Quasi una settimana di pausa, dopo tre settimane di autentica battaglia: l’astinenza è già forte, ma dà anche l’occasione di provare a decifrare almeno in parte una Serie A2 mai scontata e banale, e arrivata ormai alle porte delle semifinali, per la quale una sola promozione appare eufemisticamente riduttiva…
Chiariamolo subito: Virtus e Fortitudo sono in corsa non per diritto divino, ma dopo aver superato con merito una serie di insidie: la squadra di Ramagli ha dovuto recuperare due volte il fattore campo perso con Casale Monferrato e Roseto giocando due gare 4 esterne molto convincenti, la “F” ha già sovvertito – come l’anno scorso – due accoppiamenti contro squadre piazzatesi più in alto, ma ha dovuto giocare “la migliore pallacanestro degli ultimi due anni e mezzo”, almeno secondo coach Boniciolli, per vincere due volte di misura al PalaVerde.
Con loro la ex sorpresa e ormai splendida realtà consolidata – anche per le 6mila presenze all’Alma Arena in più di un’occasione – Trieste, che pure ha dovuto sacrificare un po’ di gioventù in nome di un traguardo che si è fatto gradualmente sempre più vicino e Ravenna, probabilmente la meno attesa del rush finale e l’unica a non essere intervenuta nell’ultima finestra di mercato, ma giunta con pieno merito – e senza un americano (Derrick Marks è out da gara 2 degli ottavi, ma potrebbe essere la risposta agli acquisti delle altre tre) – al penultimo atto dei playoff.
Semifinale Virtus-Ravenna
Virtus: 2° in regular season (21v/9p), playoff (3-1 vs Casale, 3-1 vs Roseto)
Ravenna: 4° in regular season (19v/11p), playoff (3-1 vs Roma, 3-0 vs Verona)
VIRTUS
15 scudetti, 2 Euroleghe, 1 coppa delle coppe, 8 coppe Italia e non solo, la Virtus per storia e blasone non poteva che recitare un ruolo da protagonista sin da subito in questo campionato. Dopo la cocente retrocessione dello scorso lnno, la squadra ha cambiato faccia ed anche dirigenza. Al timone è stato scelto Alessandro Ramagli, coach navigato e con tanta esperienza in questo campionato, che ha messo da subito alcuni punti fermi in un roster costruito per arrivare fino in fondo: leader, non solo tecnico, Guido Rosselli, cabina di regia affidata a Spissu (di proprietà della Dinamo) che aveva fatto molto bene a Tortona nella scorsa stagione, esperienza e carattere negli spot del 4 e del 5 con Ndoja e Michelori, versatilità con Spizzichini, e un nucleo di giovani del proprio settore giovanile da lanciare in prima squadra con minuti veri: Pajola, Oxilia, Penna e Petrovic. E dal momento che in A2 sono fondamentali gli extracomunitari, la società è andata sul sicuro. Umeh, esperienza, talento e conoscenza del campionato. Kenny Lawson, una scommessa a metà, visto che aveva già fatto vedere grandi cose a Recanati.
La regular season è stata abbastanza regolare con la Virtus sempre ai vertici della classifica, qualche alto e basso dovuto agli infortuni (Lawson e soprattutto Ndoja che ha saltato metà campionato) e l’arrivo finale al secondo posto, al culmine di un periodo di flessione non solo nel gioco. Bruttini era già arrivato a metà campionato ma, un po’ per lo scarso minutaggio, un po’ per le caratteristiche diversa da Ndoja, non è riuscito ad integrarsi bene nel gioco di Ramagli. Cosa che invece sta facendo ora nel corso dei playoff. Ci sono però due fattori che hanno cambiato in corsa gli obiettivi della squadra: ad inizio stagione non si parlava di promozione a tutti i costi, ma di obiettivo di crescita dei giovani e consolidamento, per puntare chiaramente al grande salto la prossima stagione. Ma l’arrivo di Zanetti (Segafredo) ha cambiato le carte in tavola e l’obiettivo della stagione è ormai chiaramente la vittoria del campionato (leggasi Stefano Gentile).
Vinceranno perché
E’ una squadra completa, lunga, con un potenziale offensivo senza eguali in A2. La chiave di tutto potrebbe essere nella metà campo difensiva, dove la Virtus ha avuto spesso grossi problemi, anche per le caratteristiche dei giocatori, e dove probabilmente non ha ancora trovato una vera identità. Ravenna può fare grossa fatica a contenere il ritmo della Virtus che nel corso della serie con Roseto, sembra aver trovato un equilibrio, a tratti letale, grazie anche al perfetto inserimento di Gentile. Gli isolamenti di giocatori di talento capaci di crearsi i tiri come Umeh, Rosselli e Gentile sono un aspetto che Ravenna può subire tanto nell’1vs1.
Perderanno perché
Ravenna è la squadra che ha messo più in difficoltà la Virtus, non solo per le due vittorie negli scontri diretti della regular season, ma perché ha dimostrato di poter battere i bianconeri giocando partite differenti: all’andata ha giocato una partita offensivamente mostruosa, al ritorno ha contenuto l’attacco della Virtus (69 punti). Tambone, vero leader di Ravenna, è un playmaker che la Virtus può far fatica a limitare, sia perché ha più chili e taglia fisica di Spissu, sia perché lavora benissimo sugli scarichi per i vari Masciadri e Marks che hanno già dimostrato di poter far male alla Virtus. Pur raddrizzando entrambe le serie playoff fuori casa, contro Casale e Roseto, la Virtus fatica ancora a dare quella sensazione di solidità e continuità che servirebbero ad una squadra che vuole vincere il campionato
Il coach
53 anni, livornese doc, Alessandro Ramagli vanta già 15 stagioni da capo allenatore. Ha iniziato ad allenare nel 1996 prima alla Libertas Livorno poi alla Don Bosco come assistente allenatore. Nel 1999 subentra a Stefano Michelini, portando la squadra ad un passo dalla promozione in A1.
Nel 2000 è a Biella, come vice di Marco Crespi e insieme portano la squadra in Serie A1 dove Ramagli diventa capo allenatore. Resta a Biella fino al 2006, conquistando i playoff in due stagioni.
A metà campionato 2006/2007 è sulla panchina di Pesaro, in LegaDue, dove guida la squadra alla promozione in A2. Altre due buone esperienze in A2 a Verona (3 anni) e a Siena nella scorsa stagione.
Alla Virtus è riuscito, non senza difficoltà, a cambiare in corsa l’identità di squadra, soprattutto offensiva, dopo l’arrivo di Gentile. E questa può essere la chiave non solo per battere Ravenna, ma anche per puntare alla Serie A.
La stella
E’ sicuramente una squadra in cui il talento abbonda. Umeh è un giocatore che può avere attimi di dominio assoluto, ma anche grandi pause. Lawson in attacco è il centro più devastante del campionato anche, e soprattutto, per la caratteristica unica di poter aprire il campo con un tiro affidabilissimo anche da tre punti. Stefano Gentile, se sta bene, è un giocatore che non ha niente a che fare con questa categoria. L’uomo chiave però di questa squadra è Guido Rosselli. Ha tirato la carretta per buona parte della stagione dominando tecnicamente e mentalmente per tante partite. E’ il fulcro del gioco, il vero playmaker aggiunto, sa costruirsi i tiri da solo, ha la capacità di leggere le situazioni e di essere a seconda delle partite, regista occulto e a disposizione della squadra, oppure il giocatore che deve fare 20 punti. Nell’ultimo periodo ha avuto un calo, soprattutto fisico e la squadra ne ha risentito tantissimo. Ora sembra aver ripreso la forma dei giorni migliori e se il serbatoio delle sue energie, anche mentali, è ancora abbastanza pieno, la Virtus ha grosse chance di ottenere l’obiettivo ormai dichiarato.
RAVENNA
Se avessimo parlato di Ravenna non più tardi di 2 anni fa, avremmo parlato di un’ottima squadra del terzo campionato di basket italiano: l’A2 Silver. Ciò è sinonimo del fatto che il percorso compiuto da questa squadra ha del miracoloso. Ravenna si è presentata all’inizio di questa stagione con una squadra quasi totalmente confermata dalla stagione precedente, dando continuità ad un progetto tecnico guidato da un giovane capo allenatore come Antimo Martino. La squadra è completa. Ci sono due americani di talento come Smith e Marks, con caratteristiche da sistema, non i tipici due mangia-palloni, ma due giocatori funzionali al gioco di Martino. Regia nelle mani di uno dei giocatori più interessanti del campionato, Tambone, classe 94, di ritorno a Ravenna dopo l’ottima parentesi a Treviglio della scorsa stagione. Spot di 3 e 4 a Masciadri, Chiumenti e Raschi, tre giocatori che mixano alla perfezione quantità-qualità-esperienza. Altri due giovani con ruolo da protagonisti come Sgorbati e Sabatini. La stagione ha avuto un andamento regolare, con Ravenna sempre tra il primo e il quarto posto, dando la netta impressione di essere una delle squadre più solide di tutto il campionato. Solidità mentale, solidità tecnica e solidità difensiva.
Ottavi di finale vinti con Roma, quarti di finale vinti con Verona, entusiasmo in città, entusiasmo in squadra, voglia di stupire ancora. Anche contro la Virtus.
Vinceranno perché
Stando ai risultati, Ravenna ha battuto due volte su due la Virtus, in entrambi i casi abbastanza nettamente. Due vittorie diverse nel modo, ma identiche nella capacità di controllare il gioco in entrambe le metà campo, e sempre con protagonisti differenti. Nei playoff è poi arrivata l’esplosione di Gherardo Sabatini, “l’americano” dell’ultimo mese (vista anche l’assenza di Marks), e un salto di qualità, soprattutto mentale, di Tambone che ha dimostrato di essere uno dei migliori playmaker del campionato. Ravenna ha una caratteristica difensiva unica grazie soprattutto al pivot-bonsai Smith: può permettersi di cambiare su tutti i blocchi, di contenere e limitare tantissimo il pick and roll della Virtus, e di correre ed adeguarsi alla perfezione anche con le difesa a zona e miste fatte vedere tantissimo contro Verona. E poi, in questi casi, non bisogna mai sottovalutare l’entusiasmo e dovuto dal non aver nulla da perdere.
Perderanno perché
Troppo facile dire che la Virtus è più forte, più lunga e più completa. Ma forse, è la tesi più giusta. La Virtus incontrata e battuta in regular season è una Virtus diversa da quella di oggi. Ramagli, grazie all’arrivo di Gentile e al recupero totale di Ndoja, ha cambiato faccia alla squadra, potendo scegliere tra molte più soluzioni. La Virtus di oggi è meno prevedibile anche per una squadra che l’ha già battuta in regular season. Se con Roma e Verona l’assenza di Marks si è fatta poco sentire anche grazie a Sabatini, con la Virtus il suo recupero, in condizioni non di certo ottimali, potrebbe non bastare.
Il coach
37 anni, molisano, Antimo Martino si è fatto le “ossa” con tanti anni da assistentato ad allenatori importanti (Repesa, Dalmonte, Boniciolli, Lardo e Calvani), ed è alla guida di Ravenna da tre stagioni. Un anno di A2 Silver e due anni di A2 sempre in crescita, di gioco e di risultati. In questa stagione ha avuto il merito di ottenere cose importanti non solo da chi in questa categoria ha già avuto un ruolo importante come Smith, Marks e Tambone, ma anche da giocatori che non era scontato potessero avere un rendimento così alto come Sabatini e Sgorbati. La sua squadra gioca una pallacanestro essenziale dove il vero leader è la squadra e non il singolo. E forse questo è stato il suo più grande merito.
La stella
Smith è un giocatore unico: salta, stoppa, raddoppia, contiene anche gli esterni, e in attacco sa essere devastante. Ma il giocatore il cui rendimento ha forse maggiormente influito sulla grandissima stagione della squadra, è Matteo Tambone. Un playmaker completo perché ha taglia fisica, ha leadership, si prende i tiri che contano, gioca bene il pick and roll, fa tantissimo canestro da fuori, ha margini di miglioramento. Quei margini che fanno pensare possa andare a giocare in Serie A, molto prima di quanto uno pensi.
Semifinale Trieste-Fortitudo
Trieste: 3° in regular season (21v/9p), playoff (3-2 vs Treviglio, 3-1 vs Tortona)
Fortitudo: 5° in regular season (18v/12p), playoff (3-1 vs Agrigento, 3-1 vs Treviso)
TRIESTE
Il nuovo corso della Pallacanestro Trieste inizia nel 2004 dopo il fallimento della vecchia società. Dopo 8 stagioni tra B2 e B1, nel 2012 torna in A2 battendo Chieti in una incredibile Gara 5 di finale davanti ad oltre 6 mila persone. Sulla panchina sedeva già coach Eugenio Dalmasson, segno tangibile di come da 6 stagioni la società abbia deciso di programmare e di seguire un progetto tecnico ben definito. Trieste quest’anno si è presentata al via allestendo un ottimo roster, con l’obiettivo di migliorare il risultato della passata stagione (playoff e settimo posto al termine della regular season): obiettivo ampiamente centrato. Nonostante una partenza in salita (1 vinta e 4 perse), la macchina di Dalmasson ha cominciato a macinare vittorie navigando per tutto il campionato nelle prime tre posizioni. Un duo di americani devastante per lo stile del coach formato da Green (pescato alla grande dalla LEB Silver) e Parks (riconfermato a stagione ancora in corso l’anno passato); Cittadini, Pecile, Prandin e Da Ros fanno da chioccia ad un gruppo di giovani italiani come Bossi, Baldasso, Coronica che dalla panchina, in ogni partita, riescono a dare un sostanzioso contributo alla causa. Forse mancava qualcosa per sognare veramente nei playoff: la firma di Cavaliero a ridosso della post-season è stata la risposta. Il primo turno contro Treviglio ha testato i nervi di squadra, staff e tifosi giuliani: la truppa di coach Dalmasson ha avuto non poche difficoltà contro una coriacea Remer, sconfitta soltanto a gara 5, ma grazie al talento dei suoi giocatori (uno tra Parks e Green nelle 5 gare ha sempre realizzato almeno 18 punti, coadiuvati da un Da Ros a cui Dalmasson non riesce mai a rinunciare) è riuscita a portare a casa la serie. Più agevole il quarto di finale contro Tortona: nonostante le assenze per infortunio prima di Cittadini poi di Green, e le brutte percentuali di Bossi al tiro da 3 (4/15 nelle 4 partite), i biancorossi sono riusciti a portare a casa gara 1 al PalaOltrePo’, limitando Tortona a soli 53 punti. Pratica poi chiusa a gara 4 tra le mura amiche, con un super Daniele Cavaliero entrato alla grande nei meccanismi della squadra fin da subito.
La vittoria del 5 Febbraio al PalaRubini contro la Kontatto arrivò in seguito ad una partita brutta da vedersi, ma interpretata perfettamente dai ragazzi di coach Dalmasson: togliere i punti di riferimento agli avversari (Legion 1/9 da 3, Ruzzier 7 palle perse), farli uscire dalla loro comfort zone e punirli con l’arma del pace: ritmi alti, transizioni e tiri ad alte percentuali. E poco importa il pessimo 5/24 da 3, perché Trieste ha tirato dal campo 8 volte più degli avversari, andando in lunetta 24 volte contro i 14 tiri liberi della squadra bolognese. Ovviamente, con un Cittadini in più nel motore, per l’Alma è stato meno difficile ridurre l’efficacia dei lunghi avversari nel pitturato, e l’esperienza di giocatori come Pecile (15 in 21’), quando c’è bisogno, si fa sempre sentire.
Vinceranno perché
Condizioni di Green permettendo, giocano una pallacanestro che può mettere in difficoltà anche la difesa “asfissiante” della Fortitudo. La chiave della serie sarà imporre il proprio ritmo e sfruttare tutti i mismatch che la difesa concederà: Parks da 4 o da 5 è una scelta che potrebbe spaccare in 2 la serie, dato che i vari Mancinelli, Italiano, Knox e Gandini possono soffrire il numero 2 triestino, così come Da Ros, soprattutto quando gioca da finto playmaker lontano da canestro, portando quindi fuori il 4 che lo marca. Come detto, se in salute, Green può essere l’ago della bilancia dell’Alma: con la sua spinta in palleggio ed i suoi 1vs1 può facilmente arrivare al ferro o aprire il campo per i cecchini della squadra come Cavaliero, Baldasso, Prandin e Bossi. Avere il vantaggio del fattore campo aiuterà sicuramente la squadra di coach Dalmasson, anche per via della spinta del sempre numeroso e caloroso pubblico. Il 18-1 casalingo in stagione è un segnale più che emblematico…
Occhio a Cavaliero: sa come si vince una serie playoff, la sua leadership e quella di giocatori come Cittadini e Pecile saranno determinanti nello spogliatoio triestino.
Perderanno perché
La Fortitudo è una squadra più lunga che gioca in maniera più intensa, soprattutto nella metà campo difensiva, e che fa giocare male gli avversari. Trieste, seppure sia anch’essa una squadra profonda, non dispone dello stesso pacchetto lunghi che può vantare la Kontatto, e predilige un gioco perimetrale affidandosi principalmente al tiro pesante. Cittadini subisce atleticamente Knox, Da Ros non è mai stato famoso per la sua difesa sui pariruolo e Simioni è ancora troppo acerbo, anche se fisicamente attrezzato, per essere impiegato sul parquet per una semifinale contro giocatori come Mancinelli, Gandini o lo stesso Knox. Capitolo palle perse: solo in gara 1 a Tortona ne hanno perse meno di 10. Se non riescono a limitare questa cifra sullo scout, la Fortitudo sa come approfittarne. E lasciare il campo aperto per un contropiede agli esterni fortitudini (che producono 1.2 punti per possesso in transizione col 65.4% di aFG%) non sarà mai una buona scelta.
Il coach
Dal 2011 al 2020 (prolungamento di contratto firmato a fine 2016) Eugenio Dalmasson ha preso la Pallacanestro Trieste 2004 dai bassifondi della DNA e l’ha trainata fino alla semifinale playoff di questo campionato, riallacciando un legame con una delle città che ha fatto la storia del basket delle due generazioni precedenti alla nostra. Preparato, cordiale, mai esigente con la sua dirigenza e mai sopra le righe in panchina: la sua capacità di essere un “antidivo” della panchina e al tempo stesso far parlare la sua squadra sul campo, lo ha catapultato tra i migliori allenatori del campionato, come dimostra il premio assegnatogli dalla LNP nel giugno dello scorso anno come miglior allenatore dell’A2 Est. Ha lanciato Stefano Tonut, Michele Ruzzier e Francesco Candussi, ha valorizzato Murphy Holloway e gli stessi Parks e Green. Applausi.
La stella
Non è mai facile per un rookie affermarsi in un campionato come l’A2, tra un livello più che discreto ed i soliti problemi di ambientamento che tutti i giocatori al primo anno fuori dal college possono avere. Ma Jordan Parks, al secondo anno con la maglia della Pallacanestro Trieste, non ha mai sofferto niente di tutto ciò: soltanto 5 partite sotto la doppia cifra la scorsa stagione, un po’ di più (10) quest’anno, ma nonostante la sua media punti sia leggermente calata da un anno all’altro (da 16.3 a 14.2), le sue percentuali non sono scese. E nei playoff, come ci si aspettava, ha fatto il salto di qualità, portando a 17.0 i punti di media in 9 gare col 59% da 2 ed il 56% da 3, spazzando via quel brutto 22% della regular season. Tra rimbalzi in cima al palasport e schiacciate pirotecniche, Parks sta diventando sempre più solido, mettendosi sempre più al servizio della squadra: dove potrà portare l’Alma Trieste in questi playoff?
FORTITUDO
Dopo una stagione di alti e bassi, caratterizzata da una continua ricerca dell’identità di una squadra ricca di talento ma col cartello “Lavori in corso” esposto per larga parte della regular season, è arrivato un 5° posto che ha fatto storcere il naso a molti addetti.
Dopo la sconfitta in finale playoff contro Brescia dello scorso anno, la società e coach Boniciolli hanno deciso di mantenere l’ossatura italiana che aveva quasi raggiunto l’obiettivo promozione, aggiungendo l’esperienza di Luca Gandini sotto canestro e rinforzando la cabina di regia con la verve di Michele Ruzzier, che con Leonardo Candi è andato a comporre una delle migliori coppie di playmaker italiani dell’intero campionato di A2. Capitano, ovviamente, sempre Stefano Mancinelli, più determinato che mai a riportare la sua F nel massimo campionato italiano.
Gli USA scelti per completare il puzzle sono stati inizialmente Justin Knox e Chris Roberts, quest’ultimo con il difficile compito di rimpiazzare al meglio un realizzatore come Jonte Flowers, che fino al grave infortunio nei playoffs scorsi era entrato nel cuore di coach Boniciolli.
Il matrimonio tra Boniciolli e Roberts dura appena 3 partite: l’americano viene poi relegato in panchina per 2 partite consecutive e, e dalla 7^ di campionato c’è già Mitja Nikolic al suo posto.
Ma nemmeno lo sloveno convince la dirigenza biancoblu: 10 partite a 7.7 punti di media e con percentuali rivedibili bastano per puntare tutto (sia sportivamente che economicamente, liberato pagando un ricco buyout) su Alex Legion, individuato come il giocatore in grado di far fare alla Fortitudo il salto di qualità che tanto chiedeva Boniciolli durante la stagione.
Pronti, via e Legion scrive subito 21 nella schiacciante vittoria contro Treviso, e dalle 3 sconfitte in 5 partite prima dell’arrivo del numero 8 si passa a 4 vittorie in 5 gare, con sole 4 sconfitte in 12 partite totali con l’ex Reggio Calabria in campo (con scarto da 2 a 5 punti in 3 delle 4 L sul calendario).
Digerita l’imbarcata di gara 1 contro Agrigento, ha poi dominato le seguenti 3 partite, trascinata da un Mancinelli in forma smagliante e decisivo come suo solito (quasi 12 punti e 7 rimbalzi di media col 50% di 3PT% nelle 3 vittorie).
La serie con Treviso ha poi confermato la tesi che vede la Fortitudo come una delle principali favorite alla promozione finale: ok l’inconcludenza del team veneto, che anche quest’anno dopo un 1° posto in regular season non riesce ad andare oltre i quarti di finale, ma la squadra di Boniciolli ha compiuto quello step mentale e tecnico che necessitava per presentarsi a queste semifinali playoffs contro Trieste con la fiducia a livelli mai raggiunti prima in questi 2 anni.
Come è andata la Kontatto Bologna in stagione contro l’Alma Trieste? Bene a metà: netta vittoria al PalaDozza per 66-54 e sconfitta di 5 punti in terra triestina. Il fattore determinante per coach Boniciolli nella vittoria del 30 Ottobre fu senza dubbio la grande intensità difensiva della propria squadra durante l’arco dei 40’: negli ultimi 3 quarti, Trieste segnò appena 35 punti, concedendone 38 nei periodi pari agli avversari che giocavano ancora senza uno straniero (Roberts separato in casa). Una chiave di lettura importante la diede il minutaggio di Raucci ed Italiano nella partita: 19’ e 13 punti il primo, 23’ e 9’ il secondo, entrambi sopra media; a conferma di quanto sia importante una difesa rocciosa sugli esterni e la fisicità per la F contro un’avversaria come Trieste.
Vinceranno perché
La vittoria della serie con Treviso ha proiettato la Fortitudo in cima ai pronostici di tanti addetti ai lavori, e difficilmente l’ambiente del PalaDozza farà mancare il proprio apporto ai ragazzi di coach Boniciolli. La F in questi playoffs ha vinto 3 partite in trasferta su 4, su campi difficili come quelli di Agrigento e soprattutto Treviso, dimostrando di avere le qualità per annullare il fattore campo per la squadra di casa. Trieste è certamente un campo difficile, e l’Alma è una squadra che gioca un basket a tratti simile a quello fortitudino: entrambe volte al gioco in transizione ed al tiro da fuori, ma la maggior fisicità e tendenza della Kontatto a sfruttare la taglia dei suoi lunghi spalle a canestro, per un tiro ravvicinato ma spesso anche per un kickout e tiro aperto da 3, potrebbe essere la chiave di volta per spostare l’inerzia verso la squadra emiliana. A differenza di Trieste che sfrutta poco il gioco spalle a canestro per via della scarsa tenuta fisica dei propri lunghi, con il solo Cittadini a poter mettere in difficoltà Knox (13.5 punti e 8 rimbalzi in 29.5 minuti di media nei 2 scontri in campionato per l’USA).
Perderanno perché
Il gioco a ritmi alti dell’Alma potrebbe essere un serio problema per la Fortitudo: coach Dalmasson ha improntato la sua squadra sul run&gun, sul gioco in transizione e sull’elevato numero di possessi per partita, potendo disporre di due atleti clamorosi come Parks e Green, di una giovane combo guard come Bossi (più Cavaliero per i playoff, non malissimo…) e di un playmaker aggiunto bravo a correre il campo come Da Ros. Gli esterni giuliani sono tutti bravi ad attaccare in isolamento ed a costruire dal palleggio, e qui la Fortitudo potrebbe soffrire: le difficoltà principali della difesa fortitudina, durante l’anno, sono giunte infatti proprio dagli isolamenti. Contro due specialisti dell’1vs1 come i due USA triestini sarà fondamentale la difesa individuale, tallone d’Achille di una squadra che difficilmente quest’anno lascia trasparire debolezze: se Parks e Green dovessero continuare il loro tour di distruzione anche nelle semifinali, tra penetrazioni e contropiedi devastanti (aFG% in transizione: 65% il primo, addirittura 74.4% il secondo), la Fortitudo potrebbe davvero dire addio in anticipo al sogno chiamato Serie A.
Il coach
Matteo Boniciolli è alla sua terza stagione consecutiva alla guida della Fortitudo Bologna, e dopo aver sfiorato la promozione lo scorso anno, quest’anno è pronto a dare nuovamente l’assalto alla massima serie. Una storica Coppa Italia ad Avellino nel 2008 (con annesso premio di miglior coach della Serie A), il ritorno alla vittoria in Europa con gli odiati cugini della Virtus Bologna nell’EuroChallenge 2009, 2 anni da campione assoluto in Kazakistan con Astana dal 2011 al 2013 e la conquista del primo trofeo stagionale di quest’anno, la Supercoppa LNP ai danni di Scafati. Come si suol dire in questi casi, la fama tende a precederlo. Allenatore dal carattere vulcanico, riesce sempre a tirare fuori il meglio dai suoi giocatori, soprattutto in fasi delicate della stagione come i playoff. Dopo aver rivitalizzato Gandini ed aver inserito alla perfezione in un contesto di squadra Legion, da sempre abituato ad avere il pallone in mano ogni singola azione, è il momento di arrivare ancora più in alto. Ora contano poco curriculum e trofei vinti, è solo una la coppa che la Bologna biancoblu aspetta di vedergli alzare.
La stella
Decima stagione con la maglia della Fortitudo tra giovanili e prima squadra, Stefano Mancinelli è tornato quest’anno a vestire la maglia della squadra bolognese ed è stato da subito l’indiscusso leader tecnico e morale del roster biancoblu. Tanti detrattori durante la stagione l’hanno messo sul banco degli imputati per i mancati successi, ma come spesso accade nei momenti decisivi è sempre lui a prendere per mano i compagni e trascinarli al successo. Dai 10.5 punti di media in stagione ai 13.3 nei playoffs passando dal 48% da 2 e 29% da 3 al 54% da 2 ed il 50% da 3: spesso le cifre dicono poco, ma in questo caso mettono tutti d’accordo su quanto sia importante il ragazzo di Chieti per le sorti dell’aquila. In più, la carta d’identità inizia a dire 34… E’ l’anno giusto per rivincere ancora una volta a Bologna.
IL FILM DELL’A2 2016/2017
All’atto finale non prenderanno parte Biella (fatale l’unica sconfitta interna dell’anno) e Treviso, ovvero le due squadre che hanno chiuso in testa ai gironi la stagione regolare (e se l’Angelico aveva stupito tutti, i biancoblu si fermano ancora troppo presto dopo aver vinto per la terza volta in fila il proprio girone) , a conferma di quanto un mese e mezzo di playoff – per una sola promozione- possa facilmente rovesciare pronostici e previsioni maturati nel corso della regular season. L’incrocio dei gironi, però, si conferma format azzeccato, sia per permettere anche alle squadre dell’Ovest di affrontare almeno una volta le “grandi” dell’altra conference, che per tenere ancora in gioco le squadre provenienti dal girone teoricamente più competitivo: sette squadre su otto dell’Est ai quarti, quattro su quattro in semifinale indicano che il modello NBA avrebbe lasciato ingiustamente a casa più di qualche squadra.
Diversi, però, sono stati i tratti comuni alla gran parte delle trentadue contendenti per l’unico posto al sole della prossima Serie A. Squadre lunghe, fisiche e votate alla velocità e all’istinto hanno fatto migliori fortune di chi ha puntato tutto su tecnica, esperienza e gioco a metà campo e, a discapito di qualche caso virtuoso, i giovani sembrano, per molteplici ragioni, aver visto il campo meno che in passato. Appena quattro – in partenza erano in dodici – su trentadue le squadre arrivate in fondo per concorrere ai 320 mila euro di premi stanziati dalla FIP per l’utilizzo dei giovani (almeno tre dal ’96 in poi a referto nei primi 10 ed in campo per 30 minuti complessivi di media. Casale Monferrato e Treviglio sono state in grado di conciliarne la crescita anche con la qualificazione ai playoff, isole felici all’interno di un pianeta in cui quasi nessuno, a prescindere dall’obiettivo prefissato, ha rinunciato ad investire ulteriormente pur di apportare qualche correttivo in corsa. Dalla prossima stagione far giocare gli atleti del proprio vivaio varrà doppio, un cambiamento destinato probabilmente a sortire qualche effetto nel giro dei prossimi anni e che inciderà, in maniera inevitabile, nelle scelte delle squadre del secondo campionato nazionale.
In semifinale non vedremo rookie alla prima esperienza europea: Umeh, Lawson, Legion, Parks, Smith e Marks avevano già calcato la A2 italiana (senza dimenticare le ancore di salvezza Powell, Voskuil, Jackson, Dobbins e Adegboye) almeno in una circostanza e Green e Knox sono reduci da campionati in Spagna e Turchia, indice di una scelta anche in questo caso proiettata su usato sicuro e affidabilità. Conferme che sono arrivate anche dal pubblico e dal seguito mediatico che questo campionato – forte della storia di 16 degli ultimi 20 scudetti e l’entusiasmo di piazze giovani e meno giovani per questi palcoscenici – ha saputo generare. Nella maggior parte dei casi, infatti, palazzetti pieni e calorosi sono stati la miglior risposta ad un lavoro societario ormai molto simile a quello di un’azienda e che non si è limitato solo agli aspetti tecnici della squadra, ma ha saputo coinvolgere attraverso iniziative ed eventi, un pubblico che resta uno dei protagonisti principali – anche per il sostegno economico a volte determinante che ne deriva – ed indiscussi della Serie A2. E se Cavaliero, Gentile e Cinciarini sono stati innesti destinati a modificare ulteriormente in corsa il valore delle rimaste in gara pur col rischio di alterarne gli equilibri costruiti col lavoro quotidiano, i numeri dicono che spesso le scelte fatte in estate sono le più lungimiranti ed efficaci, e in tante, spesso costrette ad un utilizzo limitato di risorse e qualche scommessa vinta dalla B, possono dirsi soddisfatte del cammino fatto. Il messaggio emerso e di cui si dovrà tenere conto anche in futuro è chiaro: cinque buoni giocatori non rendono per forza altrettanto forte un quintetto e un atleta sarà valutato sempre in base al resto del contesto nel quale andrà ad inserirsi. Scouting, precise filosofie di gioco e conoscenza individuale giocatori sono spesso sottovalutati, ma indispensabili per rendere il roster finale superiore alla somma del valore delle sue singole parti. Le squadre ad aver cambiato più volte faccia nel corso della stagione, del resto, sono quelle che hanno disputato con successo i playout, con un numero di interventi che non sarà più possibile effettuare in futuro: saranno massimo tre, e di qualunque genere durante il campionato, gli innesti, svincolati, stranieri e passaportati compresi.
E gli italiani? Restano imprescindibili per le sorti delle proprie squadre, a patto di comprendere bene il proprio ruolo e il modo migliore di alzare ulteriormente il livello degli USA, spesso e volentieri stelle designate del roster. Impossibile pensare, anche in virtù del lotto delle prestigiosissime concorrenti, a 3-4 italiani extralusso per squadra, in molti casi la filosofia, nel rispetto e nella necessità di rotazioni profonde e intensità da tenere sempre alta, si è orientata su “due giocatori buoni invece che uno ottimo” e le scelte fatte ad esempio cabina di regia ispirano fiducia anche in prospettiva futura. Candi (’97) e Ruzzier (’93), Spissu (’95) e Penna (’98)– prima dell’arrivo di Gentile – Bossi, Tambone e Sabatini (tutti e tre del ’94), hanno saputo convivere con la pressione di piazze calde e risultato a tutti i costi, guidando le loro squadre fino alle semifinali. Ma lo stesso ragionamento vale anche per chi si è fermato prima – leggasi Fantinelli e Moretti per restare ai playmaker, o De Vico tra le ali – suscitando l’inevitabile interesse anche delle squadre del piano di sopra. Che troveranno giocatori utili non solo per far rispettare le regole sui contratti degli italiani, ma già pronti a ritagliarsi un ruolo da protagonisti.
Gandini numero 1!