera ci siamo ritrovati tutti assieme, nessuno escluso. Armati di pasticcini, birre e coca cola, con un pallone firmato e una divisa di squadra da regalargli. Mercoledi Alì partirà per Cagliari, a cercare fortuna. E a noi rimarrà il suo ricordo, quello del gigante buono che giocava in infradito.”

L’incredibile storia di Alì Gassama ci è stata raccontata da un ragazzo di Biella, Umberto Pareschi, in data 14 Novembre 2014. Durante quella stessa settimana, il ragazzo maliano partiva alla volta della Sardegna. Nessuno poteva immaginare che, nel giro di pochi mesi, Alì avrebbe vinto il campionato di promozione e trovato un lavoro regolare, iniziato proprio una decina di giorni fa.

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La parola passa a Coach Stefano Frongia, allenatore del Madas Basket Siliqua, che ci ha raccontato la stagione vissuta con il gigante africano. E’ una testimonianza di umanità bellissima. Noi lo ringraziamo.

“Sono venuto a conoscenza della storia di Alì assieme al Capitano della mia squadra, Marco Porcu, grazie alla pagina de ‘L’umiltà di chiamarsi Minors’. Siliqua è un piccolo paese in provincia di Cagliari, conta 3500 abitanti ma, negli ultimi anni, ci siamo dati davvero tanto da fare per la pallacanestro. Abbiamo ristrutturato impianti e playground: soprattutto, organizziamo ogni estate il Bixinaus Street Basket, un torneo che coinvolge per una decina di giorni tutti i rioni del paese. Alì ha visto le foto dell’evento, ci siamo contattati tramite Facebook. Si è presentato in palestra per la prima volta il 23 Novembre.”

 

Com’è stato accolto Alì in squadra? Si è integrato subito?

“Appena entrato ha salutato tutti, mi ha colpito la sua umiltà e la sua disponibilità sebbene non sapesse ancora parlare bene in italiano, figuriamoci scriverlo. Faceva impressione: un po’ perché era veramente sciupato fisicamente, ma soprattutto perché leggevi nei suoi occhi che aveva vissuto qualcosa di importante e di difficile da raccontare. Ogni tanto si isola, si mette ad ascoltare musica africana che gli ricorda il suo villaggio nel Mali. Ma per me è come un fratello, mi sono prodigato per farlo sentire a suo agio, sempre e comunque. Ha trascorso da me e con la mia famiglia i giorni di Natale, fra la vigilia e S. Stefano. Ho lavorato molto su di lui a livello tecnico, con tante sedute individuali, compreso il pomeriggio del 1° Gennaio. Tutto questo ha pagato: da un lato il nostro rapporto si è sempre più rafforzato, dall’altro siamo riusciti a vincere il campionato! Con i ragazzi, poi c’è un feeling speciale. Anche se è musulmano, e tutte le volte che proviamo a fargli bere degli alcolici, mentre noi ci ubriachiamo selvaggiamente, lui deve rifiutare…

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Giustamente, il basket. E’ stato un reale fattore per la vostra promozione? Ci puoi raccontare qualche aneddoto?

Faccio una premessa: Alì non aveva mai giocato da lungo, anche se è 2.08. Nasce come un 3/4, e questa cosa ci ha sorpreso tantissimo. Potete immaginarvi le squadre Minors in Sardegna, da noi non ce n’è uno che arrivi al metro e 90… Non gioca tanto post-basso perché non si fida e ha un po’ paura, ma ha un tiro dalla media pazzesco e sulla transizione ci dà una mano incredibile. Poi, chiaramente, salta tantissimo e stoppa tutto quello che vede.

Abbiamo potuto tesserarlo solamente dopo un mese e mezzo dal momento in cui è arrivato. Ho passato un’intera settimana a mandare delle mail, sia alla FIP che alla Federazione Maliana di basket, per poter avere il lasciapassare. Ci sono tantissimi casi di ragazzi stranieri che non riescono a giocare per via del tesseramento, e che sono costretti a restare fuori dalle gare ufficiali per mesi: Alì aveva il permesso di soggiorno, ma era senza carta d’identità. Ha fatto il suo esordio il 10 Gennaio, il primo match dell’anno nuovo: quando ha effettuato il riconoscimento gli abbiamo fatto notare che il suo cognome (Gassama) era simile alla parola sarda ‘Cassa manna’, che vuol dire Caccia Grossa (tipico sport sardo, ndr). Appena Alì ha preso, e segnato, il primo tiro della sua partita, si è rivolto verso di me simulando il gesto dello sparo del fucile, sorridendo. Era veramente felice. Anche perché, oltre a tutti i rimbalzi, era pure andato in doppia cifra…
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Tesseramento ‘burrascoso’, ma decisivo.

Ero convinto che potessimo vincere il campionato, ma ero l’unico a pensarlo. Dicevano che eravamo una squadra troppo bassa, e Alì non era certo il prototipo del numero 5. Alla fine, i numeri sono stati dalla nostra parte: solo 4 sconfitte in campionato, tutte con scarti minimi. Nella serie finale abbiamo subito meno di 50 punti di media, chiudendo i playoff imbattuti: Alì non ha giocato le ultime due gare per un problema fisico, ma era stato importantissimo nelle semifinali, specialmente da un punto di vista difensivo. Alcuni suoi compagni lo chiamano “AirMali”, ci sarà un motivo!

 

Dopo la promozione, il lavoro. Una storia bellissima.

Il ragazzo ha trovato un lavoro fisso proprio nella settimana successiva alla finale, in una cooperativa agricola di Siliqua che si occupa, sostanzialmente, di prodotti biologici. Merito della Fam. Corona che, oltre ad averlo assunto, gli ha riservato anche un tetto: gli sono venuti incontro anche per ciò che concerne la sua religione, facendolo riposare venerdì e sabato. Mi dispiace non ospitarlo più a casa di sera come facevo prima, quando magari finivamo allenamento tardi e non aveva voglia di tornare fino a Cagliari. Ma credo che si trovi meglio così…

 

Avete pensato a qualcosa di particolare per festeggiare?

Avevo promesso che, in caso di promozione, quest’estate saremmo andati tutti nel Mali al villaggio di Alì! Ma sarà un’impresa quasi impossibile, purtroppo… ci siamo informati, ci sono delle cellule di Al-Qaeda presenti su tutto lo stato. Qualche giorno fa hanno bombardato anche un villaggio turistico. Raggiungere Bamako, la Capitale, è impraticabile per qualsiasi mezzo di trasporto, aerei compresi. Lui stesso ha nostalgia del suo paese, e sente sua mamma e suo fratello ogni giorno. Ma non ha voglia di tornare, per colpa della situazione che si è creata e per il fatto che tutto ciò gli riporterebbe alla mente ciò che è successo, a partire dal rapimento dei Touareg. Ora ha trovato la sua stabilità. Deve stare qua, vuole stare qua.

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Coach, lo sa che la sua storia è una delle più grandi soddisfazioni della mia vita?

(Ride)

Sono io che ringrazio voi, perché ho conosciuto una persona davvero speciale. A proposito, il Bixinaus Street Basket si svolge nel periodo fra fine Luglio e i primi di Agosto. Ve la butto lì! Se siete in ferie, o non avete nulla da fare…

 

Scritto dal nostro Carlo Pedrielli, gestore della pagina L’umiltà di Chiamarsi Minors

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Carlo Pedrielli

Bologna, cestista delle "minors", tifoso da Beck's, cantastorie per sé e istruttore minibasket. Per questo sport darei tutto, tranne il culo.

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